Copertina
Autore Carlo Flamigni
Titolo Il primo libro della sterilità
SottotitoloI problemi clinici e psicologici, la diagnosi e le cure ordinarie
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2008 , pag. 486, cop.fle., dim. 15x23x3 cm , Isbn 978-88-02-07955-4
LettoreGiorgia Pezzali, 2009
Classe medicina , salute
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Indice


  3 Introduzione



 11 Prima parte — Fisio-patologia della riproduzione



 13 1. La fertilità femminile

    - Gli ormoni, p. 13
    - I feed-back, p. 14
    - La neuro-endocrinologia, p. 15
    - Il GnRH, p. 16
    - L'iofisi, p. 17
    - Le gonadotropine, p. 18
    - La prolattina, p. 19
    - L'epifisi e la melatonia, p. 19
    - Le ovaia, p. 20
    - Esiste una master-mind ovarica?, p. 20
    - Come si forma l'ovaio, p. 21
    - La «riserva ovarica» e la banca dei follicoli
      primordiali/oociti, p. 22
    - Anatomia e fisiologia dell'ovaio, p. 22
    - La produzione ormonale dell'ovaio, p. 23
    - Il ciclo ovulatorio, p. 24
    - Il corpo luteo, p. 26
    - L'utero, p. 27
    - Come si forma l'utero, p. 27
    - La mucosa uterina e la mestruazione, p. 27
    - Il ciclo mestruale: fisiologia e fantasia, p. 28
    - Quando la medicina ignora la scienza:
      storia della menotossina, p. 29
    - Il ciclo mestruale e la salute psicofisica della donna, p. 30
    - Le salpingi, p. 31
    - La vagina, p. 32
    - La portio uterina e il canale cervicale, p. 32
    - Il muco cervicale, p. 32
    - I genitali esterni, p. 33

 34 2. La fertilità maschile

    - L'apparato genitale maschile, p. 34
    - I testicoli, p. 34
    - La spermatogenesi, p. 35
    - Lo spermatozoo, p. 36
    - La sintesi del testosterone, p. 37
    - Gli effetti biologici degli androgeni, p. 37
    - Il liquido seminale, p. 37
    - L'epididimo, p. 38
    - I dotti deferenti, p. 38
    - L'eiaculazione, p. 38
    - Il pene, p. 39
    - L'erezione, p. 40
    - I meccanismi che controllano erezione ed eiaculazione, p. 40
    - Esami sul liquido seminale, p. 41
    - Test di interazione tra gameti, p. 42
    - La microscopia elettronica, p. 42
    - Esami immunologici, p. 43
    - Test di capacitazione, p. 43

 45 3. Il rapporto sessuale e la riproduzione

    - L'avventura degli spermatozoi, p. 45
    - L'incontro dei gameti, p. 46
    - Come si prepara il gamete maschile: la capacitazione, p. 47
    - La reazione acrosomiale, p. 47
    - La maturazione dei follicoli e degli oociti, p. 48
    - Il trasporto tubarico, p. 52
    - Il contatto tra i gameti, p. 53
    - La fusione delle membrane, p. 54
    - La reazione zonale, p. 54
    - La ripresa della meiosi, p. 55
    - La formazione dello zigote, p. 55
    - La blastocisti, p. 55
    - L'impianto e la fine della fase pre-embrionale, p. 56
    - Sintesi del processo riproduttivo, p. 56
    - Il dialogo tra embrione ed endometrio, p. 60

 62 4. Fertilità e sterilità:
       analisi di un problema ancora controverso

    - Il mistero, p. 62
    - Le definizioni, p. 63
    - L'ipofertilità, p. 66
    - L'età della donna, p. 66
    - I problemi «meccanici», p. 68
    - L'età dell'uomo, p. 69
    - La frequenza dei rapporti sessuali, p. 71
    - Le posizioni sessuali, p. 72
    - La diminuzione della fertilità nella specie umana, p. 73
    - Igiene di vita, p. 77
    - Lo stress, p. 79
    - La prevenzione, p. 81
    - Incontri difficili, p. 83
    - La scelta del sesso, p. 85
    - Le variazioni del rapporto tra i sessi, p. 92
    - Tecniche per la selezione del sesso, p. 95
    - Lo statuto della sterilità, p. 99
    - Malattia o disagio?, p. 100
    - La donazione di gameti, p. 102
    - Cure causali e cure sintomatiche, p. 103
    - Situazioni particolari, p. 104

107 5. Patogenesi ed etiologia della sterilità maschile e femminile

    - La frequenza della sterilità, p. 107
    - Le cause della sterilità, p. 109

111 6. La sterilità femminile

    - La sterilità femminile ormonale, p. 111
    - Le irregolarità mestruali, p. 111
    - La LUF-syndrome, p. 113
    - L'insufficienza luteale, p. 113
    - Modificazioni acute del peso, p. 114
    - La PCOS, p. 114
    - L'esaurimento ovarico prematuro, p. 121
    - Danni infettivi e tossici, p. 132
    - La sindrome dei follicoli vuoti, p. 135
    - Le malattie dell'ipotalamo e dell'ipofisi, p. 136
    - Le iperprolattinemie, p. 138
    - Le indagini strumentali (TAC e RMN), p. 141
    - Il deficit isolato di gonadotropine, p. 141
    - L'obesità, p. 142
    - Quando si deve parlare di obesità?, p. 142
    - Le cause dell'obesità, p. 144
    - Come si mantiene l'obesità, p. 146
    - Le conseguenze dell'essere obesi, p. 147
    - Le diete, p. 148
    - Effetti clinici dell'obesità sui trattamenti
      della sterilità, p. 149
    - Cause meccaniche di sterilità femminile, p. 150
    - Le agenesie uterine e tubariche, p. 150
    - La sindrome di Asherman, p. 151
    - I fibromi e le malconformazioni uterine, p. 152
    - La sterilità tubarica, p. 152
    - Le infezioni pelviche, p. 153
    - La chirurgia pelvica, p. 156
    - I tagli cesarei, p. 157
    - L'endometriosi, p. 158
    - L'adenomiosi, p. 162
    - La sterilità cervicale e immunologica, p. 163
    - La sterilità iatrogena, p. 167

172 7. La sterilità maschile

    - Lo spermiogramma, p. 173
    - Le cause delle dispermie, p. 178
    - Cause ormonali, p. 180
    - Il criptorchidismo, p. 182
    - Il varicocele, p. 185
    - Agenesie e ostruzioni delle vie eiaculatorie, p. 186
    - I fallimenti primari dei tubuli seminiferi, p. 187
    - L'idrocele, p. 187
    - Problemi genetici, p. 188
    - Le infezioni, p. 196
    - La frammentazione del DNA, p. 197
    - La sterilità immunologica, p. 200
    - La sterilità neurogena, p. 203
    - La sterilità iatrogena, p. 203


207 Seconda parte — Lo studio della coppia sterile



209 8. Generalità

    - I protocolli diagnostici, p. 209
    - È solo un problema di definizioni?, 210
    - Troppe sterilità idiopatiche, p. 211
    - La sterilità psicogena, p. 215

220 9. L'approccio clinico al problema della sterilità

    - Quando consultare il medico, p. 220
    - Qual è il medico giusto, p. 222
    - L'anamnesi, p. 223
    - L'esame obiettivo, p. 225
    - La visita ginecologica, p. 225
    - Quando fare gli esami, p. 226

228 10. Indagini sulla sterilità maschile

    - Le linee guida delle Società scientifiche, p. 229
    - Esami di primo livello, p. 229
    - Esami di secondo livello, p. 229
    - Esami di terzo livello, p. 231
    - Le azoospermie, p. 232

