Copertina
Autore Pavel Florenskij
Titolo La tecnica e il corpo
SottotitoloRiflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij
EdizioneFrancoAngeli, Milano, 2007, 312.2 , pag. 192, cop.fle., dim. 15,5x23x1,5 cm , Isbn 978-88-464-8588-5
OriginaleOrganoproekzia [1922]
CuratoreBrunella Antomarini, Silvano Tagliagambe
TraduttoreNino Pardjanadze
LettoreLuca Vita, 2007
Classe filosofia
PrimaPagina


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Indice

Premessa, di Brunella Antomarini e Silvano Tagliagambe       7

Nota della traduttrice                                       9

Organo-Proiezione. La tecnica come proiezione degli organi, 11
di Pavel Florenskij


1. Il mondo reale come organizzazione dello spazio,         25
   di Nina Kauchtschischwili


2. L'ambiente alla rovescia: proiezione e malinconia,       38
   di Marco Mazzeo

1. Le carte in tavola                                       38
2. Un ambiente sottosopra                                   39
3. L'animale proiettivo                                     41
4. L'ambiente che non c'è: prospettiva e melanconia         51
Bibliografia                                                54

3. La tecnica come proiezione degli organi e
   il mondo intermedio, di Silvano Tagliagambe              58

1. Florenskij e Vernadskij                                  58
2. Macchine interne e macchine esterne                      64
3. Mondo intermedio e cronotopo: Florenskij e Uchtomskij    68
4. Lo specchio e l'identità                                 76
5. L'uomo e la tecnica                                      82

4. Speranze diverse, di Ettore Sottsass                     89


5. La natura come caso speciale della tecnica,             100
   di Brunella Antomarini

1. Deboli inventori                                        100
2. La reciprocità cognitiva                                101
3. La natura rovesciata                                    104
4. La disanalogia                                          106
5. La tecnica primaria                                     108
6. Cubismo iconico di Florenskij                           110
7. Corpi umani incompiuti                                  111
Bibliografia                                               113

6. Estensioni del corpo, tensioni dell'Es,
   di Ambrogio Borsani                                     115


7. Il tecno-umano: oltre la dicotomia soggetto/oggetto,    122
   di Arianne Conty


8. Organi, macchine e proiezioni infinite,                 139
   di Andrea Micocci

1. Introduzione                                            139
2. L'Argomento di Florenskij                               141
3. La Sparizione del Concreto con il Capitalismo           144
4. Una Comune Intellettualità                              149
5. Conclusioni                                             150
Bibliografia                                               152

9. Il progetto della città: simbolo e spazio intermedio,   153
   di Giovanni Maciocco

1. Città senza città                                       153
2. Variazioni sul theme-parking                            157
3. La città simulacro                                      159
4. Il paesaggio desiderato                                 162
5. Costruzione simbolica e coscienza urbana                163
6. Simbolo, spazio intermedio, progetto                    167

Appendice

Integrazioni al testo                                      179

Nota storico bibliografica, di Pavel Vasilievic Florenskij 180

Gli autori                                                 191


 

 

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Pagina 11

Organo-Proiezione

La tecnica come proiezione degli organi

di Pavel Florenskij


1.

Gli attrezzi che usiamo sono prolungamenti del nostro corpo e servono ad ampliare il raggio delle nostre azioni e delle nostre sensazioni. Nonostante questo sia facilmente osservabile, è anche profondamente misterioso. Infatti, come può il nostro corpo prolungarsi in un oggetto che ha una struttura completamente diversa ed estranea ad esso? Come può un oggetto inanimato essere in continuità con una cosa viva e di conseguenza entrare in qualche modo nella sostanza della sua integrità vitale? La lingua greca, che usa la stessa parola (òrganon) sia per gli attrezzi sia per le membra del corpo, ci aiuta a trovare la risposta. La vera spiegazione e la risposta a queste domande sono date dal termine organoproekzija – la parola proposta nel 1877 da Ernst Kapp nel suo Filosofia della Tecnica, e poi usata da Paul Karus, Karl du Preille e, nel nostro paese, da M. M. Filippov e da alcuni altri.

