Copertina
Autore Massimo Fini
CoautoreEduardo Fiorillo, Francesca Roveda
Titolo Massimo Fini è Cyrano
Sottotitolocontro tutti i luoghi comuni
EdizioneMarsilio, Venezia, 2005, Gli specchi , pag. 112, ill., cop.fle., dim. 135x212x10 mm , Isbn 978-88-317-8691-1
LettoreRiccardo Terzi, 2005
Classe politica , teatro italiano
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Pagina 5

BACKSTAGE



Mai nella mia vita avrei pensato di fare l'attore. Perché non ci sono proprio tagliato. L'attore è, pirandellianamente, "uno, nessuno, centomila", è poliedrico, io, ahimè, sono sempre, orribilmente, solo me stesso. Non sono duttile. È uno dei miei limiti più gravi. O forse, chissà, la mia forza.

Tutto è nato, come forse qualche lettore sa, da una censura televisiva. Nell'estate del 2003 Eduardo Fiorillo, giovane produttore e regista, fondatore e comproprietario di Match Music, la prima televisione digitale musicale italiana, un po' stufo di occuparsi da nove anni delle stesse cose, di cantanti e soubrettine, aveva pensato di allargare i suoi orizzonti e di proporre a Rai Due un format che aveva chiamato Cyrano. Si trattava di una trasmissione di costume, con servizi e brevi inchieste, una conduttrice, bella, brava e sperimentata, Francesca Roveda in arte Cheyenne, un personaggio "borderline" da mettere in una gabbia virtuale e da sollecitare a raccontarsi senza freni e senza inibizioni e un commentatore, Cyrano, che avrebbe avuto il compito di tirare un po' le fila e di osservare i temi ogni volta proposti, si trattasse della vecchiaia, della morte o del narcisismo, da un'angolazione particolare, con uno sguardo fuori fuoco rispetto al sentire comune. Un personaggio un po' stralunato, isolato, ma dal fioretto acuminato e pungente come il Cyrano di Rostand o quello di Guccini. Fiorillo ebbe la malaugurata idea di pensare a me come Cyrano, senza sospettare in che guai si andava a cacciare. Io infatti non ho mai lavorato per la Tv, non sono nemmeno mai stato invitato da Vespa ma neanche da Santoro. La ragione c'è ed è semplice: non sono irregimentato, non faccio parte né della squadra di destra né di quella di sinistra, non sono infeudato in alcun partito e si sa che in Rai vige il più rigoroso "manuale Cencelli" e non ci lavora neanche un usciere che non sia targato. In quanto alla Fininvest sono un antiberlusconiano antelitteram, da quando il Cavaliere prese la presidenza del Milan e, con quella inaugurazione all'Arena, con elicotteri e sfilata di majorettes, cantanti, saltimbanchi, cocottes, diede a vedere di voler trasformare il calcio, questa grande festa nazionalpopolare, in uno spettacolino televisivo e quindi distruggerlo, come poi ha fatto.

Comunque Fiorillo propose il suo Cyrano al direttore di Rai Due, Antonio Marano, con cui aveva buoni rapporti, che lo accettò in toto senza fare obiezioni sul mio nome. Nemmeno Marano, un po' sprovveduto come sono spesso i leghisti, sapeva che stava entrando in un terreno minato. A lui il Cyrano, sia pure in terza serata (saremmo andati in onda intorno all'una di notte), serviva per poter controbattere a chi accusava Rai Due di puntare solo sulle "Isole dei famosi", sulle Panicucci, sul kitsch più spericolato.

Firmammo i contratti e cominciammo a provare negli studi Rai di corso Sempione a Milano. Il programma fu annunciato dall'ufficio stampa Rai con una certa enfasi e anche i giornali ne parlarono. Insomma, s'era creata una certa attesa. Ma una sera – avevamo appena finito di registrare la prima puntata, ma non l'avevamo ancora montata e nessuno aveva potuto vederla – Fiorillo ricevette una telefonata da Roma. Era Marano: «Ci sono dei problemi su Fini. Un veto. Naturalmente puoi fare lo stesso il programma, ma devi togliere di mezzo Fini.» Fiorillo ammutolì. Poi si riprese: «Io questo non posso e non voglio farlo, Cyrano è tarato su di lui.»

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ATTO I
HOMO DEMOCRATICUS



Scenografia: stanza in stile gotico.


Cyrano attraversa il palco per posizionarsi di fronte allo specchio, dietro al quale stanno gli attori.

CYRANO Quando scrivo, quando parlo, quando vivo, vedo i miei pensieri (guarda, per un attimo, lo specchio) distaccarsi, in qualche modo, da me e posarsi in altre menti, prendere forma in altri corpi, maschere a volte capricciose o bizzarre, e, proprio grazie a questa distanza, ciò che i francesi chiamano

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Pagina 56

[...] Diciamo più semplicemente che gli individualismi di massa sono patetici e che quella per gli status symbol è una lotta fra disperati.