234 11. Indagini sulla sterilità femminile

    - Stabilire l'ovulatorietà dei cicli, p. 234
    - La temperatura basale, p. 235
    - Gli esami ormonali, p. 236
    - Le ecografie ovariche, p. 239
    - Lo studio della fase luteale, p. 239
    - La ricerca delle cause meccaniche di sterilità, p. 242
    - Le insufflazioni utero-tubariche, p. 246
    - L'isterosalpingografià, p. 246
    - Ecoisterosalpingografia (EIS), p. 248
    - La laparoscopia e l'isteroscopia, p. 249
    - La falloppioscopia, p. 251
    - Le celioscopie operative, p. 251
    - Indagini sulla sterilità da cause cervicali e
      immunologiche, p. 252
    - L'esame postcoitale, p. 253


257 Terza parte — La terapia della sterilità



259 12. Cure tradizionali


261 13. Le terapie della sterilità femminile
        Cure della sterilità femminile endocrina

    - Terapia dell'anovulatorietà cronica, p. 261
    - Il problema dell'oligo-ovulazione, p. 261
    - Il monitoraggio, p. 262
    - La scelta del farmaco, p. 262
    - Antiestrogeni (domifene, tamoxifene, ciclofenile), p. 266
    - L'epimestrolo, p. 266
    - Inibitori dell'aromatasi, p. 266
    - Le gonadotropine, p. 270
    - La classificazione dell'anovulatorietà, p. 273
    - Gli schemi di somministrazione, p. 273
    - Il rischio di gravidanze multiple, p. 275
    - I risultati, p. 275
    - Il GnRH pulsatile, p. 276
    - Gli ipoprolattinemizzanti, p. 277
    - La terapia della sindrome dell'ovaio micropolicistico, p. 278

284 14. La sterilità femminile meccanica

    - L'endometriosi, p. 285
    - Esiti di flogosi pelviche e sindromi aderenziali, p. 297
    - La chirurgia laparoscopica nel trattamento
      della sterilità femminile, p. 300
    - La patologia della cavità uterina, p. 302
    - I miomi dell'utero, p. 306
    - Le fibrosi dell'utero, p. 312

314 15. La fase di transizione verso la menopausa

    - Radiazioni ionizzanti e chemioterapia, p. 315
    - Fattori immunologici, p. 317
    - Cause chirurgiche, p. 319
    - Anomalie strutturali delle gonadotropine, p. 320
    - Le ultime chances, p. 321

323 16. Rischi delle terapie di stimolo ovarico

    - La predisposizione genetica, p. 323
    - I tumori del seno, p. 324
    - I tumori dell'ovaio, p. 325
    - I tumori dell'endometrio, p. 327
    - Le complicazioni immediate, p. 328
    - La sindrome da iperstimolazione ovarica, p. 329
    - La classificazione, p. 331
    - Il rapporto con i protocolli di stimolazione, p. 332
    - I criteri predittivi, p. 333
    - Iperstimolazione spontanee, p. 336
    - La prevenzione, p. 336
    - La terapia, p. 340
    - Controllo dell'equilibrio idro-elettrolitico, p. 344
    - Le complicazioni vascolari, p. 344
    - Le gravidanze plurime, p. 347
    - Gemelli monozigoti e dizigoti, p. 348
    - I rischi delle gravidanze multiple, p. 349
    - L'assistenza ostetrica, p. 351
    - Le sindromi da trasfusione, p. 352
    - Le trasfusioni artero-venose, p. 352
    - Le trasfusioni artero-arteriose, p. 353
    - Il ritardo della crescita, p. 353
    - Il parto prematuro, p. 354
    - La morte intrauterina di un feto, p. 354
    - L'assistenza al parto gemellare, p. 355
    - Le grandi gravidanze multiple, p. 355

357 17. Terapia della sterilità maschile

    - Sterilità idiopatiche, p. 357
    - Cure empiriche, p. 358
    - Il GnRH, p. 359
    - Le gonadotropine, p. 359
    - Gli androgeni, p. 360
    - Gli anti-estrogeni, p. 361
    - Gli inibitori dell'aromatasi e della fosfodiesterasi, p. 361
    - Altri farmaci, p. 362
    - Terapia endocrina causale, p. 363
    - Il varicocele, p. 364
    - Chirurgia di ricostruzione, p. 366
    - Sterilità immunologica, p. 368
    - Disturbi sessuali, p. 368
    - La ricerca di una soluzione, p. 370


371 Quarta parte – L'assistenza medica al concepimento



375 18. Le tecniche semplici (inseminazioni, rapporti mirati,
        induzione dell'ovulazione multipla)

    - Inseminazioni omologhe, p. 377
    - I protocolli, p. 378
    - Le indicazioni, p. 381
    - Inseminazioni e sterilità idiopatica, p. 383
    - La preparazione del seme, p. 386
    - Timing dell'ovulazione, p. 387
    - Tecniche di inseminazione, p. 390
    - Complicazioni ed effetti collaterali, p. 392

394 19. I problemi psicologici


434 20. Il rapporto con la medicina


450 Glossario


 

 

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Pagina 5

Introduzione


Per scrivere questo libro (la separazione in due volumi è dovuta prevalentemente a motivi tecnici) ho dovuto leggere una notevole quantità di testi, ma soprattutto ho dovuto consultare, articolo dopo articolo, sempre alla ricerca delle cose che ritenevo interessanti, i più importanti giornali scientifici sui quali vengono pubblicati i principali contributi relativi alla terapia della sterilità e della infertilità. Questi giornali riportano un grande numero di studi sui più diversi argomenti, da quelli sperimentali di genetica alla biochimica degli steroidi, dalle analisi relative all'organizzazione dei servizi, alla bioetica, alla psicologia, alla valutazione della salute dei bambini nati con il contributo delle differenti tecniche.

Leggere questi libri e questi giornali fa parte del lavoro quotidiano di quasi tutti i medici, ma capita raramente di dover fare questa «full immersion», di dedicarsi esclusivamente per settimane a consultare tanti fascicoli solo per vedere di cosa si occupano e quali argomenti privilegiano. Ne sono uscito con una strana sensazione di disagio, che vorrei cercare di spiegare.

Per quasi due anni sono stato coinvolto nelle discussioni che nel nostro Paese hanno messo a confronto laici e cattolici (è così, non facciamo gli ipocriti) che si trovavano in profondo disaccordo sulla legge, poi approvata, che regola la procreazione medicalmente assistita. Per quasi due anni ho cercato di spiegare le ragioni dei malati e delle coppie sterili, ho discusso di bioetica e di filosofia, sono stato insultato, denigrato e persino diffamato. Le riviste scientifiche che ho appena finito di consultare «in extenso», riviste che esprimono la posizione del resto del mondo (le pubblicazioni italiane sono quasi tutte tecniche e non sono poi tanto numerose) mi hanno fatto capire con chiarezza che l'Italia è una vera e propria anomalia e che nel resto del mondo le ragioni del nostro dibattito sorprendono e, forse, divertono un po', ma non interessano a nessuno. Nel resto del mondo impera un pragmatismo che a qualcuno potrà sembrare cinico, ma che certamente esprime la posizione maggioritaria nei confronti dei problemi della salute.

Per il resto del mondo chi è sterile deve essere considerato un malato e perciò deve essere curato, poche chiacchiere; gli embrioni sono gruppetti di cellule che non si parlano tra loro, non facciamo inutili pietismi. La maggior parte delle pubblicazioni ragiona in termini molto concreti di costi e di benefici e le scelte che vengono consigliate sono conseguenti. Così, se il rapporto costi/benefici di una fecondazione assistita è migliore di quello di una induzione dell'ovulazione, perché mai qualcuno dovrebbe rinunciare a questo vantaggio? Avrò modo di riportare alcune delle discussioni che ho trovato su questi giornali a proposito di argomenti di bioetica, e scoprirete un tipo di linguaggio che da noi è del tutto ignoto, un linguaggio semplice, concreto, rivolto alle persone che hanno bisogno di avere le idee chiare per poter fare le proprie scelte personali, per poter parlare di problemi medici (ma anche etici, psicologici, economici) tra di loro, lui a lei, lei a lui, tutti gli altri, per favore, fuori dalla stanza.

