Copertina
Autore Giovanni Ferretti
CoautoreCiancio, Melchiorre, Sequeri, Peroli, Alici, Ghisalberti, Breierwaltes, Rostagno, Bosco, Semplici, Moretto, Pagano, al.
Titolo Identità cristiana e filosofia
EdizioneRosenberg & Sellier, Torino, 2002 , pag.430, dim. 170x240x27 mm , Isbn 978-88-7011-734-9
CuratoreGiovanni Ferretti
PrefazioneGiovanni Ferretti
LettorePiergiorgio Siena, 2003
Classe filosofia , religione
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Indice

  9 Presentazione
    Giovanni Ferretti

    La questione

 19 Filosofia come ermeneutica dell’esperienza religiosa
    cristiana
    Claudio Ciancio

 37 Tra fede cristiana e filosofia:
    una circolarità ermeneutica
    Virgilio Melchiorre

 59 Identità cristiana e natio fidei.
    Un appello teologico alla ragione
    Pierangelo Sequeri

    Figure storiche

 77 L’essere e il tempo. Filosofia e teologia in Gregorio di
    Nissa
    Enrico Peroli

 97 Agostino e la difficile mediazione della
    doctrina christiana
    Luigi Alici

113 L’aristotelismo critico di Tommaso d’Aquino
    Alessandro Ghisalberti

131 Il rapporto tra filosofia e teologia in Cusano
    Werner Breierwaltes

167 Fede e ragione. Un confronto tra Barth, Lutero e Tommaso
    Sergio Rostagno

187 Esperienza cristiana e "filosofia" in Pascal
    Domenico Bosco

219 Le due circonferenze di Kant e il Maestro del Vangelo
    Stefano Semplici

229 Schleiermacher: dalla filosofia alla dottrina della fede
    Giovanni Moretto

243 Ispirazione cristiana e autonomia del pensiero in Hegel
    Maurizio Pagano

255 Kierkegaard filosofo cristiano
    Umberto Regina

269 Antonio Rosmini e la valenza filosofica dell’evento
    Cristo
    Giuseppe Lorizio

287 V. Solov’ev: verificare la fede dei Padri
    Nynfa Bosco

301 Edith Stein: identità del soggetto e Rivelazione
    Angela Ales Bello

315 Gabriel Marcel e la problematicità del credere
    Franco Riva

329 «Senza filosofia nessuna teologia».
    Identità cristiana e filosofia in Hans Urs von Balthasar
    Ezio Prato

345 Filosofia autonoma e teologia eteronoma?
    Le risposte di Dietrich Bonhoeffer
    Alberto Gallas

    Contributi

361 Nuove prospettive fenomenologico-esistenziali
    Gian Luigi Brena

369 Il Cristianesimo, la ragione filosofica e la sfida
    del postmoderno
    Angelo Gampodonico

377 Relazionalità antropologica e relazionalità teologica
    Santino Gavaciuti

389 Pensare nella fede
    Angelarnaria Isoldi Jacobelli

393 Lo statuto antropologico delle identità umane.
    Una prospettiva dialogico-maieutica
    Roberto Mancini

409 Precomprensione cristiana dell’esistenza.
    Un tema ermeneutico e una questione di sincerità
    Armando Rigobello

423 Per una critica della razionalità ontologica
    Antonio Schiavo

 

 

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Pagina 31

Uno dei punti decisivi su cui si è fondata tanto la lunga tradizione di ostilità della filosofia nei confronti del cristianesimo quanto la convergenza assimilatrice è stata la pretesa inadeguatezza della religione sotto il profilo del sapere, quell’inadeguatezza per cui la religione è stata vista come il luogo della superstizione e delle favole o almeno, nella tradizione idealistica da Hegel fino a Croce e Gentile, come il luogo in cui la verità è espressa in forma ancora inadeguata, adatta alle menti incolte e non filosofiche. La distinzione principale tra cristianesimo e filosofia, che qui si riconosce, è una distinzione di gradi del sapere. Scrive Hegel: "La filosofia si rende esplicita solo in quanto rende esplicita la religione e, rendendosi esplicita, fa esplicita la religione"; ne consegue che «religione e filosofia vengono a coincidere» e la coincidenza è talmente piena che non riguarda solo i contenuti ma anche le funzioni: della filosofia si dice infatti che è «servizio divino».