L'idea di Kapp è di assimilare le creazioni artificiali della tecnologia agli organi sviluppatisi naturalmente. La tecnologia è un frammento che si stacca dal corpo vivente; questo accade, più precisamente, fin dall'inizio del processo vitale della formazione del corpo; il corpo vivo è il prototipo di qualsiasi tecnologia.

"L'uomo è la misura di tutte le cose". Alle parole di Protagora potremmo attribuire un significato non soggettivo-psicologico ma oggettivo-fisico e metafisico. Gli strumenti vengono costruiti sul modello degli organi, poiché c'è un'origine creativa comune all'istinto di far rivivere inconsciamente il corpo con i propri organi, e alla mente, che concepisce la tecnica con i suoi strumenti.

Ma anche qui il processo di costruzione degli strumenti procede inconsciamente, nei momenti più cruciali, mentre la coscienza ha un ruolo secondario. Si può dire che i progetti di base - sia degli organi umani sia degli strumenti tecnici - siano gli stessi e che il laboratorio che li fabbrica stia nell'anima. E anche se la loro realizzazione avviene in due modi diversi, inizialmente entrambi i modi osservano l'integrità della stessa concezione.

L'influenza diretta dell'istinto - quello che Ernst Haeckel chiama "creatività fantastica del plasma", al momento di trattenere un'immagine nella mente, provoca un effetto illusionistico, che è l'elemento immaginario dell'impulso creativo. Questo elemento è l'immagine trattenuta dell'azione: quando l'immagine assume una forma materiale, anche se esiste fuori dall'organismo vivente, mantiene nello stesso tempo le sembianze dell'organo che è stato coinvolto nell'azione. Abbiamo detto azione-organo, in quanto non possiamo immaginare un organo al di fuori della sua funzione, e ciascun organo del corpo costituisce un insieme inseparabile dalle proprie funzioni.


2.

Facciamo un esempio: abbiamo fame. Il primo impulso di fame non viene soddisfatto immediatamente, magicamente, dal semplice desiderio, ma della fame si apre il pensiero – il sistema delle correlazioni interne – come una totalità che si estende nel tempo, costituita dai vari organi delle varie parti di tutto l'organismo, nel quale si riflette il desiderio. Abbiamo un certo potere sugli organi interni, ma la mancanza di potere sui diversi oggetti del mondo esterno non si spiega con il limite effettivo del nostro corpo, ma al contrario; i limiti del nostro corpo sono le conseguenze del nostro limitato potere su noi stessi [...].

Questa limitatezza non può essere considerata una cosa certa: anche dentro il corpo molte funzioni, molti organi non subiscono il potere della libera volontà che non ha imparato a dominarli, così come non lo subiscono le cose fuori dal corpo, per quanto ad esso vivamente connesse. È così che, mediante certe capacità acquisite, il corpo si sottomette consapevolmente allo sforzo: il limite del corpo può comprimersi, quasi scacciando da se stesso la maggior parte del suo volume, e può anche espandersi indefinitamente. La magia, in tale relazione, può essere definita come l'arte di spostare il limite del corpo fuori del normale. In sostanza, qualsiasi atto di volontà sugli organi del corpo va considerato come un influsso magico. Prendere il cibo con la mano, portarlo alla bocca, metterlo in bocca, masticare, deglutire, per non parlare della digestione del cibo, della produzione di saliva, dei succhi gastrici, dell'assimilazione del cibo e la sua conseguente trasformazione nell'organismo, tutte queste sono azioni magiche, e non le chiamo magiche nel senso generale della segretezza o complessità del loro compimento, ma come manifestazione di volontà, anche se a tratti, almeno nella maggioranza delle persone, inconscia.