Ho anche trovato, in questi giornali, alcuni articoli relativi alla nostra legge, sui quali è meglio stendere un velo pietoso. Solo una cosa voglio riportare, perché mi sembra importante: l'Europa, il mondo, sono diventati molto piccoli, villaggi scientifici nei quali è facile muoversi per trovare tutto quello che in casa propria non c'è. Le leggi nazionali, in realtà, non sono in grado di proibire: al massimo si limitano a fare grandi dichiarazioni di principio e ad accompagnare poi quei cittadini che se lo possono permettere alla frontiera, con buona pace dei princìpi di democrazia e di uguaglianza sociale.

Come Maurizio Mori e io abbiamo scritto in un libro pubblicato recentemente (La legge sulla procreazione medicalmente assistita – Paradigmi a confronto, Il Saggiatore, Milano, 2005), le nuove terapie della sterilità hanno creato un conflitto di paradigmi, non dissimile da quello che si determinò quando si mise in discussione il vecchio sistema copernicano. Nei conflitti di paradigmi, c'è sempre qualcuno che si frappone tra i due litiganti, cercando mediazioni.

Ai tempi di Galileo, si trattò di persone come Tycho Brahe, che propose interpretazioni impossibili, non essendo neppure immaginabile mediare tra il vero e il falso. Oggi, la proposta di un nuovo paradigma non ha alle spalle una verità scientifica e può essere mediata, se solo si trovano persone abbastanza laiche da considerare con il rispetto dovuto tutte le posizioni e tutte le proposte. Per aver tentato una mediazione per molti anni e per averla vista sempre respinta e vituperata, ammetto di aver conservato ben poche speranze. Ma sono testardo e non demordo.

Tra i motivi che mi hanno sollecitato a scrivere un libro sulla sterilità c'è anche la constatazione di quanto poco questo problema sia conosciuto dalla maggior parte dei medici. Molte delle coppie che mi consultano hanno avuto le stesse esperienze e mi raccontano storie che testimoniano dell'esistenza di una medicina poco colta e per nulla aggiornata, che si nutre ancora di banalità, frasi fatte, finto buon senso e che ancor oggi rallenta, ostacola, confonde molte coppie nel loro difficile percorso verso la soluzione di un problema che è complessivamente altrettanto sottovalutato quanto poco compreso. Quello che stupisce di più è il fatto che l'ultimo quarto di secolo, malgrado le sue straordinarie innovazioni tecniche e le sue importanti acquisizioni scientifiche, sembra trascorso senza lasciare tracce evidenti sulla cultura di una gran parte dei medici. Leon Speroff, in un libro scritto insieme a Robert H. Glass e Nathan G. Kase (Clinical Gynecology, Endocrinology and Infertility, Ed. Williams e Wilkins, 1983) sorrideva dei medici che erano ancora convinti che «se solo le donne si tranquillizzano diventeranno gravide», «l'adozione aumenta la fertilità di un gran numero di coppie» e «la dilatazione del canale cervicale fa veri e propri miracoli». Non riesco a sorridere, ancor oggi molti medici sono convinti che queste sciocchezze abbiano un fondo di verità. E anche per questo che ho pensato di scrivere un libro di divulgazione che possa essere di qualche utilità anche per un certo numero di quei miei colleghi che a questi temi sono sempre stati estranei.

La scienza si è accostata ai problemi della riproduzione umana molto timidamente, in fondo la «procreazione» aveva a che fare con un attributo esclusivamente divino, al quale l'uomo era chiamato, al massimo, a collaborare. Bisogna arrivare alla fine del '600 per trovare le prime informazioni almeno parzialmente scientifiche sul concepimento e bisogna recuperare le ipotesi del preformismo e dell'ovismo per arrivare alle prime teorie moderne, che trovano compimento nelle osservazioni di Pedro Barry (1843) che documenta la fusione dell'oocita con lo spermatozoo. Da quel tempo e per oltre un secolo le conoscenze nel campo della fisiopatologia della riproduzione sono progredite con estrema lentezza.

Nel 1950 non era ancora possibile eseguire dosaggi ormonali, non erano note le funzioni dell'ipotalamo, non si sapeva cosa fossero GnRH e prolattina; inoltre non esistevano farmaci utili per indurre l'ovulazione e non era stato sperimentato alcun approccio chirurgico capace di risolvere i problemi della sterilità meccanica femminile. A quei tempi si dava per scontato che gli uomini fossero – tranne casi eccezionali – fertili e la prova della loro fertilità stava tutta nella loro potenza sessuale, data comunque per dimostrata. Ma è proprio negli anni Cinquanta che la ricerca scientifica è riuscita a porre le basi della rivoluzione tecnologica e culturale che è poi esplosa verso la fine del secolo, ha reso possibile la procreazione assistita e ha consentito l'affermazione dell'andrologia e il grande sviluppo dell'endocrinologia e della genetica.

Ed ecco quelle che mi sembrano le tappe fondamentali della ricerca scientifica per quanto concerne la fisio-patologia della riproduzione umana:

1878 Primo tentativo di fecondazione in vitro con gameti di mammiferi (Schenk).

1884 Primo tentativo di inseminazione intra-uterina con sperma di donatore (Pancoast).

1920-1930 Vengono identificati i più importanti ormoni coinvolti nella fertilità dell'uomo e della donna (FSH, LH, HCG).

1926 Zondek e Smith descrivono il meccanismo del controllo ipofisario dell'attività gonadale.

1930-1940 Teoria delle «due gonadotropine — due cellule». Si ipotizza l'impiego delle gonadotropine per la cura della sterilità e di alcune forme di patologia endocrina.

1947 A Roma, presso l'istituto farmacologico Serono, si esegue la prima purificazione dell'HCG estratta da urina umana.

1948 Nello stesso istituto, Donini e Montezemolo iniziano la purificazione della gonadotropina umana estratta da urina di donne in menopausa (HMG).

1953 Numerosi sperimentatori riescono a ottenere sia la ovulazione che che la spermatogenesi somministrando HMG a ratti.

Watson dimostra la struttura a doppia elica del DNA.

1956 Sintesi del citrato di clomifene

1958 Gemzell riesce a ottenere una ovulazione in una donna con cicli anovulatori cronici utilizzando gonadotropine estratte da ipofisi umane. Due anni dopo ottiene, con lo stesso ormone, una gravidanza.

1962 Lunenfeld ottiene la prima gravidanza in un caso di amenorrea ipotalamica utilizzando HMG.

1965 Edwards pubblica i primi dati sulla fertilizzazione di oociti umani in vitro.

1978 Edwards e Steptoe, in una lettera a Lancet, annunciano la nascita della prima bambina concepita in vitro.

1982 Trounson annuncia la prima gravidanza ottenuta con embrioni crioconservati.

1983 Trounson riferisce il primo successo ottenuto con l'ovodonazione. Negli anni immediatamente successivi iniziano le ovodonazioni a donne ultraquarantenni (Sauer) e in menopausa (Lutjen).

