Copertina
Autore Nicholas Falletta
Titolo Il libro dei paradossi
EdizioneTEA, Milano, 2001 [1989], Scienze 4 , pag. 244, dim. 128x197x22 mm , Isbn 978-88-502-0028-3
OriginaleThe Paradoxicon [1983]
TraduttoreLucia Parodi, Massimo Parodi
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe matematica , filosofia , giochi , logica
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Indice

    Introduzione                              7

 l. Figure ambigue                           12
 2. Il paradosso di Anfibio                  21
 3. Il paradosso del barbiere                26
 4. Il dilemma del coccodrillo               31
 5. Paradossi di Escher                      35
 6. Evanescenze geometriche                  46
 7. Verblu e bluver                          52
 8. Il paradosso eterologico                 58
 9. Figure impossibili                       64
10. Il paradosso dell'hotel infinito         74
11. Il paradosso dell'avvocato               83
12. Il paradosso del mentitore               89
13. Paradossi della prospettiva             102
14. Il paradosso della predizione           120
15. Il dilemma del prigioniero              126
16. Paradossi della probabilità             133
17. Il paradosso del corvo                  144
18. Il paradosso del negoziante             150
19. Paradossi dell'inversione statistica    154
20. Paradossi del tempo                     161
21. Paradossi topologici                    172
22. Il paradosso dell'esame imprevisto      181
23. Illusioni ottiche                       188
24. Il paradosso del voto                   202
25. I paradossi di Zenone                   209

    Bibliografia                            227
    Referenze                               241

 

 

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Pagina 7

Introduzione


Questo libro è scritto per un lettore comune, interessato ai paradossi, ma privo di una preparazione tecnica per quanto riguarda la matematica, la logica, la scienza o la filosofia. I paradossi discussi in queste pagine sono tratti da queste e da altre discipline; e, benché molti di tali problemi contengano concetti sofisticati e ragionamenti di carattere logico, nessuno di essi richiede che il lettore abbia una precedente conoscenza oltre a quella del linguaggio ordinario e dell'aritmetica elementare. La raccolta vuole dare un'idea della ricchezza di intelligenza e di immaginazione di chi propone paradossi; tuttavia non pretende affatto di essere esauriente. Numerosi altri paradossi - molti interessanti quanto quelli presentati, e altri più complessi - sono stati esclusi, per la limitatezza dello spazio o a causa delle conoscenze tecniche che richiedono.

Il libro contiene venticinque capitoli, organizzati in ordine alfabetico secondo il titolo inglese, ma ogni capitolo è pensato come autosufficiente; così è possibile qualsiasi ordine di lettura. Alla fine di ogni capitolo si trova una nota che indica gli altri capitoli del libro a esso collegati.

Il paradosso è stato definito, in modo bizzarro, come «una verità che poggia sulla testa per attirare l'attenzione». Probabilmente tale espressione si avvicina più di ogni altra definizione formale all'essenza del paradosso perché, in effetti, un paradosso è cosa veramente difficile da definire.

La parola deriva dal greco (parà e doxa) e significa «contrario all'opinione comune». Nell'accezione attuale, il termine «paradosso» assume una pluralità di significati e la sua accezione più generale è quella di «affermazione o credenza contraria a quanto ci si aspetta o all'opinione accettata». Le definizioni di paradosso che interessano questo libro sono un po' più specifiche e comprendono fondamentalmente tre diversi significati: l. un'affermazione che sembra contraddittoria ma che, in realtà, è vera; 2. un'affermazione che sembra vera ma che, in effetti, contiene una contraddizione; 3. un'argomentazione valida o corretta che porta a conclusioni contraddittoríe. Ovviamente i tipi 1 e 2 di affermazioni paradossali sono spesso, anche se non sempre, conclusioni di argomentazioni del tipo 3. Questo libro tratta argomenti - visivi, logici, matematici, scientifici e di altro genere - che cercano di portare a conclusioni paradossali.

