Autore Silvia Ferrara
Titolo Il salto
SottotitoloSegni, figure, parole: viaggio all'origine dell'immaginazione
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2021, Varia , pag. 240, ill., cop.rig.sov., dim. 14,5x22,3x2,3 cm , Isbn 978-88-07-49310-2
LettoreCristina Lupo, 2022
Classe storia antica , storia sociale , storia , scrittura-lettura , arte












 

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Indice


  9 Cinquantamila anni
            Litote, 11;
            Incivili, 13;
            Salti, 17

 19 Rincorsa
            Piedi, 22;
            Mani, 24;
            Dita, 26;
            Polpastrelli, 28


 31 Stacco

 33 Animazioni
            La Ciotat, 35;
            "Io sono qui", 36;
            Muri vivi, 38;
            Silhouette, 40;
            Pensiero fisso, 44;
            Ipersensibili, 46

 48 GROTTE
            Specchio, 48

 51 Pech Merle, Francia
            Usus magister, 51;
            RSVP, 54

 56 Chauvet, Francia
            "Ils sont venus", 56;
            Big Bang, 58;
            Cadavere squisito, 60;
            Guastafeste, 64

 67 Lascaux, Francia
            Parassiti, 67;
            Disumano, 70

 73 La Pasiega, Spagna
            Trappola delle lettere, 73;
            Proto-qualcosa, 76

 78 Blombos, Sud Africa
            Astrazioni, 78;
            Atlante, 80

 84 Australia
            Guado, 84;
            Vespaio, 86;
            Plus change, 90


 93 Il salto in avanti

 95 Segni
            Bugie, 95;
            Polimorfi, 98

100 DESERTI
    Sahara
            Acqua, 100;
            Bufalino, 102;
            Lacrime, 106;
            Marziani, 108;
            Pseudo, proto, pre-, 110

113 Egitto
            Perle, 113;
            Sequenze, 114

117 Giordania
            Singhiozzo, 117;
            Aquiloni, 119;
            Ruote, 121;
            Meteore, 122

127 ACQUE
128 America
            Geometrie, 128;
            Nascondino, 131

133 Poesia e dintorni, Italia
            Cervi, 133;
            Unire i puntini, 137;
            Tuffo, 139;
            Poesia piccola, 233
            Già, 143


145 Il salto in alto

148 Proiezioni, Anatolia
            Eroe di guerra, 148;
            Golden record, 150;
            Monolito, 152;
            Antelucano, 154;
            Draghi e altri animali, 156;
            Mr. T, 159;
            Robespierre, 161;
            Valle della peste, 163

166 Ziggurat, Iran
            Beit Agatha, 166;
            Confusione, 168;
            In viaggio con Erodoto, 169;
            Nabucco II, 171

173 Gigantessa, Malta
            Relatività, 173;
            Megalomani, 175;
            Comunità immaginata, 178;
            Nessun simbolo, 179


183 Il salto oltre

186 Impero della parola
            Distacco, 186;
            Prometeo, 188;
            Gesti, 191;
            Intenzione, 192;
            Arbitrio, 194;
            Filastrocca, 195

196 Immagini
            Grammi, 196;
            Metonimia, 198;
            Metafore, 200

202 Segmenti
            Memento, 202;
            Tallies, token e tutti i trinket, 205;
            Lettere, 208


211 Il salto nel buio
            Onkalo, 213;
            Il resto è storia, 217;
            Contro il tempo, 219


221 Nel mentre

225 Bibliografia

233 Crediti fotografici


 

 

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Pagina 11

Litote


Per presentarvi il libro che avete tra le mani è più facile usare la litote, figura retorica negativa che mette sul chivalà, il disclaimer su quel che non s'intende fare. Litotizziamo, allora.