Ma accanto a questi effetti organici dell'istinto, esistono anche altri meccanismi. Invece dell'azione diretta, come nel caso della fame – invece di afferrare il cibo, accumuliamo dentro di noi l'idea dell'azione attraverso la quale realizziamo la necessità acuta di procurarci il cibo. Questa consapevolezza si proietta all'esterno, proprio come i mezzi per soddisfare la fame stessa, e in misura più rilevante rispetto all'iniziale bisogno di procurarsi il cibo: la nostra mente organizza un certo numero di impulsi relativi al cibo, che forse non sono impulsi semplicemente individuali, ma anche di altri individui che ci circondano, o magari anche di generazioni passate, che ci provengono dalla storia popolare. La proiezione mentale della fame, ormai ingrandita rispetto all'impulso individuale iniziale, si trasforma ora in un oggetto nello spazio fuori dal corpo, ed in questo modo rivive in un congegno tecnico. Questo congegno risolve lo stesso problema che è destinato a risolvere l'organo interno. Sia il congegno tecnico sia l'organo sono preposti dalla stessa necessità e costruiti per la loro attività intrinseca. Così si comprende la loro somiglianza reciproca, che deriva non da analogie superficiali ma dalle loro identiche funzioni. Tra un organo ed uno strumento, che funzionalmente servono alla stessa cosa, esiste e dovrebbe esistere un'identità morfologica.


3.

"L'occhio funziona perché assomiglia ad una camera oscura" aveva scritto Fechner,

i bronchi perché assomigliano ad un flauto, il cuore perché assomiglia ad una pompa, tutto il corpo con i suoi processi chimici perché assomiglia ad un forno acceso, la pelle che produce l'umidità perché assomiglia ad un frigorifero.

L'idea di Fechner non è nuova; tutti quelli che hanno discusso della razionalità funzionale del corpo umano hanno prodotto più o meno le stesse similitudini, in quanto l'idea di associare organi ed attrezzi esisteva già nelle idee iniziali del pensiero teologico [...]. Si potrebbero raccogliere numerosissime testimonianze del genere, la maggioranza delle quali è caratterizzata dalla somiglianza delle associazioni. Ma nella storia del pensiero teologico l'idea di comparare oggetti ed organi si forma lentamente e, di conseguenza, acquista la capacità di indicare con precisione a quale oggetto assomiglino i diversi organi. Così Bossuet fa più o meno le stesse supposizioni, ma con maggior precisione e chiarezza:

Tra tutte le creazioni della natura è senza dubbio nell'essere umano che lo scopo è raggiunto in maniera eccezionale. Chi studia l'essere umano vedrà che esso è la creazione di una intenzione grandiosa, che poteva essere concepita e realizzata solo da una saggezza profondissima. Se tale saggezza si esprime nell'intero lavoro compiuto, certo non diminuisce quando si tratta delle diverse parti separate. Nel corpo umano tutto è distribuito con sorprendente perfezione tecnica.

Per succhiare, le labbra si trasformano in un tubo e la lingua diventa una ventosa. Ai polmoni è attaccato un canale porta-aria che somiglia ad un flauto con rifiniture particolari. Questo flauto, a seconda della capacità di apertura, cambia il flusso d'aria e modifica le tonalità. La lingua è un archetto che staccandosi dai denti e colpendo il palato produce diversi suoni. L'occhio possiede le sue umidità ed il suo piccolo cristallo. La rifrazione dei raggi di luce qui avviene con maggiore capacità rispetto a qualsiasi specchio di miglior produzione. L'occhio ha anche una pupilla che si restringe o si allarga. Tutto l'occhio si allunga o diventa più schiacciato lungo l'asse di visibilità per adattarsi alle distanze, proprio come degli occhiali per vedere da lontano.

L'orecchio contiene il suo tamburo, il timpano. Nell'osso più duro dell'orecchio vi è una cavità che serve a riflettere la voce, così questa voce risuona come un'eco tra le rocce. Nei vasi capillari ci sono valvole e freni. Anche le ossa ed i muscoli possiedono i loro freni e le loro leve [...].

Così pensa Bossuet. L'esattezza delle sue parole e l'arricchimento delle sue idee con impressioni concrete, cosa abbastanza insolita per un vescovo, si spiega con il fatto che Bossuet seguì per un anno le lezioni ed indicazioni dell'anatomista Deuverné.


4.

