Autore Maurits Cornelis Escher
Titolo M.C. Escher
EdizionePalazzo Reale, Milano, 2016 , pag. 292, ill., cop.rig., dim. 21x26,6x3,3 cm , Isbn 978-88-941328-1-6
CuratoreMarco Bussagli, Federico Giudiceandrea
LettoreSara Allodi, 2016
Classe arte









 

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Indice


  5 Interventi

 11 I giochi della mostra
    Divertirsi per conoscere Escher
    di Marco Bussagli

 27 L'influenza dell'Italia sull'arte di M.C. Escher
    di Federico Giudiceandrea

 43 Arte del puzzle e puzzle dell'arte
    di Piergiorgio Odifreddi

 59 Le opere della mostra

 60 La Formazione: L'Italia e l'Art Noveau

125 Dall'Alahambra alle Tassellature

145 Superfici riflettenti e struttura dell spazio

161 Metamorfosi

194 Paradossi geometrici: dal foglio allo spazio

217 Economia Escheriana - lavori occasionali

231 Escherabilia

285 La vita di Maurits Cornelis Escher

289 Bibliografia


 

 

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Pagina 11

I giochi della mostra

Divertirsi per conoscere Escher

di Marco Bussagli

Ci sono molti modi di concepire una mostra. La si può impostare come una rassegna di opere (ed è in genere la norma) nella quale si racconta, per immagini, sia pure usando quelle originali (ossia le opere), il percorso creativo di un pittore o di uno scultore, oppure lo sviluppo artistico e storico di un'epoca o di uno stile. In questo caso, le opere esposte, hanno soprattutto un valore documentario e, con adeguati apparati didattici, svelano al pubblico quelle che sono le dinamiche di un fenomeno storico-artistico che, per così dire, viene appreso dal vero e non da riproduzioni.

Talora, però, le mostre hanno un'impostazione iconologica ed iconografica; ossia non documentano la biografia di un pittore o di uno scultore e neppure l'affresco storico di un grande evento artistico, ma lo sviluppo di un'immagine.

In tal caso, le opere si passano l'un l'altra un'ideale staffetta per dimostrare come un'idea si sia trasformata in un'altra e come la prima si sia modificata nella seconda cedendo parte di sé e lasciando in eredità a questa, certe sue forme.

Le mostre di carattere iconologico, rare in Italia perché particolarmente costose, narrano soprattutto del percorso delle idee e di come queste si siano fatte immagini attraverso i secoli.

Ci sono poi mostre eminentemente biografiche, ovvero quelle nelle quali il solo protagonista è l'artista e, tutt'al più il suo ambito di formazione oppure di riferimento, con il quale ha interagito nel corso della sua esistenza. Sono queste le mostre più gettonate perché relativamente facili da realizzare e prive di particolari problemi organizzativi.

LA MOSTRA DI MILANO.

La mostra sul grande maestro olandese prodotta dalla Escher Foundation e da Arthemisia Group non appartiene a nessuno dei generi appena ricordati o, meglio, li contiene tutti, ma, in più, ha un approccio del tutto nuovo nel porgere al grande pubblico le complesse problematiche presentate dal genio creativo dell'artista.

Appartiene a tutti i generi perché le opere di Escher esposte fanno parte della stessa collezione, quella di Federico Giudiceandrea, ingegnere elettronico, industriale, studioso e appassionato di Escher, che ha trasformato in un impegno economico e professionale di altissimo livello (è il più grande collezionista privato europeo) la passione adolescenziale per il grande artista olandese. Tuttavia, alle opere dell'incisore sono state affiancate quelle di altri artisti che hanno percorso per proprio conto una via alla creatività consimile, come Piranesi (nel caso dell'Arco gotico, vera e propria architettura impossibile della serie Carceri d'invenzione) (pagina 206)

