Copertina
Autore Ted C. Fishman
Titolo È un pianeta per vecchi
EdizioneNuovi Mondi, Modena, 2010, , pag. 512, cop.fle., dim. 14x21x3,3 cm , Isbn 978-88-8909-179-1
OriginaleShock of Gray [2010]
TraduttoreChiara Mattioli
LettoreLuca Vita, 2011
Classe salute , medicina , storia sociale , antropologia , beni comuni
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Indice


   Ringraziamenti                                           9

   Introduzione: Il nuovo mondo grigio                     19

1  Saluti dalla Florida, la sala d'aspetto di Dio          41

2  Breve storia della longevità                            99

3  La Spagna scopre l'invecchiamento                      117

4  Invecchiare, un processo inevitabile e continuo        171

5  Il Giappone, il paese del figlio mancante              203

6  Ingannare la morte, una molecola alla volta            259

7  I mutevoli destini della capitale
   della vite: Rockford, Illinois                         287

8  Vulnerabili, preziosi, fragili, gentili,
   fastidiosi, dolci, dispendiosi, saggi, solitari
   e inutili: come giudichiamo gli anziani?               365

9  La Cina riuscirà ad arricchirsi prima di invecchiare?  395

10 Generazioni a tavola                                   453

   Note                                                   481


 

 

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Pagina 19

Introduzione
Il nuovo mondo grigio



A ottant'anni mia madre balla ancora ai concerti della cover band dei Led Zeppelin in cui suonano i suoi nipoti, nuota nel freddo pungente delle acque del lago Michigan, cammina tra i pinguini in Patagonia e si infila gli sci da fondo alla prima nevicata abbondante. Il mio defunto padre, al contrario, toccò l'apice del suo successo creativo e professionale poco dopo aver raggiunto la sessantina, ma a sessantatré anni fu colpito duramente da una serie di problemi di salute. Seguirono quindici anni di crudele declino fisico che lo resero cieco, paralizzato, lento nell'esprimersi e completamente dipendente dagli altri. Il fatto che mio padre non abbia mai perso né il suo senso dell'umorismo né la sua gentilezza né la capacità di godersi le gioie della vita ai miei occhi ha sempre avuto un che di eroico.

Le diverse esperienze vissute dai miei genitori ben rappresentano quanto sta accadendo a milioni di americani e a una larga parte della popolazione mondiale. Il mondo incanutisce. Non sta semplicemente diventando un po' più vecchio, bensì vecchio, in senso assoluto. Superati i sessant'anni ci attende un destino comune, all'insegna di un concatenarsi di eventi capaci di alterare le nostre esistenze. Può trattarsi del "nido" familiare ormai vuoto, della fine della vita professionale o di un suo mutamento, della malattia o della morte del coniuge, degli amici o dei parenti, del declino fisico e mentale, della parabola discendente imboccata in ambito sia familiare sia sociale in termini di status e potere personale o della minore disponibilità finanziaria. Con il progressivo ridursi degli anni che restano da vivere, è il nostro stesso rapporto con il tempo e l'eternità a cambiare.

E tuttavia si assiste anche allo spalancarsi di nuovi mondi. Aumenta il tempo da dedicare a se stessi, la propria cerchia di amici e conoscenti può allargarsi e si possono sviluppare nuove passioni. Liberi dagli assillanti impegni familiari e professionali, gli anziani possono avere la piacevole sensazione di un ritorno alla giovinezza. Capita così di vedere persone che ci aspetteremmo decrepite e malate ballare sulle note di una cover band dei Led Zeppelin. 0 addirittura suonare nel gruppo.

Nel frattempo, un mondo che comprende bene in che modo i giovani sviluppano la propria vita sociale e professionale comincia a rendersi conto soltanto ora dell'impatto che potrà avere una popolazione anziana sempre più numerosa. Molti anziani, come mia madre, resteranno in salute e pieni di energia, ma tanti altri, al pari di mio padre, dovranno fare appello a risorse straordinarie per sopravvivere giorno dopo giorno. Già adesso sono evidenti gli effetti dell'invecchiamento della popolazione mondiale a livello economico, politico, culturale e familiare e questa tendenza è destinata ad accentuarsi. Alcuni di questi mutamenti saranno accolti favorevolmente, altri no. Alcune persone ne trarranno beneficio, altre ne saranno danneggiate. Sono ovviamente in gioco il denaro e il potere, oltre al benessere di milioni di anziani che hanno lavorato, amato e vissuto pienamente tutto ciò che la vita ha da offrire. In gioco, però, c'è anche il futuro dei giovani, dal momento che hanno bisogno delle stesse risorse necessarie agli anziani e perché, in definitiva, saranno soprattutto i giovani nel loro ruolo di familiari, amici e cittadini a farsi carico degli anziani nella prospettiva di un mondo sempre più vecchio. E nella prospettiva della vecchiaia che li aspetta.

Piccoli o grandi, i segni del mutamento in atto sono sotto i no stri occhi: basta volerli vedere. Facciamo qualche esempio:


• In un locale pieno di telefoni e monitor a schermo piatto, dove il personale è attivo ventiquattro ore su ventiquattro, le chiamate iniziano ad arrivare verso le nove del mattino. È quello il momento in cui gli oltre sei milioni di anziani clienti di Philips Lifeline iniziano generalmente la loro giornata. Il servizio permette ai clienti di avvertire la società nel caso accada loro qualcosa. Il mattino è pieno di potenziali pericoli. L'età media della clientela è di ottantadue anni, ma del servizio si avvalgono anche migliaia di centenari. Nella stragrande maggioranza si tratta di donne, come si può facilmente intuire tenendo conto delle maggiori aspettative di vita della popolazione femminile. Ogni mattino milioni di clienti Lifeline fanno la doccia per poi uscirne poggiando i piedi su piastrelle scivolose, quindi si dirigono in cucina dove li attendono fuoco, coltelli, armadi alti, tappetini e pavimenti in legno, tutte minacce potenzialmente mortali. Nel caso in cui i clienti scivolino e cadano, o una delle maniche del loro vestito prenda fuoco, o qualora l'ansia e la paura abbiano il sopravvento a inizio giornata, i dispositivi che portano al collo o al polso consentono loro di inviare segnali, a volte in modo automatico, al call center Lifeline. A metà di una bella mattinata di autunno, Lifeline ha già gestito approssimativamente 700.000 chiamate. Un display a parete visualizza il conteggio. Non di rado è capitato che un cliente sia morto mentre era in linea. Un operatore prende una telefonata della signora Jones che chiama da Columbia, Missouri. "È caduta? Da quale altezza? È successo mentre era in piedi o a letto? Quindi non si è fatta male, ha solo bisogno di aiuto per rialzarsi? Provvedo subito." Pochi anni fa un'operatrice Lifeline di nome Lisa si guadagnò un'improvvisa notorietà al telegiornale della sera dopo che l'ottantenne Ana, cadendo nel bagno, ruppe la porta in vetro della cabina doccia restando bloccata a terra sotto la minaccia di una potenziale ghigliottina di vetro precariamente sospesa proprio sopra di lei. Ana aveva premuto il pulsante presente sul ciondolo che portava al collo, allertando in questo modo un vicino e facendo sì che una squadra Lifeline giungesse a salvarla. Ma, proprio come una diretta tv su una battaglia non è in grado di fornirci molte informazioni su un conflitto di lunga durata, così gli stralci di cronaca riguardanti il mondo della terza età non riescono a fornirne un quadro complessivo. Il frenetico centro operativo di Lifeline, con i suoi telefoni e i grandi monitor LCD, ci consente di gettare uno sguardo più ampio sulla situazione.

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Pagina 28

• 120 studenti giovani e brillanti si sono iscritti al nuovo corso di "Longevità" organizzato presso l'Università di Stanford. Questo insegnamento interdisciplinare della durata di un semestre esplora le ripercussioni che una vita più lunga comporta sia a livello sociale che individuale. Tra gli argomenti figurano la morte, l'invecchiamento e l'ingegneria (Stanford si trova nel cuore della Silicon Valley), oltre all'incidenza economica della spesa destinata all'assistenza sanitaria. Si tratta di un corso organizzato in sessioni di gruppo guidate da uno psicologo e da un neurologo che prevede anche lezioni tenute da attivisti ed esperti di mercati finanziari, di politiche familiari e del lavoro nonché dall'ex-amministratore delegato di una delle principali compagnie assicurative a livello mondiale. La lezione fondamentale è: una maggiore durata della vita influisce praticamente su qualsiasi attività umana. Gli iscritti, tra cui figurano alcuni dei migliori e più brillanti studenti d'America, sono entusiasti del corso non soltanto per il fascino che esercitano gli argomenti trattati, ma perché questi studi li renderanno capaci, a differenza della gran parte dei loro coetanei, di riconoscere il nuovo mondo ingrigito che si profila all'orizzonte.

• Jurga, oggi sessantenne, insegnava letteratura russa in un liceo della Lituania prima della caduta del blocco sovietico. I classici russi erano la sua vita e la sua passione. "La letteratura è talmente ricca e meravigliosa", afferma. "La letteratura russa offre una via di fuga dalla vita." La vita ai tempi del regime sovietico, però, non le dispiaceva affatto. Jurga si recava di frequente in Russia approfittando delle vacanze pagate dallo stato e dei seminari che le offrivano l'occasione di incontrare altre persone completamente assorbite da Puskin, Tolstoj e Dostoevskij. Quando i dignitari della Russia sovietica visitavano Vilnius, era lei a far loro da guida. Tutto ciò terminò con il collasso dell'URSS. I lituani persero ogni interesse per la cultura russa, riscoprendo al tempo stesso la propria cultura nazionale e l'inglese come lingua globale. "Tutti i giovani lituani volevano andarsene dal paese e trovare impieghi migliori in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti", racconta Jurga. "Tutte le scuole abbandonarono lo studio della lingua russa." Avendo perso ogni speranza di trovare un lavoro nel proprio paese, Jurga giunse in America con un visto turistico alla fine degli anni '90, all'età di cinquantacinque anni. L'unico lavoro da lei svolto sin dal suo arrivo è stato la cura a domicilio dei malati di Alzheimer soli. Si trasferisce in casa dei pazienti offrendo in cambio assistenza e piatti tipici della cucina casalinga lituana e, nel corso del tempo, osserva i suoi assistiti peggiorare e morire. Attualmente Jurga si prende cura di un uomo la cui unica parente è una sorella anziana, lavorando 91 ore a settimana. Le giornate trascorrono per lo più immerse in un silenzio interrotto solo dai dialoghi infantili che scambia con i suoi assistiti. Jurga tiene sempre vicino a sé i suoi libri preferiti, ma ha notato che quando sono agitati i suoi pazienti si calmano rivedendo gli episodi di Seinfeld o le commedie e i musical di altri tempi. "Ci alziamo, balliamo, ridiamo e cerchiamo di essere felici", dice. Da quando si occupa del suo attuale paziente, Jurga ha guardato oltre cinquanta volte Tony Curtis, Jack Lemmon e Marilyn Monroe folleggiare e scaldare gli animi in A qualcuno piace caldo.

• Nella piazza principale di un paesino del Galles, nei pressi di antiche chiese di pietra, un gruppo di operai polacchi siede a un tavolo sorseggiando caffè e leggendo le ultime notizie sportive sul Dziennik Polski, il quotidiano londinese destinato al mezzo milione di immigrati polacchi presenti in Gran Bretagna. Un'insegnante di storia di un liceo locale seduta al tavolo accanto si sporge verso il polacco più vicino per chiedergli da quanto tempo tutti loro si trovino in Galles. "Da oltre due anni", risponde uno. "Lavoriamo tutti nell'edilizia. Io sono il capo. Oggi abbiamo deciso di fare un giro da Llanelli per vedere qualcosa di nuovo." Da quando l'adesione all'Unione Europea ha consentito ai polacchi di entrare liberamente in Gran Bretagna, la città gallese di Llanelli ha attratto una comunità di 40.000 persone provenienti dalla Polonia. Sebbene alcuni di loro siano rientrati in patria quando il lavoro ha iniziato a scarseggiare, la maggior parte non vede grandi prospettive nel ritorno al proprio paese originario e prova a rimanere. A parità di mansioni, in Inghilterra la retribuzione è dieci volte maggiore rispetto alla Polonia, perciò anche un paio di mesi di lavoro all'estero rappresentano un'esperienza redditizia. L'insegnante chiede all'uomo se intende restare in Galles. "No. Ho intenzione di acquistare una casa mia in Polonia, sistemarla e affittarla. Ma, al momento, nel mio paese non c'è nessuno in grado di farlo: tutti gli idraulici, elettricisti e carpentieri si sono spostati in Europa occidentale o in America. Non ci sono più giovani da nessuna parte. In Polonia sei costretto ad assumere personale proveniente dalla Bielorussia o dall'Ucraina. E se vai a Kiev, in Ucraina, non troverai gente del posto perché sono tutti in Polonia. Lì sei costretto ad assumere operai provenienti dal Kazakistan o dalla Georgia."