Alcuni paradossi sono profondi, altri banali. Molti sembrano essere fallaci, ma anche tale eventualità non necessariamente li rende banali. Si dà spesso il caso che paradossi fallaci indichino la strada per una ricostruzione più precisa dei sistemi in cui essi si collocano. Naturalmente non tutti i paradossi sono fallaci: alcuni sono ragionamenti corretti, ma implicano nozioni contrarie all'intuizione. In questi paradossi le conclusioni che siamo costretti ad accettare sono vere, ma sembrano inattese e contrarie al senso comune. Come scrive Anatol Rapoport, esperto di comunicazione e di teoria dei giochi:


I paradossi hanno giocato un ruolo drammatico nella storia intellettuale, spesso anticipando rivoluzionari sviluppi nella scienza, nella matematica e nella logica. Ogni volta che in una disciplina incontriamo un problema che non si può risolvere nel contesto concettuale che ritenevamo applicabile, ne rimaniamo sconvolti. La scossa che riceviamo può costringerci a lasciare da parte il vecchio contesto e ad adottarne uno nuovo. È a questo processo di modificazione intellettuale che si deve la nascita di molte fra le più importanti idee matematiche e scientifiche... Il paradosso di Zenone, quello di Achille e della tartaruga, ha dato origine all'idea delle serie infinite convergenti. Le antinomie (contraddizioni interne nella logica matematica) sono sfociate alla fine nel teorema di Gödel. Il risultato paradossale dell'esperimento di Michelson-Morley sulla velocità della luce pose le basi per la teoria della relatività. La scoperta del dualismo onda-corpuscolo della luce costrinse a un riesame della causalità deterministica e dei fondamenti ultimi della epistemologia, e condusse alla meccanica quantistica. Il paradosso del demone di Maxwell, che Leo Szilard per primo trovò modo di risolvere nel 1919, indusse a osservare che i concetti, apparentemente distanti, di informazione e di entropia sono intimamente collegati tra loro.


È possibile aggiungere numerosi altri paradossi alla serie, elencata da Rapoport, di quelli che hanno prodotto significativi cambiamenti nel modo in cui vediamo il mondo. Come ha detto Willard Van Quine: «Di tutti i caratteri dei paradossi, il più interessante è la loro capacità, talvolta, di essere molto meno inutili di quanto non sembrino».

Indipendentemente dal tipo, i paradossi presentano alcune caratteristiche. Tra queste la principale è la contraddizione, ma sono spesso presenti l'autoreferenza e anche la circolarità. Di solito i paradossi sono molto ambigui e sovente le loro soluzioni mettono in luce la molteplicità di significati o di interpretazioni presenti nel linguaggio ordinario, o le immagini che lo costituiscono. Chi si occupa di paradossi deve essere sempre attento alle ambiguità, alle indeterminatezze e agli altri sintomi di ragionamento fallace.

La considerazione storica dei paradossi nella cultura occidentale mostra che esistono tre periodi di intenso interesse per il ragionamento paradossale. Il primo si dà nell'antica Grecia, dal V secolo circa al II secolo a.C. Il paradosso del mentitore e quelli di Zenone sono di questo periodo. L'interesse per i paradossi parve venire meno intorno all'inizio dell'era cristiana, e solo con la riscoperta dei testi classici da parte della scolastica medievale si ebbe una ripresa di interesse per i problemi «insolubili». I semi dell'interesse, piantati dagli scolastici medievali, diedero frutti nel Rinascimento. Si sa che più di cinquecento raccolte di paradossi - da quelli scientifici a quelli letterari - furono pubblicate in questo periodo nell'Europa occidentale.

Il terzo momento di interesse per i paradossi ebbe inizio nella seconda metà dell'Ottocento e continua ancora oggi. Tra la metà dell'Ottocento e i primi del Novecento si realizza gran parte del processo di formalizzazione della matematica e della logica, e questo porta inevitabilmente a una riconsiderazione dei paradossi, alcuni nuovi, altri antichi e non ancora risolti. Oltre al ruolo prestigioso che il paradosso ottiene in matematica e in logica, la sua importanza in campo scientifico aumenta in seguito agli sconvolgenti risultati, contrari all'intuizione comune, derivanti dalla teoria della relatività e dalla meccanica quantistica.

La tendenza prosegue oggi anche in altre aree dell'attívità intellettuale: psicologia, economia, scienze politiche, filosofia, arti. È una tendenza che ha già prodotto analisi ampie e rigorose sui paradossi nella storia. Basato com'è sulla capacità dei paradossi di abbagliarci, conducendoci ai limiti del pensiero e della percezione umana, l'interesse attuale per loro sembra qualcosa di più di un semplice passatempo intellettuale.

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Pagina 26

3. Il paradosso del barbiere


Un certo villaggio ha tra i suoi abitanti un solo barbiere. Egli è un uomo ben sbarbato che rade tutti - e unicamente - gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Questi sono i fatti. La domanda è: «Chi rade il barbiere?»

A prima vista sembra plausibile supporre che il barbiere si faccia la barba da solo. Tuttavia, se si comporta in questo modo, viola la premessa secondo cui egli rade tutti gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Ma, se non si rade, allora il barbiere viola la premessa secondo cui egli rade tutti gli uomini che non si radono da soli. Chi, allora, rade il barbiere del villaggio?