1984 Asch ottiene la prima gravidanza con il trasferimento intratubarico dei gameti (GIFT).

1985 Prima gravidanza da oociti crioconservati (Chen).

1986 Primi studi sulla vitrificazione delle cellule.

1988 Prima gravidanza ottenuta con l'impiego di spermatozoi dal testicolo (Silber)

1989 Prima gravidanza ottenuta trasferendo uno spermatozoo sotto la zona pellucida di un oocita, o SUZI (Soon Chye Ng).

1990 Cohen propone l'hatching assistito.

1990 Primi risultati relativi a gravidanze ottenute dopo diagnosi genetica pre-impiantatoria (Handyside).

1992 Prima gravidanza ottenuta con l'iniezione di un nemasperma nell'ooplasma di un oocita umano, o ICSI (Palermo).

1995 Nasce Dolly, la prima pecora clonata.

2001 Primi risultati della tecnica di aploidizzazione.

2007 Il Nobel per la medicina viene assegnato a Mario R. Capecchi per i suoi studi sulle staminali embrionali.


Ho scritto altri libri sulla sterilità e sulla fecondazione assistita, ma quello che ho scritto in passato ha ben poco valore oggi, tenuto conto del terremoto rappresentato dall'approvazione della legge 40/2004. Ho dunque pensato che un nuovo libro su questo argomento potesse essere utile e, scrivendolo, mi sono anche reso conto di come cambiano in fretta le conoscenze su un tema in rapida evoluzione come questo. Solo per darvi un'idea dei mutamenti che si sono verificati, vi ricordo che il documento pubblicato dal Comitato nazionale per la Bioetica nel 1995 fareva riferimento a una percentuale di successi (relativa, allora, alla sola fertilizzazione in vitro) che superava di poco, nel mondo, il 10% per ciclo; il registro che raccoglie i dati dei centri americani dà, per l'anno 2000, oltre il 30% di nascite (!) per ciclo di trattamento. Molti ricercatori sono diventati paladini del trasferimento di un solo embrione (e della crioconservazione degli altri che sono stati prodotti contemporaneamente) e persino il cosiddetto «caso semplice» non è più il disastro che eravamo abituati a considerare. Di un libro nuovo sulle tecniche di procreazione assistita, dunque, c'è bisogno; che poi io sia in grado di scriverlo, questo è un altro problema.

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Pagina 11

Prima parte
Fisio-patologia della riproduzione



Gli esseri viventi si riproducono in molti modi, assai diversi tra loro. La riproduzione dei mammiferi è di tipo sessuato o gamico e si basa sull'incontro dei gameti – lo spermatozoo e l'oocita. E anche vivipara, l'incontro dei gameti (fecondazione o concepimento) avviene cioè all'interno del corpo della femmina, ad esso segue l'impianto del prodotto del concepimento nell'utero materno, nel quale potrà svilupparsi e crescere fino al momento in cui sarà capace di vita autonoma e gli sarà consentito, finalmente, di nascere. Si tratta di una serie di eventi complessi, che coinvolge in modo molto sofisticato il maschio e la femmina, impegnando un grande numero di attività funzionali; la complessità del sistema si evidenzia dal grande numero di fallimenti che esso comporta, maggiore tra l'altro nella nostra specie rispetto a tutte le altre, e alla grande sensibilità di tutto il processo, che risente di fattori in teoria ininfluenti, quali l'atteggiamento psicologico, l'alimentazione, lo stress. Aggiungiamo a ciò il fatto – valido solo per la nostra specie – che l'intelligenza e la cultura hanno consentito di rinunciare alle regole naturali, così che, solo per fare un esempio, gli esseri umani «scelgono» di avere figli e non ascoltano più gli istinti. In questo modo può accadere (e in realtà accade molto spesso) che la ricerca di un figlio abbia inizio molto tempo dopo il periodo della massima fertilità naturale, che per le femmine della nostra specie si conclude dopo poco più di un decenno dall'acquisizione della capacità riproduttiva potenziale.


Capitolo 1

La fertilità femminile


Perché una donna giovane divenga naturalmente fertile è necessario che il suo corpo offra alcune semplici garanzie. Bisogna innanzitutto che il suo sviluppo scheletrico sia giunto a termine e che il bacino sia diventato così ampio da consentire il passaggio di un feto di peso e dimensioni tali da assicurargli una vita autonoma. È poi altrettanto importante che il peso corporeo abbia raggiunto valori tali da far supporre la presenza di una certa quantità di tessuto adiposo «di riserva». Le ragioni di questo rapporto tra peso e fertilità sono poco chiare e dobbiamo limitarci a fare alcune ipotesi. Ad esempio, l'acquisizione e il mantenimento di un certo peso potrebbero rappresentare una garanzia della disponibilità di una nutrizione adeguata, fondamentale per il naturale decorso di una gravidanza fisiologica. Non può essere un caso, in effetti, che nella nostra area geografica la maggior parte delle ragazze veda comparire la prima mestruazione quando raggiunge i 48 Kg di peso corporeo e che nei primi anni di vita ginecologica (ma anche, in condizioni estreme, dopo i 30 anni di età) una diminuzione di peso superiore al 10% del peso basale comporti d'abitudine un arresto dell'ovulazione (anovulatorietà) e delle mestruazioni (amenorrea).

Come molte funzioni organiche, anche quella riproduttiva è affidata a una complessa attività ormonale, integrata da particolari sistemi il cui automatismo garantisce la collaborazione tra le differenti attività endocrine.


Gli ormoni

Provo a spiegare cosa è un ormone. Immaginate una fabbrica di chiavi, che nel mio esempio rappresenta l'equivalente di una ghiandola endocrina, che invece di chiavi costruisce ormoni. Una volta che sono state fabbricate, queste particolari chiavi (gli ormoni) se ne vanno in giro per il corpo umano a cercare le serrature adatte. E così come le chiavi sono di tante differenti forme, gli ormoni sono di tipo assai diverso, un ormone sessuale è steroideo, un ormone ipofisario proteico, niente in comune, se non la capacità di far girare un meccanismo all'interno di una serratura.

Parliamo adesso un po' di queste serrature, che equivalgono ai recettori ormonali presenti nelle cellule che sono sensibili a un particolare ormone, le cosiddette «cellule bersaglio». Perché la chiave funzioni, bisogna che la serratura sia adatta: la chiave non solo deve entrare, ma deve anche girare fino a far scattare un meccanismo. Così i recettori per gli estrogeni sono diversi dai recettori per il testosterone e da quelli per gli ormoni tiroidei, e così via.

Anche il meccanismo che viene messo in moto è diverso per ogni tipo di cellula. Gli estrogeni, ad esempio, hanno sia recettori nella mucosa dell'utero che nell'epitelio del trigono vescicale, oltre che nel cervello e in tanti altri tessuti. Così, mentre la chiave e la serratura sono le stesse, cambia il meccanismo che viene messo in moto, come nei miei giochi di bambino: la chiave era sempre la stessa, identica la serratura, ma in un caso un tamburino di latta suonava il suo strumento e in un altro un cagnolino zampettava per un breve lasso di tempo. Quindi a ormoni identici non sempre corrisponde un effetto identico.


I feed-back

Molti sistemi ormonali sono costruiti in modo che, se uno è fatto per stimolarne un secondo (prendete ad esempio l'ipofisi e le due gonadi, l'ovaio e il testicolo), quest'ultimo lo tiene al corrente sui risultati della stimolazione. Quando l'ipofisi stimola l'ovaio perché maturi i suoi follicoli, ad esempio, l'ovaio lo informa circa l'adeguatezza dello stimolo, in modo che questo non sia troppo energico: questo è il feed-back negativo, un avvertimento simile a quello col quale raccomandate a un amico che vi sta parlando di abbassare la voce (lo sentite benissimo) o di alzarla (non capite cosa sta dicendo). Se foste sordi (come l'ovaio della donna in menopausa che non è più capace di recepire alcuno stimolo), l'amico urlerebbe inutilmente, così come fa l'ipofisi quando le ovaia non rispondono più, producendo enormi e inutili quantità di gonadotropine, gli ormoni che stimolano le gonadi.