Questa associazione di organi e oggetti è corretta soltanto per quanto riguarda la loro somiglianza reciproca, poiché ha un limite che comunque caratterizza tutto il XVIII secolo: il limite del deismo e del conseguente meccanicismo. Qui, logicamente e metafisicamente, un congegno meccanico è posto in primo piano, definito immutabile ed adattato con precisione alle attività preposte, mentre l'organismo è considerato come una cosa secondaria, sviluppato secondo un modello o modelli meccanicistici. Tali modelli dell'organo funzionano come le parti di un apparato meccanico, che l'organismo imita, in quanto nella sua essenza non è altro che un meccanismo [...] Ma il pregio del meccanismo sta nella sua automaticità; una volta prodotto, meno si presenta la necessità di modificarlo, più è completo. Per questo il secolo XVIII vedeva nell'automaticità, posta all'inizio della creazione del mondo, nella sua capacità di seguire leggi meccaniche, la divina superiorità sui meccanismi prodotti da mano umana. Però era sempre un meccanismo, nel senso letterale della parola, a rimanere supremo, così come la meccanica sembra trasparente all'occhio, e così può essere apologeticamente definita con semplicità: "Il mondo è bello – proprio come le nostre macchine – perciò è creato da un essere intelligente". Ma è evidente che in questa dichiarazione autocompiaciuta traspare la auto-beatificazione della mente umana, che è l'essenza della vita dei Tempi Moderni, e la fine del kantismo.

Il secolo XIX [...] ha aperto [...] l'organismo. Si scoprì che la così detta meccanica è soltanto un mezzo di ruvida schematizzazione della vita, una modellizzazione a volte praticamente utile, ma che oscura la realtà se la trattiamo come uno schema predefinito. Se si tratta invece di conoscere la vita, allora l'organismo ed i suoi organi non devono essere considerati come derivanti dal meccanismo, ma proprio al contrario bisogna vedere nel meccanismo un riflesso, un frammento, un'ombra di qualche parte dell'organismo. Si può dire che il meccanismo è un aspetto esterno, una traccia, un contorno dell'organismo, ma vuoto dentro, mentre l'organismo è l'aspetto principale, è questa la sua sottile costruzione, la sua istologia, e per così dire la sua ultra-istologia. Da cui la conclusione: "I prodotti della tecnica, come ad esempio un cannocchiale, un pianoforte, un organo, rappresentano un'imperfetta organo-proiezione dell'occhio, dell'orecchio, della gola", e l'occhio, l'orecchio, la gola sono prototipi organici.


5.

Ma per rendere l'idea della proiezione del corpo negli oggetti più chiara e sopratutto più compatta, analizziamo brevemente alcuni esempi tratti da questa vasta materia.

a) Le nostre mani e spalle, in sostanza la figura intera, si proiettano nella tecnologia come una comune bilancia: i piatti della bilancia corrispondono ai palmi delle mani un poco estese a palmo in su, quando "pesiamo" degli oggetti con le mani cercando di capire quale è più pesante. La trave della bilancia corrisponde alle braccia, la testa alla freccetta, le gambe al supporto della bilancia. Quando soppesiamo delle cose sulle mani, come chiunque può notare, rappresentiamo una bilancia, e questa circostanza è impressa nel nostro linguaggio con le parole – parti di bilanciere – che fungono da sue spalle.