• Seduto fra il pubblico del Kabuki-za di Tokyo, il grande teatro che è anche il cuore della più celebre arte drammatica giapponese, un giovane direttore d'orchestra americano, Will C. White, osserva un numero vecchio di 220 anni intitolato La ragazza che torna da scuola (Tenaraiko). La parte della ragazza è interpretata da un attore dalla corporatura minuta e il viso luminoso ed espressivo, che indossa un lungo kimono i cui colori e simboli rappresentano la giovinezza e una parrucca nera tradizionale adorna di fiori. "La ragazza", spiega White, "sta tornando a casa da scuola. Porta con sé i fogli e un ombrello, cammina sola e spensierata sinché, a un tratto, viene distratta da alcune farfalle. Inizia allora a inseguirle, rapita da questo momentaneo piacere. Poi si mette a scrivere poesie d'amore su ritagli di carta che lascia trasportare dalla brezza e comincia a danzare. La ragazza è una bambina che ama giocare ma, al tempo stesso, appare equilibrata e leggiadra. Dentro di sé, chiunque sa che il Kabuki è interpretato soltanto da attori maschi, ma questo ragazzo era una ragazzina perfetta e, buon Dio, assolutamente convincente". L'amico giapponese di White si sporge verso di lui a metà dell'esibizione e gli sussurra: "Quell'uomo ha ottantuno anni". Il ruolo della ragazzina è infatti interpretato da un mito vivente del Giappone, Nakamura Shikan VII, erede di una lunga dinastia di leggendari attori di Kabuki, che ha iniziato a esibirsi sul palcoscenico nel 1933 all'età di cinque anni.

• Nel marzo 2010, la signora Ida Ruth Hayes Greene del New Jersey ha ottenuto il diploma di maturità giusto un mese prima del suo novantanovesimo compleanno, divenendo così la più anziana cittadina dello stato a diplomarsi. Jay Leno ha commentato il risultato ottenuto dalla donna nel corso del suo talk show notturno, aggiungendo: "Su consiglio del suo consulente scolastico, la signora frequenterà un biennio al college".


Che fine hanno fatto i bambini?

Quelli citati sono solo alcuni esempi dei molti modi in cui il mondo sta cambiando grazie al più grande dei doni che l'umanità ha fatto a se stessa: la scienza della longevità. Ma l'altra faccia della medaglia sta nella riduzione del nucleo familiare. Difficilmente lo si nota, per quanto l'evidenza sia sotto i nostri occhi. Se vivete in Nord America, Estremo Oriente e in quasi tutti i paesi d'Europa, la più diretta delle prove probabilmente siede alla vostra tavola. Basta contare. Qualora apparteniate a una famiglia numerosa e allargata, aspettate la prima occasione in cui un buon numero di familiari si riunirà. Cominciate osservando i commensali più anziani: forse si tratta dei nonni, o dei bisnonni, o di qualche prozia e prozio. Vi sono ottime possibilità che questi parenti anziani abbiano vissuto ben più a lungo dei loro genitori. Contate ora quanti bambini vi sono per ogni persona adulta: quasi inevitabilmente il rapporto si riduce generazione dopo generazione.

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Duecento miliardi di anni guadagnati nell'arco di una sola generazione

Pare che l'aspettativa di vita ai tempi dei romani si aggirasse sui venticinque anni. Nel 1900 sfiorava appena i trent'anni. Cifre tanto basse erano dovute soprattutto all'elevato tasso di mortalità infantile. Chi riusciva a sopravvivere a questa pericolosa prima fase dell'esistenza non di rado arrivava alla mezza età. E tuttavia, nell'arco di gran parte della storia umana, erano in pochissimi a superare i quarantacinque anni. Oggi, considerata globalmente, l'aspettativa di vita alla nascita raggiunge mediamente i sessantaquattro anni.

Sommando tutti gli anni guadagnati grazie a questo sensibile allungamento della vita umana e moltiplicandoli per l'attuale popolazione del pianeta, la portata di un simile miracolo si presenta in tutta la sua enormità. Gli attuali 6,7 miliardi di abitanti della Terra oggi hanno a disposizione oltre 250 miliardi di anni in più rispetto a un secolo fa e 280 miliardi di anni rispetto alla Roma dei Cesari.

Il futuro della generazione del baby boom statunitense riesce in parte a rendere l'idea di quel che ci aspetta. A partire dal 2026, quando saranno ottantenni o novantenni, i figli del boom andranno a costituire il più numeroso gruppo di anziani mai esistito nella storia del paese. Questo gruppo sarà tanto numeroso non soltanto per il gran numero di nascite registrate in quel periodo di boom demografico, ma anche perché gli appartenenti a questa generazione vivranno molto più a lungo rispetto ai loro genitori e antenati. Negli Stati Uniti del 1900, l'aspettativa media di vita alla nascita si fermava a quarantanove anni e tre mesi, ma nel 2000 aveva raggiunto i settantasei anni e dieci mesi. Nel corso del XX secolo, l'aspettativa di vita è aumentata a un ritmo compreso fra gli 1,5 e i 2,7 anni per decennio. Il crollo della mortalità infantile ha inciso sensibilmente, ma non può essere considerato l'unico fattore. Considerando una qualsiasi fascia di età, si nota anche un aumento della probabilità che un individuo abbia davanti a sé una vita più lunga. Sia i ventenni sia gli ottantenni di oggi possono aspettarsi di vivere più a lungo dei loro coetanei del passato.

Il governo statunitense non si limita a registrare la generica aspettativa di vita, ma anche ad analizzarla in riferimento alle diverse fasce d'età. Dai risultati emergono i sorprendenti progressi compiuti per prolungare l'esistenza. Nel 1880, solo un sessantacinquenne su sedici poteva ragionevolmente pensare di ritrovarsi ottantacinquenne nel 1900. Un secolo dopo, nel 1980, oltre un sessantacinquenne su tre poteva legittimamente sperare di festeggiare i suoi ottantacinque anni nel 2000. Nell'arco di un secolo, dunque, le possibilità di non morire fra i sessantacinque e gli ottantacinque anni sono più che quintuplicate.

Quando, nel 2050, la popolazione mondiale supererà i 9,1 miliardi di individui l'aspettativa di vita probabilmente sarà ancora aumentata. Se questa tendenza alla crescita continuerà nel secolo in corso con lo stesso ritmo evidenziato in quello appena conclusosi, la popolazione mondiale nel 2050 avrà vissuto circa 500 miliardi di anni in più rispetto alla generazione nata nel 1900. L'esperienza umana, nel suo complesso già trasformata, conoscerà ulteriori cambiamenti.

Il futuro ritoccherà le cifre ma, anche supponendo che queste si riducano della metà, ci saranno comunque centinaia di miliardi di anni di vita in più per coloro che nasceranno nei prossimi due secoli. La conclusione è sempre la stessa: un mondo più vecchio si traduce complessivamente in centinaia di miliardi di anni di vita umana a carico del pianeta.

E, nel pianificare vite sempre più lunghe, riusciremo anche a riempire di gioia e vitalità tutti questi anni in più a nostra disposizione? Sapremo mantenere operose le persone più anziane, senza condannarle all'inattività? Sapremo modificare il mondo per consentire loro di partecipare più a lungo alla vita sociale senza dipendere dagli altri? Chi si farà carico dell'assistenza necessaria agli anziani? E chi la erogherà? Miliardi di anni in più a disposizione dell'umanità sembrerebbero quasi rendere necessario un secondo pianeta.

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L'invecchiamento mondiale accelera la globalizzazione

Quanto più rapidamente i paesi invecchiano, tanto più si impone la necessità che beni, posti di lavoro e persone possano fluire liberamente attraverso le frontiere. I paesi demograficamente meno colpiti dall'invecchiamento, contraddistinti sia dall'abbondanza di giovani che dalla scarsità di mezzi, si stanno adeguando alle necessità dei paesi più vecchi e ricchi, ma con una popolazione decisamente più anziana. Le nazioni più vecchie hanno così avviato un processo di ridistribuzione delle ricchezze e continueranno a farlo, consentendo a centinaia di milioni di giovani in altre parti del mondo di uscire dalla povertà e traendo vantaggio dagli investimenti su popolazioni e nazioni più giovani.

I bisogni di una società in cui la fascia di popolazione anziana aumenta più rapidamente rispetto a qualsiasi altra innescheranno una serie di processi sociali miranti a sfruttare il potere della gioventù laddove essa abbonda. E, paradossalmente, le società anziane che oggi fanno pressione sui lavoratori affinché questi si accollino gli oneri della previdenza sociale domani vedranno i loro giovani rimanere indietro nel mercato del lavoro, dato che le imprese assumeranno manodopera giovane in altre aree del mondo dove i costi per l'assistenza sociale di una società invecchiata non graveranno sugli stipendi. La tutela della salute e la previdenza sociale per i giovani da una parte e per gli anziani dall'altra saranno molto più legate sia dal punto di vista fiscale che sotto l'aspetto sociale ed etico. Il nostro mondo, in cui, sino a epoche recenti, morivano molti più giovani che vecchi, si è trasformato in una realtà in cui un numero estremamente elevato di persone anziane necessiterà di un supporto economico, emotivo, intellettuale e fisico da parte dei giovani. Al tempo stesso, però, i giovani si troveranno a competere con gli anziani per i "tesori" da essi controllati: denaro, potere, status e persino lo stesso territorio. Un mondo sempre più vecchio potrà essere basato sulla lealtà familiare? O su una serie di scambi di convenienza? O sul controllo governativo? La risposta dipenderà dalle decisioni che prenderemo in prima persona in ambito familiare, lavorativo e comunitario.


Un libro di storie

Il modo migliore per scoprire come l'invecchiamento globale inciderà sulla vita futura passa attraverso le persone coinvolte già adesso in tale mutamento. Le pagine che seguono si basano sulle conversazioni che ho potuto scambiare con centinaia di persone impegnate a confrontarsi, a livello teorico o pratico, con il mutamento demografico in corso in tutto il mondo. Pochi di noi possono dirsi immuni alle ripercussioni dell'invecchiamento globale, ma alcune delle principali modalità con cui tale cambiamento incide sulle nostre vite, pur sotto gli occhi di tutti, passano spesso inosservate. Oggi ci approssimiamo alla fine di un mutamento demografico iniziato secoli or sono, ma che già ora è in grado di incidere su quasi tutte le nostre relazioni importanti, dai rapporti familiari a quelli con i colleghi di lavoro, dalle relazioni con il vicinato e con il territorio urbano sino alla politica nazionale, al commercio internazionale e alla geopolitica.

L'invecchiamento del mondo si manifesta come un fenomeno diversificato, complesso e spesso paradossale, ma che è possibile riconoscere in virtù della sua natura intrinsecamente umana. Proprio per questo le pagine seguenti non entreranno nel merito dei deficit di bilancio statali né offriranno un elenco di raccomandazioni politiche (nel libro e nelle note sono tuttavia reperibili i riferimenti a molti ottimi saggi di approccio più squisitamente politico) e neppure offriranno pacchetti di "soluzioni" rigidamente normative valide a livello universale per le singole persone, anche se sarebbe bello illudersi che qualcosa del genere esista. Perché? Perché questo libro si propone di prendere in esame le vite di singole persone e di porle in relazione con le dinamiche del mutamento che il nostro mondo sta attraversando. Solo così potremo sforzarci di capire come trarre il massimo vantaggio da un mondo inevitabilmente votato all'invecchiamento. Personalmente mi auguro di essere riuscito nell'impresa di convogliare in queste pagine tutti i sogni e le idiosincrasie, il coraggio e la paura, la creatività e la disperazione delle persone normali preoccupate per il proprio avvenire, così come per il futuro dei loro figli o dei loro genitori. In altre parole, spero che il lettore possa riconoscersi in queste pagine.


L'invecchiamento della popolazione è un fenomeno che investe la sfera personale, locale e globale e che richiede da ognuno di noi risposte al tempo stesso personali, locali e globali. Fra i temi emersi durante questo viaggio nell'esistenza umana e attorno al mondo, è bene ricordare:

• L'invecchiamento globale è il risultato della più grande vittoria dell'umanità a cui difficilmente si accetterà di rinunciare.

• I successi raggiunti costringono a interrogarsi su come mantenere tutte le conquiste che hanno consentito al mondo di invecchiare tanto.

• L'invecchiamento individuale si sta sorprendentemente rivelando un problema di portata globale.

• La sfera di attività delle persone anziane ancora operose, in salute e impegnate si amplierà. Questo, tuttavia, non impedirà ai datori di lavoro e ai clienti sul mercato di operare una selezione spietata per individuare i soggetti anziani economicamente preziosi a discapito di quelli semplicemente capaci.

• Un mondo che invecchia è un mondo votato a una maggiore dipendenza, che necessita dell'impegno di una parte sempre più ampia della popolazione a favore della crescente fascia di persone bisognosa di assistenza.

• L'invecchiamento globale modifica in modo radicale i rapporti fra uomini e donne.

• La discriminazione in base all'età è uno strumento efficace che consente di trovare sempre nuovi modi per emarginare e sfruttare gli anziani.

• Un mondo che invecchia incentiva la mobilità della popolazione mondiale e, in un circolo vizioso, tale mobilità favorisce l'invecchiamento globale.

• Chi è giovane oggi deve prepararsi, nel bene o nel male, a vivere in un mondo invecchiato domani.


La scrittrice americana Kathleen Thompson Norris una volta ha osservato che "nonostante vivere sia estremamente faticoso, continua a essere di moda". Come scopriremo, in un mondo invecchiato quella di vivere è una moda che non conosce crisi.