e di Luca Patella che, partendo dall'insegnamento di Duchamp, ha creato oggetti che sono particolarmente vicini agli intenti di Escher. Così, un'opera The Wrong & The Right Bed (figura 1) riproduce in scala reale (la vera dimensione di un letto) e in modo concreto, cioè con letti veri, il celebre collage realizzato dall'artista francese nel 1916-1917 e poi riprodotto anche più avanti (nel 1965) ed intitolato Apolinère enameled. L'opera che si configura come un foglietto pubblicitario, mostra una bambina che vernicia un letto. Questo, però, appare come un oggetto impossibile in quanto l'asse posteriore, invece di congiungersi regolarmente con il montante solidale sinistro della spalliera anteriore, s'incastra con quello destro, rendendo il mobile impossibile da realizzare nella realtà. Impossibile fino a quando Luca Patella, fra il 1983 ed il 1986, ha realizzato quest'opera dove il letto "sbagliato", grazie ad una certa aberrazione prospettica, rende concreto e reale quello di Duchamp. L'artista italiano, poi, per rendere ancor più evidente l'assurdità dell'oggetto, gli ha affiancato un letto "giusto" che permette agli spettatori di capire immediatamente, senza tanti giri di parole, che il principio adottato da Patella è il medesimo che Escher utilizza nella sua Cascata (pagina 210) che tiene conto dell'assurda aberrazione della "tribarra impossibile" (figura 2), inventata da Oscar Reuterswärd nel 1934 e successivamente ripresa autonomamente dallo stesso Escher.

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Pagina 22

LA STANZA DEGLI SPECCHI.


L'apice, nel percorso dei giochi della mostra, è rappresentato da quello che, per convenzione, nell'allestimento, abbiamo chiamato «stanza degli specchi». Come si è visto, al tema della riflessione, Escher dedica ampio spazio, sia in termini di studio cristallografico, sia per quanto riguarda gli effetti prodotti dalle superfici che riflettono, siano esse piane, come quelle di Pozzanghera (figura 18) e di Superficie increspata (figura 8), oppure convesse, come per esempio Mano con sfera riflettente (figura 21) che dipende dalla lunga tradizione fiamminga relativa agli specchi convessi, come per esempio quello celeberrimo del capolavoro di Jan van Eych dedicato a I coniugi Arnolfini (nota 1).

Tuttavia, la «stanza degli specchi» offre la tematica al pubblico in maniera dinamica. Non si tratta, cioè, della riproduzione di un'opera che abbia come soggetto uno specchio o dei riflessi. A contrario, è l'interpretazione di una splendida incisione come Profondità (pagina 153) utilizzando il mezzo della riflessione di un'immagine che, nell'incisione è implicito. La schiera dei pesci che nuotano affiancati come una formazione di bombardieri, in teoria, potrebbe essere ottenuta, ripetendo specularmente il modulo di una sola fila verticale, oppure orizzontale.

È quello che accade nella «stanza degli specchi». Entrarci dentro, dopo aver visto dal vero la bella xilografia di Profondità è sicuramente un'esperienza che, senza voler enfatizzare, non s'eccede a definire esaltante ed interessante. Ci si trova, infatti, immersi nell'opera di Escher che si è appena ammirata sulla parete. Soffitto, mura e pavimento della stanza, sono completamente ricoperti di specchi, mentre fra il soffitto e il pavimento pendono due cordicelle tese che inanellano le sagome in polistirolo dei pesci che Escher ha schierato con ordine nella sua seducente stampa.

Il resto, lo fanno gli specchi che moltiplicano in tutte le direzioni, ma in maniera del tutto ordinata l'immagine di chi entra e quella dei modellini di polistirolo. L'effetto, perciò, anche grazie alla sapiente illuminazione, è quello di fluttuare dentro l'opera del grande artista olandese e di vedere scorrere accanto a sé le lunghe teorie di pesci che altro non sono che molecole di ferro.