Questo non è un libro di scienza o di arte, non è un libro di semiotica. Non è sulle grandi scoperte dell'archeologia, né su quelle di nicchia per iniziati, anche se molte delle storie che racconterò sono, credo, sconosciute ai più. Non è un libro di storia, né di estetica, né di antropologia, né di filosofia, anche se parla del passato e dell'umanità, della sua bellezza e gloria, e dei suoi limiti. Infine, il titolo non allude a salti di specie, ma ai salti terrestri e terreni, tutti fortemente umani.

Tra queste pagine troverete escursioni, percorsi, e ogni tanto, la contemplazione del panorama, dall'alto o dal basso, di quel che c'è da vedere. Un cammino fatto insieme per ripercorrere, spesso con sorpresa, la gioia creativa degli esseri umani. Che hanno prima osservato e poi immaginato, interpretato e filtrato, creando cose che prima non esistevano. Manipolatori della natura, impastatori della sua materia grezza, orditori di trame inaspettate, esploratori dei meandri oscuri del possibile, tessitori di un mondo di fiction.

Questo libro racconta la storia dei salti che hanno portato al pensiero astratto, alla proiezione di qualcosa di diverso da quello che c'è, dal fatto accidentale all'esperienza voluta, all'idea e all'idea dell'idea. Italo Calvino la chiama la forza speciale, il nodo di una rete di rapporti invisibili che compaiono quando compare qualcosa che prima non c'era. Disegni, profili, proiezioni, numeri e, soprattutto, i segni che nascono prima delle lettere. Le figure, i templi e le prime piramidi (non in Egitto), e l'idea di gruppo. I punti zero del traslato, dell'immaginato, i tentativi di interpretare il mondo, per dargli un senso e imporgli un ordine. Il salto, i salti, verso i primi simboli, verso la loro rappresentazione, creata per fissarla, trasmetterla e renderla immortale.

Forse tutto è simbolo, a pensarci bene. Però ci sono cose che l'essere umano ha creato spinto solo e unicamente dall'onda della sua immaginazione. Cose da cui si è lasciato ispirare per dar loro un significato diverso, facendo così emergere, per accidente o proposito, qualcosa di completamente nuovo, di potente e di eterno.

In queste pagine setacciamo quel nuovo potente ed eterno, tornando indietro nel tempo, tra gli anfratti di un passato che ci ha regalato il ruolo più importante, almeno in questo senso: quello di trasformatori e creatori, fabbri di segni, artigiani di immaginazione, scalpellini della natura e, infine, interpreti sul palcoscenico di lei, la natura, che da regista ci ha suggerito le parole. E noi, improvvisando e riadattando il suo copione, abbiamo creato la più grande opera mai vista, tutta fatta di simboli.

Abbiamo iniziato con una litote, tutto quello che non è. Ora è tempo di guardare dritto in faccia tutto quello che è, tangibile, perpetuo, quasi indistruttibile.

È tempo di tuffarci tra le terre di cinquantamila anni fa e immergerci nei tratti sfuggenti di un mondo che a noi oggi può sembrare quasi irriconoscibile, con i suoi primi segni, ripetuti, enigmatici. E le domande che si calano sul palcoscenico di queste pagine: come e perché sono nati? Come nasce un simbolo, un'icona, un segno? Chi lo crea? E chi lo capisce? Come passa il messaggio? Che cosa si voleva dire?

In mezzo a queste migliaia di anni, tra le pieghe di generazioni che scivolano come grani di sabbia, ci sono i tentativi di dare risposte e il senso del viaggio di questo libro: disegni di uomini e donne e di animali estinti, figure astratte senza interpretazione, tracce antiche e vive del nostro passaggio.

Incivili


Tempo e spazio sono i punti e le linee, astratte o fisiche, che ci impongono di mettere ordine intorno a noi. Noi li useremo come coordinate molto vaghe, senza mappe e senza l'orologio. Ci servono solo per illustrare i grandi cambiamenti, le innovazioni radicali, i punti di svolta, irregolari e irriproducibili. Ma non seguiremo linee continue o geografie precise.

