Copertina
Autore Ennio Flaiano
Titolo Diario notturno
EdizioneAdelphi, Milano, 2002 [1994], Piccola Biblioteca 323 , pag. 332, dim. 105x178x22 mm , Isbn 978-88-459-1196-5
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe narrativa italiana , satira , diari
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Indice


Supplemento ai viaggi di Marco Polo          11

    I.    Del viaggiare                      13
    II.   Nel paese dei Poveri               16
    III.  L'Imperatore cinico                22
    IV.   Dei miracoli                       28
    V.    L'amico Qualsiasi                  31
    VI.   Il soggiorno nelle Isole           37
    VII.  Tra i cannibali dell'Altopiano     40
    VIII. O mia capitale!                    47
    IX.   Commiato                           53

Sei raccontini utili                         55

    Lo sbadiglio                             57
    Il tunnel                                62
    Lo sconosciuto                           68
    L'ingegnere                              73
    Il terzo personaggio                     79
    Il topo della sera                       85

La saggezza di Pickwick                      93


Diario notturno                             109

    Taccuino 1946                           111
    Taccuino 1948                           127
    Taccuino 1951                           142
    Taccuino 1954                           159
    Taccuino 1955                           172
    Taccuino 1956                           214

Un marziano a Roma                          265


Fine di un caso                             289


Variazioni su un commendatore               311

 

 

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Pagina 13

I
DEL VIAGGIARE



Per la verità, non amo molto viaggiare. Tutti i miei viaggi li ho affrontati malvolentieri, la realtà dei nuovi paesi equivale quella dei vecchi. Le città mai viste, arrivandoci, mi preoccupano anzi come vere e proprie persone che bisogna prima attentamente conoscere se non si vuol correre il rischio di legarvisi con un'amicizia inutile e precipitosa. Il traffico, gli abitanti, certe frasi che si colgono a volo, le risposte del garzone del buffet, le sfumature del nuovo dialetto, invece di interessarmi, ormai mi rattristano. Non ho tralasciata l'abitudine giovanile di tenere in tasca un quadernetto, ma gli appunti che vi trovo, alla fine, sono così futili! E ciò che di rado nel mio ambiente mi colpisce, ossia che la vita scorre ogni giorno e una volta per sempre, mi si rivela altrove irreparabilmente vero.

È negli specchi degli alberghi che mi accorgo di essere invecchiato. E quella donna che attarda il passo alla vista del forestiero e si volta a guardarmi...

Ecco un'altra donna alla finestra. Non ne sopporto la presenza, ossia mi addolora. Forse nemmeno si è accorta di me, dunque non saprà mai che esisto anch'io, che le sono passato accanto. E il fatto che debba seguitare ad affacciarsi ogni giorno, quando io sarò risalito sul treno, la certezza che tutto qui cambierà (usciranno anche i giornali locali), mi fa rimpiangere di aver deciso questa sosta. La targa di un dentista, a P., mi dette una volta tanta tristezza che anticipai l'ora della partenza: volli proprio andarmene da un luogo che m'era diventato trasparente come un bicchier d'acqua. Il proseguire della vita di quel dentista mi turbava, poiché ne compendiavo i tempi; com'è certo che quel dentista si turberebbe se vedesse un bel giorno la mia targa di ottone, ahimè, non più lustra.



La storia del piccolo naviglio, che navigò sette settimane e poi affondò, mi commuove sempre profondamente. Sarà quello il mio ultimo imbarco.

Soltanto coloro che vivono a terra e sognano il mare ammirano le stelle, le aurore, i tramonti. Io ho sempre considerato questi elementi e questi spettacoli come arnesi di lavoro. I viaggi mi hanno incallito alla malinconia. Ma nell'Oceano Pacifico, a un mese di distanza dal primo porto, non ho inteso l'infinito prendermi alla gola, come nelle terme di S., guardando l'acqua della vasca centrale. E i miei viaggi in Cina sono davvero poca cosa se li confronto a quei passi a tentoni nel buio, dal letto alla cucina, in cerca di un bicchier d'acqua.

Ho conosciuto camere di albergo nelle quali il suicidio diventa una questione di colore locale, forse di delicatezza.

E, sempre a proposito di viaggi, io mi innamoro di tutte le figlie dei capostazione.



Ero su quel treno che Anna Karenina scelse per gettarvisi sotto e debbo dire che non mi accorsi di niente.



Le colonne d'Ercole erano il pudore dell'antica geografia. Poi, violate quelle, rimase l'Ultima Tule; più tardi, i Poli. Infine, più nulla. L'uomo partiva una volta alla ricerca di un limite, ora introvabile. Non gli restano che i viaggi autour de sa chambre, dai quali però raramente si torna.

Gli appunti che seguono sono di un fortunato viaggio che, in mancanza di meglio, feci da giovane nel paese dei poveri.

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Pagina 31

V
L'AMICO QUALSIASI



Tra le mie conoscenze ricorderò Qualsiasi. Nel mio taccuino trovo molti appunti che lo riguardano. Ecco il primo:

«I secoli hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell'ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi. Nazionalista convinto, vi dice come si doveva vincere l'ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima. Evade il fisco ma nei cortei patriottici è quello che fiancheggia la bandiera e intima ai passanti: giù il cappello».

