Copertina
Autore Giampaolo Fabris
Titolo Consumatore & Mercato
SottotitoloLe nuove regole
EdizioneSperling & Kupfer, Milano, 1995, Economia e Management , pag. 304, dim. 130x210x17 mm , Isbn 978-88-200-1947-1
LettoreGiulia di Stefano, 1996
Classe economia , marketing
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Indice


Nota introduttiva                            IX
Ringraziamenti                               XI

Prologo. Le regole nuove                      1
Verso un nuovo paradigma                      1
Complessità e turbolenza                     13
Accelerazione del cambiamento
    e discontinuità                          23
Il nuovo consumatore                         41

l. Fine tuning                               65
La conoscenza del consumatore come fattore
    competitivo                              65
Che cosa vuol dire conoscere il consumatore  68
Essere in sintonia con il consumatore        73
Un'applicazione pratica: il cielo di vita
    del prodotto                             75

2. Consunii e stili di vita                  79
Le trasformazioni nella struttura sociale    79
Frammentazione sociale e stili di vita       84
La segmentazione per stili di vita           89

3. Consumatore, significati, tassonomie      96
Consumatore: un termine riduttivo e datato   96
Dalla soddisfazione dei bisogni alla
    costruzione di senso                     99
L'universo eterogeneo delle merci           103

4. La sensibilità al prezzo                 113
Dal risparmio a tutti i costi
    allo spendere bene                      113
La guerra dei prezzi                        119

5. Sfide alla marca                         127
La rivoluzione commerciale                  127
Le non marche del discount                  132
La «teoria» dei poteri controbilancianti    139

6. La qualità: un'araba fenice?             150
Prezzo/qualità: un concetto elusivo         150
Un concetto olistico, complesso,
    multidimensionale                       153
La durata: una dìmensione critica           161
Brand stretching: un possibile effetto
    boomerang                               162

7. Innovazione: cui prodest?                168
Le nuove frontiere                          168
Il mutato atteggiamento verso il nuovo      174

8. Il servizio                              177
Un'anacronistica latitanza                  177
User friendly                               184

9. Verso la Mass Customization              190
Società di massa, consumi di massa          190
Il su misura industriale                    195

10. Natura, industria, consumo              201
La natura come valore                       201
Consumi ed ecopragmatismo                   205

11. Un asset trascurato: la Corporate       210
Un capitale da valorizzare                  210
Le problematiche della Corporate            213

12. La globalizzazione: una sfida e
    un'opportunità                          217
Un approccio globale ai mercati             217
La traduzione culturale della marca/prodotto221

13. Una perturbazione in arrivo?            228
Qualche segno di malessere                  228
Declina il teorema delle aspettative
    crescenti                               230
Verso una cultura della «new simplicity»?   233
Il consumerismo                             236

14. Pro pubblicità                          240
La signora è da buttare?                    240
Un consumatore maturo di pubblicità         243
Pubblicità e professionalità                245

15. Comunicare con efficacia:
    l'orchestrazione                        249
Dall'emissione di messaggi alla
    comunicazione                           249
La rivisitazione del mix di marketing in
    termini di communication mix            252

16. Idem sentire                            257
Cultura dell'impresa e cultura del mercato  257
L'affascinante puzzle della cultura
    d'impresa                               261

17. Comportamenti di consumo e crisi
    economica                               267
Le lezioni della crisi                      267
Le strategie del consumatore di fronte
    alla crisi                              278

18. Complessità del consumo e
    infradisciplinarietà                    284
La miopia disciplinare. I limiti
    dell'approccio economico                284
La sociologia del consumo:
    un breve excursus                       294
Il consumo tra sociologia, antropologia
    e semiotica                             299

 

 

