Copertina
Autore Guglielmo Ferrero
Titolo Da Fiume a Roma
Sottotitolo1919-23 storia di quattro anni
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2003 [1924] , pag. 126, dim. 120x169x10 mm , Isbn 978-88-7226-749-3
CuratorePiero Flecchia
LettoreRiccardo Terzi, 2003
Classe storia contemporanea d'Italia
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Indice


L'invenzione del fascismo, P.F.                     2


Prefazione                                          8


Gli ultimi giorni del vecchio regime               lO

I.   Fiume                                         lO
II.  Il palo insaponato e il ragazzino impaziente  16
III. Un po' di storia                              20
IV.  Socialisti e popolari                         32

La caduta                                          43

I.   L'on. Giolitti e la plutocrazia della guerra  43
II.  L'esplosione del fascismo                     53
III. Lultima mossa e l'ultimo errore di un vecchio
     stratega                                      57
IV.  La catastrofe                                 64

Ed ora? Uno sguardo all'avvenire                   77

I.   Ma fu vera rivoluzione? Sì e no               77
II.  Conclusione                                   86

Nota biobibliografica di Piero Flecchia           105


Principali opere di Guglielmo Ferrero             124


 

 

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Pagina 8

Prefazione



Nella Tragedia della pace ho raccolto il meglio di quanto scrissi dopo il 1919 sulle vicende della falsa pace, in cui l'Europa si strugge. In questo volume ristampo gli scritti volanti degli stessi anni, che trattavano delle nostre turbolenze civili dall'armistizio in poi; ma collegandoli con una succinta narrazione degli eventi, che diedero a ciascuno scritto l'occasione e lo spunto.

Fatica inutile - ripeterà di questo volume, come ha detto del precedente, una certa critica. Regna oggi una filosofia che si gloria di incoronare come ottimo tutto ciò che succede, dimostrando, al riparo del fatto compiuto, che doveva succedere. Filosofia da servitori, solleciti di restare nelle grazie di tutti i padroni. Ma questi saggi furono scritti - e sono oggi raccolti a spregio appunto di quella filosofia servile; per opporre a ciò che è successo, quello che avrebbe dovuto succedere, secondo un modello ideale e imperativo, nel quale l'autore crede e per il quale è pronto a pagare di persona.

Senza questi modelli ideali non esistono arti, non è possibile nessun governo e nessun ordine, la morale si dissolve come la scienza. Un'ora terribile di smarrimento totale è suonata per l'Europa, appunto perché questi modelli sono tutti caduti; onde i popoli non sanno più distinguere il bene e il male, l'intelligenza e la stoltezza, la pazzia e la ragione, il veleno ed il farmaco, il diritto e il torto; la luce e le tenebre.

Questo libro è stato scritto per coloro, i quali credono che l'intelligenza e il sapere hanno ancora qualche diritto nel mondo. Perciò è stato scritto "sine ira et studio'. L'autore non ha nulla da temere né sperare dai nuovi dominatori, come nessun bene e nessun male potevano fargli gli antichi. Se non è infallibile, è disinteressato nel conflitto d'interessi e di passioni che devasta da dieci anni l'Italia. Auguro a coloro, che bersaglieranno questi scritti delle loro invettive, di poter dire altrettanto! Poiché purtroppo, se non si è ostentato mai il patriottismo nei discorsi e nelle cerimonie come in questi tempi, non furono mai così rari, come ora, coloro che servono la patria senza chiedere in cambio né onori, né potere, né ricchezze. Il lettore non cerchi l'ispirazione del patriottismo, che invece di servire si fa servire, nelle pagine del libro che si accinge a leggere.

G.F.

Firenze 10 ottobre 1923

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Pagina 10

Gli ultimi giorni
del vecchio regime



I. Fiume


Il disordine, che ribolliva da un pezzo, esplose dopo la spedizione di Fiume.

Quando gli occhi e gli orecchi di tutti erano ancora abbagliati e intronati dallo scoppio del fulmine, ne ragionai pacatamente, il 27 Settembre del 1919. L'articolo, che qui ristampo, si intitolava:


SESSANTA ANNI DOPO

L'avventura di Fiume è stata subito glorificata come garibaldina. Può, infatti, ricordare il 1860 a chi si contenta delle apparenze. Ma gli eroi non risuscitano, anche se le credule generazioni vegliano intorno ai loro sepolcri, aspettando che il coperchio si levi. Le supposte reincarnazioni della storia sono anacronismi.

Paragonando le due spedizioni, è facile scoprire in che sono diverse. La spedizione del 1860 fu preparata e compiuta da privati cittadini e d'accordo con il governo; la spedizione di Fiume da frammenti dell'esercito, che hanno cessato di obbedire alla legge e contro la volontà del governo, o almeno di una parte: proprio di quella, il cui consenso sarebbe stato necessario per sfruttare prontamente, se il farlo era tra le cose possibili, il "fatto compiuto". Il mondo non crederà alla buona fede del governo, lo so: ma una volta ancora sbaglierà. Il governo tentava di sciogliere il nodo con altri mezzi; e questo "colpo di mano" ha disturbato i suoi piani, buoni o cattivi che fossero. La verità è questa.

