Copertina
Autore Giovanni Feo
Titolo Giganti etruschi
SottotitoloStoria e leggende dei "figli della terra"
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2008, Eretica speciale , pag. 100, ill., cop.fle., dim. 15x21x0,9 cm , Isbn 978-88-6222-040-8
LettoreCorrado Leonardo, 2008
Classe storia antica
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Indice


Una storia tutta da scoprire                   3

La cultura di Rinaldone                        5
A caccia di tombe                              9
La rete tribale                               13
Il mito dei Giganti                           17
Giganti etruschi                              22
Megalitismo                                   27
La ruota del tempo                            31
Poggio Rota                                   35
Scritto sulla roccia                          38
La fine dei Giganti                           42
L'acqua e lo Spirito Santo                    47
Archetipi e Fato                              52
Il giglio, la lupa e la rosa                  56
Oltre il linguaggio simbolico                 62

APPENDICI                                     67

Il tempio di Amor e Roma                      69
La scrittura dei popoli del mare              73
Il fuoco di Prometeo                          78
La mano nella caverna                         81
Evoluzione e individuazione                   83
Mappa di alcuni luoghi di antica fondazione   91
Megalitismo: datazioni                        94
Bibliografia                                  97


 

 

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Pagina 3

Introduzione

Una storia tutta da scoprire


Se ripercorriamo il lontano passato della nostra preistoria, scopriamo che le tracce di attività umane lasciate sul territorio sono esigue: pochi e scarni strumenti in pietra e osso, resti di focolai, punte di frecce in selce e poco altro.

Lo scenario muta se osserviamo i reperti di un'epoca posteriore, quando iniziarono a prodursi i primi oggetti metallici (4000 a.C. circa). In quei secoli le produzioni e le attività umane ebbero un notevole incremento. A quell'epoca si fanno risalire i segni di una prima fase di civilizzazione: sepolcri scavati secondo un modello architettonico, megaliti con funzioni astronomiche, oggetti di ceramica e rame, resti di villaggi strutturati.

Gli archeologi hanno studiato i reperti e i luoghi di questa fase di pre-civiltà, arrivando a un quadro appena delineato. Le ultime generazioni di studiosi e ricercatori hanno però intravisto qualcosa che la vecchia accademia aveva ignorato: il fenomeno della continuità storica e culturale. Archeologi come la lituana Marija Gimbutas, che ha scavato in più di tremila siti dell'Europa neolitica, hanno dimostrato che il linguaggio simbolico di segni e forme nei manufatti dei primi cro-magnon (35.000 a.C. circa), lo si ritrova rappresentato su oggetti del neolitico e, in misura nient'affatto marginale, in età storica, per esempio nelle produzioni della civiltà etrusca o di quella celtica, ultime eredi della cultura neolitica dell'Antica Europa.

La continuità di uno stesso linguaggio simbolico assume un significato speciale poiché dimostra, in modo semplice e concreto, come l'umanità sia cresciuta attraverso un preciso percorso di esperienze che, per un periodo di millenni (circa 7000-3000 a.C.), sono state al centro di un processo di elaborazione, indipendentemente dal tipo di razza o cultura di appartenenza. Per questa ragione l'archeologa Marija Gimbutas ha considerato la cultura nata nel continente europeo nel periodo neolitico come sostanzialmente unitaria, dandole il nome di civiltà dell'Antica Europa (Old Europe).

Nelle sue ultime ricerche la Gimbutas indicò i confini geografici di quell'antica cultura europea, definita "matrifocale", incentrata sul culto del principio femminile, la Grande Dea creatrice. Tracce di tale cultura furono ritrovate nel nostro Paese, soprattutto nel centro-sud e nelle isole.

Già prima della Gimbutas alcuni studiosi italiani erano giunti alle stesse conclusioni. Uberto Pestalozza (1862-1966), fondatore della prima cattedra di Storia delle Religioni, a Milano, e Momolina Marconi (1912-2006) pubblicarono dettagliati saggi sulla preminenza delle divinità femminili nell'antico Mediterraneo e sul culto di una Magna Mater. Ma durante il ventennio fascista e poi nel clima post-bellico i tempi non erano maturi per la riscoperta dell'antica civiltà matrilineare. Così i lavori degli studiosi italiani, peraltro mai pubblicati all'estero, vennero sottostimati e finirono nel limbo degli studi rimossi.

