Copertina
Autore Michel Faber
Titolo Sotto la pelle
EdizioneEinaudi, Torino, 2004, Tascabili Stile libero Big 1246 , pag. 270, cop.fle., dim. 135x207x16 mm , Isbn 978-88-06-15716-6
OriginaleUnder the Skin [1998]
TraduttoreLuca Lamberti
LettoreElisabetta Cavalli, 2004
Classe narrativa olandese , narrativa neerlandese
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Pagina 3

Quando avvistava un autostoppista per la prima volta Isserley non si fermava mai, si concedeva un po' di tempo per prendergli le misure. Quel che cercava erano i muscoli: un pezzo d'uomo ben piantato sulle gambe. Di esemplari gracili, pelle e ossa, non se ne faceva nulla.

A un primo sguardo, tuttavia, era incredibile quanto poteva risultare difficile notare la differenza. Si potrebbe pensare che un autostoppista solitario, fermo al bordo di una strada di campagna, sia visibile per almeno un chilometro, come un monumento lontano, o un silos per le granaglie: si potrebbe pensare di riuscire a esaminarlo con calma mentre si guida, di spogliarlo e rigirarselo nella mente con anticipo, ma Isserley aveva scoperto che non era cosi.

Guidare attraverso le Highland scozzesi era di per sé impegnativo; accadeva sempre qualcosa in piú rispetto a quel che ci si immagina guardando i paesaggi delle cartoline. Perfino nel silenzio madreperlaceo di un'alba invernale, con le nebbie ancora addormentate nei campi ai lati della strada, non si poteva sperare che la A9 restasse vuota a lungo. Le carcasse di pelliccia appartenenti a creature della foresta non identificabili ingombravano l'asfalto, sempre fresche ogni mattina, e ciascuna di esse non era che un istante congelato nel tempo, quando un essere vivente aveva scambiato la strada per il suo habitat naturale.

Anche Isserley, spesso, si avventurava per strada a ore pietrificate in un'immobilità preistorica, al punto che il suo veicolo poteva essere il primo della storia. Era come se fosse stata calata in un mondo appena creato, cosi nuovo che le montagne avrebbero potuto ancora assestarsi e le valli coperte di boschi trasformarsi in mari.

Ciò nonostante, una volta lanciata l'auto lungo la strada deserta, velata da una nebbia leggera, sapeva che era questione di pochi minuti, e dietro di lei avrebbe cominciato a scorrere il traffico diretto verso Sud. E quel traffico non le avrebbe neppure lasciato fare da battistrada, come una fila di pecore lungo un sentiero stretto; avrebbe dovuto correre piú in fretta, o l'avrebbero cacciata dalla corsia a forza di clacson.

Inoltre si trattava di un'arteria principale, e doveva stare attenta a tutte le strade secondarie che vi confluivano. Solo una parte di quegli snodi erano segnalati chiaramente, quasi fosse stato il risultato di una selezione naturale; gli altri erano nascosti dagli alberi. Non tenere conto degli incroci era una pessima idea, anche se Isserley aveva la precedenza: da una qualunque di quelle strade poteva spuntare un trattore borbottante e impaziente, che in caso di collisione non avrebbe subito molte conseguenze, mentre lei si sarebbe spiaccicata sull'asfalto.

Quel che la distraeva di piú, tuttavia, non era la minaccia di un pericolo imminente ma l'incanto di ciò che la circondava. Un luminoso fossato colmo d'acqua piovana, uno stormo di gabbiani gettati all'inseguimento di una seminatrice in un campo fertile, l'apparizione fugace della pioggia due o tre monti piú avanti, o anche il volo di un ostricaio solitario: una sola di queste immagini poteva far quasi dimenticare a Isserley il motivo per cui era lí, per strada. Il levarsi del sole tingeva d'oro le fattorie distanti e lei era ancora al volante, quando un oggetto assai piú vicino, poco piú di un'ombra nerastra, abbandonava all'improvviso le sembianze di un ramo d'albero o di un cumulo di macerie per assumere quelle di un bipede con il braccio teso.

Allora si ricordava, ma a volte succedeva quando ormai lo aveva superato mancando di un soffio la mano tesa, quasi che le dita, come rametti, avrebbero potuto spezzarsi, se solo fossero cresciute di qualche centimetro in piú.

Premere sul freno era fuori questione. Al contrario, lasciava tranquillamente il piede sull'acceleratore, restava in fila dietro le altre auto, limitandosi a scattargli di passaggio una rapida fotografia mentale.