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Pagina 1

Prologo

Le regole nuove


Verso un nuovo paradigma

Siamo spettatori di cambiamenti epocali che si svolgono sotto i nostri occhi. Viviamo, praticamente in presa diretta, avvenimenti destinati a cambiare la storia. Equilibri che sembravano consolidati si liquefanno come neve al sole. L'impero sovietico e il socialismo reale, che avevano rappresentato per oltre mezzo secolo l'altra metà del cielo, si dissolvono nel nulla. Da noi si cambia una classe dirigente che aveva governato il Paese per oltre quarant'anni nel giro di pochi mesi. E con la classe politica si liquida anche il precedente assetto istituzionale dando vita alla seconda Repubblica. Il cambiamento sembra svolgersi a tassi sempre più accelerati. Ci eravamo abituati a leggere, sui banchi di scuola, gli avvenimenti storici in termini di secoli. Da qualche tempo l'unità di misura a cui si fa più spesso ricorso sono i decenni. Si parla ormai, per definire il tempo storico, di anni Trenta o degli anni Settanta o Ottanta. Ma anche il decennio appare, oggi, una dimensione troppo ampia per dar conto di ciò che sta accadendo.

Il mercato e il consumatore stanno mutando con modalità altrettanto incisive. A cominciare dal fatto che i termini di «mercato» e «consumatore» appaiono sempre più inappropriati per descrivere le complesse realtà sottostanti. Se il problema fosse esclusivamente nominalistico interesserebbe ben poco. Ma è ciò che si definiva con questi termini che sembra aver mutato natura.

Il termine mercato può essere appropriato per descrivere l'arena in cui si confrontano le strategie delle imprese. Non lo è affatto per descrivere la globalità degli atti di consumo. Il mercato è oggi il sociale che, fra le sue diverse manifestazioni, include anche quella del consumo.

Il consumatore è in realtà l'individuo che, fra le sue variegate aree esistenziali, esprime anche quella del consumo. Accanto al leggere, fare esercizio fisico, votare, pregare, fare all'amore l'individuo anche consuma. Anzi, spesso in concomitanza con le altre attività. Che il consumo implichi un esborso di denaro non cambia i termini del problema. Non muta un comportamento umano e sociale facendolo divenire qualcos'altro da sé.

Eppure le scienze economiche prima, il marketing dopo ci hanno fornito un'immagine rattrappita e sempre più irreale del consumatore. Al limite del caricaturale. In termini di assoluto privilegiamento delle dimensioni economiche - il reddito disponibile, il costo dei beni - prima, di massimizzazione dei benefit raggiungibili poi. La stessa soddisfazione dei bisogni, che si era configurata come obiettivo quasi tautologico della produzione, la sua naturale legittimizzazione economica e sociale, appare oggi riduttiva a indicare il telos e l' ethos dell'impresa sui mercati. La risoluzione dei problemi e l'attribuzione di senso alle merci sembrano, come vedremo, più appropriate a definire i nuovi contenuti della sua mission.

Ancora più importante dell'intensità e della straordinaria accelerazione del cambiamento è che la logica che connette e produce questi eventi è cambiata. È il paradigma che è mutato. Gran parte delle imprese non sembra essersene accorta. Certamente hanno consapevolezza di un forte incremento nella complessità dei mercati, di una crescente autonomia e infedeltà da parte del consumatore. Sfuggono però le regole che governano questa complessità. Per esempio, il tendenziale superamento della logica dell' aut aut per adottare quella dell' et et, incomprensibile per il vecchio paradigma dell'impresa. Nei consumi ne troviamo continue evidenze:

* il goodwill nei confronti della marca si mantiene assai alto ma le manifestazioni di crescente affrancamento dalla sua dipendenza si fanno sempre più numerose;

* le componenti intangibili, simboliche dei prodotti sovente sovrastano, in termini di importanza, gli aspetti materici, funzionali. Ma al tempo stesso riscontriamo una nuova attenzione alle dimensioni funzionali, alle performance dei beni. Mai come adesso, per esempio, il consumatore è stato tanto attento alla qualità;