Non occorre essere un grande politico per intendere la differenza. Sarà opera più utile illustrare alcune differenze, che nascono dalla prima. Nel 1860 il governo piemontese non perdeva nulla, se la spedizione falliva, perché poteva sconfessarla; era invece quasi sicuro di un immenso guadagno, se la spedizione riusciva. Garibaldi era un eroe, un eroe autentico, appunto perché prendeva sopra di sé tutti i rischi della spedizione, rassegnandosi ad essere sconfessato, se la fortuna lo tradiva; riuscendo, metteva invece le potenze europee in un grosso impiccio, sfidandole a fare una spedizione nell'Italia meridionale per restaurare i Borboni. La spedizione di Fiume invece è tale che, riesca o fallisca, ha messo e metterà in seri impicci il governo italiano, molto più che gli alleati.

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Pagina 57

III. L'ultima mossa e l'ultimo errore di un vecchio stratega


Sul finire del 1920 Giolitti era riuscito a fare la pace con la Jugoslavia e a sgomberare Fiume dai legionari dannunziani: due meriti che lo avevano ingrandito nella pubblica stima. Il trattato di Rapallo fu allora universalmente lodato, anche da coloro che dovevano poi maledirlo come un parricidio. Il governo aveva finalmente le mani libere e poteva di nuovo impugnare la spada contro i ribelli alla legge; nel Parlamento sedeva numeroso un partito medio, che per dottrina, per interesse, quasi direi per la sua stessa posizione geografica nell'atlante politico, avversava così la rivoluzione rossa che lambiva il suo fianco sinistro, come la rivoluzione bianca che lo costeggiava da destra; intorno a questo partito vagavano un po' incerti, sine lege, spezzati sotto denominazioni diverse, i frammenti dell'antica clientela ligia al presidente del Consiglio. L'ora della severità era suonata. Il capo del Governo doveva mettersi risolutamente alla testa di quel partito medio, rincalzarlo con i frammenti della propria clientela, costruire una forza centrale, e con quella ricacciare nella legge a sinistra il socialismo, a destra il fascismo. Che questa mossa avrebbe sortito un buon successo, si può argomentare dalla facilità con cui il fascismo ha debellato il disordine socialista. Se in pochi mesi alcune migliaia di bastoni privati e di gendarmi dilettanti hanno ristabilito l'ordine, chi può credere che non ci sarebbe riuscito lo Stato, se avesse fatto il suo dovere? Tre mesi di stato d'assedio in otto o dieci province bastavano. La storia dirà che lo Stato liberale è affogato in un bicchiere d'acqua.

Avevo ragione io, quando scrivevo, nel settembre del 1919, che il pericolo rosso in Italia era minore dell'apparenza. Credo di non abusare del senno di poi, dicendo che quella mossa: l'accordo con i popolari, era la più ovvia, la più semplice, la più ragionevole, e, se non sicura, la più promettente. Accadde invece che l'on. Giolitti, nella primavera del 1921, sciolse la Camera e convocò il popolo in nuovi comizi, per il giorno 15 di maggio, perché si professasse ravveduto dagli errori e guarito dai deliri del 1919. E per persuaderlo a ravvedersi strinse un'alleanza delle forze costituzionali, che erano quasi tutte rappresentate in Parlamento dagli avanzi della sua antica clientela, con il fascismo rivoluzionario ancor giovanetto, per opporla non soltanto al partito socialista, ma anche al partito popolare.

Invece di interporsi fra i due partiti estremi con una alleanza di partiti medi, atta a combattere su due fronti, alleò un partito medio e un partito estremo contro l'altro partito estremo e l'altro partito medio.

Fu questo - io credo -l'errore fatale, che annullò il bene fatto da quel ministero e che ci condusse alla catastrofe.

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Pagina 77

Ed ora? Uno sguardo all'avvenire



I. Ma fu vera rivoluzione? Sì e no


In Italia l'ordine legale fu violato e vinto dalla marcia su Roma: ci fu dunque rivoluzione, ma non fu rovesciato, dunque rivoluzione intera non ci fu. Una volta ancora Roma vide questa stranezza, per essa non strana: un movimento rivoluzionario impotente a rovesciare l'ordine legale, il quale a sua volta era impotente a ricacciarlo nella legge. Il duello di queste due impotenze terminò con una transazione. L'ordine legale si resse, ma tollerò in faccia un doppione rivoluzionario. Lo Stato si sdoppiò nei suoi organi maggiori: Parlamento e Gran Consiglio, esercito e milizia, prefetti e fiduciari.

[...]

Anche questo governo, come i precedenti, vivrà di debiti; e vacillerà, il giorno in cui vacillerà il credito. Intanto ha regalato una mezza immunità fiscale al capitale mobile, abolendo la legge sui titoli nominativi; e ha liberato la ricchezza dall'imposta di successione. In tempi di prosperità queste misure sarebbero forse state savie ed utili, ma quando lo Stato vacilla per un disavanzo di parecchi miliardi di lire potrebbero essere mortali imprudenze, così per lo Stato che n'è l'autore come per gli ordini sociali che ne approfittano. Le liane degli interessi particolari, che soffocano il tronco dello Stato moderno, audaci e tenaci s'arrampicano anche sui governi rivoluzionari.

