Copertina
Autore Luca Ferrari
Titolo Folk geneticamente modificato
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2003, Eretica , pag. 248, cop.fle., dim. 150x210x15 mm , Isbn 978-88-7226-767-7
LettoreRiccardo Terzi, 2004
Classe musica
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Indice

Musica immaginaria                                        3

Abbecedario folk                                         27

Nord Italia                                              31
Centro Italia                                            73
Sud Italia                                               94
Sardegna                                                136
Antologie                                               150

Interviste                                              151


Appendici                                               225

Etichette Discografiche/Distributori                    226
Principali Festival di musica tradizionale              229
Programmi radio                                         233
Riviste;                                                233
Siti Internet                                           234
Promoters/Agenzie di Management                         235
Istituti di ricerca/Archivi/Biblioteche specializzate   236

Indagine conoscitiva sui musicisti/gruppi italiani      239

Il CD allegato                                          241

Bibliografia di riferimento                             245

 

 

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Pagina 3

Musica immaginaria


                    "Solo chi ha un villaggio nella memoria
                   può essere davvero cittadino del mondo".
                                         Ernesto De Martino

          "L'italiano è una lingua parlata dai doppiatori".
                                              Ennio Flaiano

                        "Potrei vivere in un guscio di noce
                       e credermi re dello spazio infinito,
                         se non fosse che ho brutti sogni".
                               W. Shakespeare, Amleto II, 2



Ci sono musiche di cui raramente si scrive, sulle riviste affermate, che solo fortuitamente passano alla televisione e alla radio, che alla gente comune, appassionata o meno di musica, è dato di conoscere. Sono musiche di 'nicchia', per usare un'espressione ipocrita, quasi a giustificarne il destino segnato, ineluttabile. Un destino che le vede esistere e non esistere, in una condizione limbica, a metà strada, dimezzata. Ci sono e non ci sono, insomma, e per ascoltarle è necessario impegnarsi in una ricerca a volte impervia, agevolata in anni recenti dalla diffusione (questa sì, di massa) delle più recenti tecnologie digitali.

Si tratta di musiche tutt'altro che agevoli da 'maneggiare', refrattarie alle facili etichette in uso nella cultura dominante che si occupa di mainstream, etichette in cui gli stessi musicisti che le suonano difficilmente accettano di essere inscatolati, nella logora dimensione concettuale del file under di infausta cultura anglo-americana.

Eppure queste musiche sono suonate da giovani e meno giovani, in gran parte delle regioni d'Italia, che utilizzano strumentazione particolare, che ottengono consensi di critica e premi importanti; musiche che vengono suonate all'estero, in lunghe tournée, che si presentano, nei casi più evoluti, con tutti i crismi per essere competitive sul mercato discografico.

Sono denominate nei modi più vari, a volte pittoreschi: 'popolari', 'tradizionali', 'world music', 'mediterranee', 'etniche', ma anche 'musiche delle radici', ad esempio, espressioni che dicono niente, in realtà, che non rendono giustizia dell'ingente lavoro di ricerca, studio, composizione o ricomposizione sonora su cui sono basate, men che meno delle idee dense che sottendono, degli ideali che esprimono, delle visioni e delle speranze. Suoni che frequentemente alludono, si riferiscono, celebrano un mondo che non esiste più e, forse, non è mai esistito com'è oggi immaginato; che in alcuni casi si basano su una cultura locale, un insieme di tradizioni, ignorando deliberatamente che il territorio negli ultimi trent'anni è andato radicalmente trasformandosi e le tradizioni sono spesso solo un simulacro nostalgico di un tempo che è stato e che non è più, rassicurante perché immobile, quando non arma rivendicativa di inquietanti ideologie politiche refrattarie ai naturali cambiamenti d'epoca. Quanto al 'popolo', quale entità dinamica del vivere sociale, dotata di una sua specifica identità, fondata su un sistema di valori condiviso, difficile credere che sia quello a cui queste musiche di frequente si rivolgono, relegato a un passivo ruolo di ascoltatore-spettatore compiacente in certe discutibili rievocazioni tradizionali che in questi anni stanno proliferando nel nostro paese...