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Pagina 102

L'interruttore della vita si trasforma in un dimmer

Focoso e testardo al punto da risultare commovente, Douglas non ha ancora ben compreso perché, in quanto settantenne del XXI secolo, può concedersi il lusso di mentire sulla sua età. Né perché è ancora al mondo. E neppure perché i cinesi sono oggi più sani che mai, nonostante la loro medicina tradizionale sia sempre meno diffusa. O, anatema impronunciabile alla luce delle sue convinzioni, perché i suoi sforzi di vivere più a lungo conditi da diete speciali, medicina cinese ed esercizi possono anche aiutarlo a vivere meglio, ma hanno scarsissime probabilità di regalargli una vita sensibilmente più lunga. La longevità di cui Douglas gode è il risultato di numerosi fattori diversi che, sommati gli uni agli altri, hanno trasformato un mondo dove le persone spesso morivano improvvisamente per un numero relativamente ristretto di cause in un mondo in cui le persone vivono molto più a lungo e riescono a far fronte alla maggior parte dei pericoli che le minacciano. Considerati nel loro complesso, i progressi nel campo dell'istruzione, della salute pubblica, della vita urbana, dei diritti umani e della lotta alle malattie infettive sono gli ingredienti principali della moderna pozione per contrastare la morte precoce e donare all'umanità le gioie e i dolori legati a una vita più lunga. La morte giunge ancora inevitabile, naturalmente, ma in tempi recenti si è fatta da parte quel tanto che basta per concedere a miliardi di persone di raggiungere e superare abbondantemente i cinquant'anni.

Guy Brown, un biochimico dell'Università di Cambridge il cui lavoro di ricerca si concentra sulle modalità in cui la malattia blocca l'attività cellulare, traccia la storia della mortalità attraverso le diverse epoche nel suo libro, al tempo stesso filosoficamente acuto e scientificamente lucido, The Living End. Brown descrive l'invecchiamento come un fenomeno praticamente inscindibile dalla morte per la maggior parte della storia umana. Prima che la civiltà si preoccupasse della creazione di una sanità pubblica e prima della guerra condotta dalle medicine moderne contro le malattie infettive, un individuo in buona salute andava facilmente incontro a una morte rapida e imprevedibile. L'esistenza, afferma Brown, a quei tempi era un sistema binario. Proprio come una lampadina, la vita poteva spegnersi da un momento all'altro. "L'estrema brevità dell'esistenza era interpretata come un segno della subitaneità della morte. Le persone spesso morivano durante l'infanzia o nel fiore degli anni, perciò l'invecchiamento e le persone anziane erano rari", scrive Brown. "Le più comuni cause di morte erano le infezioni, la violenza e il parto. ... In tutti i casi, si trattava di una fine rapida che lasciava spazio solo a una piccola area grigia fra la vita e la morte."

La storia e la letteratura, osserva Brown, ci hanno trasmesso un'immagine della morte come "un'anima bruciante di febbre e torturata dal delirio ... che spira esalando debolmente il suo ultimo respiro" o come una scena violenta. "La Morte" era considerata un'entità minacciosa che attraversava il mondo mietendo vite umane. L'oscuro spettro incappucciato simbolo del tragico destino impugnava una falce con cui recidere la vita delle sue vittime, separando istantaneamente le loro anime dai corpi.

Ai giorni nostri, una rappresentazione più realistica della Morte la vedrebbe stringere nella mano una fiala di veleno ad azione lenta capace di tormentare per anni e anni le sue vittime con infarti congestivi o diabete tardivo. La modernità ha reso antiquata la precedente visione, che pure si ripropone vividamente allorché epidemie come l'AIDS, la SARS e l'influenza suina o aviaria minacciano persone altrimenti sane secondo modalità antiche. La violenza, che si tratti di guerre, omicidi o suicidi, continua a rappresentare una delle principali cause di morte al mondo, pretendendo un tributo di circa cinquemila vite al giorno (i soli suicidi rappresentano circa il 40 per cento di tutte le morti violente, colpendo in modo particolare gli uomini anziani).

Conosciamo tutti bene la lista delle principali cause di morte del passato. Sono sotto i nostri occhi ogni qual volta ci ritroviamo a rispondere a un qualsiasi questionario sulla salute: morbillo, parotite, epatite, polmonite, tubercolosi, tetano, asma, diabete, epilessia. Alcune di queste malattie sono tuttora potenzialmente e oggettivamente mortali, ma non colpiscono più con l'inevitabilità di un tempo. In qualsiasi paese in cui il sistema sanitario funzioni ragionevolmente bene, alla malattia non si accompagna più il canto del Tristo Mietitore.

Numerose malattie in passato fatali non figurano neanche più nei questionari medici. Lo storico William H. McNeill illustra nel dettaglio le più frequenti cause di morte nel periodo precedente al XX secolo, tra cui figurano non solo innumerevoli batteri e virus veicolati da topi, ratti e insetti, ma anche funghi e protozoi (i dottori, soprattutto i pediatri, in passato erano soliti chiedere se una famiglia vivesse a contatto con orsi, serpenti, grandi felini o rettili pericolosi). Piaghe infette, gastroenteriti e altri disturbi diarroici, complicazioni conseguenti a fratture, ascessi e persino strappi muscolari acceleravano il sopraggiungere della morte. Anche i luoghi dove un tempo le persone si recavano per soggiorni di salute potevano uccidere. Le terme di Roma, per esempio, richiamavano in determinate fasce orarie i malati in cerca delle virtù curative dell'acqua e, in altri momenti della giornata, le persone in salute, attratte dai rilassanti piaceri di un bagno. Le vasche, però, erano svuotate solo di rado e bagnarvisi era come nuotare in una gigantesca capsula di Petri.

Quanto a lungo vivevano le persone, in confronto a oggi? Brown nota che nella Londra del XVI secolo un bambino su cinque moriva prima di aver compiuto l'anno e il tasso di decessi infantili restava relativamente elevato sino all'età di dieci anni. Dai dieci ai quarant'anni, la popolazione poteva considerarsi abbastanza in salute, ma successivamente la morte tornava a bussare alla porta. Nell'arco di tempo compreso fra la fine dell'infanzia e la mezza età le persone potevano stare abbastanza tranquille, ma un londinese dell'epoca aveva molte più probabilità di morire rispetto ai suoi attuali concittadini, che, in confronto, sembrano quasi indistruttibili.

Nella Londra del XVI secolo, alcuni uomini e donne raggiungevano e superavano i sessant'anni, ma non si trattava certo di un fatto comune. Allora, come oggi, per chi superava il giro di boa dei sessant'anni c'erano maggiori possibilità di riuscire a invecchiare. Gli inglesi del XVII secolo che sopravvivevano sino ai venticinque anni, e soltanto una metà ci riusciva, avevano circa il 6 per cento di possibilità di raggiungere gli ottant'anni, un'età già prossima al limite massimo concesso all'umanità. All'epoca, gli ottantacinquenni erano altrettanto rari degli unicorni. La fragilità dei bambini e degli ultra-quarantenni si ripercuoteva sulla vita quotidiana con la stessa intensità di una catastrofe naturale o della volontà di un tiranno imprevedibile. La vita era costantemente sottomessa alla morte.

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Nascere con la camicia

Così come Douglas, con il suo tai-chi e la sua dieta rigida, tutti noi amiamo pensare che le decisioni più importanti che prendiamo influiscano sulla durata e la qualità delle nostre esistenze. Scegliendo cosa mangiare, quali esercizi fare, come rilassarci, seguendo o ignorando le raccomandazioni dei medici, identificandoci con i luoghi in cui viviamo e lavoriamo, decidendo come risparmiare, investire o spendere il nostro denaro e scegliendo come amare ed essere amati, ci convinciamo tutti di poter influenzare in modo consistente la nostra longevità. Le scelte individuali indubbiamente sono importanti, ma rientrano a loro volta in un sistema globale che influenza il nostro invecchiamento assai più profondamente di quanto le singole scelte avranno mai il potere di fare. Invecchiare è il risultato di un processo globale e, al tempo stesso, è un atto globale.

Sfortunatamente, oltre a dimostrare l'utilità di correggere alcune cattive abitudini, la scienza non è ancora in grado di indicare alcun comportamento significativo e praticabile dai singoli individui che sia capace di prolungare sensibilmente l'esistenza. Sicuramente i fumatori, gli alcolisti, i consumatori abituali di sostanze stupefacenti, le persone che mangiano in modo sregolato, i motociclisti che rifiutano di indossare il casco e tutti coloro che hanno rapporti sessuali non protetti con sconosciuti avrebbero maggiori probabilità di invecchiare modificando le loro abitudini di vita. Eppure, molti comportamenti a rischio non incidono quasi per nulla sulla longevità. Una persona soprappeso che segue una dieta carnivora, per esempio, in generale vive solo qualche mese meno di un vegetariano longilineo. La loro qualità della vita può anche non essere paragonabile in termini di salute, ma l'estensione del tempo loro concesso su questo pianeta probabilmente sarà quasi uguale.

In generale, i fattori che consentono alle persone di raggiungere e superare in salute i settant'anni sono ormai patrimonio comune. Considerando la storia umana nel suo complesso e ogni cultura mai esistita, prendendo in esame tutte le pubblicazioni scientifiche e i libri di auto-aiuto, balza all'occhio soltanto un elemento determinante per la longevità: l'essere nati nel XX secolo e preferibilmente, anche se non necessariamente, in un paese ricco e sviluppato. Nessun altro aspetto ha un'importanza anche solo lontanamente paragonabile.

È stato soltanto nel corso dell'ultimo secolo che la disponibilità di cibo quantitativamente abbondante e qualitativamente affidabile a livello globale si è dimostrata alla portata delle società maggiormente sviluppate, dotate di sistemi complessi e capaci di preservare la salute delle persone. Le infrastrutture in grado di smaltire i rifiuti e fornire acqua potabile e cibo sicuro hanno iniziato seriamente a prendere piede solo nel corso del XIX secolo. Con la crescente diffusione delle infrastrutture pubbliche, si è giunti anche a una comprensione scientifica della causa delle diverse malattie e la popolazione ha iniziato ad attribuire importanza all'igiene personale. La moderna scienza medica, in particolare dopo la metà del XX secolo, è riuscita a sconfiggere quelle malattie infettive che in passato erano solite uccidere la popolazione prima dell'età adulta. Nei paesi industrialmente avanzati, gli sforzi pubblici a favore della salute sono stati tanti e tali da rendere difficoltoso per la cittadinanza contarli, e talvolta hanno prodotto veri e propri miracoli su larga scala. Se il programma di vaccinazione di massa ha potuto lasciare il segno sulle braccia di intere generazioni, la sua creazione e la sua positiva applicazione si devono allo sforzo di una serie di reti operative meno visibili, impegnate nella formazione del personale in grado di progettare, gestire e controllare quello stesso programma. I sistemi di salute pubblica di grande portata, infatti, contano decine di funzioni fondamentali.

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Leggere l'etichetta

Un cibo qualitativamente migliore, la presenza di infrastrutture e le grandi conquiste scientifiche non avrebbero potuto raddoppiare la nostra aspettativa di vita se le famiglie non avessero abbracciato tali progressi. Per riuscirvi, però, i singoli individui dovevano disporre delle capacità necessarie a comprendere e applicare le pratiche salutari proposte: di fatto, uno dei più potenti fenomeni della storia mondiale a sostegno della longevità è stato l'alfabetizzazione di massa del secolo scorso.

Perché? Nei paesi dove esiste una diffusa rete mediatica, le informazioni sulla salute saturano occhi e orecchie dei consumatori. Notiziari e rubriche di consigli sulla salute si riversano senza tregua da giornali e riviste, dalla televisione e dal Web. Negli Stati Uniti, la salute si colloca all'ottavo posto fra gli argomenti più dibattuti sulle prime pagine dei quotidiani e nel corso degli approfondimenti televisivi e dei programmi radiofonici. Uno studio della durata di diciotto mesi, condotto sui programmi di informazione sia a livello locale sia nazionale, ha evidenziato che su dodici minuti di trasmissione uno era dedicato a notizie riguardanti la salute e che praticamente tutti i palinsesti televisivi includevano un qualche servizio concernente la salute nei loro programmi serali di informazione. Una simile percentuale è tre volte superiore allo spazio mediatico dedicato all'istruzione o ai trasporti, ma assai inferiore a quello riservato alla politica o alla cronaca. Le informazioni sulla salute imperversano sui programmi più noti. Gli adolescenti citano i genitori, gli amici e le trasmissioni televisive più amate come fonti principali di informazione sulla salute sessuale, ma il primo posto è occupato dalla scuola. Le lezioni ascoltate alla scuola elementare possono anche essere noiose, ma salvano la vita.

[...]