A volte, mentre riesaminava quell'immagine Isserley si rendeva conto che l'autostoppista era in realtà una femmina. A lei le femmine non interessavano, almeno non in quel senso. Che le caricasse qualcun altro.

Se l'autostoppista era maschio di solito tornava indietro per un secondo sopralluogo, a meno che non si trattasse chiaramente di un tipo mingherlino. Nel caso in cui il soggetto in questione fosse per lo meno interessante, appena possibile faceva un'inversione a U - ben lontana da lui -, non voleva che si accorgesse di nulla. Poi, guidando nella direzione opposta piú lentamente che poteva, cercava di squadrarlo ancora una volta.

Capitava raramente che non riuscisse a ritrovarlo: di solito perché nel frattempo un altro autista, meno pignolo o meno cauto di lei, si era fermato e l'aveva tirato su. Da una veloce sbirciata si rendeva conto che nel punto in cui pensava di averlo visto non c'era piú nulla, solo un vuoto bordo di ghiaia. Spingeva lo sguardo oltre il ciglio della strada, verso i campi o l'inizio del bosco, nel caso si fosse nascosto da qualche parte per orinare. (Una delle loro abitudini). Dopo cosi poco tempo, per lei era inconcepibile non ritrovarlo piú; aveva un corpo cosi bello - cosi eccellente - cosi perfetto - perché si era lasciata scappare quella chance? Perché non l'aveva caricato subito?

Talvolta la perdita era cosi dura da accettare che poi continuava a guidare per chilometri e chilometri, sperando che chi l'aveva caricato l'avesse di nuovo fatto scendere. Le mucche la guardavano con aria innocente mentre lei accelerava in una nuvola di gas di scarico.

Di solito, però, l'autostoppista rimaneva esattamente dove l'aveva sorpassato la prima volta, il braccio meno rigido, gli abiti (se pioveva) un poco piú fradici. Venendo dalla direzione opposta Isserley gli dava un'occhiata veloce alle natiche, alle cosce, o anche alle spalle, per vedere quanto erano muscolose. Perfino nella postura c'era qualcosa che permetteva di riconoscere a prima vista l'arrogante fiducia in se stessi dei maschi di prima qualità.

Passandogli accanto lo guardava ancora una volta, per mettere alla prova la prima impressione, per essere sicura che la sua immaginazione non l'avesse gonfiato troppo.

Se riusciva a superare l'esame fermava l'auto e lo faceva salire.

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Isserley rimase seduta in auto per parecchio tempo, a motore spento, sotto le luci della fermata dell'autobus nel centro di Edderton. Qualunque cosa le servisse per potersene andare da lí, in quel momento le mancava.

Mentre attendeva che quel qualcosa le venisse concesso distese le braccia sul volante, e appoggiò il mento sulle braccia. Non aveva molto mento, e quel poco che aveva era il risultato di grandi sofferenze e sforzi chirurgici. Riuscire ad appoggiarlo sulle braccia era un piccolo trionfo, o forse un'umiliazione, non riusciva a decidersi.

Alla fine si tolse gli occhiali. Era stupido assumersi un rischio del genere, anche in quel sonnolento paesino, ma la sensazione delle lacrime accumulate sotto la montatura di plastica, che adesso avevano cominciato a colare sulle guance, era davvero insopportabile. Continuò a piangere, lamentandosi piano nella sua lingua, osservando attentamente la strada, in caso arrivasse qualche vodsel. Non accadde nulla, e il tempo si rifiutò ostinatamente di passare.

Diede un'occhiata allo specchietto retrovisore, aggiustando l'angolazione del capo finché non vide soltanto i suoi occhi verde muschio incorniciati dai capelli. Questo piccolo frammento di viso, male illuminato, era il solo che riusciva a guardare senza provare disgusto per se stessa, e l'unico che non era stato toccato. Questo piccolo frammento era una finestra sulla sua sanità mentale. Si era affacciata a quella finestra molte volte, nel corso degli anni, seduta nella sua auto.

All'orizzonte scintillarono due fanali, e Isserley si rimise gli occhiali. Nel lasso di tempo che l'auto aveva impiegato ad arrivare a Edderton si era già rimessa in sesto.

Era una Mercedes color prugna con i finestrini fumé, e passandole accanto fece lampeggiare le luci. Era un gesto d'amicizia, niente a che vedere con il codice della strada o con qualche avvertimento di pericolo. Soltanto un automezzo che ne saluta un altro dal colore e dalla forma vagamente simili, senza sapere chi lo stia occupando.