Oggi, dopo le ricerche della Gimbutas, la realtà storica di una civiltà matrifocale è entrata a pieno titolo nelle università e nelle accademie, sebbene le conoscenze sulla preistoria della nostra penisola restino ancora da raccontare compiutamente, frammentate come sono in tante storie, periodi e sottoperiodi che l'iperanalisi degli specialisti nostrani ha suddiviso senza riconnetterne i fili in uno scenario ordinato.

Uno degli scopi del presente lavoro è proporre una sintesi di quel remoto passato, convinti come siamo che sia stata tralasciata una parte fondamentale della nostra memoria collettiva.

Una conferma di quanto rimanga ancora da conoscere sulla nostra storia delle origini, la si è avuta in seguito ad alcune eccezionali scoperte nella Toscana meridionale, scoperte che stanno cambiando la conoscenza su come sia iniziato il processo di civilizzazione nella penisola. I monumenti megalitici qui presentati, furono concepiti e realizzati da provetti astronomi, architetti e operai specializzati, nella stessa epoca in cui in Egitto si costruiva la Grande Piramide. Il parallelo non è peregrino. Occorre solo formulare una nuova visione del passato. Nella nostra preistoria, circa seimila anni orsono, un popolo con progredite conoscenze portò il seme della civiltà nella penisola. La sua storia e quella dei suoi eredi, gli Etruschi, è ancora tutta da scoprire.

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Pagina 5

La cultura di Rinaldone


Con la parola civiltà si indica un tipo di società evoluta dove gli uomini vivono secondo leggi e norme dettate da uno Stato, da una fede e da una morale. Si tratta di una complessa e definita organizzazione sociale, punto di arrivo degli esseri umani dopo una serie di passaggi evolutivi e di profondi cambiamenti nell'arco di un lunghissimo periodo di tempo.

Dal primo homo sapiens della preistoria, alla nascita di una civiltà che possa ragionevolmente definirsi tale, passarono decine di millenni. Solo alla fine del periodo neolitico, all'incirca nel quinto millennio avanti Cristo, si suole oggi collocare la prima epoca di pre-civiltà, caratterizzata dall'emergere di strutture sociali che, sebbene ancora non compiutamente definite, già prefiguravano le successive civiltà delle ere dei metalli, come l'egizia e la mesopotamica.

Quale fu nella penisola italiana la prima fase di civilizzazione?

Anche se la storia antica del nostro paese è ancora in gran parte da scrivere, si può però rappresentare sinteticamente uno scenario che delinei i principali aspetti di quel mondo lontano: quando gli esseri umani ancora non avevano soggiogato le forze naturali, dove il lupo, l'orso e altre fiere erano i signori della foresta e dove il sole, la luna e gli astri erano venerati come massime divinità.

In questi ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie informatiche e alla velocizzazione delle ricerche scientifiche, si è assistito a un fenomeno saldamente attestato: la retrodatazione delle cronologie storiche. Se per esempio fino a pochi anni orsono l'età del rame, in Italia, era fissata verso il terzo millennio a.C., oggi, dopo nuove scoperte, la si è retrodatata allo scadere del quinto millennio. Il cambiamento è di proporzioni così grandi che fa intuire come la storia antica sia materia tutta da ricomporre e reinterpretare.

Una data sempre più importante e significativa è quella relativa alla fine del neolitico: intorno al 4000 a.C. Reperti di quell'epoca testimoniano, non solo in Italia ma parimenti in Europa, un grande cambiamento avvenuto tra i popoli che vissero nel vecchio continente. Uno dei più rimarchevoli, ma non il solo, è la comparsa delle lavorazioni dei metalli. Nel centro della penisola la prima metallurgia è assegnata a un popolo che gli archeologi hanno chiamato "cultura di Rinaldone".