L'istruzione, sottolinea lo storico James C. Riley, fornisce un accesso a quelle informazioni veicolate da persone che non si conoscono direttamente, dotando gli individui di una visione cosmopolita che li aiuta a soppesare il valore di un'informazione sulla base di fonti diversificate e ad assumersi la responsabilità di se stesse e delle persone affidate alle loro cure, a cominciare dai figli. Nelle società istruite consente anche di insegnare quelle pratiche universali atte a favorire la salute pubblica. Perciò l'istruzione rappresenta, forse, il più grande dei doni che l'umanità ha fatto a se stessa. Gli studi che confrontano il potere dimostrato dall'istruzione nel mantenere le persone in buona salute rispetto ad altri importanti fattori come lo sviluppo economico, o il livello delle strutture sanitarie pubbliche, confermano la prevalenza dell'istruzione come fattore determinante nell'applicazione a livello individuale e familiare delle conquiste socio-sanitarie. Il suo ruolo è talmente centrale nel garantire una vita lunga e sana che l'istruzione basilare impartita nelle zone più sperdute del mondo è comunque in grado di salvare la vita alle persone in percentuali che, sino a questo secolo, si poteva sperare di ottenere soltanto con la preghiera. Come risultato di trent'anni di ricerche, Riley ha rilevato l'esistenza di una relazione strettissima fra il tasso di scolarizzazione e la riduzione della mortalità infantile. Per ogni anno aggiuntivo di frequenza scolastica, una bambina riduce la mortalità infantile della successiva generazione di una percentuale variabile fra il 7 e il 9 per cento. Il prolungamento dell'istruzione mostra gli effetti più pronunciati nelle zone del mondo in cui le famiglie hanno difficilmente accesso ai servizi sanitari. L'istruzione riesce ad avvicinare le famiglie ai moderni trattamenti medici anche laddove medici e cliniche falliscono.

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La città come elisir di lunga vita

La città moderna rappresenta un altro fondamentale fattore capace di favorire la longevità umana. "L'invecchiamento della popolazione mondiale e l'urbanizzazione", nota l'Organizzazione Mondiale della Sanità, "rappresentano il culmine dello sviluppo umano raggiunto durante l'ultimo secolo". Le città, sottolinea l'OMS, sono essenziali sia per il benessere delle stesse popolazioni urbane sia di quelle rurali, poiché rappresentano "una fucina di idee nuove, prodotti e servizi capaci di influenzare il mondo".

In passato, la situazione era diversa. Per secoli, chi viveva in città aveva molte più probabilità di ammalarsi rispetto a chi viveva in campagna. Quei cittadini che potevano permetterselo, si spostavano cercando ristoro sotto il sole della campagna o immergendosi nell'aria pura dei monti. Il narratore del Decameron di Giovanni Boccaccio, per esempio, fugge dal caos e dalla miseria della Firenze del XIV secolo devastata dalla peste trasferendosi in una residenza di campagna lontano dal centro urbano.

Nell'introduzione del testo, Boccaccio descrive con dovizia di dettagli il modo in cui la pestilenza, che uccise metà della popolazione italiana, minò rapidamente la vita cittadina, costringendo i più ricchi a spostarsi in campagna. Le città europee, all'epoca, non erano affatto grandi. Firenze, uno dei tre maggiori centri urbani europei, contava circa 120.000 residenti prima del contagio. La città, comunque, era sufficientemente affollata e sporca da aggravare ulteriormente la già difficile situazione determinata dalle insalubri abitudini igieniche dei più poveri, accelerando il diffondersi dell'epidemia.

Nel corso del XIX secolo, nei centri urbani e industriali iniziarono a diffondersi i sistemi fognari e di refrigerazione e la scienza medica progredì abbastanza da poter affrontare il doppio pericolo rappresentato da una densa popolazione e dal letale inquinamento delle fabbriche. S. Jay Olshansky, professore di salute pubblica presso l'Università dell'Illinois di Chicago, e il suo collaboratore, il biodemografo Bruce Carnes dell'Università dell'Oklahoma, hanno notato che nella prima fase della Rivoluzione industriale il colera, la difterite, l'influenza, la poliomielite, il vaiolo e il tetano avevano una diffusione endemica tra la nuova popolazione urbana. Il cibo irrancidiva, conservato all'interno di ghiacciaie rivestite di muffe e tutt'altro che a chiusura stagna, ma lo si consumava comunque. Orina e feci umane, equine e di altri piccoli animali rendevano le città simili a latrine a cielo aperto. Gli ospedali contribuivano a diffondere le infezioni, piuttosto che a contenerle. La virulenza delle malattie infantili faceva sì che i bambini morissero spesso prima dei loro genitori. Simili minacce continuarono a gravare sulla salute umana anche nel XX secolo.

Oggi, in tutti i paesi dotati di infrastrutture di livello accettabile, è raro che un bambino muoia prima del padre o della madre, tranne nel caso in cui i genitori superino i novant'anni. Attualmente, invece, sono proprio le città a rappresentare l'ambiente più salubre in cui vivere, talvolta ben più della campagna. E non solo le grandi metropoli, ma anche le zone suburbane ed extraurbane circostanti. Si tratta di un mutamento recente.

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Nel quadro globale dei movimenti di denaro e persone da e verso la Spagna, la vera portata del cambiamento economico in atto e dell'intimo incontro tra spagnoli e stranieri può anche sfociare in una sceneggiata pubblica, futile e grottesca. Nell'estate 2009 Evelyn Dueñas, una ventottenne ecuadoregna impiegata come collaboratrice domestica a Valencia, suscitò scalpore sia in Spagna sia nel suo paese natale pubblicando un annuncio su due noti siti di annunci online. La ragazza offriva la propria verginità in cambio di 15.000 euro, sostenendo di aver bisogno di denaro per pagare le costose cure della madre, malata di Alzheimer. "È un grosso sacrificio, ma lo faccio per mia madre", dichiarò la signorina Dueñas ai giornalisti televisivi. "Non mi illudo di risolvere tutti i miei problemi, in questo modo, ma almeno potrò garantirmi una certa solidità finanziaria." La signorina Dueñas impose sullo scambio più condizioni di quante ne avrebbe poste una promessa sposa di un film hollywoodiano e alla fine si mostrò riluttante, ma non prima che un fiume di commenti sui mezzi di informazione la paragonasse ad altre donne meno chiacchierate costrette ogni giorno a prostituirsi, o a quei migranti obbligati a vendere reni, polmoni e altre parti del corpo per raccogliere il denaro necessario alla famiglia nel paese di origine. Evelyn Dueñas ottenne anche l'attenzione del governo ecuadoregno, spinto dall'opinione pubblica a riflettere su ciò che lo stato poteva effettivamente fare per sua madre. Le politiche in materia di sesso, immigrazione, commercio di organi, colonialismo e assistenza sociale si sono rivelate strettamente collegate al fattore invecchiamento.


Sbarcare in Europa, fra altri centomila

Le coste di Spagna, Italia e Grecia sono prese d'assalto da un numero sempre maggiore di migranti desiderosi di entrare nel Vecchio Continente. Individui disperati o pieni di speranza, provenienti dall'Africa settentrionale, orientale o occidentale, hanno approfittato di questa via di accesso, spesso affidandosi a trafficanti di esseri umani. In Grecia sono stati costruiti centri di detenzione circondati da filo spinato per rinchiudere e processare, tra gli altri, i nuovi arrivati dall'Afghanistan, rei di aver pagato anche 30.000 dollari agli scafisti per essere trasportati clandestinamente nell'ombra dell'economia della migrazione. Le nazioni dell'Europa meridionale lamentano il fatto di essere chiamate a sostenere l'onda d'urto dell'immigrazione a causa della loro posizione geografica, che le rende una sorta di "porta di servizio" aperta sul resto del continente.

Una strategia comune, per quanto atroce, messa spesso in atto di contrabbandieri di uomini consiste nel salpare su una qualche imbarcazione malandata (spesso al termine di un viaggio lungo e difficile all'interno del continente africano) per tentare di raggiungere una delle isole che costituiscono parte del territorio della Grecia, della Spagna o dell'Italia. Al culmine della stagione degli sbarchi, le isole Canarie, territorio spagnolo a occidente dell'estrema porzione meridionale di costa marocchina, hanno visto l'arrivo di intere barcate di migranti provenienti dal Ghana, dalla Liberia, dal Senegal e da altri paesi ancora. I clandestini sbarcano da cayucos fatiscenti lunghi tra i trenta e i quaranta metri, nient'altro che barche da pesca in legno destinate già da tempo alla rottamazione. I migranti costituiscono il loro ultimo carico. Accuratamente dipinte nel verde, giallo e rosso della bandiera senegalese, queste barche sono anche adorne di simboli: alcune ostentano occhi dalle lunghe ciglia dipinti sulla prua, intesi come un auspicio al trovare la giusta rotta. Non tutte le imbarcazioni di migranti vengono intercettate e alcune affondano nell'oceano, ma nel 2006, un anno particolarmente fitto di sbarchi, le autorità spagnole hanno intercettato 30.000 persone impegnate nel tentativo di raggiungere le Canarie. Sulle spiagge degli hotel di lusso di questo arcipelago, la cui risorsa principale è costituita dal turismo, sono impilati a dozzine gli scafi delle imbarcazioni che approdano ogni giorno e vengono abbandonate.

Nel 2004 l'Europa ha seriamente valutato, ma infine respinto, un piano proposto da Germania e Italia per la creazione di campi di detenzione in Nord Africa dove rinchiudere e processare i migranti. La popolazione spagnola, allora più propensa ad accogliere immigrati clandestini di quanto non si sarebbe scoperta dopo il collasso economico, mosse obiezioni di tipo umanitario. Con l'aumento della disoccupazione, il governo socialista promosse una serie di misure legislative finalizzate a irrigidire il controllo sui confini spagnoli e concedere alle differenti regioni autonomia decisionale in merito al tetto massimo di migranti in cerca di lavoro ammessi sul suolo nazionale.


Raccogliere migranti

Nel complesso delle politiche regionali e linguistiche della Spagna, le diverse parti del paese e i diversi governi locali seguono un proprio programma. Il massiccio afflusso di sud americani nei Paesi Baschi e in Catalogna è generalmente considerato una minaccia da coloro che parlano gli idiomi locali e si battono contro la pervasività della lingua spagnola ufficiale. Gli effetti dell'immigrazione sulle lingue locali, tuttavia, possono rivelarsi sorprendenti. Nei Paesi Baschi, l'arrivo dei migranti ha spinto alcune comunità a raddoppiare gli sforzi per promuovere la lingua locale e in numerose località le iscrizioni alle scuole di lingua basca (viste come una risposta alle scuole bilingui) sono aumentate. I baschi hanno anche organizzato una serie di programmi di scambio culturale per gli studenti provenienti da nazioni non ispaniche, dal Marocco ad esempio, capaci di consentire ai giovani marocchini di tornare durante le estati seguenti per la loro dose annuale di cultura basca combinata con corsi scolastici tradizionali, percorsi di formazione-lavoro e alloggio presso famiglie basche. L'obiettivo dei sostenitori dell'autonomia regionale è, naturalmente, insegnare ai migranti la lingua locale oltre allo spagnolo. Ai sensi delle leggi che la Spagna ha aggiornato alla fine del 2009, le diverse regioni dello stato hanno il diritto di attivare o sopprimere servizi e limitazioni destinati ai migranti secondo quanto ritenuto appropriato sulla base dei progetti economici e culturali sviluppati localmente. Le nuove leggi nazionali consentono anche alle diverse regioni di "scegliere" tra i migranti i soggetti più adatti alle proprie necessità.

Per una popolazione anziana, la prospettiva di attirare e trattenere lavoratori stranieri nel pieno del loro vigore mantenendoli separati dalle rispettive famiglie, seppur spietata, rappresenta senz'altro una fantastica opportunità. Lo stato non deve infatti farsi carico delle spese per l'istruzione e l'assistenza sanitaria dei figli di questi lavoratori stranieri né provvedere alla loro sicurezza, concedere loro sussidi per l'alloggio o garantire il loro sostentamento in caso di difficoltà. Fatto ancora più importante, i migranti separati dalle famiglie sarebbero maggiormente inclini a rientrare nel paese d'origine prima di invecchiare e costituire un intralcio per il paese ospitante. Anche nel caso di una malattia o di un incidente, probabilmente preferirebbero raggiungere le famiglie in patria.

Nel complesso, impedire agli immigrati di ricongiungersi con figli e genitori consente al paese che li ospita sia di sfruttarli come manodopera sia di lesinare sulle necessità delle loro famiglie. In una nazione anziana, una simile soluzione, ammesso di riuscire effettivamente ad applicarla, consentirebbe di destinare una parte più consistente della ricchezza disponibile ai bisogni della crescente porzione di cittadini anziani.

Le nuovi leggi danno anche una risposta a una delle realtà più dure da affrontare per un paese condannato alla vecchiaia: con il progressivo diminuire della popolazione, diminuisce anche la base culturale di quella nazione. I timori di un'islamizzazione dell'Europa riaccendono gli incubi di orde straniere, aliene per convinzioni e pratiche, pronte a colonizzare un continente che si sta svuotando.

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Milioni di persone che non ringiovaniranno

Nel 2004, il Ministero del lavoro e del welfare spagnolo ha pubblicato i risultati di un'indagine che mirava a stabilire il numero di persone costrette a ricevere quotidianamente assistenza. Ne risultò che 1,125 milioni di persone, i due terzi delle quali anziane, erano disabili, impossibilitate a prendersi cura di se stesse e necessitavano di un aiuto a tempo pieno anche solo per mangiare, prendere le medicine, lavarsi, fare la spesa o coricarsi e alzarsi al mattino. Altri 1,7 milioni di individui necessitavano di un'assistenza più discontinua, ma comunque affidabile, per svolgere le attività quotidiane. In totale, circa 2,7 milioni di persone su una popolazione complessiva di 43 milioni, equivalente a una persona ogni sedici, non erano autosufficienti.