Non seguiamo la strada rettilinea delle magnifiche sorti e progressive e nemmeno i modelli che ci ha imposto l'idea di civiltà: l'ordine, l'organizzazione, la piramide sociale, il controllo, la produzione regimentata. L'agricoltura. No. Per creare non serve l'idea di civiltà secondo lo schema tradizionale. Serve l'idea di comunità, di comunicazione, di "sentire insieme", di condividere. Gesticolare, emettere suoni, segnare, disegnare, manipolare. Questa è civiltà. Non lo "stato", visto come pinnacolo della perfezione organizzata, quando invece è un'entità informe, fragile ed effimera, vulnerabile e autoreferente.

Giriamo la clessidra, e per i prossimi due minuti andiamo agli inizi. Il nostro percorso sfiorerà il paleolitico, percorreremo alcune pietre miliari del neolitico, toccando, qui e lì, l'età del bronzo, e a volte oltre. 11 nostro filo conduttore sarà un giro di mappamondo e delle manifestazioni di segni e simboli. Andremo a cercare i più antichi, chi li ha fatti, cercheremo di capire come l'immaginazione sia uscita per diventare cosa tangibile e concreta.

[...]


Salti


Questo libro ha come tema il salto e in realtà è costruito anch'esso su un'architettura di salti.

Ci sono i salti fisici, i salti delle impronte di Yenikapı, e il salto del pigmento dalla bocca dei Sapiens del paleolitico per creare stencil colorati. Ci sono i salti verso l'invisibile, quel che non si vede ma che ha la potenza, la solidità di esistere, come le divinità di Nevali Çori, e le creature antro- e zoo- mitiche sulle pareti della grotta di Chauvet. Il nostro filo è quel che resta, il poco che resta, le mani impresse, i disegni di animali, i graffi su rocce, i cerchi, le linee, i punti, le forme di uomini e donne e bambini e animali e un misto di tutto questo, proiettato, gettato nel mondo fisico dalla forza di un'idea, dal trampolino dell'immaginazione.

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Pagina 127

ACQUE



Cambiamo continente, cambiamo elemento. Nel giro di mappamondo delle prossime pagine, faremo un salto in continenti diversi. Abbandoniamo il deserto, i colori feroci del Medioriente, liberiamoci dal bagliore della sabbia, e andiamo verso il coraggioso Nuovo Mondo e verso l'acqua, verso uno specchio (anche se ormai asciutto) con molte sorprese, e in seguito verso dei petroglifi mitici di un arcipelago del Pacifico. Poi un'ultima visita. Sarà un triplo salto, ma non mortale, anche se da ultimo ci lanceremo in una piscina naturale. Un tuffo che ci porterà, finalmente, a casa.




AMERICA

Geometrie


Per gli occidentali, la storia del Nevada, lo stato degli Usa famoso per le notti da leone e i matrimoni lampo, non inizia prima del 1770, quando il missionario francescano Francisco Garcés arrivò qui dalla Spagna. Il Nevada era stato annesso all'impero spagnolo come fetta della torta colonialistica della Nuova Spagna. Però la storia tende a grattare solo la superficie: c'erano cose molto antiche, ben più antiche, che l'acqua di un lago aveva nascosto.

Il lago Winnemucca, a trentacinque chilometri da Reno, oggi è un lago immaginario, un ex specchio d'acqua. Una volta era collegato al lago Pyramid, ma il suo destino è stato intermittente, con livelli variabili di acqua. Quando íl livello era alto, i suoi tesori antichi non si vedevano. Forse Garcés, pur essendo un curioso esploratore, li ha mancati per poco, anche se ai suoi tempi il lago era già prosciugato. Oggi sono lì, en plein air: i più antichi petroglifi dell'America settentrionale (Figura 33).