* ma anche la definizione di questa è profondamente cambiata e diverge, spesso sostanzialmente, dall'interpretazione che ne detiene l'impresa;

* la realtà dei primi prezzi, che era apparsa come una sorta di anacronistico retaggio del passato, sta portando una sfida alla marca, inimmaginabile solo qualche anno fa. L'individuo è divenuto assai sensibile al prezzo tanto da impegnarsi in faticose corvée per cercare di spuntare i prezzi più bassi. Eppure sembra dimenticare completamente questa sensibilità in altre aree;

* e ancora: se l'adesione al sistema di valori e atteggiamenti espressivi dello stile di vita cui si partecipa plasma in profondità i comportamenti dell'individuo è anche vero che questo rivendica, con sempre maggiore frequenza, una declinazione personale del modello;

* la dimensione strutturale, organolettica è rilevante per assolvere ai bisogni connessi alla funzione d'uso dei prodotti ma questi, al tempo stesso, si dematerializzano per trasformarsi in comunicazione, divenendo un linguaggio articolato con proprie regole combinatorie interne, con una propria grammatica e una propria sintassi, che non ha alcuna relazione con la vecchia logica della soddisfazione dei bisogni.

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Pagina 228

13

Una perturbazione in arrivo?


Qualche segno di malessere

Stiamo registrando, in questi anni Novanta, alcuni segni di malessere nel consumatore che sarebbe miope sottovalutare. Perché potrebbero finire per incrinare, se non gestiti attentamente dal mondo della produzione, quel clima di fiducia e di grande disponibilità che il consumatore ha, ormai da molti anni, manifestato nei suoi confronti. Ed è stato, questo goodwill nei confronti del mondo della produzione, un evento di grande importanza: perché ha segnato - sia pure con qualche decennio di ritardo rispetto ad altri Paesi - il definitivo affermarsi di una cultura industriale. Le due subculture che sono state largamente egemoni nel nostro Paese dal dopoguerra agli anni Ottanta - quella cattolica e quella marxista - trovavano in realtà nel pregiudizio anti-industriale un'ampia area di convergenza, un reale comun denominatore, che individuava nella demonizzazione del consumo - si ricordino le polemiche ampiamente ricorrenti sui falsi bisogni, i bisogni indotti, i bisogni superflui; il consumare «al di sopra delle nostre possibilità», la società materialista, la reificazione e l'alienazione nei consumi, il consumismo e i suoi eccessi; la criminalizzazione della pubblicità - il locus preferito in cui esprimersi. Che l'Italia fosse invece, nell'ambito delle società industriali avanzate, il Paese che si caratterizza, da sempre, per il più elevato tasso di risparmio, per il più alto possesso della casa di abitazione non era forse sufficientemente noto ai cultori di questi cahiers des doléances.

Il clima anti-industriale che tocca il suo apogeo nei non lontani anni Settanta, oltre che nella negazione al consumo di qualsiasi legittimità se appena eccedente i bisogni basici, si articola in tutta una serie di altri importanti corollari. La percezione del ruolo dell'impresa come espressione di interessi di parte, contrastanti se non antagonisti con gli interessi collettivi; dell'imprenditore non considerato nei termini shumpeteriani di creatore e innovatore ma di capitalista e sfruttatore; del profitto inteso in termini di plusvalore; della continua conflittualità sociale come fonte di progresso e via dicendo.

Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il Paese nell'ultimo decennio, dapprima a livello socioculturale e successivamente a livello politico istituzionale, hanno contribuito al diffondersi di una cultura industriale. Che, se non genera la beatificazione dell'impresa, trasformata all'improvviso in una Fatina dai Capelli Turchini tutta sorrisi e oblatività, ha però significato il superamento della pregiudiziale messa in mora di tutti i suoi comportamenti: da quelli sindacali a quelli di mercato. Il goodwill nei confronti dell'impresa pubblica si è andato fortemente ridimensionando specularmente all'incremento dei consensi per l'impresa privata; la propensione al consumo ha toccato, verso la fine degli anni Ottanta, i suoi picchi più elevati; gli atteggiamenti nei confronti della pubblicità si sono andati improntando a un sano pragmatismo - c'è la pubblicità stupida, irritante, offensiva e quella divertente, intelligente, utile anche se la prima purtroppo è largamente prevalente - sino a imprevedibili atteggiamenti (e comportamenti) di publimania.