b) La mano, sia come superficie, sia dal modo di afferrare le cose con le dita o di stringere, "è la madre di tutti gli attrezzi, proprio come il tatto è la madre di tutti i sensi." Ricordiamo che anche il più nobile dei sensi, la vista, non è altro che una sottilissima percezione, come faceva notare già Aristotele: la vista è la percezione con la retina. Qui bisogna notare che la nostra pelle si sviluppa embrionicamente dalla pellicola concezionale esterna, proprio da quell'ectoderma che, dopo varie successive differenziazioni, dà vita al sistema nervoso e, per ciò, alle parti sensibili degli organi di sensibilità. In altre parole la più profonda parte del nostro corpo è anche la più esterna, così gli organi di sensibilità non sono altro che pelle trasformata. Di conseguenza, le sensazioni stesse - derivanti dal tatto o, più precisamente, insieme al tatto - crescono sulla base di una "comune sensibilità". La maggior parte delle sensazioni segue la strada del tatto. Poiché la nostra mano senza dubbio va riconosciuta come la più rappresentativa dei sensi di percezione, è chiaramente il prototipo della maggior parte dei nostri attrezzi. La tavola da stiro, il ferro da stiro, le macchine per levigare e lucidare il legno, il metallo, il vetro, la pietra, incluse le macchine per tagliare i brillanti ed i congegni capaci di lucidare le lenti ottiche, tutto questo è un palmo di mano, a volte piegato, a volte raddrizzato, a volte ingrandito a dismisura, oppure, al contrario, molto ristretto, o indurito, o ammorbidito, una mano a cui si attribuisce maggior concretezza e continuità di movimento di quanto sia concesso ad un palmo di mano organico, o una libertà di movimento maggiore di una mano vera. Una mano organica è capace di compiere tante azioni, perciò nessuna alla perfezione. Ma qualche volta, a causa di certi mestieri, il palmo della mano acquista caratteristiche diverse diventando o più ruvido o più elastico e cosi via. Negli attrezzi che abbiamo citato e che proiettano il palmo della mano, ne vengono stilizzate alcune caratteristiche, e attenuate altre; allora il palmo della mano perde la sua varia funzionalità e, di conseguenza, proiettato tutto sulla funzione prescelta, produce questo o quell'altro strumento, ferro da stiro o lucidatura. Ma sarebbe sbagliato pensare che questa proiezione dell'organo avvenga nella tecnologia intenzionalmente, con una calcolata coscienza: è più corretto vedere nella creatività tecnica il coscienzioso utilizzo non di modelli pronti, cresciuti nell'organismo, ma delle loro idee, disponibili alla visione inconscia. Ed ecco che la stessa idea - la funzione organica del palmo della mano - viene realizzata un'altra volta, altre volte, tante altre volte, ma con diverse sfumature, nelle vesti di attrezzi del tipo detto. Potremmo anche dire che questi diversi attrezzi sono la realizzazione della stessa idea, ma con diversi stili; perché in fondo che cosa è lo stile se non un'espressione di certi tipi di svolte nella volontà creativa, che deve raggiungere una certa funzione? Abbiamo esaminato la proiezione della mano come il suo palmo; non sarebbe difficile fare la stessa cosa riguardo alla proiezione della mano dal punto di vista di altre sue funzioni, come afferrare o stringere. Ma non ci fermiamo qui ed analizziamo altri organi... [...].

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Pagina 38

2. L 'ambiente alla rovescia: proiezione e malinconia

di Marco Mazzeo


1. Le carte in tavola

Quali sono gli elementi di somiglianza tra i sapiens e le altre forme di vita?

Quali le differenze tra gli umani e il resto del regno biologico? L'idea di Florenskij che gli oggetti tecnici siano "organi-proiezione" fornisce uno strumento essenziale per riflettere su questi interrogativi. Innanzitutto, essa sovverte alcuni luoghi comuni teorici oggi molto diffusi. Poiché la caratteristica principale del nostro apparato organico consiste nella sua capacità di estendersi e modificarsi tramite mezzi tecnici (case e indumenti, occhiali e cucchiai), è illusorio separare con nettezza un interno e un esterno della mente (distinzione ancora di gran moda). Non solo: il fatto che i confini del corpo umano, come dice Florenskij, possano comprimersi o ampliarsi implica che la socialità della nostra specie è un dato originario. Non siamo la somma di singole identità definite che, in un secondo momento, si aggregano o si contagiano tra loro: la nostra è una specie collettiva poiché il carattere pubblico della nostra vita mette in discussione la conformazione stessa del corpo umano. Infine, riflettere sulle capacità proiettive degli organi umani (si noti il plurale) significa ragionare non solo sulla struttura del nostro cervello (altra tentazione contemporanea) quanto sull'intera organizzazione degli apparati sensomotori: non viviamo di soli neuroni ma anche di ossa e tendini, non siamo solo occhi ma anche mani e braccia.