Questo paradosso fu presentato per la prima volta nel 1918 dal filosofo inglese Bertrand Russell. Se il paradosso viene ridotto ai suoi termini più semplici, ci si rende conto di avere a che fare con due insiemi di uomini del villaggio: coloro che si radono da soli e coloro che non si radono da soli e, dunque, si fanno radere dal barbiere. Il problema effettivo è: a quale gruppo appartiene il barbiere? Di fatto, il barbiere non appartiene ad alcuno degli insiemi, in quanto, come si è visto, la sua presenza produce la conclusione contraddittoria secondo cui egli rade se stesso se e solo se non si rade. In realtà, come ha osservato il filosofo americano Willard Van Quine, il paradosso può essere considerato una prova valida a sostegno del fatto che il barbiere non può esistere: risulta un caso classico di reductio ad absurdum.

Tuttavia, la questione non è così elementare, in quanto il paradosso presenta una struttura esattamente parallela a un altro paradosso di Russell, quello dell'insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi come propri elementi. Russell presentò questo paradosso nel 1901, ed esso ebbe un grande impatto sul pensiero matematico del XX secolo. Riferendosi al rilievo del paradosso, il matematico tedesco Gottlob Frege, fondatore della moderna logica matematica, parlò di «tremori aritmetici».

Il nocciolo del paradosso di Russell è rappresentato dalla convinzione che per ogni descrizione o proprietà specificata esista un insieme corrispondente; cioè, un insieme viene costruito precisando una condizione necessaria e sufficiente per appartenere a tale insieme. Così, se fissiamo la condizione di essere un satellite della Terra nell'anno 100 a.C., tutto ciò che mostra di possedere queste caratteristiche - per esempio, la Luna - risulterebbe elemento dell'insieme dei «satelliti della Terra nel 100 a.C.». Se poi definissimo l'insieme dei «satelliti artificiali della Terra nel 100 a.C.», ci troveremmo di fronte a un insieme vuoto, un insieme cioè che non ha elementi, ma che è pur sempre un insieme: l'insieme vuoto, come appunto si dice.

L'antinomia di Russell prende in considerazione l'autoappartenenza di un insieme. Gli insiemi di oggetti non sono chiaramente membri di se stessi; ad esempio, l'insieme dei satelliti terrestri nel 1980 non è elemento di se stesso, in quanto non ruota intorno alla Terra. Neppure l'insieme di tutti i libri di logica ricreativa è membro di se stesso; infatti, come hanno notato i logici americani James Carney e Richard Scheer, non ha pagine, non ha testo, non ha rilegatura né prezzo.

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Pagina 35

5. Paradossi di Escher


Tra le opere più conosciute di M.C. Escher, artista grafico olandese, è la litografia Mani che disegnano (1948). Raffigura due mani, ognuna impegnata a disegnare l'altra, entrambe disegnate su un foglio di carta, a sua volta fissato con puntine su una tavola da disegno. La litografia presenta diversi elementi paradossali, il più evidente dei quali è il circolo vizioso dell'auforeferenza, dovuto al fatto che ognuna delle mani sta disegnando l'altra. D'altra parte è pure rappresentata un'antica contraddizione artistica, insita nel contrasto tra la bidimensionalità di un'opera figurativa e la tridimensionalità di ciò che essa raffigura. In questo senso Mani che disegnano può essere interpretato come un metadisegno capace di riproporre questo conflitto, come la famosa espressione secondo cui «ogni artista raffigura se stesso».

In Mani che disegnano, e in molte altre opere, Escher rende evidente a chi osserva che ogni disegno è una forma di illusione. Tuttavia in Escher questo inganno è sviluppato con tale logica visiva che all'osservatore non possono sfuggire gli effetti contraddittori prodotti. Molte delle sue opere sono costruite formalmente come paradossi logici. Sembrano basate su premesse vere (le immagini) per mezzo di ragionamenti corretti (la composizione), e tuttavia portano a conclusioni contraddittorie (mondi impossibili). L'interesse di Escher per il paradosso si sviluppò in molteplici direzioni, ma nessuna fu più importante di quella percorsa con i disegni periodici detti «tassellature».

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Pagina 89

12. Il paradosso dei mentitore


Il paradosso del mentitore è il più antico e il più importante fra tutti i paradossi logici. È generalmente attribuito al filosofo greco Eubulide, della scuola di Megara, che fiorì nel VI secolo a.C. Nella sua formulazione originaria, il paradosso consiste nel chiedere al mentitore di rispondere alla domanda: «Menti, quando dici di mentire?» Se il mentitore risponde: «Sì, sto mentendo», allora chiaramente non sta mentendo; infatti, se un mentitore dice di essere un mentitore ed è effettivamente un mentitore, dice la verità. D'altra parte, se il mentitore dice: «Non sto mentendo», allora è vero che sta mentendo e, di conseguenza, è un mentitore.