Non vorremmo che questa inedita luna di miele - che ha avuto nell'accordo sul costo del lavoro, per la prima volta ancorato a tassi di crescita economica, la sua più consistente manifestazione - possa guastarsi, perché segna il definitivo procedere del nostro Paese lungo la strada della modemizzazione, lungo quel percorso verso cui si sono diretti con decisione i Paesi che ci hanno preceduto nel processo di modernizzazione.

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Pagina 240

14

Pro pubblicità


La signora è da buttare?

La signora è da buttare? Povera pubblicità. I consumatori non l'hanno mai troppo amata. I mass media le fanno una corte spietata, mostrano di gradirne enormemente la presenza ma non perdono occasione per parlarne male. I moralisti di professione poi le addebitano ogni colpa: dall'inganno ai consumatori al promuovere consumi inutili. Ora per la prima volta anche le imprese, che pure in molti casi hanno costruito le loro fortune grazie alla pubblicità, cominciano a girarle le spalle. Diminuiscono gli investimenti pubblicitari. Aumentano quelli in altri sistemi di incentivazione delle vendite.

È singolare che ciò avvenga proprio quando i consumatori sembrano essersi riappacificati con la pubblicità. Distinguendo tra pubblicità stupida, irritante, offensiva e quella invece divertente, intelligente, garbata. Quando i massmediologi cominciano a riconoscere alla pubblicità lo status e la dignità di genere all'interno del variegato mondo della comunicazione. Quando anche i luoghi comuni della suggestione, della persuasione occulta vengono sostituiti con i termini, più realistici, di influenza e di agenda setting. Ebbene, proprio ora che sembra essersi stemperata l'ostilità e la diffidenza preconcetta attorno alla pubblicità i suoi tradizionali utenti si rivelano, a un tratto, freddi e ingrati.

La crisi economica è stata uno dei detonatori. Disponendo di meno risorse, e dovendo operare dei tagli, molte imprese hanno drasticamente ridotto le spese in pubblicità. Si è inoltre interpretata la maggiore selettività del consumatore, e i suoi nuovi stili di vita, come una sorta di messa in mora della pubblicità. La crescente sensibilità del consumatore al prezzo ha fatto sì che, su questo fronte, si concentrasse tutta l'attenzione delle imprese. Gli investimenti in comunicazione sono stati dirottati in sconti sui prezzi, promozioni, azioni rivolte a raggiungere direttamente il consumatore (direct marketing). C'è stato perfino chi è arrivato a teorizzare la fine del marketing. La tattica è subentrata alla strategia: come dire abdicare all'uso della componente più qualificante del sapere d'impresa.

Credo che questo errore costerà molto caro alle imprese. Che molte di queste non abbiano ancora subito le conseguenze dei tagli sulla pubblicità è solo perché - come un aereo a cui venga a mancare il carburante non precipita immediatamente ma procede per inerzia per qualche tempo - gli effetti non si avvertono sovente nel breve termine. Poiché la pubblicità rappresenta, per l'impresa, un investimento e non un costo è proprio nei periodi di crisi che andrebbe intensificata per accentuare la competitività e per sollecitare la domanda. L'investimento in pubblcità, nei periodi di recessione, fa parte di quei comportamenti contro-istintivi - come il «peso sullo sci a valle» per il neofita sciatore o «corpo in fuori» per l'apprendista scalatore - indispensabili per attenuare le conseguenze della crisi.

 

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