È chiaro che, se viene assimilato al sapere, il cristianesimo può, nel migliore dei casi (quello dell’idealismo ma non invece quello dell’illuminismo), ottenere un riconoscimento di verità, ma questo a prezzo di una sottomissione al grado più elevato del sapere. In realtà cristianesimo e filosofia non si differenziano solo come sapere rappresentativo e sapere razionale, cosi come non si differenziano come sapere dogmatico e sapere critico, perché il cristianesimo è più che sapere; esso è, in quanto esperienza religiosa, contatto originario con la verità. Devo riprendere qui quanto ho detto sopra a proposito della criticità della filosofia, per precisare che il rafforzamento o almeno la conferma che essa trova nel rapporto di libertà con la verità che il cristianesimo manifesta, è un aspetto insieme della continuità e della discontinuità, della convergenza ma anche della necessaria distinzione di cristianesimo e filosofia. La libertà del rapporto religioso con la verità è anzitutto esperienza dell’adesione e della scelta, adesione e scelta che si compiono nella lotta contro le istanze del rifiuto. L'istanza critica della filosofia è invece anzitutto un atto teoretico di sospensione delle pretese di verità anche della religione, una sospensione che può essere umile e fiduciosa ma è pur sempre sospensione. L’esperienza religiosa è adesione esistenziale alla verità; anche se contrastata, è esperienza della verità. La filosofia nella sua istanza critica compie sempre un passo indietro con il quale, come dice Schelling, si abbandona tutto: «Chi vuole veramente filosofare deve rinunciare a ogni speranza, a ogni desiderio, a ogni nostalgia; non deve voler nulla nè saper nulla, sentirsi del tutto povero e nudo».

Perció non si può propriamente istituire una comparazione tra filosofia e cristianesimo, come avverrebbe se fossero saperi di forme e di gradi diversi. E infatti a seconda del punto di vista da cui sono compresi si rivelano di volta in volta superiori o inferiori. La religione è più originaria e più ricca di contenuto ed è più che un sapere, è un’adesione, un contatto originario con la verità, ma paga questa superiorità in termini di minore consapevolezza critica e chiarezza; al contrario la filosofia paga la sua maggiore consapevolezza, criticità e analiticità con un certo impoverimento dei contenuti e una difficoltà ad abbracciarli unitariamente, che consegue ad un distanziamento dall’esperienza.

Pensare il rapporto fra filosofia e cristianesimo come rapporto tra sapere superiore e sapere inferiore impedisce dunque di riconoscere la loro distinzione. In questo modo non vi è incontro autentico e rapporto fecondo, perché si finisce per affermare la superiorità della filosofia: l’unità e la continuità di cristianesimo e filosofia viene affermata a prezzo dell’autonomia del cristianesimo. E nemmeno si ha un rapporto fecondo, quando vengono considerati come saperi diversi (provenienti cioè da due diverse fonti della verità, la ragione e la rivelazione), tra i quali si può stabilire tutt’al più una non contraddizione e persino un’integrazione, ma in fondo una reciproca estraneità.

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Pagina 97

Agostino e la difficile mediazione della doctrina christiana

Luigi Alici (Università di Macerata)


1. Fede e ricerca

Interrogandosi sugli esiti della separazione di teologia e filosofia che continuano a pesare sull’etica contemporanea, John Rist li ha recentemente ricollegati ad un doppio processo di decantazione formale: da un lato la ricerca filosofica ha privilegiato il paradigma metodologico della coerenza interna del discorso, dall’altro lo spessore teologico della rivelazione cristiana si è sempre più assottigliato, riducendosi progressivamente dalla traditio alla sola Scriptura, dalla fede in Cristo alla fede nell’uomo e nei suoi ideali. L’esito estremo di questo processo induce oggi, secondo Rist, a riconsiderare il rapporto tra teologia e filosofia, evitando di ridurlo ad una vuota separazione metodologica: come Agostino ci ha insegnato, infatti, la teologia è «una forma avanzata di filosofia», che può mettere a disposizione dell’uomo un quadro esplicativo molto più ricco, anche se affidandolo alla fede e alla speranza, oltre che alla conoscenza. E tipico della tradizione patristica, e del modello agostiniano in particolare, il pensare che le difficoltà insuperabili incontrate dai filosofi pagani fossero quindi dovute più ad un insuperabile deficit di dati conoscitivi disponibili, che a problemi tecnici di logica del discorso filosofico.

È un passaggio obbligato, per chiunque cerchi di riflettere intorno al rapporto tra identità cristiana e filosofia, interpellare la complessa eredità del paradigma agostiniano, a partire da un’ermeneutica del celebre

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Pagina 113

L’aristotelismo critico di Tommaso d’Aquino

Alessandro Ghisalberti (Università Cattolica, Milano)


I. Tipologie storiografiche dell'aristotelismo scolastico

Ancora oggi, sia nella letteratura manualistica, sia nella storiografia filosofica non specialistica, ottiene ampio consenso il quadro dell’aristotelismo medievale magistralmente delineato da Bruno Nardi mezzo secolo fa. Nardi distingueva allora tre correnti principali della trasmissione dell'opera di Aristotele nell’Occidente latino medievale:

1) un aristotelismo agostinizzante e «avicennizante», condizionato da suggestioni platoniche, il cui contributo originale consisterebbe anzitutto nello sforzo di superare, grazie alla nozione ebraico-arabo-cristiana di «creazione», la concezione greca di "materia prima", riconducendola al rapporto di genere e specie (laddove il «genere», vale a dire la materia, sarebbe comunque una forma corporeitatis indefinita e totipotenziale);

2) un aristotelismo averroistico, ben esemplificato dalle parole di Alberto Magno: «Theologica non conveniunt cum physicis principiis», fautrici di una preliminare separazione di ambito e di metodo tra l’indagine naturale e la speculazione teologica;

3) infine l’aristotelismo tomistico, impegnato in un’esegesi concordista, nella quale trovassero posto le specifiche esigenze del dogma cristiano e la costruzione filosofico-scientifica che sorregge la cosmologia aristotelica.