Sebbene Escher non abbia lasciato nulla di così esplicito sulla struttura metallica cui allude l'opera, è certo che avesse ben chiaro in testa quello schema geometrico e che i pesci abbiano un aspetto simpaticamente bellico, da siluri inviati a colpire la fantasia di chi guarda.

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Pagina 27

L'influenza dell'Italia sull'arte di M.C. Escher

di Federico Giudiceandrea


Il primo contatto con l'Italia avvenne nel marzo 1921. Insieme ai suoi genitori, Escher intraprese quell'anno un viaggio di 20 giorni lungo le coste del Mediterraneo, percorrendo prima il sud della Francia e quindi costeggiando la Cóte d'Azur fino alla Liguria. Escher all'epoca aveva 22 anni ed era ancora studente alla scuola di architettura ed arti decorative di Haarlem sotto la guida di Jesserun de Mesquita, (pagina 61) uno dei più importanti esponenti dell'Art Noveau olandese.

Escher scrisse al suo amico Jan van der Does di non essere particolarmente impressionato dal paesaggio mediterraneo: "all'inizio sembra tutto travolgente ma dopo una settimana tutto diventa ordinario." (nota 1).

L'anno dopo Escher ultimò i suoi studi ed iniziò la sua attività di incisore ad Haarlem; l'impatto con la vita lavorativa non fu dei migliori e presto arrivarono le prime delusioni. I suoi lavori non trovarono grande accoglienza così che, alla ricerca di nuova ispirazione decise, sulle orme dei grandi artisti mitteleuropei dell'ottocento, di intraprendere con due amici, il Gran Tour, un viaggio in Italia, visitando le regioni centro-settentrionali.


Fu particolarmente colpito dalla campagna e dalle città della Toscana, in particolare da San Gimignano (figura 1) e Siena (pagina 85). Ricordandosi del viaggio in calesse alla volta di San Gimignano scrisse: "while the 17 towers of San Gimignano drew nearer and nearer. It was likke a dream, witch could not possible be real" (nota 2) Innamoratosi dell'Italia, del suo paesaggio, della sua natura, della sua arte antica Escher venne in contatto anche con l'arte moderna visitando la Biennale di Venezia dove quell'anno era rappresentata la prima retrospettiva di Modigliani.

Tornato in Olanda non riuscì a trovare pace e pochi mesi dopo nell'autunno del 1922, dopo un viaggio in Spagna, tornò in Italia fermandosi a Genova, Pisa, Roma e si spinse per la prima volta nel meridione sulla costiera Amalfitana, dove nel 1923 conoscerà la sua futura moglie Jetta Umiker, figlia di un industriale svizzero. L'Italia ebbe un effetto positivo sul carattere introverso e malinconico di Escher tanto che nel 1923, dopo il matrimonio con Jetta a Viareggio, si stabilì a Roma.

In quel periodo si confronta con diversi movimenti artistici dei primi del novecento. Lo sviluppo di nuove teorie scientifiche, anticonvenzionali e anti intuitive come la teoria della relatività e la meccanica quantistica, avevano messo in discussione la visione euclidea dello spazio e le leggi della prospettiva scientifica. Primo fra tutti il cubismo andava affermando che nessuna rappresentazione del vero, nessun disegno né quadro poteva competere con la realtà e che quindi tanto vale sfruttare le possibilità della rappresentazione bidimensionale sul foglio o sulla tela per sperimentare la simultaneità dei punti di vista e la mutazione delle immagini. Sulla stessa scia si muovevano anche i movimenti artistici come le avanguardie divisioniste, simboliste e futuriste.