Un'altra formulazione ben nota del paradosso presenta il cretese Epimenide, che dice: «Tutti i cretesi sono mentitori». Il problema sta dunque nel determinare la verità dell'asserzione di Epimenide. Un riferimento a questo paradosso compare nella lettera di San Paolo a Tiro (1, 12), in cui si legge: «Uno di loro, proprio uno dei loro profeti, disse che i cretesi sono sempre bugiardi...» La formulazione paolina sembra tuttavia non cogliere il punto decisivo e presenta ambiguità che rendono impossibile generare il paradosso.

Tra le più nitide formulazioni antiche si trova quella definita pseudòmenon, che semplicemente afferma: «Sto mentendo». Altre variazioni successive comprendono l'osservazione: «Questa proposizione non è vera», e la notissima versione creata nel 1913 dal matematico francese P.E.B. Jourdain. Su un lato di un biglietto è scritto: «La proposizione scritta sull'altro lato di questo biglietto è vera», e sull'altro lato è scritto: «La proposizione scritta sull'altro lato di questo biglietto è falsa».

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24. Il paradosso del voto


È stato spesso suggerito che il meccanismo di elezione del presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere trasformato in voto popolare diretto, per evitare il rischio che vinca un candidato che, pur avendo ottenuto la maggioranza del voto elettorale, abbia ottenuto invece una minoranza del voto popolare. Con questo sistema il candidato che ottiene il maggior numero di voti popolari vincerebbe sempre le elezioni. È chiaro, però, che tale sistema non comporta necessariamente che non possa vincere un candidato con una minoranza di voti. Ad esempio, è del tutto possibile che, in una competizione con quattro candidati, la percentuale dei suffragi si distribuisca tra ognuno di loro in modo tale che un candidato di minoranza, che ha ottenuto un numero di voti molto inferiore alla maggioranza, in effetti vinca le elezioni. Si consideri una ipotetica competizione, nella quale due candidati liberali ottengono entrambi il 29% dei voti, il moderato il 12% e il conservatore il 30%. Sarebbe difficile sostenere che, in tale situazione, la maggioranza sia riuscita a imporsi: infatti il 70% della gente ha votato per candidati diversi dal vincitore.

Sono stati suggeriti numerosi metodi per superare il problema. Fra tutte le proposte la migliore è l'idea di svolgere un ballottaggio finale fra i due candidati più votati, nel caso in cui nessuno abbia vinto con netta superiorità, cioè con più del 50% dei voti. Tuttavia, anche questo sistema pone i suoi problemi, come si può osservare nell'esempio di una competizione fra tre candidati: uno liberale, uno moderato e uno conservatore. Supponiamo che il liberale ottenga il 45%, il moderato il 13% e il conservatore il 42% dei voti. Noi conosciamo come si distribuiscono le preferenze di ogni tipo di elettore: i liberali preferiscono il candidato liberale a quello moderato e il moderato al conservatore. I conservatori preferiscono il conservatore al moderato e il moderato al liberale. I moderati sono divisi nelle loro preferenze: del loro complessivo 13%, l'11% preferisce il moderato al liberale e il liberale al conservatore; il restante 2% degli elettori moderati preferisce il candidato moderato al conservatore e il conservatore al liberale. Nel ballottaggio tra i due che hanno ottenuto più voti, è il tanditato liberale che vincerebbe con un totale di voti del 56% (figura 110). Questo risultato rappresenta o no la volontà della maggioranza dei votanti?

[...]

La risposta immediata della maggior parte della gente di fronte a questa domanda è che, naturalmente, il voto rappresenta la volontà della maggioranza. Dopo tutto, il 56% ha votato per il candidato liberale, mentre solo il 44% ha votato per il conservatore. Ma si osservi che cosa sarebbe successo se il candidato moderato si fosse trovato a competere con il liberale nel turno di ballottaggio. In questo caso, il moderato avrebbe attenuto il 55% dei voti (supponendo che ottenga tutti i voti dei conservatori che sembravano destinati a lui, secondo la distribuzione delle preferenze), e il candidato liberale avrebbe ottenuto solo il 45% dei voti. Analogamente, in una competizione con il conservatore, il moderato vincerebbe ancora (in questo caso otterrebbe tutti i voti liberali) con il 58% del totale dei voti. Allora come possiamo dire che la volontà della maggioranza viene effettivamente espressa dal ballottaggio fra il candidato liberale e quello conservatore?