In contrasto con le ultime due tendenze, ma a ben vedere soprattutto in netta divergenza dalla linea concordista che appariva la più compromettente per la purezza della fede cristiana, i pensatori francescani medievali avevano cercato di battere un’altra strada, rivendicando: a) l’intelligibilità del singolo esistente in quanto singolo, b) l'onnipotenza divina e la radicale contingenza di tutte le cose, c) la dottrina fisica dell'impetus, che "modifica sostanzialmente il concetto aristotelico del movimento"

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Pagina 219

Le due circonferenze di Kant e il Maestro del Vangelo

Stefano Semplici (Università di Roma, Tor Vergata)


I. Nel celebre modello kantiano delle due circonferenze concentriche, proposto nella prefazione alla seconda edizione della Religione entro i limiti della sola ragione, il riconoscimento della fede come «sfera più vasta», che contiene al suo interno la pura religione razionale come "sfera più ristretta", tende il rapporto fra le due dimensioni nel senso di una compatibilità ad un tempo dichiarata e sottratta. Dichiarata, perché dall’esplicito rifiuto di considerare i due ambiti come reciprocamente esteriori sembra dover conseguire, con l’identità del centro, quella di un nucleo sufficientemente ampio di verità. Eppure sottratta, o perlomeno fortemente asimmetrica, visto che l’autonomia dell’elemento «storico» della rivelazione viene subito illuministicamente subordinata, senza diritto di replica, al monologo del «filosofo studioso di religione», giudice unico dell’unione fra le due sfere o almeno del tentativo di essa. Siamo cioè molto lontani, per non abbandonare le analogie della geometria, dall’immagine dell’ellissi che sarà di Friedrich Schlegel, con un centro nell’autonomia della ragione e l’altro nell’idea dell’universo, cosicché la filosofia si incontra con la religione riconoscendone e rispettandone il ruolo produttivo rispetto a tutto ciò che in essa stessa è «più che scienza». Ma siamo anche, così almeno appare a prima vista, in una posizione metodologica che colloca pregiudizialmente oltre il limite della ragione e del suo interesse, oltre che della sua competenza, ciò che costituisce il contenuto fondamentale e caratterizzante della fede appunto cristiana: non la consapevolezza «anonima» di una comunicazione di senso fra Dio e uomo "sotto forma di offerta alla libertà", bensì l'esplicita confessione di Gesù come il Cristo, nella dimensione della storicità piena di quest'unica autocomunicazione di Dio agli uomini.

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Pagina 243

Ispirazione cristiana e autonomia del pensiero in Hegel

Maurizio Pagano (Università di Trieste)


I. Il confronto con il cristianesimo dagli scritti giovanili alla Fenomenologia

Hegel va certamente annoverato tra quei pensatori, per i quali la domanda intorno alla loro identità cristiana, e al modo in cui questa si manifesta eventualmente nella loro filosofia, è oggetto di disputa. Egli rappresenta anzi un caso emblematico e quasi clamoroso in questo senso: com’è noto, già poco tempo dopo la sua morte la scuola da lui fondata si divise radicalmente, proprio sul tema del rapporto tra la sua filosofia e la religione cristiana. E anche le lunghe e sempre più accurate ricerche della Hegelforschung non sono pervenute a dirimere la questione, tanto che tra gli interpreti più autorevoli di oggi sarebbe facile trovare sia chi si dichiara espressamente per l’interpretazione della destra hegeliana, come Michael Theunissen, sia chi opta invece per la prospettiva della sinistra, come Walter Jaeschke.

In compenso si può osservare che la domanda intorno al senso e alla verità della religione cristiana è ben viva e presente nella mente dello stesso Hegel, e attraversa tutto il corso della sua riflessione. Essa ottiene risposte diverse nelle varie tappe del suo cammino, e certo v’è una grande distanza tra le espressioni duramente critiche degli appunti giovanili del periodo di Tubinga e di Berna, e la valutazione assai più pacata e favorevole della Filosofia della religione matura; ma ciò che mi preme sottolineare fin dall’inizio, è che Hegel non ha mai smesso di interrogarsi su questo tema, per lui veramente centrale, e sul rapporto del cristianesimo con la sua filosofia. E questo viene anche incontro al modo in cui noi ci accostiamo a lui con le nostre domande: perché una ricerca come la nostra deve certo chiedersi se si può ravvisare un’identità cristiana nel pensatore preso in esame, ma poi deve soprattutto domandarsi come questa sì manifesta, come gioca nel pensare i contenuti, cristiani o «mondani», della sua riflessione e come si esplica nella sua concezione della filosofia.

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