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Pagina 43

Arte del puzzle e puzzle dell'arte

di Piergiorgio Odifreddi

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Pagina 54

PARADOSSI PERCETTIVI


Alla fine della Poetica, Aristotele ripete due volte che "una convincente impossibilità è preferibile ad una non convincente possibilità". Alcune delle opere più famose di Escher sono perfette illustrazioni di questo motto, oltre che di alcuni ben noti paradossi percettivi (basati sul contrasto tra percezione e interpretazione di dati sensoriali, e sul condizionamento fisiologico (nota 20) e culturale che spinge a considerare figure bidimensionali come rappresentazioni di oggetti tridimensionali).

Belvedere (Figura 17) è ispirato al cubo di Necker, (nota 21) che si ottiene disegnando un cubo in prospettiva, con tutti i lati in evidenza: cosí facendo si crea un'ambiguità su quale delle facce sia davanti e quale dietro, e due possibili cubi si alternano nella percezione.

Il cubo di Necker è disegnato nel progetto che sta ai piedi del personaggio seduto sulla panca (con i due punti problematici evidenziati), ed egli tiene in mano un modello di cubo impossibile, in cui l'ambiguità viene risolta fondendo le due possibilità, e creando cosí un cubo localmente corretto (nella parte alta e in quella bassa), ma globalmente impossibile. L'edificio della figura realizza poi il cubo impossibile, congiungendo paradossalmente le parti alta e bassa, che sono separatamente consistenti.

Convesso e concavo (Figura 18) illustra due paradossi. Il primo, detto dei cubi reversibili, era già noto ai romani, che l'hanno usato in vari mosaici, ed è stato sfruttato in modo sistematico da Victor Vasarely (la cui opera Escher però disprezzava): tre rombi adiacenti sono visti come le facce di un cubo, ma possono essere interpretati sia come facce esterne che come facce interne (nota 22); inoltre, se ce ne sono più di tre quelli non estremi possono appartenere a più di un cubo, facendo apparire l'immagine alternativamente convessa e concava. Cubi reversibili sono disegnati sulla bandiera in alto a destra della figura, e questa realizza il contrasto convesso/concavo fra le parti sinistra e destra.

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PARADOSSI LOGICI


L'osservazione di Gregory mostra come i paradossi delle figure assurde siano in realtà di natura logica, e non fisica. Essi sono dunque tipici della prima metà del secolo, in particolare della storia che inizia in negativo nel 1902 con il paradosso di Russell, e culmina in positivo (almeno per quanto riguarda l'uso dei paradossi) nel 1931 con il teorema di Gödel.

L'esempio più venerando e illustre di questo genere di cose è forse il paradosso del mentitore, una versione del quale è la seguente: Questa frase è falsa.

Naturalmente, se la frase fosse vera dovrebbe essere falsa (perchè questo è ciò che essa dice); e se fosse falsa dovrebbe essere vera (perchè questo è il contrario di ciò che essa dice).

Un aspetto fondamentale della frase precedente è l'autoriferimento, il fatto cioè che essa parli di se stessa. Tale aspetto è esemplificato, nei disegni di Escher, dalla presenza di un richiamo della figura principale in Stelle (Figura 4), del cubo impossibile in Belvedere (Figura 17), e dei cubi reversibili sulla bandiera di Convesso e concavo (Figura 18).

Un aspetto secondario della frase precedente è invece il fatto che l'autoriferimento sia ottenuto in un solo passo. Gli usi moderni dei paradossi hanno anzi mostrato che è più efficace spezzare l'autoriferimento in due passi, come nel caso della seguente versione del paradosso del mentitore, proposta da Jourdain nel 1913: La frase successiva è vera. La frase precedente è falsa.

Il fatto che essa sia in realtà l'accostamento inconsistente di due frasi separatamente consistenti ricorda ovviamente le realizzazioni di Belvedere (Figura 17) e Cascata (Figura 20).

Ma i due passi sono illustrati nel modo più diretto ed efficace in Mani che disegnano (Figura 22): in quanto immagine del processo di riflessione di Escher sull'attività del disegnatore, essa è forse anche il simbolo più indovinato di tutto il suo originale lavoro. (nota 29)

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