Questa percentuale è stata calcolata in base a parametri diversi. Invece di confrontare la popolazione in età lavorativa con tutti coloro che risultano troppo giovani o troppo vecchi per poter rientrare a pieno titolo nella forza lavoro, il calcolo è stato effettuato su coloro che necessitano dell'assistenza pratica di altre persone. Il risultato perciò rappresenta la percentuale di popolazione che dipende da una badante, la quale dedica il proprio tempo a prestare simili cure invece che ad altre attività più istruttive, più divertenti (e meno stressanti) o produttive. Con il progressivo incremento del numero di anziani rispetto alla popolazione totale, anche la percentuale di persone bisognose di una simile assistenza di base è destinata a crescere e, di conseguenza, aumenterà anche la richiesta di badanti.

La Divisione popolazione dell'ONU stima che entro il 2050 in Spagna la percentuale di persone con più di sessantacinque anni supererà quella di qualsiasi altro paese al mondo, passando dal 17 per cento del 2000 al 37 per cento della metà del secolo, una cifra più che raddoppiata. Ma nessun altro paese europeo sta ringiovanendo: in proporzione, gli svizzeri con più di sessantacinque anni aumenteranno del 104 per cento, gli italiani del 94 per cento, i tedeschi del 73 per cento e i britannici del 56 per cento. La popolazione spagnola oltre la soglia dei sessantacinque anni, nonostante l'immigrazione, sta aumentando sempre più rapidamente.

Traducendo le cifre in una previsione sul numero di persone che avranno bisogno di un'assistenza di base, la Spagna inizia a somigliare a una nazione portatrice di handicap. A meno che il progresso medico non riesca a evitare a milioni di persone le infermità a cui sono destinate, uno spagnolo ogni sei o otto necessiterà dell'assistenza altrui per camminare, andare in bagno o svolgere qualche altra attività fondamentale che tutti diamo per scontata sino al momento in cui non iniziamo a trovarci in difficoltà. Quale sarà, a quel punto, la proporzione vigente tra chi presta aiuto e chi lo richiede? Uno a uno? Due o tre a uno? Dieci a uno? Sulla base di ragioni puramente demografiche, saranno le stesse modalità con cui viene prestata l'assistenza a dover cambiare.

Gettando uno sguardo verso il futuro a partire dal 2004, il Ministero del lavoro e del welfare spagnolo ha visto una nazione sopraffatta dalle richieste di assistenza. Per molti spagnoli, però, il macigno della dipendenza che grava sul futuro della nazione è già entrato in famiglia. Questo peso, in passato, era appannaggio di quelle donne in linea di massima ancora abbastanza giovani da poter lavorare. Nel 2004, diciassette badanti su venti erano di sesso femminile e la loro età media era cinquantadue anni, ben al di sotto della soglia di pensionamento prevista in Spagna. In gran parte si trattava di membri della famiglia: figlie, mogli e persino madri che, in quanto tali, non percepivano alcuna retribuzione né godevano dei benefici sociali destinati ai dipendenti. In molti casi, in effetti, una simile condizione riproponeva quello status lavorativo un tempo tipico della donna spagnola nel suo ruolo di moglie di campagna non retribuita e sfruttata, con la sola differenza che ora si trattava di donne di città che non dovevano contribuire all'economia familiare lavorando nei campi come avveniva nel passato, ma che, al contrario, erano esentate dal doversi guadagnare altrimenti da vivere.

Se questa prima decade del XXI secolo è lo specchio del futuro che ci attende, allora entro il 2050 quasi ogni famiglia spagnola avrà bisogno del lavoro di una badante. Le famiglie dovranno scegliere se assumerne una o contare su qualche persona di famiglia disposta a sacrificare il proprio tempo libero e, probabilmente, anche la propria carriera lavorativa per prendersi cura di un anziano.


"Quando invecchieremo, diventeremo un peso"

Pilar e Daniel riescono a stento a mettersi seduti. Il nervosismo non li ha abbandonati un istante nel corso della giornata e, a dire il vero, hanno vissuto l'intera settimana in ansia sin dal momento in cui ho chiesto a Pilar di descrivere la loro esperienza di badanti della madre novantaduenne di lei. E Pilar voleva davvero parlarne, tirando fuori tutto, promettendo di raccontare anche quelle verità che sarebbe preferibile non sentire, ma che è giusto che la gente conosca. Quando Daniel apre la porta del loro trilocale, mi tende con slancio la mano, poi stringe la mia fra le sue. Indossa un maglione sformato che copre uno stomaco rotondo, ma non prominente. I suoi capelli, ancora abbondanti nonostante l'avanzare della calvizie, sono pettinati all'indietro in una scomposta coda di cavallo che lo fa somigliare a un artista. Quando ritira la mano, mi accompagna da Pilar, che fatica a restare seduta, tamburellando con le mani sul piano del tavolo. Mi saluta e mi offre di restare per cena, ma la sua mente è già concentrata su ciò che le preme dire: i convenevoli imposti dal suo ruolo di ospite premurosa sono rimandati a dopo.

"Non ce la faccio più", si lascia sfuggire. "È un inferno, giuro, un vero inferno, come stare in galera. Bisogna farsene una ragione, ma non è facile e neppure gratificante. Tanto per cominciare, quando hai novantadue anni, come mia madre... mio padre è morto a novantatré e mio suocero praticamente alla stessa età... tutto dipende dalle condizioni di salute in cui ci si arriva e dal fatto di poter gestire autonomamente o in famiglia una simile situazione. Nel mio caso, per essere onesta", ammette sgombrando il campo da possibili dubbi in proposito, "non vorrei mai vivere come sta vivendo mia madre. Non lo augurerei né a me stessa né alla mia famiglia. Devo nutrirla e lavarla ogni mattina, pomeriggio e sera. Mi sento segregata nella mia stessa casa. Per non parlare di quel che succede quando mia madre si sporca."

L'appartamento di Pilar e Daniel non tradisce alcun segno della presenza della madre malata. Nella casa regna una piacevole confusione tra coperte fatte a mano e souvenir di viaggi ai quattro angoli del mondo in compagnia dei figli, ormai grandi. Sia Pilar che Daniel sono andati in pensione da diversi anni. Nessuno dei due ha più avuto un impiego regolare dopo il 2005. Pilar era la direttrice di una società che si occupava della distribuzione di riviste, mentre Daniel lavorava come idraulico, passando da una commessa all'altra nel settore edile. "Ho lavorato", dice lui, "ho lavorato senza risparmiarmi mai e adesso che sono in pensione ho meno tempo libero di prima. I vecchi clienti mi offrono ancora lavori saltuari, ma per la maggior parte del tempo sono qui", ad aiutare Pilar a prendersi cura della madre e a sbrigare le faccende domestiche.

L'assenza di qualsiasi traccia della madre di Pilar in casa è dovuta al fatto che la donna vuole il proprio spazio ed è accudita in un altro appartamento dello stesso caseggiato.

"Quell'appartamento è nostro e, affittandolo, potrei guadagnare 1.200 euro al mese", spiega Pilar, "ma quando la vedo così vulnerabile, mi impietosisco." E la situazione non si sblocca. "Non abbiamo pensato di cercare una badante a tempo pieno perché, francamente, non possiamo permettercelo. E le dico altrettanto onestamente che, per quanto io non ne possa più, non accetterei mai di abbandonare mia madre. Lei è sempre triste, per un motivo o per un altro, e si lamenta in continuazione: 'È troppo caldo, è troppo freddo, il volume della TV è troppo alto'." Pilar aggiunge che il figlio più grande di notte dorme nell'appartamento della nonna, in modo che la donna non si senta mai abbandonata.

"Sono anche convinta", afferma, "che sia molto importante il tipo di rapporto che uno ha avuto in precedenza con i propri genitori. I ricordi e le esperienze vissute insieme influenzano ciò che in seguito si è disposti a sopportare per loro. Mio padre era più comprensivo e vitale, forse perché era un uomo colto", gli occhi di Pilar si riempiono di lacrime e il viso le si arrossa. Daniel abbraccia la moglie, che scoppia a piangere a dirotto. Si asciuga il viso, ma continua a raccontare.

"Con mio padre parlavo molto, mentre non ho mai avuto un rapporto simile con mia madre. Erano così diversi. Mio padre era nato senza una mano e forse è per questo che ha sviluppato una diversa sensibilità: malgrado la vita non gli abbia mai fatto sconti, era un uomo felice e solare. Mia madre era gelosa di mio padre e glielo faceva pesare. Quanto più i ricordi che conserviamo di una persona sono positivi, tanto più siamo disposti a sacrificarci per quella persona. Quando mio padre ha avuto bisogno di aiuto, non mi sono mai sentita oppressa", dice Pilar che, nonostante il suo rapporto difficile con la madre, si sforza di accudirla nel migliore dei modi. "Ci prendiamo cura di lei come faremmo con un giardino fiorito perché, pur avendo un carattere difficile, a suo modo anche lei ci ama."

Pilar si lamenta della scarsità dei fondi stanziati dal governo per le famiglie come la sua. "Dipende tutto da chi è chiamato a valutare le condizioni di una persona anziana." Il governo ha affidato a due diverse agenzie una valutazione dello stato di salute della madre di Pilar e gli osservatori sono giunti a conclusioni molto diverse fra loro.

Uno ha dichiarato sua madre affetta da una leggera demenza senile, mentre l'altro ha ritenuto che le sue condizioni fossero ben più gravi. Alla fine, Pilar e Daniel si sono visti riconoscere un contributo di 200 euro al mese. Il denaro serve a pagare una badante che possa sostituirli di tanto in tanto, per consentire loro di allontanarsi da casa, prendersi un po' di tempo libero e rigenerarsi. Inoltre, lo stato paga una badante per un mese all'anno, consentendo così a chi si occupa di un anziano di andare in vacanza.

"Ho settantatré anni", dice Daniel, "ma me ne sento trenta o quaranta. Ci sono un mucchio di cose che mi piacerebbe fare. Personalmente sarei favorevole a trasferire mia suocera in una residenza per anziani, pagando la retta. L'abbiamo fatto ogni agosto: pagavo per ricoverarla in una clinica e poter così partire in viaggio con nostro figlio. Quando invecchieremo, anche io e mia moglie diventeremo un peso e di questo sono perfettamente consapevole. Ma a quel punto mi sforzerò di non costituire un intralcio per i nostri figli e mi trasferirò in una casa di riposo."

"Se avessi denaro a sufficienza", afferma Pilar, "e anche il coraggio di farlo, assumerei qualcuno che si prendesse cura di me, sotto il controllo dei miei figli. Se i miei figli si rifiutassero di farlo, ne sarei davvero delusa, ma non vorrei mai vederli fare ciò che noi stiamo facendo per mia madre. Non pretenderei mai che si occupassero direttamente di me, giorno dopo giorno. I nostri figli vivono fuori città e riusciamo a stento a liberarci per andarli a trovare."

"Non dovrei neppure parlarne", aggiunge Pilar, "ma ho sentito che il Partito Socialista si è espresso in qualche modo sul tema dell'eutanasia. Il Partito Popolare [l'opposizione di centro-destra al governo socialista] non vuole nemmeno discuterne. E invece è il caso di parlarne, qui in Spagna. Se la legge consentisse una scelta simile, sarei la prima a firmare. Non credo che una vita più lunga sia sempre un bene: io preferirei morire piuttosto che sopravvivere ridotta come un vegetale."

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Giorno dopo giorno, decennio dopo decennio

Consapevoli che il processo di invecchiamento è condizionato sia da cause interne sia esterne, osserviamo in che modo si manifesta nel suo incessante agire. Qui di seguito proponiamo una scaletta approssimativa che riepiloga, decennio per decennio, ciò che tendenzialmente avviene agli esseri umani, non necessariamente a tutti e magari non nel lasso di tempo indicato. La maggior parte delle persone arriva ai sessant'anni tutto sommato in buone condizioni di salute, ma ciò non vale in tutti i casi. Il declino delle facoltà intellettuali è un processo continuo che ci accompagna nel corso di tutta la vita adulta, ma se per alcuni sopravviene lentamente, per altri si manifesta tutto a un tratto. Molte delle situazioni sotto elencate sono facili da gestire, mentre molte altre si presentano come una strada senza ritorno. Alcuni contrattempi costituiscono episodi isolati da cui guarire per poi continuare, mentre altri, come le malattie del sistema immunitario e quel genere di disturbi definiti sindromi metaboliche, come il diabete, aprono la via a molteplici malattie che si sommano le une alle altre. È quindi necessario rendersi conto delle seguenti cose:


A trent'anni:

• Si è più facilmente soggetti a stiramenti muscolari e lesioni ai tendini. Chi pratica sport che richiedono movimenti rapidi, ad esempio il basket, non di rado si vede costretto ad abbandonare una partita a causa di un improvviso strappo a un muscolo o si ritrova faccia a terra in seguito a un movimento sul piede perno.

• Il metabolismo rallenta, rendendo più difficile mantenersi snelli. Negli uomini il ventre inizia a ingrossarsi a causa della ridistribuzione dell'adipe e della perdita del tono muscolare.

• La massa muscolare si riduce e le forze diminuiscono. Questo tipo di declino non sarà evidente ancora per alcuni anni nella maggior parte delle persone, ma chi svolge lavori o si dedica a hobby che prevedono un'intensa attività fisica inizierà a cedere il passo alle persone più giovani. I giocatori professionisti di football americano e altre categorie di atleti che devono poter contare su una grande forza e velocità di solito si ritirano intorno ai trent'anni proprio perché le loro prestazioni non sono più in grado di competere con quelle dei giovani.