(Cyrano si siede sullo sgabello posizionato in proscenio)

Prendiamo, per esempio, un abitante di Milano Due o di altri quartieri similari, quartieri ricchi, che la mattina, quando si alza e apre le finestre, vede ventimila o trentamila individui identici, che abitano in palazzi ricchi ma identici, con le stesse macchine tendenzialmente lussuose, gli stessi vestiti cioè griffati, gli stessi gadget, le stesse facce, perché alla lunga si finisce anche per assomigliarsi. E allora, sto a Milano Due, c'ho giù il verde, il famoso o famigerato verde che i bambini non possono nemmeno toccare, e, perdio, ci porto perlomeno il cane a pisciare. Ma non un cane normale – mai visto un bastardino a Milano Due, giuro. Li cacciano a fucilate i guardiani, dalle garritte, mandandoli verso Segrate, il quartiere povero e sfigato. Del resto non fanno nemmeno i funerali, a Milano Due. Non starebbero bene in mezzo al verde, ai campi da tennis, al laghetto con le ochette, allo Skorpion, agli uffici della Fininvest. E allora tengono i morti nascosti per qualche ora in una chiesa, che sembra una gelateria con le sue sedie in plexiglas e poi, nottetempo, li trafugano a Segrate -, dicevo: non, Dio guardi, un cane normale, ma un gigantesco sanbernardo, un labrador, un alano, un husky polare, un levriere dai nobili lombi di sesta generazione... Ma ecco che, poco dopo, sul verde, anche l'odiato vicino ha il suo levriere e bisogna ricominciare tutto da capo.

E allora, per uscire dall'anonimato di massa, per conquistarsi un'identità, sia pur fittizia, perché quasi mai corrisponde alla nostra verità interiore, non resta che il successo, quello vero. Il successo pubblico e conclamato, di ricchezza e di popolarità, non importa in che modo acquisito.

Perché è indubbio che un uomo senza successo è oggi un uomo senza identità.

Così, almeno, viene percepito dagli altri e finisce per sentirsi egli stesso.

(Nel frattempo gli attori/ballerini si sono posizionati sul fondo del palco, pronti a sfilare avanti e indietro, con un sottofondo musicale, come modelli sulla passerella. Passano davanti a Cyrano che si è alzato dallo sgabello. Sullo schermo immagini di status symbol e di sfilate)

In una società che ha elevato la ricchezza a unico valore, un valore divenuto quasi religioso attraverso il protestantesimo, di cui i neocon americani sono l'ultima incarnazione, non si può più essere poveri e felici, come, in fondo, era ancora possibile nell'Italia povera degli anni Cinquanta.

Non si può nemmeno essere poveri ma felici (Poveri ma belli, qualcuno ricorderà), anche quel ma congiunzione avversativa che già di per sé la dice lunga su tutta una mentalità, è stato abbattuto. Semplicemente: chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma.

L'ultima frase Cyrano la pronuncia avvicinandosi a Rossana che si alza, presto raggiunta dagli altri attori. Cyrano si siede allo scrittoio.

ROSSANA Chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma...

ATTORI Chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma...

Chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma...

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CYRANO Pietosi verso noi stessi, spietati con gli altri.

Ciechi agli altri.

Pretendevamo che la squadra di calcio irachena alle Olimpiadi di Atene portasse il lutto al braccio per la morte di Baldoni e non ci rendevamo conto, in buona fede, credo, non ci rendevamo conto – ed è questo che è inquietante – che quello stesso giorno le truppe occidentali avevano ucciso un centinaio di civili, fra cui donne e bambini. E così il giorno prima e quello prima ancora, da un anno e mezzo. Quando nei talk show televisivi o radiofonici, finché ci sono andato, dicevo che nella prima guerra del Golfo le "bombe intelligenti" e i "missili chirurgici" avevano ucciso 32.195 bambini iracheni, che non sono meno bambini dei nostri, mi aspettavo una reazione da parte dei miei interlocutori, che mi dicessero che era una provocazione, che mentivo, che non era vero, che non poteva essere vero. Ma questo non lo potevano fare perché sono dati del Pentagono e quindi al di sopra di ogni sospetto. Mi attendevo allora grida di sdegno, di raccapriccio, di orrore. E invece niente. Silenzio. Si glissava e si passava rapidamente a parlare di Berlusconi, di Rutelli, di Fini, di Follini, di Prodi o di altre nullità della politica e della vita.

Non credo che si tratti sempre di indifferenza. È anche passività. Una passività che ho riscontrato, a volte, poche per fortuna, anche qui a teatro, soprattutto nelle grandi città. Il pubblico ascolta con attenzione, applaude educatamente quando cala il sipario ma rimane, per così dire, inerte. Forse siamo troppo abituati alla televisione, dove non è possibile interagire. Ma qui è un'altra cosa, siamo a teatro. Noi siamo qui con i nostri corpi vivi (almeno per il momento) e i nostri pensieri e voi siete lì, con i vostri corpi e i vostri pensieri. Se diciamo delle cose che non vi convincono fatecelo sentire. Noi non siamo qui a fare Goldoni, Racine, Corneille, Metastasio, autori degnissimi, per carità. Noi siamo qui a parlare della nostra vita e della vostra vita. Vabbe'. Sipario!

Sipario.

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