Isserley accese il motore, fece un'inversione a U e si mise a seguire il suo benevolo sconosciuto lasciandosi alle spalle Edderton e immergendosi di nuovo nella foresta.


Durante tutto il tragitto di ritorno Isserley pensò ad Amlis Vess e a quel che avrebbe immaginato vedendola arrivare a mani vuote. Avrebbe pensato che se ne stava rinchiusa nel cottage per l'imbarazzo dell'insuccesso? Bene, che facesse pure. Magari il suo fallimento, se cosi lo vedeva, gli avrebbe finalmente fatto capire che non era un lavoro facile, il suo. Da viziato dilettante qual era probabilmente credeva si trattasse di qualcosa di simile a raccogliere fiori selvatici lungo la strada, oppure... buccini sul bagnasciuga, se avesse mai saputo cos'erano i buccini, o a cosa somigliava lontanamente un bagnasciuga. Aveva ragione Esswis: che andasse affanculo!

Forse dopotutto avrebbe dovuto prenderlo, il taglialegna. Com'erano massicce quelle braccia! - massicci pezzi di carne, piú grandi di come ne avesse mai visti. Sicuramente sarebbe stato utile a qualcosa. Però il cancro... Doveva proprio cercare di scoprire se la presenza di un cancro faceva differenza, per sapere come comportarsi in futuro. Ma non sarebbe servito a niente chiederlo agli uomini della fattoria. Era gente ottusa: classici tipi da Zone Nuove.

La Ablach Farm era bianca come la neve, piú quieta che mai, quando Isserley imboccò la stradina ricoperta di erbacce. In realtà c'erano due strade che portavano alla fattoria, e una era generalmente utilizzata per il passaggio di mezzi pesanti, ma entrambe erano dissestate, accidentate e colme di erbacce selvatiche. Isserley sceglieva la prima o la seconda a seconda dell'umore. Stasera prese quella che teoricamente doveva servire per le auto, anche se lei era l'unica a usarla. Già all'imbocco di Ablach un gruppo di cartelli avvertiva del pericolo di morte, dei veleni e della punibilità di ogni trasgressore. Isserley sapeva che bastava superare questo punto per far scattare gli allarmi della fattoria, cinquecento metri piú in là.

Amava questa strada, specialmente il tratto infestato di ginestroni che aveva ribattezzato Rabbit Hill, perché ci vivevano intere colonie di conigli, e capitava di vederli saltellare a qualunque ora del giorno e della notte. Isserley qui guidava sempre molto lentamente, facendo attenzione a non investire le piccole deliziose creature.

Attraverso la cortina di piante che copriva la strada vide le luci della casa di Esswis, e le ritornò in mente la goffa conversazione della mattina. Lo conosceva poco, ma era sicura che anche lui doveva avere fortissimi dolori alla schiena, e sentí compassione, disprezzo (lui avrebbe potuto tirarsi indietro, no?) e una nauseante sensazione di affinità.

Superò la stalla, illuminando la porta scrostata con un bagliore nero e arancione. Non c'erano cavalli, là dentro, ma solo i resti di un esperimento di Ensel.

- Funzionerà, so che funzionerà - le aveva detto proprio qualche giorno prima di abbandonare tutto e lasciare a Esswis il compito di portarlo via. Lei ovviamente non aveva mostrato il minimo interesse. A incoraggiare uomini di quel genere si finiva sempre per annoiarsi a morte.

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Esausta e con la testa che girava, Isserley si fermò al Donny's Garage a Kildary per fare benzina. Avrebbe voluto comprare con la stessa facilità anche del carburante per il suo corpo. Muovendosi furtivamente nel negozio mentre una coda d'automobilisti si accalcava alla cassa, scrutò il bancone dei panini, disposti sotto una luce diafana e fluorescente. A quel che le sembrava non c'era niente di adatto a soddisfare il consumo umano.

Eppure doveva esserci qualcosa. Era solo una questione di scelte. Che non erano affatto semplici. L'ultima volta che aveva avventurosamente deciso di mangiare un cibo confezionato per i vodsel era finita a letto e c'era rimasta tre giorni.

Indolente e indecisa, diede un'occhiata tra gli scaffali per vedere se ci fossero delle cassette di John Martyn e di altri musicisti con nomi da cibo per animali, in vendita a 5 o 10 sterline. Non c'erano cassette di alcun genere.

