Copertina
Autore Elvio Fachinelli
Titolo L'erba voglio
SottotitoloPratica non autoritaria nella scuola
EdizioneEinaudi, Torino, 1971, Nuovo Politecnico 42 , pag. 276, dim. 105x180x19 mm
CuratoreElvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani, Giuseppe Sartori
Classe scienze sociali , politica , scuola
PrimaPagina


al sito dell'editore








 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


 11 Premessa

 13 Introduzione. Autorità e potere nella
                  scuola

    Parte prima   Masse a tre anni

 29 1. L'asilo autogestito di Porta Ticinese a
       Milano
 37    L'avvio dell'esperienza
       (Giuseppe Leonelli)
 44    Alcune osservazioni (Elvio Fachinelli)
 5I    Rapporti tra assistenti e bambini:
       evoluzione dell'atteggiamento
       antiautoritario (Nando Ballot)
 53    Rapporti tra assistenti e bambini:
       evoluzione di un atteggiamento
       specialistico (Mara Manfredi)
 56 2. Intervento di un gruppo di maestre
       d'asilo di Milano

    Parte seconda   Ma è scuola questa?

 67 1. Due anni di scuola non autoritaria in
       una media inferiore (Lea Melandri)
 80 2. Voto, bocciatura, potere (Sandro Ricci)
 96 3. Un'esperienza politica attraverso la
       scuola (Giuseppe Sartori)

    Parte terza   Fine del ragazzo scolastico

129 1. Conversazione sul valore dei voti
135 2. Perché non tutti parlano in classe
139 3. Processo al metodo antiautoritario
145 4. Inchieste sugli immigrati, i contadini,
       il lavoro femminile nelle fabbriche, il
       25 aprile
158 5. A che serve la poesia?
163 6. Scritture collettive
168 7. L'Europa unita

    Parte quarta   Contro l'esclusione

175 1. Le classi differenziali e i centri
       d'orientamento (Almachiara Dusi)
180 2. Un caso
184 3. Motivazioni di bocciatura (Testi
       riportati alla lettera)
186 4. Considerazioni sulla Scuola Materna
       Speciale (Alessandra Ginzburg)
190 5. Scuola speciale di Gaida (Reggio Emilia)
       (Adelmo Sichel)
195 6. Operai a scuola

    Parte quinta   Accomodarsi sull'attenti

203 1. Incontro con la «Signorina» Preside
205 2. Risposte di alunni e insegnanti in
       situazione non autoritaria (Luisa Muraro
       Vaiani, Marisa Lupo, Giancarlo Majorino)
223 3. I burocrati in azione (Giovanna
       Corradini e Misa Gelmetti Banfi)
239 4. L'occhiata e la pernacchia

    Parte sesta   Avvio di una discussione

253 1. Ragioni e prospettive dei rapporti non
       autoritari (Pucci Ferruta)
267 2. Interventi (Marie-Claire Boons, Alberto
       Pozzolini, Luisa Muraro Vaiani, Sandro
       Ricci, Denis Diderot)


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Introduzione

Autorità e potere nella scuola


1.

Mangiare quando si ha voglia, sedersi su un tavolo, parlare in dialetto, avere le ginocchia sporche o indossare una camicetta trasparente, giocare a carte o commerciare fumetti, sono tra quelle cose ritenute dal senso comune incompatibili con la scuola e la sua funzione educatíva.

Quello che esiga positivamente tale funzione, non è ben chiaro, quanto l'idea che, passati i cancelli, il comportamento di tutti deve essere «diverso», conforme a una rappresentazione vuota, ma rigida, del dovere, del rispetto... di che cosa, di chi? Questa idea, che nella scuola valgono delle cose che fuori non valgono, non si applica solo in senso repressivo: la notizia di un'insegnante che aveva chiamato a scuola i carabinieri e fatto arrestare un alunno dal quale era stata insultata, provocò costernazione e disagio tra la gente e un intervento del ministro della pubblica istruzione, che consentí al ragazzo di tornare a scuola; quasi un gesto di riparazione della scuola che aveva mancato. Secondo il senso comune, infatti, la scuola è il luogo distinto e originale del rapporto educativo e della trasmissione del sapere, dove un insulto non è valutabile in termini di codice penale.