Esistono stimolazioni ormonali che non sono controllate da un feed-back e in questo caso si possono prospettare anche dei rischi. Ad esempio, nelle donne il tessuto adiposo produce un estrogeno, l'estrone, tanto più abbondante quanto più grasso c'è e la cui produzione diminuisce solo col dimagrimento. Questo si chiama «feed back improprio» e questa è la ragione per la quale le donne grasse corrono molti più rischi di quelle magre di ammalarsi, ad esempio, di tumori estrogeno-dipendenti, come il cancro del seno o quello dell'endometrio. Ma anche il medico che fa un'iniezione di gonadotropine per indurre un'ovulazione sa che il suo stimolo non è controllato da alcun feed-back e che l'unico modo di evitare una iperstimolazione ovarica (cioè una risposta esagerata dell'ovaio allo stimolo) è quello di saper interpretare correttamente i dati del laboratorio o i risultati delle ecografie. Dunque, un altro possibile feed-back improprio.

Esiste anche un feed-back positivo, che è stato messo li per stimolare e non per frenare gli stimoli. Il feed-back positivo che ci riguarda, visto che parliamo di fertilità, è quello che induce l'ovulazione. Il follicolo ovarico – quello che contiene l'oocita, matura generalmente in 14 giorni, mese dopo mese, e mette a disposizione di una potenziale fecondazione un oocita maturo – ha bisogno, per aprirsi e lasciare uscire fuori il suo contenuto (oocita compreso) di un forte stimolo ormonale ipofisario, rappresentato da una notevole quantità di un ormone, l'LH, che viene messa in circolo di colpo, al momento giusto, quando l'oocita è maturo. Ma come fa l'ipofisi a sapere che l'oocita è pronto per essere fertilizzato? Ebbene lo apprende dal fatto che il follicolo, oltre a portare a maturazione il proprio uovo, mette in circolo quantità progressive di un ormone, il 17β estradiolo, tanto maggiori quanto più si avvicina la piena maturità oocitaria e follicolare. Quando le concentrazioni di 17β estradiolo raggiungono un certo valore, l'ipofisi capisce che è arrivato il momento di far aprire il follicolo e lascia andare il suo contenuto di LH perché provveda allo scopo. Questo prezioso meccanismo, così indispensabile nei cicli naturali, è invece un guaio nei cicli artificiali, quando vengono maturati contemporaneamente molti follicoli: ne parleremo a tempo debito.


La neuro-endocrinologia

Dunque, a questo punto dovrebbe essere chiaro cosa sono gli ormoni: molecole complesse, di differente struttura chimica, che, prodotte da una ghiandola specifica, vanno ad esercitare le loro azioni in organi e tessuti lontani, ai quali vengono trasportate dal circolo ematico. Della loro attività e dei loro possibili effetti si occupa una disciplina specifica che si chiama endocrinologia.

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Malattia o disagio?

Comincio col dire che la sterilità è molto raramente determinata da una malattia presente e attiva nel momento in cui la coppia cerca un figlio: nella maggior parte dei casi si tratta invece della conseguenza di un evento patologico congenito (nato con la persona) o presente in un certo momento della vita e poi superato e guarito, ma che nel periodo della sua attività ha determinato danni permanenti sul sistema riproduttivo. Immaginate una brutta frattura a un femore: viene ridotta male, da persone inesperte, e il callo osseo che si forma riduce la lunghezza dell'arto. È un handicap non indifferente, un grave problema destinato a permanere per tutta la vita, ma dopo alcuni mesi di sofferenza non c'è più, in atto, alcuna malattia: il callo osseo ormai c'è, la frattura è risolta, l'uomo è guarito, zoppo ma guarito. Nel nostro caso, posso immaginare un'infezione pelvica, causata ad esempio da una appendicite operata con ritardo: l'infezione guarisce – non a caso esistono gli antibiotici – ma le tube ormai si sono chiuse e la donna, a causa di ciò, è sterile. Eppure, secondo alcune persone, la sterilità non dovrebbe mai, in alcun caso, essere definita una malattia, ma al massimo una condizione di disagio psicologico e sociale. E la ragione che persuade queste persone ad attribuire uno statuto tanto particolare a una condizione che in tutto il mondo è considerata diversamente è che non esiste un diritto ad avere un figlio, né a diventare genitori.

A parte il fatto che questo problema non può essere considerato da un punto di vista religioso (i figli sono un dono di Dio, lo capisco; ma chi ha donato figli agli atei?), mi sembra che in questo modo venga del tutto ignorato uno dei maggiori problemi della condizione di sterilità, la sofferenza che ne può derivare. E secondo me questo aspetto della sterilità, quello della sofferenza, merita molta attenzione.

Per molti anni ho taciuto sulla mia prima esperienza in questo campo, la prima e certo la peggiore. Ero specialista da poco tempo e lavoravo a tempo pieno nella Clinica Ostetrica dell'Università di Bologna: di professione privata non se ne parlava, il mio direttore me la permise, obtorto-collo, quando avevo quasi quarant'anni. Mi limitavo a visitare, in ospedale, qualche amica e ne ricavavo una certa quantità di bottiglie di vino per Natale (ma allora ero astemio). Una di queste amiche era una donna che doveva continuamente combattere con qualche irregolarità mestruale.

Veniva da me accompagnata da sua madre e a dire il vero le mie possibilità di aiutarla erano modestissime: di esami ormonali non se ne facevano e ci dovevamo limitare a indagini citologiche di ben scarso valore. Per uno strano scherzo del caso ebbe la sua ultima mestruazione il giorno stesso in cui si sposò: si illuse per un po' di essere gravida, poi tornò da me (sempre accompagnata dalla madre, non ho mai conosciuto il marito) e decidemmo di chiedere ad alcuni miei amici inglesi che lavoravano in un laboratorio di Londra di fare una serie di esami ormonali. Furono fatti e ripetuti, ma l'esito era ormai chiaro, anche perché intanto erano comparsi sintomi menopausali: era un esaurimento ovarico definitivo, una menopausa precoce, certamente inattesa, visto che la mia amica aveva solo 26 anni. Ricordo il giorno in cui dovetti dirglielo, e ricordo le sue parole «e adesso?», che non seppi interpretare, tanto che mi lanciai in un lungo e poco convinto discorso sulle terapie ormonali e, temo, sull'adozione. Se ne andò molto triste, ma non piangeva. La stessa sera mi telefonò la madre (non voleva che lo apprendessi dai giornali, mi disse), disperata: appena ritornata a casa si era uccisa, in un modo tra l'altro molto brutto.

Mi sono a lungo interrogato sulle mie responsabilità e penso di essermi ritenuto colpevole, di avere pensato di non essere stato all'altezza, di non aver capito quell'«e adesso?». Poi mi sono arrabbiato, ho pensato a quel terribile spreco, una vita buttata via così, non capivo perché. Ho ragionato sul fatto che le nostre famiglie educano le bambine mostrando loro una sorta di ideale femminile, un'immagine che non ha l'alloro di una laurea a cingere la testa, ma un bambino in braccio. E ho pensato a quanto debba essere triste e doloroso scoprire di non essere in grado di sovrapporsi a quell'immagine.

Ho abbandonato da tempo questa analisi, non sono certamente più, oggi, il rivoluzionario che sono stato, quello che voleva cambiare la società. Ma se non posso cambiare (neppure in modo infinitesimale) questa società, non posso neppure accettare che venga ignorato il valore della sofferenza, né posso tollerare che questa sofferenza specifica, così buia, così definitiva, venga considerata diversa dalle altre, quelle che la medicina cura, quelle che la medicina considera malattia, come la depressione, come tante malattie delle spirito e della mente. E non mi va bene questo cinico modo di giocare con le parole. Chi ha mai detto che esiste un diritto ad avere un figlio? Quello che ho sempre sentito dire dalle coppie sterili, è che esiste un diritto a «fare il possibile» per avere un figlio, senza sconfinare dalle regole della morale e del diritto. Un figlio non si può comprare, un figlio non si può avere utilizzando tecniche sperimentali, ma lo si può cercare, con tenacia, con passione, chiedendo aiuto a tutti i mezzi considerati leciti ed eticamente ineccepibili dalla propria coscienza.