• Un'altra ragione per evitare una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e di carboidrati semplici è che aumenta il rischio di diabete, anche tra coloro che non sono sovrappeso.

• Le facoltà mentali imboccano la fase discendente della parabola, dopo aver raggiunto il culmine verso i vent'anni. Il declino mentale, che ha inizio intorno ai ventisette anni, è però graduale e diversificato. Le prime funzioni cerebrali ad accusare un calo, per quanto lento, sono quelle legate alla corteccia prefrontale e temporale che presiedono alle capacità di giudizio, pianificazione e pensiero strategico. Tra i trenta e i quarant'anni, la memoria episodica, cioè l'abilità di ricordare episodi della vita passata, comincia lentamente a declinare. Nel corso dei tre-cinque decenni seguenti, questa continua perdita cambierà il modo stesso di gestire le informazioni ricevute. Il dato positivo è che continuiamo comunque ad acquisire informazioni, ma i mutamenti avvenuti nel nostro cervello affinano l'abilità di passarle al vaglio e di raggiungere una prospettiva più "matura" a riguardo.

• Si entra in quella fase della vita umana in cui l'incidenza dei diversi tipi di tumore inizia ad aumentare in modo significativo decennio dopo decennio sino ai settantacinque anni circa, quando le percentuali tornano a stabilizzarsi. L'invecchiamento rappresenta uno dei fattori di rischio per lo sviluppo dei tumori. D'ora in poi, le conversazioni e le notizie riguardanti amici e parenti sembreranno il bollettino di una guerra sempre più vasta contro il cancro. I dati raccolti dal National Institute on Aging statunitense contribuiscono a spiegare il perché. A trentacinque anni, 90 americani ogni 100.000 hanno sviluppato un qualche tipo di tumore; dopo i quarantacinque anni, l'incidenza è di 206 su 100.000. Dopo i cinquantacinque anni, la cifra sale a 574, dopo i sessantacinque raggiunge quota 1.301 e a settantacinque anni 2.234 persone ogni 100.000 hanno sviluppato una qualche forma tumorale.

• Gli uomini iniziano a scarseggiare perché, statisticamente, la popolazione maschile è più esposta alle malattie e tende a reagire peggio, inoltre ha maggiori probabilità di essere coinvolta in atti di violenza anche mortali. Già all'inizio dei trent'anni, le donne sono più numerose degli uomini e tale disparità è destinata a crescere negli anni a causa del grave impatto che ha sugli uomini qualsiasi forma di trauma fisico, mentale o emotivo. Da giovani, gli uomini muoiono in incidenti automobilistici, mentre da vecchi la rottura dell'anca li uccide assai più frequentemente di quanto non accada alle donne.


A quarant'anni:

• Si soffre più facilmente dei tre principali disturbi della vista: cataratta, glaucoma e degenerazione maculare (se ne parlerà diffusamente più avanti).

• Ci si sente spesso stanchi. Può trattarsi delle conseguenze dell'inattività fisica (ma la stanchezza è a sua volta causa di inattività) o di una dieta sbagliata. Può essere la conseguenza di normali cambiamenti in atto nel corpo, come la menopausa o l'andropausa, ma può anche trattarsi dell'avvisaglia di malattie ben più gravi. Solo in tempi recenti la fatica ha iniziato a essere oggetto di un vero e proprio studio e non esiste ancora un metro di riferimento standard per misurarla. Secondo i criteri considerati, la stanchezza colpisce tra il 5 e il 20 per cento della popolazione sopra i trentotto anni e l'incidenza è doppia nel caso delle donne.

• È bene procurarsi i recapiti di terapeuti e chirurghi ortopedici capaci. A quarant'anni è più facile subire traumi alle articolazioni, in particolare a spalle, polsi, ginocchia e caviglie. Passati i quaranta, aumentano notevolmente le probabilità di aver bisogno di interventi chirurgici per risolvere questo tipo di problemi.

• Occorre rifare l'orlo ai pantaloni. Gli anni riducono la statura delle persone al ritmo di oltre un centimetro al decennio. Alcuni ricercatori inglesi hanno notato che gli uomini che perdono oltre 3,6 cm di altezza tra i quaranta e i cinquant'anni hanno il 645 per cento di possibilità in più di morire nei vent'anni seguenti rispetto a quegli uomini che, nello stesso periodo, hanno perso meno di 1 cm.

• Le articolazioni si irrigidiscono e in alcuni casi subentra l'artrite.

• Compaiono i primi capelli bianchi e, in alcuni casi, non c'è più traccia del proprio originario colore. Alcune persone si ritrovano con una chioma immacolata, altre completamente calve.

• Le occhiaie si fanno visibili. Il gonfiore è il risultato del declino pervasivo e accelerato dell'elasticità, del colorito giovanile e della compattezza della pelle. La colpa è in parte attribuibile al sistema linfatico, che perde progressivamente la capacità di smaltire le tossine accumulate nell'organismo. Il gonfiore è uno dei segnali del funzionamento non più perfetto delle ghiandole linfatiche.

• Subentra la cellulite con la sua sgradevole dote di piccole infossature. Le cellule di grasso presenti sotto la cute di uomini e donne iniziano a conferire alla pelle l'aspetto poco attraente di una buccia d'arancia. Nelle donne il disturbo è maggiormente evidente su fianchi e cosce, negli uomini su collo e stomaco.

• Anche i ritmi sessuali iniziano a mutare. Nelle donne comincia la fase di avvicinamento alla menopausa, che spesso sopraggiunge intorno ai cinquant'anni portando con sé uno spettro amplissimo di esperienze, tra cui la fine della fertilità e del ciclo mensile sono le uniche condivise a livello generale. Le donne appartenenti ad alcuni gruppi etnici tendono ad accusare maggiormente gli effetti fisici ed emotivi rispetto alle donne di diversa origine. Le ricerche condotte hanno evidenziato che le donne afroamericane si sentono particolarmente colpite a livello sia fisico che psicologico dalla menopausa, mentre le cinesi e le giapponesi non vivono questo cambiamento in modo altrettanto negativo. I ricercatori della UCLA hanno scoperto che la memoria e la capacità di apprendimento cominciano a declinare in quasi metà delle donne che entrano in menopausa, ma, una volta superato il periodo iniziale, le loro facoltà intellettive ritornano. Durante il "cambiamento", si presentano spesso alcuni disturbi temporanei come vampate di calore, sudorazione notturna, insonnia e irritabilità. Tra i problemi più duraturi, invece, si annoverano l'aumento del peso e la riduzione dell'altezza, l'innalzamento dei livelli del colesterolo nel sangue e l'indebolimento delle ossa. Molte donne si ritroveranno inoltre a sperimentare quel disturbo tristemente noto come "atrofia vaginale", in cui i sempre minori livelli di estrogeni determinano un assottigliamento delle pareti della vagina e una minore lubrificazione con il conseguente rischio di infiammazioni. Nessuna meraviglia che la vita sessuale ne risenta. La penetrazione può risultare meno piacevole o persino dolorosa e dare luogo a perdite di sangue. Gli orgasmi diventano meno intensi, più difficili da raggiungere e possono essere accolti con indifferenza. Anche gli slanci passionali e la ricerca di avventure possono non essere più avvertiti con la medesima urgenza di un tempo. Nel 2009, un'indagine condotta dal settore farmaceutico su un campione di 2.500 donne americane che stavano sperimentando o che avevano già sperimentato la menopausa ha evidenziato in quasi sette casi su dieci la presenza di sintomi che avevano inciso negativamente sulla salute e il benessere personale; sei su dieci lamentavano un peggioramento nella vita sessuale e circa la metà ammetteva spiacevoli conseguenze nelle relazioni con il partner. Erano stati proprio i cambiamenti a livello sessuale a sorprenderle maggiormente, raccontavano le donne. Alcune di loro, tuttavia, avevano accolto positivamente il cambiamento, che per molte aveva rappresentato una sorta di liberazione sessuale. Anche i maschi soffrono di problemi causati dal calo degli ormoni. Gli effetti delle minori quantità di testosterone negli uomini sono spesso chiamati "menopausa maschile", definizione in sé priva di senso, dato che il termine "menopausa" deriva dalla parola greca riferita alla cessazione del ciclo femminile. Il nome successivamente adottato, "andropausa", definisce la versione maschile dello stesso mutamento. Gli uomini producono testosterone nel corso di tutta la loro esistenza: i livelli aumentano vertiginosamente durante la pubertà e, nella gran parte della popolazione raggiungono il picco poco prima dei vent'anni per poi stabilizzarsi nel corso dei due o tre decenni seguenti. Successivamente, di solito verso i quarant'anni, i livelli di testosterone iniziano a diminuire al ritmo di circa l'1 per cento all'anno. Anche qualora i livelli restino complessivamente alti, il testosterone effettivamente utilizzabile e "a disposizione" può calare negli uomini anziani, mentre il testosterone non utilizzabile, legato alle proteine, può rimanere su valori elevati. Ciò fa sì che la misurazione dei livelli di testosterone si riveli un compito arduo, dato che la rilevazione dei soli livelli non spiega l'utilizzo che il corpo fa dell'ormone e rende controversa qualsiasi discussione sulla diffusione dell'andropausa. Uno dei fattori che contribuiscono a confondere le idee è il fatto che l'andropausa non sia causata dalla sola diminuzione del testosterone, ma anche dalla variazione dei livelli di molti altri ormoni. La maggior parte degli uomini riesce a sopportare i cambiamenti dovuti alla progressiva riduzione del testosterone, ma alcuni accusano il colpo. Alcuni uomini percepiscono anche i minimi cambiamenti nel livello degli ormoni sessuali persino in tarda età. L'andropausa, inoltre, si rivela molto più lentamente rispetto alla menopausa. A partire dai quarant'anni, per gli uomini inizia il calo del tono muscolare e della densità ossea (che è responsabile della riduzione dell'altezza) accompagnato da una diminuzione del numero di globuli rossi. Il dottor Jeremy P.W. Heaton, professore di urologia presso la Queen's University dell'Ontario, elenca sei cambiamenti clinici risultanti dalla diminuzione dei livelli ormonali maschili: calo della libido e peggioramento nella qualità dell'erezione, declino delle capacità intellettive, riduzione della massa muscolare, mutamenti a livello dell'epidermide e dei peli, maggiore quantità di adipe attorno agli organi della zona addominale, con conseguente aumento del rischio di diabete, ipertensione, problemi cardiocircolatori e ictus. Le ricerche condotte su gruppi di uomini di età compresa tra i venti e i settant'anni mostrano che, in generale, gli uomini attorno ai cinquant'anni si demoralizzano a causa di erezioni insoddisfacenti ed eiaculazioni scarse. Eppure, per quanto i livelli ormonali possano calare, gli uomini producono comunque quantità di testosterone sufficienti a danneggiare un corpo anziano, dato che la stessa sostanza che nel passato giocava un ruolo centrale nella forza e nella capacità riproduttiva maschile in tarda età può essere una delle cause di vari disturbi, tra cui le malattie cardiocircolatorie e il cancro.


A cinquant'anni:

• Cresce la minaccia rappresentata dai più potenti fattori di rischio: ipertensione, glicemia, alti livelli di colesterolo, sovrappeso, abuso di sostanze alcoliche, fumo, anomalie cardiache e vita da single (solo per gli uomini). In uno studio recente condotto su oltre 5.000 uomini delle Hawaii, coloro che non presentavano nessuno di questi principali fattori di rischio avevano una probabilità sei volte maggiore (equivalente al 55 per cento) di arrivare agli ottantacinque anni rispetto a quegli uomini che mostravano sei o più fattori di rischio.

• È più facile che le ossa si fratturino e, contrariamente a quanto si pensa comunemente, questa minaccia non riguarda le sole donne.

• È tempo di pensare alle articolazioni. A cinquant'anni l'artrite reumatoide e l'osteoartrite iniziano ad affliggere un gran numero di persone. Quasi una su cinque soffre di dolori reumatici e nel giro di un decennio la maggior parte dei pazienti inizia ad assumere combinazioni di steroidi e antidolorifici o subisce operazioni per sostituire le articolazioni e tentare di alleviare i dolori a mani, braccia, gambe, collo e schiena.

• Si manifestano più frequentemente problemi di restringimento delle gengive, carie dentali e disturbi periodontali e alla cavità orale. Aumenta inoltre la probabilità di perdere i denti.

• Diminuisce la quantità d'acqua trattenuta dal corpo, che comincia ad asciugarsi, con la conseguenza di una ridotta sudorazione e della difficoltà ad abbassare la temperatura corporea.

• Si fatica a prendere peso, soprattutto ad aumentare la massa muscolare e magra.

• Il gusto e l'olfatto non sono più acuti come in passato.

• Si è esposti a un maggior rischio di contrarre malattie cardiocircolatorie. Le donne in menopausa, il cui cuore era prima protetto dagli estrogeni, sono nuovamente vulnerabili a questo tipo di disturbi.

• Il ventre si fa ancora più prominente (nelle donne) a causa della ridistribuzione del grasso nel corpo e della perdita del tono muscolare.