Nel 1903 l'archeologo Pernier scoprì una necropoli di tombe scavate nel tufo, presso il podere di Rinaldone, vicino a un importante centro etrusco, Ferento, nell'alto viterbese, non lontano dal lago di Bolsena. Oggi, il casale di Rinaldone è un modesto complesso di fabbricati agricoli situato su un altipiano tufaceo da dove si possono osservare in lontananza le cime delle montagne, oltre a colline e vallate. Il sito è da decenni occupato da agricoltori e pastori che hanno utilizzato le tombe come rimesse e stalle, come è consuetudine in questa terra dove non c'è podere che non abbia le sue tombe riutilizzate per fini agricoli. Nel 1938, l'archeologo Minto notò la somiglianza di architetture e di reperti funerari tra le tombe di Rinaldone e altre individuate nella Toscana meridionale tra i comuni di Manciano (Botro del Pelagone) e Pitigliano (Corano, Formica). Nel 1939 l'archeologa Pia Laviosa Zambotti fu la prima a coniare la definizione "cultura di Rinaldone"; applicandola anche ad altre necropoli rinvenute nel Lazio e in Campania. Pochi anni dopo, nel 1942, durante i lavori per la costruzione della strada tra Manciano e Farnese, venne casualmente alla luce la necropoli di Ponte S. Pietro, nel comune di Ischia di Castro.

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Pagina 42

La fine dei Giganti


Nei più antichi miti, non solo europei, ricorre una diffusissima narrazione, quella della prima razza umana, delle origini, da cui sarebbe nata una stirpe particolare di esseri considerati per molte ragioni eccezionali: i Giganti. In questo nome sono confluiti molteplici significati e caratteristiche: esseri alti fisicamente, ma soprattutto alti in senso metaforico, cioè per elevate conoscenze e capacità. Fu anche la stirpe dei "figli della Terra"; dediti al culto di una grande dea, identificata con il territorio stesso e i suoi luoghi sacri.

Nelle narrazioni mitiche sono attribuite ai Giganti alcune delle più importanti scoperte degli uomini: il segreto del fuoco fu rivelato agli umani da Prometeo, fratello del gigante Atlante, re della leggendaria Atlantis. Ambedue sono chiamati nei miti sia Giganti, che Titani. Le origini mitiche dei Titani risalgono alla Madre Terra e a Urano, antico dio del cielo.

Ai Giganti è associata anche la metallurgia, associazione ovvia poiché furono per primi i "figli della Terra" a esplorare i segreti del mondo sotterraneo e a scoprirvi i minerali, preziose pietre di luce nate nel ventre della Grande Dea. Furono anche i primi a lavorare e dare forma alle rocce, soprattutto quelle di proporzioni ciclopiche, utilizzate per erigere monoliti, dolmen o per incidervi i segni del loro culto.

Le monumentali Tombe dei Giganti della Sardegna nuragica, come riportano Aristotele e altri autori, furono erette per officiarvi il culto degli antenati, il culto solare e, parallelamente, per beneficiare del potere del luogo, tramite pratiche e rituali di guarigione. In Irlanda sono state ritrovate centinaia di ciclopiche tombe 'a cortile' (Court Tombs, 3800 a.C.), con la pianta a 'corna di toro' (Horned Cairns) simili a quella delle Tombe dei Giganti sarde. La somiglianza può indicare che una stessa idea religiosa si è manifestata in due popoli, Sardi e proto-Celti, molto lontani tra loro, sia geograficamente che nel tempo. In questo caso, più che di scambio di modelli culturali, è da vedervi la condivisione di una stessa matrice religiosa. In popoli ed epoche diversi si è così prodotto l'emergere di opere monumentali molto simili tra loro. Al pari della Sardegna, sia in Irlanda che nella Gran Bretagna l'attribuzione di opere megalitiche a un mitico popolo di Giganti è uno dei temi più ricorrenti del folklore locale.

In un periodo lungo millenni, quella prima razza di Giganti, fondatori dell'Europa neolitica, preparò il terreno per uno sviluppo evolutivo che avrebbe portato la loro storia, quella delle origini, a divenire mito e leggenda.

In tutti i miti sui Giganti, o titani, vi sono chiari accenni al loro drammatico destino. Giunta all'apice dei suoi successi, la stirpe dei Giganti fu sentita come nemica e ostile, essendo divenuta corrotta e decadente. Così, secondo la mitologia, avvenne che una serie di divinità o semidèi solari intrapresero una dura guerra di sterminio nei confronti di quella razza ormai maledetta.