Questa è comunque la mia esperienza, che si ripete – anche se in modo certamente meno drammatico – ogni qual volta debbo spiegare a una donna, a un uomo, a una coppia, che avranno difficoltà nella ricerca di un figlio, che addirittura, con molte probabilità, questo figlio non riusciranno ad averlo. Vedo il loro dolore, e non credo proprio che si possano fare categorie di sofferenze, lo troverei stupido e ingiusto.

Se la sterilità è malattia – cosa della quale sono assolutamente convinto – lo Stato se ne deve occupare, accertandosi che la diagnosi e le possibili terapie possano essere fatte nelle strutture pubbliche, intervenendo nel campo della prevenzione, riconoscendo alle coppie il diritto ad essere aiutate nella loro ricerca. Se la sterilità non fosse una malattia, allora e solo allora capirei che il problema fosse considerato personale, lo Stato non si può occupare dei disagi psicologici.


La donazione di gameti

Su questa equazione, sterilità uguale a malattia, non credo proprio che ci possano essere dubbi. Il problema può essere però più complesso di quanto appaia a prima vista.

Posso infatti immaginare che una coppia che desidera avere un figlio non abbia tutte le carte in regola che il buon senso imporrebbe. Ad esempio è possibile che uno dei due non sia in grado di produrre gameti, e che la natura, o il destino, gli neghino la possibilità di generare. Queste coppie non sono in genere diverse da altre alle quali è invece consentito avere un figlio: gli uomini possono essere fratelli, le donne sorelle, e tra due coppie sterili è possibile che l'unica differenza consista nella gravità della patologia che ha determinato la sterilità, definitiva in un caso, curabile nell'altro. Il problema consiste nel fatto che in un caso la «terapia» – che consiste nell'utilizzare gameti estranei alla coppia – non è «causale» (cioè non interviene direttamente sulla sterilità), ma è sostitutiva.

Sul problema delle donazioni di gameti tornerò più avanti perché, anche se in Italia non sono ammesse dalla legge, un gran numero di cittadini italiani le utilizza, frequentando centri stranieri. Per ora mi limito a qualche considerazione di ordine generale.


Cure causali e cure sintomatiche

So anzitutto che molte persone contesteranno questo modo di intendere le terapie, perché, pur avendo magari studiato medicina, non hanno la più pallida idea di come la clinica e la terapia tradizionali considerino le varie «cure».

Ho sentito spesso infatti dichiarare, anche da persone che, malgrado tutto, stimo, che, poiché la sterilità non è una malattia, non si possono considerare «terapie» gli interventi che provvedono a scioglierne i nodi. Di più ancora: le cure della sterilità che si basano, ad esempio, sulla procreazione medicalmente assistita, non sono rivolte alle persone e non risolvono il problema «sterilità», visto che questa condizione è ancora presente dopo che la coppia ha avuto un figlio. Dire che sono perplesso è un po' poco, direi che sono per lo meno sconcertato. Dunque i miei studi di medicina mi hanno insegnato un mucchio di sciocchezze. Pensate che ero convinto che esistessero differenti criteri di cura: la cura causale, diretta a eliminare le cause della malattia; quella sostitutiva, rivolta a mantenere la condizione generale di benessere fornendo all'organismo le cose che non è in grado di produrre da solo; quelle palliative, ecc.

Pensavo, immaginate, che la somministrazione di insulina a un diabetico – quella che gli consente di sopravvivere fino a tarda età invece di morire giovanissimo – fosse una terapia, e scopro solo ora che non è così, visto che la cura non elimina il diabete. E immaginavo che i tagli cesarei che ho fatto nei casi di bacino viziato fossero una qualche forma di cura, anche se in effetti del vizio pelvico il taglio cesareo proprio non si interessa. E l'induzione dell'ovulazione nelle donne con amenorrea primitiva? In realtà mi sento un po' perso.

Ma lasciatemi tornare alle donazioni di gameti, sempre con l'accordo che sui problemi morali, psicologici e sociali che esse possono proporre tornerò in un secondo tempo.

Anzitutto mi pare evidente che non si possa immaginare una sola soluzione per il problema della sterilità/sofferenza. Esiste il ricorso all'adozione, se la coppia l'accetta; e, sempre se la coppia lo accetta, si può chiedere l'intervento, spesso efficace, di uno psicologo. L'importante è verificare se queste alternative sono accettate e sono realmente utili. Non si può dimenticare infatti che ci stiamo occupando delle sofferenze di una coppia, non di quelle di una persona, di una sofferenza dunque complessa, basata su lacerazioni di un tessuto umano che è insieme separato e congiunto. Gli effetti di una terapia sostitutiva sono quindi molto più complicati e profondi di quanto sia lecito immaginare.

Ancora. Mi rendo conto di addentrarmi in un terreno minato, ma ho già cercato di spiegare che il desiderio di genitorialità ha radici diverse negli uomini e nelle donne. Per i primi, diventare padri ha un significato profondo solo (o, almeno, prevalentemente) se è connesso con il trasferimento del proprio patrimonio genetico: un modo per non morire del tutto, un modo per dare continuità alla famiglia, sentimenti un po' sciocchi, ma alquanto diffusi. Per le donne il discorso è diverso, la genetica conta poco, conta soprattutto la possibilità di avere qualcuno (un bambino!) da amare, di cui prendersi cura.

Ecco dunque che una donazione di sperma e una donazione di oociti possono avere significato e conseguenze molto differenti, da cui la necessità di grande cautela e di un forte senso di responsabilità. Ma, cautela e responsabilità a parte, resta il diritto di queste coppie a cercare una soluzione al proprio problema (una cura della propria sofferenza) in piena e assoluta libertà. Oltretutto, il ricorso all'intervento di una terza persona entra nel conto degli atti oblativi, delle donazioni. Sono d'accordo con chi considera con perplessità l'acquisto dei gameti, che è prassi in molti paesi, e sono stato sempre molto orgoglioso del fatto che qui, in Italia, le donazioni fossero quello che la parola dice, un regalo, un'espressione di solidarietà: il commercio deve restare fuori da questi fatti.


Situazioni particolari

Dobbiamo anche considerare un differente desiderio di genitorialità, quello che viene da persone che non sono sterili, ma vivono in situazioni particolari e non potrebbero avere figli se non intervenisse la medicina ad aiutarle. Penso alle donne sole; penso alle coppie omosessuali; penso alle donne in età post-menopausale. È vero che anche in questi casi esiste una condizione di sofferenza ed è vero che anche per loro vale il diritto alla libertà procreativa, ma questo diritto, proprio perché queste persone non sono sterili, deve essere esercitato con molta prudenza, perché si colloca ai margini della consuetudine, della tradizione, della cosiddetta normalità. Per questo mi sembra che il punto centrale del problema stia tutto nella capacità di queste persone di dimostrarsi «responsabili» nei confronti del bambino che desiderano avere.

Questa attenzione all'interesse del bambino, per la quale non chiederei mai un impegno alle coppie sterili, deve diventare, in questi casi, la chiave di lettura più importante. L'unico paragone che mi viene in mente è quello della ricerca di un figlio sollecitato dalla malattia del figlio già nato, che ha bisogno di un trapianto di un organo o di un tessuto compatibili. Anche in quel caso vorrei essere certo che nel pianificare questa nascita si tiene conto anche degli interessi del bambino che nascerà e non solo di quelli del bambino che è già nato. Temo che la mia propensione, per questi casi, sia di considerarli singolarmente e di non concedere un placet complessivo.