Il paradosso fu esposto per la prima volta dal marchese di Condorcet, matematico e filosofo politico francese del diciottesimo secolo. Fu oggetto di molte discussioni tra i matematici e i logici del diciannovesimo secolo, tra cui Lewis Carroll; venne riproposto verso la fine degli anni Quaranta dall'economista canadese Duncan Black, e divenne aspetto essenziale del lavoro dell'economista americano Kenneth Arrow, premio Nobel nel 1972.

Arrow espose cinque condizioni fondamentali, essenziali per ogni democrazia. Queste condizioni sono state sinteticamente presentate al comune lettore nel 1980, nel libro Mathematically Speaking, da Morton Davis, professore di matematica al City College di New York:

l. Il meccanismo decisionale deve dare origine a un'unica scala di preferenze. Quali che siano le preferenze dei membri di una società, il meccanismo deve consentire di esprimere una e una sola scala sociale di preferenze.

2. La società dovrebbe essere sensibile alle preferenze dei propri membri. Quanto più gli individui preferiscono un'alternativa, tanto più dovrebbe preferirla anche la società nel suo complesso. Si supponga che un meccanismo decisionale dia origine a una scala sociale di preferenze, basata sulla preferenza dei membri della società, in cui l'alternativa X risulta preferita a Y. Se le scale individuali di preferenza mutassero in modo tale per cui in alcuni crescesse il gradimento per X, mentre rimane invariato quello per Y, nella nuova scala sociale di preferenze X dovrebbe ancora risultare preferito a Y.

3. La scelta sociale tra due alternative si fonda sulle scelte dei membri della società tra quelle due alternative (e non su scelte tra altre alternative). Si supponga che la società preferisca X a Y e che la gente muti la propria opinione rispetto ad altre alternative, ma non rispetto a X e Y. In questo caso, X dovrebbe rimanere preferito a Y. La decisione sociale su quale sia la scelta migliore tra X e Y non dovrebbe dipendere dalla decisione su quale alternativa preferire tra U e V.

4. La procedura decisionale non dovrebbe ammettere preconcetti. Per ogni coppia di alternative X e Y, deve esistere una possibilità di preferenza individuale che dovrebbe consentire alla società di preferire X a Y. In caso contrario, se Y venisse automaticamente preferito a X, le preferenze di gruppo non sarebbero rispondenti a quelle dei membri del gruppo.

5. Non sono ammissibili pregiudizi individuali. Arrow assume la non ammissibilità di una dittatura: le scelte sociali non possono identificarsi con le scelte di un singolo individuo. Se non si volesse soddisfare questa condizione, sarebbe piuttosto facile trovare un meccanismo elettorale, ma Arrow non lo riterrebbe rappresentativo degli individui che danno origine al gruppo.

Quasi tutti i commentatori giudicano queste condizioni richieste del tutto ragionevoli per qualunque metodo democratico che consenta di prendere decisioni sulla base dell'espressione individuale di preferenze per mezzo del voto. Ciò che Arrow ha dimostrato è che un sistema elettorale perfettamente democratico (un sistema, cioè, nel quale si imponga sempre la scelta della maggioranza) risulta impossibile senza che venga violata una delle cinque condizioni di base. Come è stato notato da Paul Samuelson, un altro Nobel americano per l'economia (1970), e da altri commentatori del problema, la prova di Arrow ha avuto, sulla scienza politica e sull'economia, lo stesso impatto decisivo che ebbe, sul pensiero matematico, il teorema di incompletezza del tedesco Kurt Gödel.

La causa del paradosso del voto sta nella natura delle relazioni transitive e non transitive. Una relazione transitiva si definisce come segue: se la relazione è valida tra il primo e il secondo elemento e tra il secondo e il terzo elemento, allora la relazione è anche valida tra il primo e il terzo elemento. Ad esempio, se X è più vecchio di Y e Y è più vecchio di Z, allora si può certamente concludere che X è più vecchio di Z.

Non tutte le relazioni, però, sono transitive. Ad esempio, se X odia Y e Y odia Z, non possiamo concludere che X odia Z, in quanto non si tratta di una relazione transitiva. Nel caso del paradosso del voto, le preferenze individuali sono transitive, ma la transitività non può essere trasferita dai singoli al gruppo di elettori in un raggruppamento sociale per mezzo di qualche sistema che comporti regole di maggioranza nella scelta tra ogni coppia di candidati.

 

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Riferimenti


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