Il mito più celebre è la Gigantomachìa, combattuta da Herakles nel corso delle celebri dodici fatiche.

Il nome Herakles, divenuto poi Ercole, significa "Gloria di Hera"; titolo appartenuto in origine ai membri maschili delle dinastie greco-orientali degli Eraclidi, la cui successione dinastica avveniva per via femminile. In quelle sicietà era la regina a consacrare il re e non il contrario. Ma, col passare dei secoli, sia il nome Herakles che le dinastie eraclidee divennero altro. Il cambiamento avvenne dopo un lungo periodo di tempo, segnato dall'emergente culto solare e guerriero, in tutta l'Antica Europa. Una diffusione forse provocata dall'arrivo di popolazioni nomadi e guerriere provenienti dall'est asiatico, i cosiddetti Indoeuropei. Comunque i tempi dovevano essere maturi per uno scontro-incontro tra le due civiltà che vivevano nelle opposte metà del continente euroasiatico.

L'Eracle "Gloria di Hera", se nei più antichi miti è un semidio al servizio di Hera, la Grande Dea, nei miti posteriori, di età classica, diviene il più forte eroe solare al servizio di Zeus, dio del pantheon olimpico e patriarcale.

Tra le imprese di Ercole, figura lo sterminio della razza dei Giganti, derubati, fatti a pezzi e inseguiti uno a uno, dalle Colonne di Ercole (monti dell'Atlas) fino al Lazio e lungo tutto il Mediterraneo. Parallelamente, in altre fatiche, Ercole uccise e fece a pezzi anche le società di Amazzoni che governavano in Libia e in Anatolia. Poi, l'eroe greco si dedicò al saccheggio e alla distruzione dei templi di Artemide, l'antica dea-luna venerata per millenni. Le dodici fatiche mostrano lo scenario della soppressione di un'antica cultura matrilineare, in favore di una nuova cultura, solare e patriarcale. Il cambiamento si sviluppò attraverso varie fasi.

Le invasioni indoeuropee avvennero a più riprese. Sicuramente i primi a entrare massicciamente in Europa furono i popoli nomadi e guerrieri giunti verso la fine del quinto millennio a.C.

Un secondo picco di crescita del culto solare e patriarcale si verificò all'inizio dell'età del bronzo, verso il 1900 a.C. Un terzo, il più emblematico, fu ricordato nell'epopea della guerra di Troia, caduta per mano di una coalizione di greci indoeuropizzati, i cosiddetti Micenei. Dopo che Troia non controllava più le rotte dei metalli nel Mediterraneo, iniziò un burrascoso periodo di guerre tra popoli del mare, con conseguenti migrazioni e invasioni che cambiarono radicalmente la geopolitica del Mediterraneo e dell'intera Europa.

Erodoto ricorda la grande "migrazione tirrenica" che portò un popolo del mare, i Tirreno-Etruschi, a stabilirsi nel centro Italia e a fondarvi una confederazione di dodici città-stato, unite dalla stessa religione e cultura. In Italia gli Etruschi furono gli ultimi discendenti dei Giganti, gli ultimi discendenti delle dinastie eraclidee, gli ultimi a riconoscere un ruolo religioso e sociale alle donne e a venerare l'antica dea della terra, il principio femminile divinizzato. Dopo di loro, nella emergente società romana venne sottratto ogni potere alle donne, sia politico che religioso, e venne esautorata l'autorità dei pontifices e dei flamines, i tradizionali custodi del culto. L'autorità del tiranno o dell'imperatore divenne unica e assoluta. Dietro a questi eventi vi fu l'imporsi della casta guerriera su quella sacerdotale, come del resto avvenne in tutte le grandi civiltà pre-cristiane intorno al sesto secolo a.C.

Il grande Impero romano, costruito con il potere delle armi, in pochi secoli crollò su se stesso. Contemporaneamente iniziò la veloce e inarrestabile ascesa di un nuovo potere spirituale, la Chiesa cristiana di Roma.

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