Molti anni fa, sul tema del diritto delle coppie omosessuali di adottare un bambino, sono entrato in polemica con persone che mi contestavano un atteggiamento troppo rigido che non si confaceva, mi dicevano, alla mia laicità. La questione era nata da alcune osservazioni che avevo pubblicato e che riguardavano il modo in cui la nostra società si comporta nei confronti dei bambini educati da coppie omosessuali. La mia sensazione era (ed è ancora) che questi bambini debbano sopportare un certo numero di difficoltà nel loro inserimento sociale, e mi chiedevo se i tempi erano maturi per aprire la porta alla genitorialità, anche adottiva, di queste coppie.

Oltre a qualche critica più pesante fui inondato da voci bibliografiche, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, che impiegai qualche tempo a consultare. Erano quasi tutte testimonianze dirette, o studi psicologici e sociali, relativi a bambini educati e cresciuti da coppie gay e le conclusioni erano sempre le stesse: bambini felici, nessun problema. Le ritroverete in questo libro in un altro capitolo.

Debbo dire che le mie idee su questo argomento sono molto cambiate, ma che non sono riuscito a liberarmi completamente dei miei antichi dubbi. La nostra è una società particolare, molto influenzata dalla religione, e perciò tendenzialmente moralistica, rigida e impietosa. Certo i tempi sono cambiati da quando mio padre mi raccomandava di non giocare con un certo bambino perché era «figlio di un fallito»; recentemente però ho ascoltato una conferenza di un importante prelato della mia città che, per esemplificare la differenza esistente tra l'uomo e gli animali, ha spiegato con candore che «gli animali si accompagnano», cioè non si sposano. Si può immaginare quale sia l'opinione di questo sacerdote (per altro colto, intelligente e, per quanto ne so, molto sensibile ai problemi degli uomini) sulle famiglie omosessuali e sul loro diritto a cercare un figlio.

Il problema mi sembra del tutto diverso se penso al desiderio di maternità delle donne che vivono da sole. Sono convinto, come tutti, che il fatto di nascere in una famiglia «normale», con due genitori di sesso diverso, che si amano e lo amano, sia una cosa «buona» per qualsiasi bambino. Se poi la famiglia è benestante, colta, onesta e ha seguito un corso di psicopedagogia, ancora meglio. Credo però che questa opportunità rappresenti una cosa «buona», ma non una cosa «indispensabile». I bambini che crescono in famiglie monoparentali sono numerosissimi e molti di loro sono equilibrati, sereni e, per quanto possibile, felici, così come so di tanti bambini che crescono alla bene-meglio in famiglie «classiche» e tradizionali. Quindi, non avrei alcuna remora a curare una donna sola che vuole un figlio, ma è sterile. Se sterile non fosse, mi piacerebbe sapere perché deve fare ricorso a una fecondazione assistita, ma la mia curiosità non arriva a pormi dei dubbi seri né a mettere ostacoli a un'eventuale richiesta. Che, naturalmente, nessuno mi farà, perché in Italia tutte queste cose sono proibite.

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Capitolo XII

Cure tradizionali


Concluse le indagini, controllato quello che era possibile e logico controllare, le cause della sterilità sono diventate note in una percentuale di casi molto alta (più del 90% nella mia casistica). Ho già spiegato quali sono le probabilità che l'attesa consenta l'inizio di una gravidanza naturale e spontanea in molti casi di sterilità idiopatica, ma questo è un problema del tutto particolare. Sarei invece molto imbarazzato se dovessi formulare una analoga prognosi per i casi di ipofertilità, proprio perché una delle caratteristiche fondamentali di questa condizione è proprio il fatto di non consentire valutazioni statistiche, essendo tutte le gravidanze che si verificano spontaneamente sporadiche e casuali.

Nei casi in cui la causa della sterilità è stata accertata, è evidente che non riteniamo probabile che si verifichi una gravidanza spontanea, e l'uso del termine «sterilità» testimonia questo convincimento. Possiamo sbagliare, è logico, errori di valutazione ce ne sono, e molti, ma le probabilità maggiori sono che la diagnostica sia corretta, che la sterilità sia un fatto reale e che per risolverla sia necessario un trattamento. È onesto, a questo punto, informare la coppia della probabilità che questo trattamento abbia successo o, meglio ancora, della percentuale di coppie affette dal loro stesso problema che ha finito col trovarsi con un bambino in braccio al termine delle cure.

Per un medico, i casi migliori e i casi più semplici sono quelli che fanno parte della patologia endocrina. Ad esempio, quasi tutti i casi di iperprolattinemia e gran parte delle anovulatorietà croniche si risolvono positivamente. Le percentuali sono più basse nei casi di sterilità cervicale (50%), mentre le sterilità meccaniche femminili trovano soluzione nella chirurgia in meno di un terzo dei casi. Stessa prognosi si può calcolare – sempre riferendosi alle cure tradizionali – per la sterilità maschile e per l'endometriosi, mentre la cura con tecniche semplici (in genere trattamenti dell'ovulazione multipla) delle sterilità idiopatiche dà risultati positivi in percentuali così diverse nelle differenti casistiche che non mi sembra di poter esprimere un giudizio.

Da un punto di vista esclusivamente didattico, la terapia della sterilità si può suddividere separando le cure tradizionali dalle tecniche di procreazione assistita semplici e da quelle complesse. In pratica, le tecniche semplici includono solo le varie forme di inseminazione, mentre quelle complesse comprendono fertilizzazione in vitro, microiniezione et similia. Manterrò una netta separazione tra le tecniche nelle quali i gameti appartengono alla coppia da quelle in cui si fa ricorso a una donazione, di oociti, di sperma o di embrioni. Di queste tecniche però scriverò le cose che conosco, pur sapendo che in Italia sono vietate dalla legge: molti cittadini italiani vanno all'estero per praticarle e hanno diritto di conoscerne vantaggi e svantaggi.

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Quarta parte
L'assistenza medica al concepimento



Per poter essere insegnata in modo utile e comprensibile la medicina si deve piegare alla mortificazione degli schemi e delle definizioni, deve abbandonare l'idea di essere un'arte (e perciò disordinata e genialmente casuale) per accettare la condizione di tecnica, il che vuol dire metodo, disciplina, concretezza, razionalità. C'è assai poca poesia nella tecnica, mentre certamente ce n'è tanta nell'arte. Ma la nostra società non ha bisogno di medici-poeti, ha bisogno di medici-tecnici, e ce li commissiona. E allora giù con le chiarificazioni, gli schemi, i protocolli. Anche quando ci sembra che tradiscano le nostre convinzioni.

Tenere distinte le terapie tradizionali della sterilità (come l'induzione dell'ovulazione o la microchirurgia tubarica) dai cosiddetti «concepimenti assistiti» (o, come le ho volute definire, le metodologie di assistenza medica al concepimento) sembra accettare l'idea che tra le prime e i secondi esista l'abisso che separa, nella fantasia di molti, gli eventi naturali da quelli innaturali. E, nell'opinione di molte persone, la ricerca di soluzioni estranee a quelle che la natura storicamente ci ha offerto e ci offre significa offenderla e violarla. Come se al di fuori della scelta «naturale» non esistesse più un'etica, non ci fossero più soluzioni mediche accettabili.

Ebbene, io ho un'idea un po' diversa della natura, non la immagino come una dea permalosa che non accetta mai di mettersi in discussione. Se proprio vogliamo, noi l'abbiamo messa in discussione da quando abbiamo inventato la ruota, e da allora non abbiamo mai cessato di – diciamolo pure – violentarla.