Sappiamo che sono i più antichi grazie alle tecnologie di datazione al radiocarbonio e grazie all'intermittenza delle fasi asciutto-bagnato, cioè grazie anche alla natura. Il carbonato disciolto nell'acqua del lago si è depositato sulle parti sommerse dei massi, ricoprendo le incisioni di uno strato bianco, una crosta di calcare. Come un'araba fenice, i petroglifi sono emersi nelle fasi asciutte, preservando la crosticina. Il carbonato ha un grandissimo vantaggio: è databile. In aggiunta, le analisi dei sedimenti del lago Pyramid ci dicono molto sulle oscillazioni dell'altezza dell'acqua. Da questi elementi si ricavano le date, che per quanto approssimative, sono strabilianti.

Ecco la rivelazione, arrivata nel 2013: i petroglifi risalgono, come datazione più antica, a quattordicimilaottocento anni fa, e come datazione più recente, a diecimilacinquecento anni fa. Si sapeva, vagamente, che fossero antichi, ma così antichi, no, non era ipotizzabile, e invece è così. Rimane comunque difficile immaginare come fosse quella regione allora, chi ci abitasse, come vivessero. Sappiamo poco, anzi pochissimo, e il poco che sappiamo non ha basi solide.

L'arrivo in America dell'essere umano, alla fine dell'ultima glaciazione, risale a un lasso temporale molto poco definito (in discussione continua tra genetisti, linguisti e archeologi) tra i ventimila e i trentacinquemila anni fa, con prove archeologiche della sua presenza databili a più di ventimila anni fa. Non si capisce bene se ci sia stata una migrazione precedente, dall'Asia attraverso la Beringia, il lungo ponte di terra che allora collegava i due continenti, antica di almeno quarantamila anni fa. Se è vero che i petroglifi sono così antichi (e non vedo ragione per non accettare la loro data alta), allora i trisavoli dei bisnonni dei nonni dei nostri indigeni d'America erano davvero avanti (lo dico con il caveat del "prima" e del "dopo", sotto).

Altro che America incolta, eurocentrismo spinto e Vecchio Mondo che travolge il resto del globo di invenzioni. Guardate bene questi petroglifi. Vi sembrano degli scarabocchi? Guardateli meglio. È vero che nello stesso periodo nelle grotte francesi si disegnavano uri e bisonti e leoni con precisione certosina, ma guardate ancora. Su questi massi di calcare si sperimentava con le forme astratte, con le geometrie, e lo si faceva in grande. Le incisioni sono maestose, i disegni complessi di punti e di linee profonde.

Il segnale che mandano è come un alert visivo, di voler essere osservati già da lontano, come sculture-monumento, non tanto perse nei dettagli, quanto dedicate alla visione d'insieme. Il colpo d'occhio. In più, per la prima volta, compare il paesaggio, la flora. Che è il grande assente nelle figure parietali europee, tutte intente, come avete visto, a rappresentare fauna rara e magnetica, mai un cielo, mai un fiore, niente panorama. Qui invece gli alberi spuntano proprio: e non si tratta solo di abbozzi di alberi, ma sono visibili perfino le venature delle foglie. Ci sono anche dei rombi, quasi a formare una serie di pietre preziose incastonate. Alcuni studiosi vedono in queste immagini dei simboli metereologici: fulmini, nuvole. Potrebbero essere suggestioni, siamo portati a vedere "cose" anche dove non ci sono, lo abbiamo detto e ridetto.

I petroglifi del lago Winnemucca non sono isolati: ci sono altre concentrazioni di segni nel Great Basin della California, per esempio, ma non sono così imponenti, e se vogliamo essere lapidari, non hanno nulla di inusuale: disegni di animali, esseri umani, mani. Non c'è una netta propensione per le geometrie, in nessuno dei luoghi americani dove hanno inventato petroglifi.

Non facciamo un errore grossolano guardando queste forme, cioè prenderle per cose semplici. Pensare che le forme geometriche siano più elementari, più primitive, più facili è un errore. Questi petroglifi, proprio per questa loro caratteristica, sono oggetti culturali complessi, e anche se non abbiamo la più pallida, la benché minima idea di che cosa significhino, ci insegnano una cosa. E qui arriva il caveat. Ci insegnano che dobbiamo toglierci gli occhiali, i filtri del giudizio di valore, e osservare questi simboli senza l'idea preconcetta di un prima e di un dopo. Del primato di chi arriva a fare o creare qualcosa prima. Di chi la fa dopo. Nel nostro sviluppo culturale, non esistono un determinismo o una progressione lineare.