Q. è davvero un uomo qualsiasi: purtroppo egli è convinto di essere qualcuno. È però soddisfatto del suo nome, che porta con umile civetteria. Abita in una casa qualsiasi, che adorna di oggetti qualsiasi: spende molto per questi oggetti (ha vivissimo il senso della proprietà) ed è convinto così di allietarsi l'esistenza. Le sue macchine musicali sono potenti, egli le tiene in moto tutto il giorno, impedendo ai vicini di pensare. Segue il progresso pur nelle minuzie, ma non trascura la tradizione. Crede che la poesia sia fatta di buoni sentimenti, oppure di crudeli perversità. Non si stima molto abile, ma ha fiducia nel suo buon gusto: senza questo suo buon gusto il cattivo gusto non avrebbe tanto dilagato nel suo paese. Qualsiasi è padre affettuoso: ama i figli per le soddisfazioni che dovranno dargli in avvenire ed ha un unico vero amico: se stesso.

Se poi ci addentriamo ad esplorare le sue idee morali e politiche troviamo di che giustificare largamente le avversioni che hanno ridotto il suo paese nelle attuali deplorevoli condizioni e il Re a vivere in un albergo senza pagare il conto. Ha un animo senza dubbi, un cervello lucido: non si pone problemi che non abbia già risolti in anticipo. Potevo coglierlo a contraddirsi tre volte nella stessa frase, potevo metterlo alle strette con le sue stesse affermazioni. Allora, da uomo che rinuncia alla lotta per generosità, concludeva che - dopotutto - non gliene importava nulla.

Lo frequentai negli anni che seguirono la grande sconfitta; e ancora oggi giuoca a fare lo scontento. È scontento di sé e del suo paese che vorrebbe tranquillo, confortevole, simbolico come la Svizzera - un paese dove non si rubano le biciclette. La folla lo infastidisce con le sue eterne, malformulate minacce, ed è convinto che il popolo non ami le cose belle, che lui ama, e che non abbia ideali disinteressati - che lui ha. «Il popolo» dice spesso «è sporco, si accanisce nella piccola compravendita, è superstizioso, pronto a derubarvi, prontissimo alle barricate, soprattutto se si tratta di farle coi vostri mobili». Egli sente, quindi, come massimo dei suoi doveri, di controllare il popolo, di impedirgli di far pazzie. Miglior alleato in quest'impresa gli sembra l'esercito, il quale, se non ha generali abbastanza abili per vincere le guerre, ne ha sempre per tenere a bada chi non vorrebbe farne.



Qualsiasi è anche scontento della storia che lo sovrasta. Per la verità si tratta di una storia ingrata, che gli ha limitate tante aspirazioni. Gli ultimi avvenimenti hanno insinuato nel suo animo questa verità: che la morale si modella sull'economia. Si meraviglia perciò, anzi finge di meravigliarsi, che certi concetti una volta tenuti in gran conto - come l'Onestà, l'Onore, la Tolleranza, l'Umanità - siano scaduti a tal punto da essere invocati da tutti e osservati da nessuno. Non si chiede se, per caso, quei concetti non servirono troppo a difendere la sua concezione dell'esistenza, cioè la sua stessa esistenza, a scapito di quella degli altri.

Un confuso scetticismo lo invita a conquistarsi un benessere personale ad ogni costo. Sospirando ammette che «siamo in un paese di ladri»: si difenderà col furto. Il furto è talmente entrato nelle sue abitudini che ruba senza accorgersene: vi chiede la matita per segnare un indirizzo e dopo se la mette in tasca. Dai massacri che hanno insanguinato la sua terra, ha cavato l'insegnamento del suo diritto alla vita comoda, difesa dalle leggi e dalla polizia.

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Pagina 122

I tiranni



I tiranni non vanno a spasso. Questa verità può sembrare uno scherzo; non la difenderei se non l'avesse enunciata, oggi, passeggiando, una insospettabile signora che di tutto pareva preoccupata in quel momento fuorché di meravigliarmi. D'altra parte una brava massaia non trascende ad aforismi politici senza un motivo. Quella donna esprimeva forse soltanto un'opinione suggeritale per analogia dal fatto che ella stava passeggiando ed era - come dobbiamo presumere - contenta di farlo. Chiese dunque la donna: «Perché lui non andava mai a spasso?». «Perché l'avrebbero ammazzato» rispose secco il marito per troncare una discussione che dovette sembrargli oziosa o, comunque, storicamente superata. «Non è vero» rispose subito la donna. «Oh, certo,» aggiunse poi «in questi ultimi anni l'avrebbero ammazzato. Ma prima... Se fosse andato a spasso prima, come fanno tutti...». «Sì,» ammise il marito «ma lui era diverso...»; e il dialogo ebbe termine su questa illazione, che il mondo prima o poi elimina volentieri le eccezioni, i diversi dalla moltitudine, coloro che non amano gli innocenti piaceri altrui e che, a furia di detestarli, finiscono per vietarseli.