Mi chiedo quindi cosa ci sia di innaturale nel fatto che una coppia che non può avere figli coroni il proprio disegno riproduttivo con una fecondazione extra-corporea, e mi chiedo perché questa scelta debba essere considerata non naturale, mentre possa essere considerato naturale il trapianto di un cuore. Faccio solo un esempio, prima di tornare all'argomento di questo capitolo. Fra le tecniche di fecondazione assistita ce ne è una, la GIFT (Gamete Intra Fallopian Transfer, trasferimento intratubarico dei gameti) che consiste nell'introdurre uova e spermatozoi nelle salpingi di una donna tramite un intervento laparoscopico. Per evitare conflitti religiosi, il seme viene raccolto durante un normale rapporto sessuale nel quale il maschio indossa un preservativo forato (!). I gameti vengono inseriti in un catetere e sono separati rigorosamente da una bolla d'aria. Ebbene, questa tecnica è stata utilizzata per molti anni nella Clinica Ostetrica dell'Università Cattolica di Roma, con il silenzioso beneplacito dei suoi irriducibili (e insopportabili) bioeticisti. Qualcuno mi deve dunque spiegare secondo quali criteri classificativi questo sarebbe un intervento naturale e una fertilizzazione in vitro no. Ma tornerò sull'argomento.

Dunque, se non ci fossero necessità didattiche, mi guarderei bene dal considerare separatamente le terapie tradizionali della sterilità e le cure che prevedono una manipolazione dei gameti. Ma il criterio didattico me lo impone, e io obbedisco. Così ho descritto le tecniche di procreazione medicalmente assistita dividendole, secondo princìpi assolutamente pratici, in semplici (le inseminazioni, delle quali parlerò in questo libro) e complesse (le GIFT, le fertilizzazioni in vitro, le microiniezioni, che verranno descritte nel secondo volume di questo trattato). Un'ulteriore distinzione necessaria è poi quella che occorre fare tra i casi in cui i gameti sono della coppia e i casi in cui uno o entrambi i gameti sono estranei alla coppia.

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Capitolo XVIII

Le tecniche semplici (inseminazioni, rapporti mirati, induzione dell'ovulazione multipla)


Non appena si è capito che era qualcosa contenuto nel liquido seminale che faceva iniziare la gravidanza, prima ancora, molto prima, di aver compreso quali fossero i processi biologici della fecondazione e quindi in assenza totale di conoscenze sull'ovulazione, è inevitabilmente venuto in mente a molti medici che quello che non riusciva a fare il marito lo poteva fare una siringa. Per questa ragione, le prime inseminazioni sono state fatte per venire incontro agli uomini affetti da ipospadia, cioè da un'apertura dell'uretra molto al di sotto del glande, spesso vicino allo scroto. L'idea che questi uomini non fossero fertili era diffusa, anche se non sono sicuro della sua correttezza. In Australia gli aborigeni usavano aprire l'uretra con un procedimento chirurgico che doveva essere molto doloroso, ma gli antropologi, dopo molti studi, hanno concluso che non si trattava di un mezzo anticoncezionale, ma di un intervento con significati simbolici o cabalistici. Comunque queste sono state le prime motivazioni per «inseminare» una donna, e ad esse si sono aggiunte nel tempo molte altre ragioni, alcune sagge, altre meno. In realtà bisognerebbe sempre ricordare una delle massime di Ian Sommerville, che provava personale disgusto per queste operazioni e diceva che «il migliore inseminatore di una donna dovrebbe essere suo marito» e poi sorrideva maliziosamente perché anche le donne gli piacevano poco. Sono cambiate le indicazioni, si sono moltiplicate le tecniche. Un tempo il seme si metteva in vagina, la donna restava sdraiata sul lettino per un breve periodo di tempo e poi arrivederci alla prossima puntata. Oggi il seme può essere messo nel canale cervicale, nella cavità uterina, nelle tube e persino nella cavità addominale. Tutto ciò naturalmente ha dato origine a una grande quantità di acronimi, ma gli acronimi non mi piacciono e li userò il meno possibile. In ogni caso, in questo capitolo parlerò solo delle terapie nelle quali viene utilizzato il seme del marito, o del compagno: delle donazioni scriverò più avanti.

Il consiglio più semplice che può essere dato a una coppia è quello di accertarsi di avere rapporti sessuali nei giorni giusti del ciclo, cioè nei due, al massimo tre giorni precedenti l'ovulazione, identificata con le metodologie delle quali ho parlato così, soprattutto quando non c'è la sensazione di perdere tempo prezioso, nei casi di sterilità idiopatica, (veri, cioè diagnosticati dopo l'esecuzione di una laparoscopia), di sterilità maschile di grado lieve e di endometriosi minima o di I-II grado, si possono consigliare alcuni cicli (in genere non più di 6) di rapporti mirati; i cicli possono essere spontanei, o trattati con stimolatori dell'ovulazione. Tutto ciò può essere eseguito monitorizzando l'ovulazione con dosaggi semi-quantitativi degli ormoni urinari, o con l'uso di ecografie ripetute. Alcuni medici consigliano la somministrazione di clomifene citrato (100 mg/die dal 3° giorno del ciclo per 5 giorni) che dovrebbe aumentare le probabilità di gravidanza. Il problema è controverso, perché c'è chi ritiene che l'effetto antiestrogenico esercitato dal clomifene sul muco cervicale potrebbe addirittura diminuire la fertilità delle donne che ovulano già regolarmente, ma è una strana obiezione, considerato il fatto che nella maggior parte dei casi l'inseminazione deposita il seme oltre il canale cervicale.

Di tutte le tecniche di assistenza alla procreazione, le inseminazioni sono certamente quelle maggiormente consigliate e più frequentemente applicate, forse anche in rapporto ai grandi miglioramenti della preparazione del seme in laboratorio, prevalentemente ottenuti grazie alle tecniche di procreazione assistita. Hanno contribuito a questo aumento la disponibilità di mezzi molto semplici per identificare il momento dell'ovulazione, l'uso di cure ormonali che consentono di stimolare lo sviluppo contemporaneo di più follicoli e i progressi delle metodologie di inseminazione. A questo grande aumento dell'impiego delle tecniche non è corrisposto un altrettanto significativo aumento delle gravidanze e pesa, su tutti i procedimenti di inseminazione, il dubbio che in realtà siano meno utili di quanto si cerchi di far credere. Non è giovato, poi, al buon nome delle tecniche, il fatto che molti centri ne facciano un uso effettivamente improprio, considerandole un'area di parcheggio nella quale far sostare le coppie in attesa che si liberi un posto nella lista di attesa delle fecondazioni assistite complesse. Ci sono addirittura centri che non autorizzano l'accesso alla FIVET alle coppie che non abbiano fatto almeno 3 (o 5, o 6) inseminazioni, cosa assurda e anche poco seria: se l'indicazione per l'inseminazione c'è, non si vede perché si debba passare così presto a tecniche più complesse e, soprattutto, più costose. Ci sono anche studi clinici - uno di questi è stato pubblicato da ricercatori della Fisiopatologia della Riproduzione di Bologna — che documentano l'importanza dell'induzione dell'ovulazione multipla, che quasi sempre precede l'inseminazione, mentre trovano del tutto indifferente il fatto che il seme venga introdotto da qualche parte da un medico o depositato more solito dal marito.

Non va neppure dimenticato il fatto che tecniche come quelle dell'inseminazione possono avere successo quasi esclusivamente nei casi di ipofertilità, una condizione clinica che consente molte gravidanze spontanee. Di qui la convinzione di molti che non vengono fatte sufficienti indagini prospettiche randomizzate e che i protocolli di studio della sterilità dovrebbero essere più rigorosi e meno grossolani. Dal canto mio, ribadisco la necessità di consigliare un'inseminazione nelle cosiddette sterilità idiopatiche, solo dopo che la diagnosi è stata confermata da una celioscopia.

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