Non c'è cultura superiore o inferiore, non ci sono i primi e gli ultimi. Ci sono solo contesti diversi, ci sono preferenze, tradizioni, simboli che hanno il loro particolare significato, che seguono il loro particolare percorso, facilitati o meno dalle condizioni circostanti. Le classifiche fanno male, quando si tratta di creazioni e invenzioni sulla lunga linea del tempo.

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Pagina 211

Il salto nel buio





Onkalo


L'ultimo salto che facciamo è nel futuro lontano, a centomila anni da oggi. È il salto più lungo che possiamo concepire, ed è nel buio, ed è davvero mortale per tutti noi, senza remissione. Non è facile nemmeno immaginarlo, ma proviamo.

Finora i nostri giochi di fantasia nel passato, dalle grotte del paleolitico in poi, sono stati un manifesto di quanto sia difficile, a volte impossibile, entrare nella mente di chi non è lì con noi, a raccontarci i simboli che ha creato, a decifrare i segni della sua immaginazione. È incredibile come la fisiologia umana, il nostro assetto cognitivo, i nostri occhi siano pressoché gli stessi, che nelle ultime migliaia di anni sono cambiati, sì, ma non hanno subìto rivoluzioni. Eppure, capiamo poco, brancoliamo nel buio delle caverne. Siamo alla mercé dell'arbitrarietà del segno.

Tra centomila anni come sarà? Come lo interpreteremo?

Andiamo sulla costa ovest della Finlandia, dove esiste un deposito, ancora in via di costruzione, che dovrà essere operativo tra pochi mesi. Forse, quando leggerete questa pagina, sarà entrato in funzione. È un deposito costruito per contenere migliaia di tonnellate di residui nucleari, scavato a più di cinquecento metri di profondità. Si entra in un tunnel con le pareti ricoperte di cemento armato, si scende a zig-zag nelle viscere della roccia granitica, quella più resistente che c'è, fino alla spianata del deposito. Le scorie nucleari entrano lì dentro per non uscirne mai più. Per essere dimenticate.

Tutto lì deve essere dimenticato, anche l'esistenza del deposito stesso, che dovrà essere obliterato dai boschi, dalla natura, dalle costruzioni, che devono fare solo una cosa: nasconderlo. Renderlo invisibile per l'eternità, per non indurre a scavare novelli archeologi del post-antropocene, o come diavolo si chiamerà l'era futura.

Il segreto di Onkalo deve durare almeno centomila anni, finché le scorie non diventeranno progressivamente sempre più innocue. Centomila anni sono dieci distanze da Göbekli Tepe: niente di tangibilmente costruito o edificato dall'uomo è durato più di un decimo di questo lasso, nessun simbolo può essere capito dopo tutto quel tempo. Proprio come non capiamo i segni astratti e geometrici sui pilastri di calcare del sito anatolico, di qui a centomila anni che cosa potrà dire Onkalo di noi, come potrà esprimere il pericolo che correranno i nostri discendenti avvicinandosi a lui?

Dagli anni Ottanta del secolo scorso esiste una disciplina, che abbraccia un ampio spettro del sapere, che si chiama "semiotica nucleare a lunga gittata", o long-term nuclear semiotics. Solo a pensarci vengono i brividi, ma esiste davvero. Un gruppo di ingegneri, antropologi, fisici nucleari, artisti e scienziati del comportamento umano furono incaricati di inventare messaggi di avvertimento per segnalare la presenza di materiale pericoloso. Tre concetti sono fondamentali da comunicare:

Quello che vedete è un messaggio

Qui correte un pericolo

Questo è il pericolo che correte


Cose elementari, direte voi, basta il simbolo della radioattività (le tre palette nere su sfondo giallo) oppure scrivere "radioattivo" in tutte le lingue, giusto? Eh no, vi sbagliate di grosso. Chi lo può capire tra ventimila anni o più?