Non ci si accorge per lo piú del fatto che per il buon funzionamento della scuola, dall'asilo all'università, i carabinieri possono essere necessari quanto i cancelli, i registri, i regolamenti... In quel caso, poi, l'imbarazzo era accresciuto da ciò, che non si trattava d'un insulto di contestatore. Facendo intervenire i carabinieri, l'insegnante implicitamente denunciava l'esistenza d'una crisi a un livello cui non possono arrivare le riforme, e compiva un gesto eversivo, come dichiarare irrilevante il recinto che separa la scuola da fuori.

Il significato della separatezza della scuola - come riflesso della distinzione che conferisce il sapere a una minoranza e, nella scuola dell'obbligo, della elevazione di tutti per iniziativa dei pochi che sanno - si è di molto indebolito nel momento in cui la scolarità è diventata un fatto di massa (il che non vuol dire che siano venute a mancare le ragioni del potere per mantenere separata la scuola). La scuola è luogo separato perché formalmente non ha rapporto con la produzione e perché vi si entra solo facendo valere un titolo e una competenza: insegnante, alunno, genitore...

Per effetto della scolarità di massa, che non è puro fatto di numeri, qualcosa non funziona piú, non solo a livello di edilizia, di personale, di attrezzature; qualcosa che colpisce proprio il rapporto educativo e la trasmissione del sapere. Si tratta della figura stessa dell'autorità, che dentro la scuola non arriva piú a istituirsi positivamente, per cui non rimane, nella scuola come nella società, che far valere dei rapporti di potere, gestiti burocraticamente da larve d'autorità. È quello che si dice autoritarismo.

L'autorità, precedentemente riconosciuta come rapporto di dipendenza funzionale rispetto a un fine accettato, svuotandosi appare e tende ad essere puro rapporto di forza. Diventa esplicito ciò che prima era implicato in una struttura complessa.

Questo autoritarismo è riconoscibile nel ritorno d'importanza del voto di condotta, nel ricorso a misure disciplinari, nell'incremento delle classi e scuole speciali e differenziali; ma anche nel modo stereotipato e passivo di comunicare il cosiddetto sapere (la cui prevalente funzione utilitaristica: per il posto, per la carriera, per la media, per la borsa di studio, nessuno prova piú a negare), sapere dal quale quelli stessi che lo trasmettono sono ormai separati.

Ma non è necessario individuare dei fatti nuovi per dichiarare la crisi dell'autorità e la sua corruzione in autoritarismo; sono gli stessi fatti di prima, le stesse categorie e gerarchie, la prassi burocratica di sempre, la didattica immutata, che hanno perso il significato che spettava loro nella scuola di élite. I rimedi apportati a questo stravolgimento sono, e appaiono, dei surrogati.

Riunioni scuola-famiglia, comitati e associazioni di genitori, riunioni presso i centri d'orientamento, corsi di aggiornamento ecc. sono cose noiosissime e per alcuni anche astruse e complicate. È la noia di muoversi nell'irrealtà. Nessuno ci crede, qualcuno ci sta perché è la necessaria finzione per l'esercizio del proprio potere. Quelli che dal potere sono esclusi non hanno proprio nessuna difesa dalla noia e appena si accorgono che la richiesta di partecipazione è lo sfogo offerto alla loro impotenza, girano al largo.


2.

Nel suo primo apparire, nel corso delle lotte studentesche dell'inverno '67-68, la parola d'ordine dell'antiautoritarismo aveva di mira il rapporto tra studenti e autorità scolastica: come nella fabbrica bisogna combattere lo sfruttamento, cosí nella scuola l'autoritarismo. Da quella parola d'ordine veniva l'altra: potere studentesco, che venne però presto abbandonata; non si tratta, obiettarono alcuni, di contendere il potere all'autorità accademica, ma semmai di eliminare il potere nelle relazioni all'interno dell'università e di esigere una elaborazione e trasmissione del sapere non autoritaria. Non persuade nemmeno, aggiunsero, il parallelo tra scuola e fabbrica, il rapporto deve essere un altro, meno semplicistico. Il discorso dell'antiautoritarismo venne cosí accantonato.

| << |  <  |