• Fumando, invecchiamo prematuramente e il danno arrecato ai polmoni mediamente abbrevia la vita di dieci anni. Abusando di sostanze stupefacenti e di bevande alcoliche perdiamo la capacità di resistere allo stress. L'American Heart Association segnala che "per i consumatori di marijuana anziani e di mezza età aumenta di oltre quattro volte e mezzo il rischio di un attacco cardiaco durante l'ora successiva all'assunzione di droga". Pure i bevitori di lungo corso sperimentano un invecchiamento accelerato e prematuro, anche nel caso in cui nel frattempo abbiano modificato le loro abitudini. Gli alcolisti soffrono in anticipo di tutta una serie di problemi fisici che normalmente colpiscono persone ben più anziane. In particolare, sono le funzioni motorie a essere colpite nella stabilità e nell'equilibrio con il conseguente innalzamento del rischio di cadute mortali.

• Cominciano ad apparire i primi effetti dell'osteoporosi, soprattutto nelle donne, che continueranno a peggiorare nei decenni successivi quando le ossa diventeranno fragili e decalcificate. Le donne soffrono maggiormente di osteoporosi rispetto agli uomini.

• Si inizia a dimenticare. Parole che si era certi di conoscere restano sulla punta della lingua. Si dimenticano gli impegni e si ha difficoltà a ricostruire ciò che si è fatto anche solo il giorno prima. Una delle ragioni è che l'ippocampo, una delle aree del cervello fondamentali per la memoria (e gravemente colpita dal morbo di Alzheimer), inizia a restringersi.

• Si comincia a soffrire in modo significativo di problemi agli occhi. La cataratta è la causa di cecità più diffusa a livello globale, ma la chirurgia oggi è quasi sempre in grado di porvi rimedio. Il glaucoma rappresenta la seconda causa principale di cecità nel mondo, dopo la degenerazione maculare dovuta all'età. Dopo l'artrite, i reumatismi e le malattie cardiocircolatorie, la perdita della vista è il più probabile degli impedimenti che possono colpire gli ultra-settantenni.

• Si entra nella fascia di popolazione ad alto rischio di osteoartrite, il disturbo articolare più diffuso al mondo, che colpisce più frequentemente le ginocchia, i fianchi e le articolazioni di dimensioni ridotte. A livello globale, l'osteoartrite colpisce quasi un quarto degli adulti di età superiore ai cinquant'anni, in particolare se sovrappeso. L'osteoartrite provoca dolore ed è spesso causa di disabilità in quasi metà della popolazione americana di età superiore ai sessantacinque anni mentre, per ragioni tuttora non chiarite, a Hong Kong colpisce solo da una a tre persone su settanta.

• Gli uomini temono di avere un tumore ogni volta che si siedono. Dopo i cinquant'anni, la prostata ha già iniziato a ingrossarsi, una patologia benigna in nove casi su dieci, ma che può causare difficoltà a orinare nonostante la comparsa più frequente dello stimolo. Questo disturbo può causare spiacevoli incidenti e talvolta vero e proprio dolore. Se tutto va bene non si tratta di un cancro, ma è sempre meglio sottoporsi a un controllo perché quella alla prostata resta la forma tumorale più diffusa negli uomini. Se diagnosticata per tempo, questa malattia ha una prognosi positiva, ma molti pazienti ritardano il momento della visita o non manifestano sintomi tali da indurli a recarsi dal dottore. Il risultato è che tuttora il cancro alla prostata è una delle più diffuse cause di morte maschile.


A sessant'anni:

• Ci si preoccupa del proprio cuore. L'età è il principale fattore di rischio per le malattie cardiocircolatorie, che figurano tra le maggiori cause di morte a livello globale. Nei paesi sviluppati è addirittura la prima causa di morte in assoluto, ma l'80 per cento dei decessi si registra nei paesi a reddito medio-basso. Negli Stati Uniti, l'83 per cento delle morti dovute a disturbi coronarici riguarda persone con più di sessantacinque anni. Nel mondo, circa il 30 per cento di tutti i decessi è ascrivibile a disturbi cardiovascolari. 80 milioni di americani convivono con problemi di questo tipo, tra i quali si annovera l'ictus, le cui conseguenze sulla vita quotidiana possono essere, a seconda dei casi, facilmente gestibili o profondamente debilitanti.

• Per gli uomini, l'ingrossamento della prostata diviene una possibilità ancora più concreta. La percentuale di persone colpite è in continuo aumento, anno dopo anno, e incide sia sul riposo notturno sia sul numero di visite diurne al bagno.

• Si avvertono i cambiamenti in atto nell'epidermide, che si assottiglia e perde parte della sua capacità di costituire una barriera con cui trattenere i fluidi e, al contempo, respingere gli agenti esterni. La pelle, come qualsiasi altra parte del corpo, guarisce più lentamente ed è più sensibile agli agenti chimici, medicine incluse. Appaiono le macchie dovute all'età e l'epidermide è meno resistente ai tumori.

• Visivamente si ha l'impressione che il naso e le orecchie diventino più grandi, in parte a causa della perdita del grasso che li circonda.

• Si perde parzialmente la capacità di regolazione della temperatura corporea e si è più esposti sia all'ipotermia che all'ipertermia.

• Si entra nella fascia di popolazione ad alto rischio di sviluppare un tumore. Chi non ne è direttamente colpito quasi certamente ha parenti o amici malati. Secondo il National Cancer Institute statunitense, gli americani di età superiore ai sessantacinque anni rappresentano il 60 per cento dei malati di cancro e il 70 per cento di tutti i decessi dovuti a forme tumorali. Afferma il NCI che "il tasso di incidenza calcolato in base all'età per le persone con più di sessantacinque anni è dieci volte maggiore rispetto a quello della popolazione più giovane ... I tumori a pancreas, stomaco, retto, polmoni, fegato, reni e ovaie, insieme alla leucemia e al linfoma non-Hodgkin riuniscono una quota oscillante fra i due terzi e i tre quarti di tutti i decessi per cancro nella popolazione di oltre sessantacinque anni. Oltre il 75 per cento delle morti è dovuto a tumori alle vie urinarie, alla vescica, al colon e all'utero. Metà dei casi di cancro al seno, spesso ritenuto una malattia più diffusa tra le donne in pre-menopausa, interessa invece le donne che hanno superato i sessantacinque anni. La mortalità riconducibile al tumore alla prostata fa storia a sé con il 92 per cento dei decessi che si verificano nella popolazione maschile ultrasessantacinquenne. Quasi il 50 per cento delle morti per tumore al cervello e il 60 per cento di quelle causate da cancro alla testa e al collo si manifestano nelle persone con più di sessantacinque anni". Alcuni stili di vita particolarmente dannosi, ma un tempo diffusi e apprezzati, ora mietono vittime. Il cancro ai polmoni inizia a fare strage di sessantenni, man mano che i danni dovuti ad anni e anni di sigarette raggiungono il punto di non ritorno.

• L'udito comincia a calare. Sia i meccanismi interni all'orecchio sia la capacità del cervello di riconoscere i suoni solitamente declinano con l'avanzare dell'età. Una delle forme più comuni di danno all'udito, la presbiacusia, colpisce entrambe le orecchie e riduce la capacità di udire qualsiasi tipo di suono. Questo disturbo interessa il 40 per cento degli adulti di età superiore ai sessantacinque anni e l'80 per cento delle persone che hanno superato gli ottantacinque. L'udito degli uomini declina due volte più rapidamente di quello delle donne.

• S'inizia a camminare più lentamente. Il passo normale di un anziano in salute è più lento di circa un quinto rispetto a quello dì un giovane adulto. Gli anziani camminano come prima, ma i loro passi sono più corti, le braccia oscillano in modo meno pronunciato, fianchi, ginocchia e caviglie non si allungano più come prima e l'appoggio del piede tende ad appiattirsi. Camminare per la città, attraversare le strade prima che il semaforo diventi rosso e scansare le persone sul marciapiede può rivelarsi sempre più difficile, al punto da limitare la possibilità di svolgere le attività quotidiane, soprattutto nel caso di quelle persone che hanno anche problemi di vista o di udito.

• Come detto in precedenza, ci si trova ad affrontare i pericoli della gravità. Secondo la Cleveland Clinic, le cadute sono la prima causa di ferimento, mortale o no, tra le persone anziane. Negli Stati Uniti, tra le persone che hanno superato i sessantacinque anni una persona su tre si ferisce gravemente ogni anno in seguito a una caduta, avvenuta generalmente in casa. La BBC informa che in Gran Bretagna le persone che muoiono a seguito di cadute in casa sono più numerose di quelle decedute in incidenti automobilistici. In Gran Bretagna circa 2.000 anziani muoiono ogni anno a causa di una caduta e 300.000 riportano ferite. Le cadute sono riconducibili a un ampio spettro di altri problemi di salute. Le ferite provocate da una caduta possono condurre all'isolamento sociale e a un rapido declino delle condizioni generali di salute. Circa un terzo degli anziani che cadono rompendosi l'anca muore entro l'anno. Anche il timore di cadere rappresenta un serio rischio che impedisce alle persone di essere indipendenti.


A settant'anni:

• Si dimenticano più cose, mentre rallenta la velocità alla quale il cervello processa le informazioni ricevute. I vuoti di memoria sono normali e si riescono a gestire e a compensare. Se si sospetta di avere il morbo di Alzheimer, però, esistono nuovi test in grado di stabilire con sicurezza sia l'attuale presenza della malattia sia la probabilità di esserne colpiti nell'arco dei dieci anni successivi.

• Si acquisisce una maggiore abilità nel mettere a frutto quanto vissuto e imparato, ma anche nel focalizzarsi maggiormente sulle emozioni positive. Allo stesso tempo, svariate condizioni associate all'età, tra cui i cambiamenti ormonali e i problemi mentali, possono portare alla depressione.

• Diminuisce la capacità di controllare le funzioni corporali. Le pareti della vescica diventano meno flessibili e in grado di contenere una minore quantità di urina. I muscoli si indeboliscono creando difficoltà a svuotare completamente l'urina durante la minzione, con il conseguente rischio di incontinenza. Tra le persone di oltre sessantacinque anni, una su dieci ha problemi a controllare la vescica. Nelle donne può anche verificarsi il prolasso vescicale, cioè uno spostamento dell'organo che può bloccare l'uretra, rendendo difficile orinare. Negli uomini, l'ingrossamento della ghiandola prostatica può ostruire l'uretra. L'efficienza dei reni può ridursi, rallentando di conseguenza il filtraggio del sangue e rendendo il corpo più vulnerabile alle tossine e meno tollerante verso molti farmaci.

• Si perdono i sensi. Letteralmente. A settant'anni la vista e l'udito si deteriorano facilmente secondo modalità che vanno a incidere sullo stile di vita. Fra i settantenni, uno su sei ha seri problemi alla vista, percentuale destinata a raddoppiare fra gli ottantenni, e uno su quattro non ci sente bene. Circa un terzo delle persone interessate da deficit uditivo possono risolvere almeno in parte il problema ricorrendo all'uso di protesi acustiche.

• Si perde il passo. Tra gli ultra-settantenni, più di sette persone su dieci hanno problemi di equilibrio e circa una su tre ha perso la sensibilità ai piedi al punto da avere difficoltà a camminare.


A ottant'anni, ammesso di arrivarci, si inizia a soffrire di quelle malattie che colpiscono gli individui meno robusti già a cinquanta, sessanta e settant'anni. Inoltre:

• Aumentano le probabilità di soffrire di demenza senile, dato che il rischio di essere colpiti dal morbo di Alzheimer, la causa più comune di demenza, raddoppia anno dopo anno per tutte le persone che hanno superato i sessantacinque anni. Gli ottantacinquenni hanno una possibilità su due di contrarre la malattia.

• La diminuzione dello strato di adipe sottocutaneo è ormai tale da rendere la pelle sottile, cadente e più soggetta alla formazione di lividi. Gli anziani che perdono grandi quantità di grasso corporeo possono sperimentare la sensazione di avere la pelle letteralmente appesa allo scheletro.


A novant'anni:

• Arrivare a questa età significa essere vissuti più a lungo di quasi ogni altra persona nata nello stesso anno. Per chi riesce a superare i novant'anni le probabilità di morire aumentano di anno in anno, ma in un certo senso a questa età è possibile godere di una salute migliore rispetto a tanti amici ottantenni. Le persone più anziane spesso danno prova di un'incredibile resistenza alle malattie.


Chi supera il secolo di vita probabilmente si sorprenderà di essere ancora vivo e, ancor più, di scoprire quanti altri suoi coetanei ce l'hanno fatta.

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Ingannare la morte,
una molecola alla volta



Cominciamo a morire già nel grembo materno. L'idea stessa ci appare paradossale. Com'è possibile una cosa del genere?

La risposta, per quanto parziale, sta nel fatto che persino alla nascita godiamo dei vantaggi garantiti dal mondo moderno. E, cosa non meno importante, viviamo ancora su un pianeta in cui la buona salute e la lunga vita sono dispensate in dosi diseguali a seconda di dove, come e quando una persona viene al mondo e cresce. Gli effetti delle circostanze non sono sempre scontati o facili da prevedere. Il modo in cui il nostro intelletto e il nostro corpo si conservano col passare degli anni dipende dalla complicata interazione esistente tra vari fattori: i geni ereditati ("Se vuoi vivere a lungo, scegliti i genitori giusti"), lo stress ambientale cui si è esposti nel periodo della crescita e della formazione e, infine, lo stile di vita che adottiamo.