Le lingue sono frizzanti, cambiano velocemente, non sono universalmente comprensibili, sono localizzate, in continua evoluzione e molto specifiche. Anche la scrittura cambia ed è contestuale. Spesso muore, diventa obsoleta, si perde, viene dimenticata. E di sicuro non dura invariata per millenni. I disegni anche, ormai l'avete capito, sono interpretabili, arbitrari, capricciosi. In un universo di messaggi in cui panta rei, in cui tutto scorre, come si fa?

Di fronte a questo problema, riporto alcune delle soluzioni proposte, che non sono per niente male.


a. Costituire un "clero atomico", cioè sacerdoti proselitisti per far proliferare il senso di paura, un po' perché la religione è dura a morire, un po' perché è un conduttore efficace. Strano che la proposta sia arrivata da linguisti, come Thomas Sebok.

b. Rendere il sito inespugnabile, accessibile solo a un MacGyver dei posteri. Proposta avanzata da un fisico, ci sta.

c. Gatti atomici (giuro). Il semiologo Paolo Fabbri , con Françoise Bastide, propone di allevare gatti geneticamente modificati che cambino colore vicino alle scorie. Le loro storie di radioattività technicolor dovevano essere tramandate fino a diventare mitiche.

d. Messaggi scritti, proposti da un semiologo ungherese, Vilmos Voigt, che suggerisce di indicare le scorie nelle lingue più diffuse al mondo, e di rinnovare le indicazioni di pericolo con il passare del tempo.

Alla fine, nessuna di queste soluzioni può essere risolutiva. Il nostro tentativo, conscio e intenzionale, di comunicare attraverso il baratro del tempo è destinato a fallire. Chissà se per gli artisti del paleolitico valeva lo stesso, chissà se, con le loro grotte dipinte, erano consci della posterità e agivano con intenzione. Chissà se volevano comunicare anche con noi.

Il risultato è comunque identico. Questi messaggi rischiano di finire tutti allo stesso modo: nell'incomprensione.

I nostri primi segni, quelli che sono rimasti, vengono dalle caverne. Non possiamo capirli, interpretarli fino in fondo. E l'ultimo ricordo di noi finirà a Onkalo e in altri luoghi forse simili, anch'esso in una caverna, sigillato tra gli anfratti della terra. Avrà successo solo se della sua traccia non si saprà più nulla, solo se cadrà nell'oblio.

Incomprensione e oblio. Un vero salto nel buio.

È inquietante pensare che i resti più resistenti di tutta la nostra civiltà, in tutta la sua interezza, siano quelli che speriamo nessuno scopra, quelli da cui le generazioni future dovranno difendersi. L'impronta pesante del passaggio umano sulla terra non è tutta buona. Non siamo stati solo brava gente.

Ma forse, quello che resterà, setacciato e dosato, la percentuale di noi che durerà per centinaia di migliaia di anni, non sarà soltanto questo. Ci saranno i grattacieli del futuro, i resti dei ponti crollati, delle case di oggi, le micro-microplastiche, gli avanzi di metalli, le rovine disperse, e molti simboli che rimarranno indecifrati.

Se sapremo conservarli, rimarranno ancora i megaliti del neolitico, le impronte delle nostre dita di quarantamila anni fa, i ritratti disegnati con l'ocra, le sagome degli animali estinti, i petroglifi aridi e secchi del deserto. Faremo ancora più fatica, con lo svantaggio del tempo, a ricostruire le loro storie. Forse continueremo a dire che sono "arte", che sono "religione". O ci daremo per vinti, e diremo che non vogliono dir nulla.