Ritornando alle sue sventurate esperienze con il cibo per vodsel: forse l'errore era stato di scegliere qualcosa di assolutamente identico ai gusci di serslida cotti, ma presentati in forma di barretta. Forse questa volta avrebbe potuto scegliere qualcosa non piú in base al suo aspetto, ma a ciò che c'era scritto sopra. Avrebbe dovuto scegliere qualcosa, finché ne aveva la possibilità. L'idea di procedere a stomaco vuoto era sicuramente peggiore del rischio che poteva correre a mangiare qualcosa di indigesto.

La coda si stava disperdendo: presto avrebbe dovuto pagare la benzina o rischiare di attirare l'attenzione. Prese un pacchetto di patatine da una piccola gabbia di metallo e con qualche sforzo lesse la microscopica lista di ingredienti sulla busta luccicante. Sembrava non contenere nulla di esotico, soltanto patate, olio e sale; in mensa gli uomini della fattoria mangiavano regolarmente piatti a base di patate molto simili a questo, sebbene cucinate con un olio diverso.

Dopo aver sbrigativamente calcolato i prezzi, Isserley scelse tre pacchetti, una scatola-regalo di cioccolatini e una copia del «Ross-shire Journal», arrivando a un totale di 5 sterline esatte. Passò due banconote all'annoiato giovane dietro il registratore di cassa e si affrettò verso l'auto.


Dopo un quarto d'ora l'auto di Isserley era ferma in un'altra piazzola, e lei era piegata sul motore ronzante, intenta a raschiare via dal parabrezza la neve soffice. Ne raccolse un po' sul palmo della mano e la succhiò con aria soddisfatta. Non avvertiva alcuna sensazione sulle labbra - non accadeva mai - ma la morbida carne all'interno della bocca e della gola veniva percorsa da un brivido al contatto con lo sciogliersi della purissima gelida condensa dal sapore divino. Tre pacchetti di patatine bruciacchiate le avevano messo addosso una sete tremenda.

Dopo averne inghiottita abbastanza ritornò al posto di guida.


A soli quindici chilometri da casa incontrò un'autostoppista, che faceva tristemente segno nel buio.

Lascia perdere, disse tra sé mentre raggiungeva la cima della collina lasciandolo sulla strada.

Ma a quel punto, come se la sua mente stesse attivando degli agenti chimici fotografici, cominciò a comporsi un'immagine di quell'individuo. Non era niente male. Valeva la pena di un secondo giro, in ogni caso. Erano solo le cinque, dunque se fosse stata estate sarebbe stato pieno giorno. Molti autostoppisti, non necessariamente squilibrati, potevano benissimo essere per strada. Non era il caso di essere cosi negativa.

Isserley fece dietrofront, eseguendo le manovre con cura, in piena sicurezza. Nessuno le suonò il clacson, e nessuno fece lampeggiare le luci; per le altre macchine lei era un'automobilista prudente e niente piú. Dentro, si sentiva meno stanca di prima, il cibo le aveva fatto bene.

Quando ripassò dall'altra parte della strada, l'autostoppista sembrò depresso e docile, inquadrato all'estrema periferia evanescente dei fanali. Non aveva alcun cartello, e forse non era abbastanza vestito per il tempo che faceva. Ma niente di troppo strano. Aveva guanti di pelle e una giacchetta di pelle con la cerniera tirata su fino al collo. La neve scintillava cadendo sui suoi capelli neri, sui baffi e sulle spalle. Era alto per gli standard scozzesi, e molto muscoloso. E nel frammento d'espressione che riusci a catturare, Isserley pensò di riconoscere una specie d'impazienza, la sensazione di trovarsi vicino a qualche limite autoimposto, come di qualcuno sul punto di abbandonare ogni speranza se non fosse stato subito caricato da una maledetta auto.

Cosi fece di nuovo inversione, tornò indietro e si fermò.

Lui si affacciò dal finestrino, che lei aveva abbassato. - Brutto tempo per starsene in giro, - esordi lei cauta quasi per chiedergli una spiegazione.

- Colloquio di lavoro, - replicò lui, mentre dai baffi gli scivolavano delle gocce di neve sciolta. - Terminato piú tardi di quel che avevano detto. Tra un'ora c'è un altro pullman, ma ho pensato di tentare con l'autostop.

Gli aprí la portiera, raccogliendo dal sedile i pacchetti di patatine vuoti.

- Grazie, - disse lui, senza sorridere, ma con un sospiro profondo e rabbuiato, presumibilmente di apprezzamento. Si tolse i guanti per allacciare la cintura; su entrambe le grandi mani, nel triangolo di pelle fra il pollice e l'indice, una rondine tatuata spiccava il volo.

Mentre si allontanavano dal ciglio della strada, Isserley si ricordò di qualcosa.

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