Il modo in cui le madri si occupano dei bambini che portano in grembo incide sulle possibilità di sopravvivenza e sulla qualità della vita adulta dell'individuo. Un tumore che si manifesta a ottant'anni può ricollegarsi, a livello genetico, all'ambiente in cui ha vissuto la madre dell'individuo che ne è colpito. Alan Jones dello University College Institute for Child Health di Londra definisce il periodo precedente alla nascita e l'intera infanzia una "finestra di opportunità" nel corso della quale i geni possono essere "programmati" in funzione di una buona (o di una cattiva) salute tramite l'epigenetica, che il medico descrive come la delicata interazione fra i geni e l'ambiente. L'epigenetica, sottolinea Jones, influenza l'intera vita di una persona.

Quando si verifica una mutazione epigenetica, il DNA reagisce tramite processi chimici che hanno il potere di attivare o disattivare i singoli geni. L'epigenetica non può modificare il modello genetico dell'individuo, ma agisce sul modo in cui i geni del nostro patrimonio si attivano, restano inerti o modificano le loro funzioni.

Spesso è l'ambiente a stimolare il mutamento epigenetico. Se, ad esempio, una madre fa sì che il figlio non ancora nato entri in contatto con ormoni sintetici (magari perché le sono stati prescritti o perché sono presenti nel cibo normalmente consumato), il bambino in seguito potrebbe reagire in modo anormale agli ormoni naturali. Il nascituro pagherà per tutta la vita anche le conseguenze dello stress materno (che può essere causa di un sistema nervoso iper-reattivo) o della fame patita (che può provocare un accumulo corporeo di grasso invece che di tessuto muscolare). Il figlio di una madre vittima di abusi psicologici, poi, potrà subirne a propria volta le conseguenze (dimostrandosi più portato alla depressione, che per gli anziani è letale).


Buone notizie

Ma se è vero che cominciamo a morire già nel grembo materno, nello stesso periodo abbiamo anche la possibilità di gettare le basi per una vita più lunga, ammesso di poter godere di buone cure prenatali. Perciò, la ricerca di una maggiore aspettativa di vita inizia presto. Avvenimenti un tempo impossibili da modificare oggi possono essere trasformati grazie all'intervento medico.

La fine della gravidanza e il momento del parto, fondamentali per la salute a lungo termine dell'individuo, che un tempo rappresentavano i periodi della vita più pericolosi sia per la madre che per il bambino, offrono oggi l'occasione di un intervento medico capace di incidere profondamente su quanto a lungo e in quali condizioni di salute il bambino vivrà.

Quelle madri che si sottopongono a un semplice test per verificare la presenza dello streptococco Gruppo B, un disturbo di cui gli adulti possono soffrire senza manifestare alcun sintomo, ma che può causare meningiti e paralisi cerebrali nei neonati, possono essere curate con antibiotici per scongiurare qualsiasi tipo di complicazione per il bambino. Un semplice esame del sangue è in grado di individuare sino a cinquanta diverse malattie in un neonato. Il prelievo viene effettuato poco dopo la nascita da un medico o un'infermiera che pungono la pianta del piede del bambino e trasferiscono una goccia di sangue su un pezzetto di carta filtrante. Un laboratorio analizza il campione cercando traccia di una serie di malattie che, per quanto rare, se non curate possono causare al neonato danni permanenti, fisici o mentali, abbreviare in modo significativo la sua esistenza o entrambe le cose.

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Domande difficili ancora senza risposta

Qualsiasi previsione relativa alla possibilità di un ulteriore prolungamento della vita umana, sia esso il frutto di una migliore cura prenatale, di aggiustamenti genetici post-partum, della dipendenza dai corpi di altri esseri umani o dall'impianto di interfacce informatiche, per non parlare del costante progresso delle terapie mediche standard e delle medicine disponibili, presto o tardi arriva a porsi una manciata di domande per cui non esiste risposta: anche ammesso di poter riuscire a vivere più a lungo, perché mai dovremmo desiderarlo? Chi trarrà vantaggio da queste nuove tecnologie vitali e chi no? Chi ne pagherà il prezzo, in un modo o nell'altro? Quali conseguenze potrebbero derivare dal fatto di potere, un giorno, conoscere i pronipoti dei propri pronipoti? L'inarrestabile estensione della vita su larga scala diventerà causa dell'ulteriore invecchiamento di alcune società che, in questo modo, si troveranno oberate da percentuali ancora maggiori di persone anziane? È accettabile che a un numero limitato di nazioni piccole e ricche sia concesso un destino differente sul piano quantitativo da quello che attende altri paesi? E infine, la domanda a cui è davvero impossibile rispondere: a quale età si comincia ad averne abbastanza di stare al mondo?

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Il futuro dei giovani in un mondo invecchiato

La complessità dell'invecchiamento globale mette a dura prova l'umana capacità di comprensione. Come si può pretendere che gli elettori si esprimano in merito a misure economiche capaci di metterli al sicuro dalla cupidigia e dall'incertezza del sistema finanziario mondiale, quando quest'ultimo è senza dubbio la più complessa entità immateriale creata dalla mente umana? Quando persino gli esperti della materia, studiosi con alle spalle anni di approfondita preparazione in svariate discipline, non riescono a raggiungere un accordo di massima sulla definizione di un sistema sociale capace di reggere la prova di una società invecchiata, una simile incertezza sembra dare ragione a chi tende a mettere al sicuro il proprio denaro in banca o anche a nasconderlo sotto il materasso. Oppure a investirlo nello sviluppo del capitale intellettivo, proprio e dei figli, per garantire alla famiglia un patrimonio mobile e reinvestibile in qualsiasi circostanza.

Gli abitanti di questo mondo invecchiato lo sanno fin troppo bene: l'istruzione oggigiorno ha sostituito le famiglie numerose come assicurazione preferita per la vecchiaia. Qualora sia il settore pubblico sia quello privato dovessero scricchiolare nel tentativo di garantire ammortizzatori sociali, assistenza sanitaria e pensioni alla popolazione, i singoli si troveranno spinti ad avere sempre meno figli e a investire sempre di più nella propria istruzione. In tutto il nuovo mondo grigio ci si preoccupa di trovare il modo per convincere i genitori ad avere più di un figlio. Persino in Cina, dove il figlio unico è imposto dalla legge, i legislatori si affannano nel tentativo di invertire la tendenza. Eppure riesce difficile immaginare in quale modo, in un mondo urbanizzato in cui i singoli individui sono costretti a contare soltanto su stessi, gli ingranaggi dell'invecchiamento globale potrebbero invertire il loro movimento.


L'invecchiamento globale: un immenso circolo vizioso

Tuttavia esiste un altro scenario quasi inevitabile, anche se ampiamente sottovalutato, in un mondo che si impegna sia a mantenere una popolazione invecchiata attraverso un sistema di ammortizzatori sociali sia ad aggirare, attraverso le strategie della globalizzazione, i costi sopportati dal settore privato. Questo scenario prevede un invecchiamento globale assai più rapido di quanto immaginato persino nelle previsioni più aggressive elaborate dai governi e dalle organizzazioni internazionali. In realtà, oggi siamo tutti prigionieri di un circolo vizioso nel quale i paesi che ora terrorizzano il mondo, e gli analisti militari, con la minaccia della loro giovinezza, finiranno per essere annoverati tra i luoghi a più rapido invecchiamento.

Riepiloghiamo brevemente i fattori responsabili dell'invecchiamento di una società, alcuni dei quali consentono alle persone di vivere più a lungo, mentre altri le incoraggiano ad avere pochi figli. Il primo fattore è costituito dall'alfabetizzazione, unita a un numero sufficiente di anni di istruzione da consentire a un individuo di leggere ed essere in grado di seguire le istruzioni imprescindibili all'attività lavorativa moderna. Segue la possibilità del singolo di accedere a un servizio sanitario pubblico. Un altro passaggio cruciale è costituito dall'abbandono delle aree rurali del mondo da parte di un ampio segmento della popolazione, con la conseguente urbanizzazione e il passaggio dei lavoratori dai campi alle fabbriche e, quindi, da un sistema caratterizzato da una produttività ridotta a uno a elevata produttività. Inoltre si devono considerare i potenti effetti dell'accesso delle donne a una migliore istruzione e al mercato occupazionale.

In definitiva, emerge che le caratteristiche delle società invecchiate coincidono quasi perfettamente con i capisaldi della globalizzazione. A partire dalla metà del XX secolo, i paesi che si sono evoluti con maggiore successo trasformandosi da economie a scarso reddito prevalentemente agricole in potenze industriali formidabili, moderne e globalmente riconosciute hanno percorso tutte queste fasi, anche se, ovviamente, non con lo scopo dichiarato di invecchiare. Le scelte compiute hanno costituito il percorso obbligato volto a rispondere ai bisogni del resto del mondo e ad aprire il paese a un'economia di più ampio respiro con l'obiettivo finale di competere alla pari sul mercato internazionale. Una nazione che intenda vendere i propri prodotti manifatturieri sul mercato americano o europeo dovrà impegnarsi a riprodurre i macchinari industriali utilizzati nelle economie di quei paesi, puntando a offrire prodotti migliori o più economici ma battendo i migliori giocatori sulla piazza al loro stesso gioco. Il cambiamento inevitabilmente deve interessare i paesi più poveri, non quelli ricchi.

Il Giappone è stato il primo a comprenderlo, riscrivendo il programma economico-politico del dopoguerra e crescendo sino a sfiorare lo status di superpotenza mondiale grazie alla scelta di spingere all'estremo la modernizzazione. Nel volgere di mezzo secolo il Giappone, allora una delle nazioni più giovani del pianeta, si è trasformato in una delle più anziane. Al paese del Sol Levante se ne sono accodati altri, tra cui la Corea, Taiwan, la Cina e il Vietnam, e tutti hanno adottato lo stesso approccio. La concorrenza giapponese ha spinto le società americane ad adottare a loro volta strategie globali volte ad abbattere i costi e a incrementare la produzione. Gli investimenti stranieri hanno dato la spinta iniziale al processo di urbanizzazione e industrializzazione cinese a cui il paese ha risposto replicando le stesse strutture economiche giapponesi e occidentali, ma riproposte su scala talmente ampia da risultare inavvicinabili per qualsiasi altra nazione. Nell'arco di tempo intercorso fra la trasformazione post-bellica del Giappone e quella della Cina, il processo ha conosciuto un'enorme accelerazione. Ogni qualvolta il braccio del compasso si spostava su un nuovo serbatoio di manodopera giovane e a basso costo, il ritmo della transizione economica accelerava, parallelamente all'invecchiamento della popolazione locale. Nel pacchetto della modernizzazione rientravano l'adozione di nuove tecnologie produttive, il miglioramento dei collegamenti aerei del paese e delle sue telecomunicazioni, ma, nel frattempo, il mondo invecchiato già ripartiva alla ricerca di una nuova destinazione per spostare le fabbriche e creare nuovi posti di lavoro sfruttando decine di milioni di giovani, capaci di riprodurre gli stessi processi applicati dai lavoratori anziani nel paese di origine dell'azienda e da quelli degli altri paesi ormai a loro volta troppo cari e in fase di invecchiamento che avevano rappresentato le fasi precedenti del continuo processo di delocalizzazione.

Già adesso la Cina avverte la pressione di una forza lavoro declinante e di una delle popolazioni mondiali in fase di più rapido invecchiamento. Gli oneri e le promesse della globalizzazione si sono allora trasferiti in India, ma il risultato non è cambiato: come evidenziato nell'ultimo censimento nazionale, l'India sta invecchiando addirittura più rapidamente della Cina. Molti paesi africani sembrano sull'orlo di un vero e proprio boom industriale (spesso finanziato dagli investimenti cinesi). Per il Continente Nero, però, già si profila un'analoga crisi demografica a causa della crescita esponenziale del numero degli anziani e, se lo sviluppo e la globalizzazione serreranno la presa anche su questi paesi come in Estremo Oriente, l'Africa potrebbe trasformarsi nell'area del pianeta caratterizzata dal più rapido invecchiamento in assoluto. Così, nella sua incessante ricerca della gioventù come valvola di sicurezza economica, questo nostro mondo grigio contamina zone sempre più ampie del pianeta con le forze invincibili dell'invecchiamento globale foriere di pericoli e promesse.

Nel frattempo, non ci si deve arrendere al timore che il nostro mondo sia preda di un declino irreversibile perché, a conti fatti, si tratta di un mondo capace di offrire il più ambito di tutti i doni: una vita più lunga. Poche persone vorrebbero vivere per sempre, ma la maggior parte sogna di vivere più a lungo e meglio. Considerata la diffusione delle pratiche mediche in grado di prolungare l'esistenza, dei programmi di sanità pubblica e di una sempre più comune alfabetizzazione del vivere in salute, molti di noi effettivamente potranno godere di vite più lunghe e migliori. Possiamo quindi dirci felici? Se la risposta è affermativa, dobbiamo affrontare il paradosso dell'Onda Grigia: il più felice dei mondi possibili è anche quello più bisognoso. E, per quanto questo nostro mondo invecchiato sia il risultato di una serie di scelte compiute da una larga parte della popolazione mondiale, il modo in cui vivremo il futuro che ci attende e in cui decideremo di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari dipenderà fondamentalmente da scelte personali.

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