Ci stupiremo davanti alla minuscola dose di quel che resterà, nel mucchio invisibile di quel che non ci sarà più, e cercheremo, come abbiamo sempre fatto, di mettere ordine, per sentirci più avanzati, per farci più civili. Troveremo altre allegorie e metafore, per illuderci di aver capito. E poi verrà qualcuno, dopo di noi, a spazzare via tutto, a dare spazio a un'interpretazione diversa, facendo tabula rasa di tutto quello che lo ha preceduto.

Il resto è storia


Di tutto quello che è stato scritto, segnato e disegnato, rimane molto poco, un'infinitesima parte di forme, geometrie e profili, una minuscola parte delle storie raccontate e tramandate a voce. Tornare indietro è fare un altro salto nel buio.

Ma nell'entrare nel labirinto del passato, con tutti i suoi buchi e tutti i suoi recinti, dovremmo evitare di fare errori, pur nella nostra mania di mettere tutto in sequenza. La storia non inizia solo con la scrittura. La storia inizia molto prima, durante il periodo in cui gli "incivili" cacciavano e raccoglievano e facevano disegni, che noi chiamiamo "paleo", che noi inseriamo nella definizione ombrello di preistoria.

La storia narrata non inizia quindi solo con i Sumeri o con gli Egizi, ma inizia anche da questi profili, da queste forme, dai segni geometrici che nella nostra ignoranza non sappiamo decifrare. Da quella grammatica di figure sovrapposte, i "mitogrammi" di Leroi-Gourhan di bisonti e veneri, dalle dita puntate verso i disegni per spiegare come si caccia un uro o un rinoceronte, che forma ha un leone delle caverne o una rara pantera maculata.

La storia non inizia con Erodoto e i suoi viaggi, ma con le impronte di un bambino nella grotta intatta di Pech Merle, e continua nelle orme fossilizzate di Yenikapı, migliaia di anni dopo. La storia inizia dagli indici che danno il via alla progressione dei segni. Indici, icone e simboli di Peirce, uno a seguito dell'altro. Inizia dalla comunicazione di quelle cose lì, proprio in quell'ordine.

È da quelle storie che inizia la storia. Non dalla scrittura, non dai calendari, non dalle date e non dagli orologi. Non dal controllo sul tempo, ma dal ricordo, dalla curiosità di immaginarlo.

Inizia dal momento in cui qualcuno ha indicato qualcosa con un dito, ha impresso la sua mano su una superficie, ha mimato a gesti un'azione. Ha dato voce a un nome, ha insegnato ad un'altra persona quel suono associato a quella cosa. Quella persona poi a sua volta lo ha imitato, e poi è stata a sua volta imitata, e il suono (chiamatelo parola, se volete) è stato replicato, donato, distribuito oltre.

Da lì nasce poi il simbolo. Dall'impronta-indice del nostro salto, dal segno tracciato nell'aria dal gesto di una mano. Non fatevi ingannare dai segni. Raccontano storie, raccontano bugie. Creano, letteralmente, impressioni (Figura d'apertura).

Ma sono tutto quello che abbiamo per capire i lunghissimi, graduali salti che abbiamo fatto come esseri umani. Per questo vale la pena guardarli con attenzione e studiarli. Sono i nostri gesti, le nostre parole, il nostro specchio. E non chiamateli "preistoria" perché quel "pre-" è ricchissimo, compresso e compatto, pieno già di tutti gli ingredienti di quello che verrà dopo, di quella che dalle menzogne di Erodoto in poi abbiamo definito con ossessiva mania di sistematizzazione "storia". Non è vero che il resto è storia. Quel che succedeva prima lo era già. Il resto ha creato solo sistemi, schemi, e li ha estesi. Imperi, città, leggi, codici, libri, biblioteche, scuole.

Ma le nostre storie, disegnate, plasmate, elevate, troppo poche, erano, sempre e comunque, storie. Molte sono finite nell'oblio, perdute nell'aria e nella polvere, altre rimangono, ma sono casseforti incomprensibili e difettose. Altre ancora, come tutte le cose create dall'essere umano, sono imperfette e lacunose. Nonostante tutto, tutte queste storie sono, senza distinzione e senza gradazioni di merito, storia.

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