Il segreto di un tiranno prudente sarebbe dunque il condividere l'opinione generale sul modo di passare il pomeriggio della domenica. Un tiranno che andasse a spasso e rispondesse ai saluti e si fermasse ad ammirare il tramonto - come io, la signora e suo marito abbiamo fatto - cesserebbe di essere un tiranno o, almeno, di averne l'aria. Correrebbe certo il rischio di essere seguito da qualche postulante e di tornarsene a casa con una dozzina di petizioni in tasca; ma questi sono incerti del mestiere che contribuiscono alla popolarità.

Purtroppo a pochi, una volta raggiunto il potere, rimane il gusto di agire come agiscono gli altri uomini, con semplicità. Si può anzi precisare che i tiranni raggiungono il loro potere perché incapaci di agire semplicemente e per questo fatto suscitano grandi speranze; figuriamoci se possono imparare dopo, ad affare concluso! Ma è qui la spiegazione dei guai che si tirano addosso: in questa incomprensione della semplicità del prossimo che si tramuta, col tempo, in incomprensione del prossimo, tout court. «Se lui fosse andato a spasso tutto si sarebbe risolto» pensa la massaia. «Ma lui era lui appunto perché non andava a spasso» ribatte giudiziosamente il marito. O ci andava - aggiungiamo noi - per meravigliare la cittadinanza. Le sue passeggiate non avevano un innocente scopo igienico, ma volevano dimostrare qualcosa, essere di monito alle ambasciate. Erano da interpretarsi; dunque, vere passeggiate in malafede. E protette da troppe guardie perché sortissero gli incantevoli risultati delle comuni passeggiate che facciamo noi.

Si può obiettare che un tale, appena al potere, si crea nemici disposti anche a sopprimerlo e che deve perciò proteggersi. Questo è vero ma non prova nulla. Chi facesse tale obiezione confesserebbe di non aver mai avuto creditori e di non sapere perciò che il miglior modo di difendersi è di frequentarli, non di sfuggirli. Un tale che si apparta e che si difende a priori, quando cioè nessuno pensa di offenderlo, suggerisce ai suoi nemici l'offesa, l'attentato, perché ammette di temerli. Anche in questo caso è la richiesta che provoca l'offerta. Ma i tiranni sono destinati sempre a perdersi per mancanza di immaginazione. Odiano i paradossi, affrontano gli ostacoli troppo direttamente e cadono ogni volta nello stesso errore. Un tiranno manca di umanità perché detesta i contatti col prossimo e anche se dovesse svagarsi ama restar solo e, soprattutto, primeggiare. Convincerete, per esempio, un tiranno a giocare al tennis perché sarà solo contro un avversario, ma giammai a sedersi ad un tavolo di scopone, dove gli avversari saranno due e, in più, avrà un compagno.

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Pagina 159

TACCUINO 1954



Stile del giorno: - Apriamo un giornale: gli elogi e superlativi sono per gli attori e i campioni dello sport: di loro tutto dobbiamo conoscere, e con simpatia. La censura e le offese sono per gli uomini politici: di loro dobbiamo sapere che hanno tradito, tradiscono o tradiranno. Gli insulti atroci sono per coloro che hanno voluto la Libertà: e si possono insultare impunemente perché c'è la libertà di stampa.

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Pagina 194

La cultura estranea alla borghesia. Qualsiasi accusa di letterato engagé cade nel vuoto, perché nessuno legge. Borghesia che non ha bisogno di scrittori se non per divertirsi; e, se vuole indignarsi sulle colpe degli altri, ricorre agli oratori. Quanto alle sue colpe, ha imparato a farsene motivo di soddisfazione, mettendole in conto all'antica saggezza della razza (o, forse, stirpe?) di cui si sente erede.

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Pagina 194

Fregene



Il ragazzino che guarda le macchine sulla spiaggia ha otto anni. Si fa aiutare da un suo fratello che ne ha sei. La domenica assumono un aiuto straordinario, un loro vicino di casa, di cinque anni, che comandano aspramente. Quando mi informo se lo pagano: «Gli diamo un gelato da cinquanta e il cinema» risponde il maggiore, «Ma così lo sfruttate» osservo. I due fratelli protestano: «Lui mica deve mantenere la famiglia,» dice il più piccolo «lui lavora perché gli piace». Certe volte, verso mezzogiorno, arriva il camion del fruttivendolo ambulante. Si ferma e aspetta clienti. I due ragazzi si avvicinano, si consultano, poi uno domanda: «Quanto fai le pesche?». Dall'alto del camion, senza voltarsi, il fruttivendolo risponde: «Centottanta», e seguita a fissare la spiaggia con gli occhi socchiusi per il riverbero. «Al cantiere» osserva il minore «le fanno centosessanta». Il fruttivendolo non si scompone: «E va' al cantiere» dice stancamente. E un dialogo tra uomini della stessa età, che conoscono il prezzo del denaro.

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