Insomma, di che musica si tratta?

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Pagina 8

Forme prevalenti del folk contemporaneo in Italia


Dal nostro viaggio per l'Italia del folk musicale durato quasi due anni e mezzo, torniamo con la convinzione che tre siano le tendenze diffuse, con buona approssimazione. Forme con caratteristiche distinte, che esprimono idee sulla realtà persino inconciliabili, che si autorappresentano con tratti per molti aspetti fuori dal tempo storico, testimoniando la forte transitorietà e contraddittorietà dell'epoca di cui sono espressione, che sceglie altre forme, altri contesti, altre identità sociali per assolvere all'antica funzione di espressione popolare. Tre forme tutt'altro che 'pure', a loro volta incrociate tra di loro, tanto che elementi dell'una possono ritrovarsi nelle altre.

Il 'folk-roots'. Una prima tendenza residuale, perché relegata in specifiche, limitate aree geografiche della penisola, generalmente a carattere rurale, riguarda quelle musiche nate dal rapporto con l'ultima generazione di 'informatori locali', imparate per apprendimento diretto, tramandate per consuetudine familiare o interfamiliare. Musicisti che operano nella comunità, che interpretano questo patrimonio come espressione diretta di una storia, una memoria collettiva, da preservare, da difendere, da tramandare. [...]

Un nuovo 'folk revival'. La seconda tendenza, quantitativamente più diffusa, riguarda gruppi e musicisti che dichiarano di basare il loro lavoro sul repertorio tradizionale 'rivisitandolo', intervenendo in vari modi sulle forme disponibili o componendo ex novo brani basati su specifici elementi codificati della tradizione (armonia, melodia, timbriche strumentali...) o ad essa ispirati (utilizzo di idioma dialettale, tematiche...). Questa tendenza, erede diretta del più famoso folk revival degli anni Sessanta e Settanta - quello che vide la nascita di gruppi quali la Nuova Compagnia di Canto Popolare o Il Canzoniere del Lazio - poggia sull'idea di una musica vecchia e nuova insieme, che non ha riserve nell'utilizzare al massimo delle possibilità quanto le ultime tecnologie digitali offrono e a incrociarsi con stilemi provenienti da sotto culture 'popular' (il folk-rock inglese, il folk 'celtico' scoto-irlandese...), piuttosto che dal blues o dal jazz; che si confronta, o tenta di confrontarsi, con il mercato discografico, autorappresentandosi come la vera musica tradizionale italiana più autentica, perché diretta, 'popolare', secondo uno stereotipo in uso tra gli stessi studiosi di folk nel secolo scorso (Sharp, Lomax). [...]

Folk globale. Questa modificazione, di origine urbana e derivata da alcune esperienze significative d'ambito 'popular' della fine degli anni Settanta, ha tratti comuni alla 'popular music' (pop, rock e vari sottogeneri) quanto alle logiche di creazione e produzione e si confronta con il mercato discografico come un qualsiasi altro 'prodotto' commerciale. Gruppi e musicisti (tra questi, i più rappresentativi sono Riccardo Tesi, Daniele Sepe, 'e Zezi, Elena Ledda, Nando Citarella, Calicanto, Baraban, La Bonifica Emiliana Veneta...) giudicano naturale questa evoluzione formale che si fonda sull'idea di 'ibridazione sonora', altrimenti espressa come 'meticciato', 'incrocio', quando non 'contaminazione', a voler inconsciamente sottolineare i rischi di 'inquinamento' insiti nel processo: da questa spregiudicatezza compositiva, derivano forme commercialmente vendute come 'world music' piuttosto che 'mediterranea', 'etnica' o 'etnofolk'. Il processo di composizione, finalizzato o meno alla realizzazione di un supporto discografico, si fonda sul convincimento che forme, stilemi, strumentazioni, repertori di riferimento, sono né più né meno materiali da combinare tra loro a piacimento, strumenti di lavoro da utilizzare legittimamente, sulla base dell'idea che nella sua lunga storia il folclore si è evoluto, sedimentando limaccioso - trasformandosi - e quindi oggi questo procedimento risulterebbe legittimato storicamente, persino naturale. L'attenzione è rivolta sulla musica, e solo raramente sugli eventuali, impliciti, significati 'socio-politici' relativi a una visione multietnica e internazionalista della società.