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Pagina 86

II. Conclusione


Non sono uomo di parte e non ho mai ambito il potere. Conosco così bene le falsità e i vizi della democrazia e delle libertà contemporanee che non ho mai voluto far parte di alcuna assemblea legislativa. Ho difeso la vecchia legalità, pur sapendola decrepita e in pessime mani, perché credo che oggi in Europa una rivoluzione sia un perditempo, quando non è un precipizio. Nulla spero e nulla temo dal nuovo governo, come nessun bene e nessun male mi potevano fare i governi precedenti. Non mi sono mai schermito dal manifestare la mia opinione sulle cose politiche: penso che uno storico e un filosofo, il quale in questi tempi non abbia nulla da dire al proprio paese, è o un pagliaccio o uno stolto. Non solo, per un uomo, non del tutto digiuno di qualche studio, e che il suo amore al paese voglia mostrare non sfruttandolo mai, è colpa tacere, quando la scempiaggine di tanti improvvisatori e orecchianti tiene cattedra sulle piazze.

E se non sono infallibile, parlo almeno disinteressatamente. Quanti possono dire altrettanto? E poiché non sono uno spacciatore di illusioni chiudo questo piccolo libro, ripetendo ai miei concittadini che la patria versa in estremo pericolo. Non date retta ai prezzolati portavoce d'un ottimismo imbecille.

[...]

Aggiungerò che se la comodità vorrebbe ridurre a due i partiti e alternarli al governo, nessun paese può più aspirare a questa fortunata semplificazione.

C'è nel mondo troppa gente, troppa diversità e confusione di passioni, di idee e di interessi. Tutti i paesi saranno divisi almeno in tre o quattro grandi partiti; e qualcuno forse, anche in più. Il vigore nazionale di un popolo, la sua maturità civica apparirà nella capacità di conciliare questa varietà dei partiti con la necessaria unità dell'azione; e non in quella unanimità ufficiale, coattiva e un po' ridicola degli elettori, dei giornali, dei deputati; e della quale il partito fascista oggi dominante in Italia si compiace come della parlante immagine della propria potenza. L'unanimità ufficiale poteva essere uno stato d'animo sincero, e quindi un muro solido, nel Sei e nel Settecento; oggi è un'artificiosa forzatura e un intonaco appiccicaticcio sopra un muro che si sgretola. Alle prime scosse si polverizzerà.

[...]

3) Non credete alla dittatura: è parola senza senso. La razza dei dittatori è sparita, come quella dei dinosauri.

Che cos'è la dittatura? È braccio e non testa; organo d'azione, non mente e pensiero. Non è fatta per inventare o chiarire idee non ancora nate, o ancora confuse, ma per eseguire propositi ormai maturi.

Quando un uomo o un gruppo abbiano un piano definito, e non possano attuarlo perché l'ordine legale fa intoppo, questo uomo o questo gruppo possono, se riescono a impadronirsi del potere, attuare il piano dittatorialmente. Qualche rara volta, a certe svolte della storia, è accaduto. Ma se questo piano non c'è, a che serve la dittatura? Tenta di operare nel vuoto e presto o tardi cade nelle stesse contraddizioni del governo legale.

[...]

1O) Infine non dimenticate mai che oggi non v'è governo legittimo - ossia non prepotente e violento - se non in forza del principio rappresentativo; ma che nessuno Stato può reggersi con il principio rappresentativo, se le lotte civili si mutano per violenza di mezzi o anche solo per furore di odi in guerre sterminatrici.

Di fronte alle legioni scatenate, anche il senato di Roma: il senato di Scipione, di Caio Gracco, di Mario, di Silla, di Cesare, di Cicerone, di Augusto, di Agrippa, di Tiberio, di Vespasiano, di Traiano, si abbiosciò come un fantoccio. Che cosa si potrebbe pretendere da un Parlamento moderno?

Se l'Italia non vuole logorarsi in lunghe e crudelissime guerre civili, deve apprendere a frenare le sue discordie quanto è necessario, e rispettare con lealtà le regole sempre un po' artificiose del gioco legale, su cui riposa il governo rappresentativo; ma falsate le quali, non c'è più governo legittimo. Attenti, dunque, che non ridivampino dalle ceneri le turbolenze civili del Medio Evo e le lotte religiose dell'Ottocento. Non si dimentichi che a precipitarci nei guai presenti poté assai, non solo il delirio rivoluzionario dei socialisti, ma anche un primo risvegliarsi delle antiche gelosie e degli antichi urti fra Cesare e Pietro. Ci pensino i cattolici, ci pensino i liberali, ci pensino gli increduli, ci pensino i fascisti, ci pensino i socialisti; e vedano ciò che devono fare, conoscendo il pericolo e non volendo precipitare in quello, di proposito deliberato, la patria.

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