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Pagina 22

Ipotesi evolutive tra fantasie e auspici


Dal musicista folk al musicista world. È possibile interpretare alcuni 'valori' espressi dal folk globale come linea di tendenza prossima ventura che continui a guardare al passato con la naturale attenzione alla nostra storia, alle enfatizzate radici, ma non si neghi uno sguardo disincantato alla realtà delle culture altre, agli altri mondi coesistenti, ricercando un dialogo con l'Altro, con lo 'straniero'.

Una nuova musica del mondo - oltre la facile, logora etichetta di world music - musica che prefiguri, alluda, evochi nuovi mondi del possibile, in cui dal locale ci si proietta all'universale e viceversa.

Questa musica, che oggi è quasi esclusivamente il prodotto di un'operazione intellettuale, astratta, della classe media, che ha quasi esclusivamente fini commerciali, che solo raramente parte dalla comunità per rivolgersi alla comunità locale e/o globale, che è programmaticamente spuria, incrociata, che oscilla intenzionalmente tra passato e presente, ha un'implicita funzione evocatrice se non premonitrice - alludendo a scenari futuri potenziali, forse probabili, di esistenza, ancora a venire, sul modello di alcune aree metropolitane d'avanguardia (New York con il rap e le culture 'dal basso' che ne sono derivate, o Londra con il recente fenomeno del 'Panjabi mc'...) in cui locale è globale, individuale è anche collettivo, e le comunità compresenti, contigue, sembrano fondersi trovando nella musica un linguaggio comune, storicizzato, ricco di codici comunicativi d'uso, prima che estetici.

Musica mutante per un mondo mutante, in rapida, spaventosa trasformazione, nel quale la 'tradizione' è costantemente 'minacciata' dalla rapidità del tempo che scorre e che resetta la memoria dell'esistere, riducendo la realtà a un qui ed ora ineluttabile, in cui spazio e tempo sono compressi nella logica del non-luogo, come potenziale espressione di nuove opportunità di incontro.

Una trans-sonorità che descrive, commenta il reale in rapida trasformazione, progettando - ma, come si è visto, ancora solo in astratto - una dimensione di incontro fra luoghi della memoria, in cui il darbouka può e deve coesistere con la piva, l'organetto con l'oud, perché sono le geografie ad essere esplose (nelle nuove economie globalizzate? Nei progetti di moneta comune? Nelle bibliche migrazioni dei popoli?) e la comunità ha perso per sempre (per sempre?) la sua natura di unicum per generare nuove comunità.

Il mondo nuovo cui alludono alcuni musicisti di questo folk globale, evocando una tradizione che è solo nel vago ricordo della memoria, è l'utopia di un'inedita comunità in cui l'incontro non solo è possibile ma è, si realizza giorno per giorno in nuove forme di comunità e convivenza, in cui il percussionista maghrebino non è soltanto l'ospite del gruppo in studio o sul palco durante una tournée, ma è parte integrante del gruppo come espressione della nuova comunità in cui il rai si mischia alla tammurriata, il reggaemuffin con il saltarello.

Una nuova musica che diventa autentica e significativa solo attraverso un processo di riappropriazione consapevole in cui "viene integrata in una pratica sociale soggettivamente motivata" (Middleton, cit.), pratica che passa per la mutazione dell' uomo folclorico in uomo storico, dell' uomo-folk in uomo-world.

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