Le osservazioni che seguono non intendono fornire una interpretazione filologica del pensiero di Florenskij, né tanto meno di esplicitare il "vero senso delle sue parole" (qualunque cosa possa mai significare una frase del genere). Tutto il contrario. Con l'obiettivo di utilizzare a pieno una messe tanto ricca di spunti, La tecnica come proiezione degli organi sarà impiegato come fosse un cacciavite o una chiave inglese. Sarà parte integrante di una cassetta degli attrezzi che servirà a costruire tre prototipi teorici, vale a dire, tre ipotesi di ricerca. A ognuna di esse dedicherò un paragrafo con la speranza che, con lo scorrere delle pagine, il loro carattere assertivo si attenui il più possibile:


- Tesi 1. Il mondo umano è il corrispettivo rovesciato di un ambiente animale: se tutte le forme di vita hanno il loro habitat (i cigni lo stagno, i leoni la savana, i tarli il legno), la specie umana vive in una sorta di "ambiente capovolto" nel quale la relazione con quel che ci circonda perde scorrevolezza, si allenta il legame tra stimolo e risposta.

- Tesi 2. La relazione tra uomo e ambiente è invertita perché proiettiva. L'estensione semantica del concetto impiegato da Florenskij, la "proiezione", è abbastanza ampia da render conto di alcuni aspetti decisivi della nostra forma di vita ma anche sufficientemente definita per non illanguidirsi in una metafora vaga, priva di rigore esplicativo.

- Tesi 3. Quando l'incongruenza tra l'ambiente rovesciato e i suoi abitanti umani giunge al diapason produce uno stato d'animo caratteristico che la tradizione occidentale chiama "malinconia".


2. Un ambiente sottosopra

Il dibattito contemporaneo sulla "naturalizzazione della cultura" si basa su un presupposto che è utile richiamare alla mente. L'idea non è certo nuova, già proposta dai fondatori dell'etologia, da J. von Uexküll prima e da K. Lorenz poi: dato che ogni specie animale ha una propria nicchia ecologica, anche l' Homo sapiens ha la sua, si tratta solo di vedere quale possa essere. Il punto, però, è meno semplice di quanto si potrebbe pensare. Viviamo alle latitudini più disparate, nelle condizioni climatiche più diverse, capaci di sopravvivere negli abissi oceanici e al di fuori dell'orbita terrestre. In che senso la vita equatoriale può essere definita più naturale di quella esquimese? In che modo i popoli montani sono meno nel loro habitat di quelli che risiedono in pianura o lungo i fiumi? Sembra difficile trovare un indicatore geo-climatico in grado di stabilire il brodo di coltura della nostra specie. Proprio per questa ragione, i tentativi più moderni di dare risposta al quesito hanno provato, giustamente, a spostare il tiro e a concentrare la propria attenzione su nozioni più sofisticate: per alcuni la nicchia ecologica umana è linguistica, per altri cognitiva.

Ma innanzi tutto: cos'è un ambiente? Uexküll illustra la relazione tra organismo e ambiente attraverso una metafora di tipo acustico. Tra corpo e membra animali esiste una relazione di "contrappunto", un botta e risposta morfologico che lega la forma affusolata del pesce alla viscosità dell'acqua, la potenza propulsiva delle zampe feline alle ampie distese della savana tropicale. Per spiegare la questione, Lorenz propone una metafora visiva: l'incastro tra corpo e ambiente animale è simile alla relazione che sussiste tra un corpo e il suo riflesso. Con questo spostamento terminologico, lo studioso tedesco pone l'accento sulla dipendenza dell'organismo dalla sua nicchia ecologica: se nella metafora del contrappunto l'animale risponde al suo spazio vitale per mezzo di un risposta compensativa, nel rapporto speculare il corpo dell'animale (dunque anche quello umano) è già da sempre modellato a immagine e somiglianza del suo ambiente.

Le indicazioni di Florenskij sono interessanti poiché contribuiscono a ipotizzare una strada teorica che ci conduca finalmente, come recita uno dei testi più noti di Lorenz, dall'altra parte dello specchio, cioè all'individuazione dello specifico della natura umana. Per far questo, ho l'impressione che sia necessario abbandonare l'idea che sia possibile descrivere la relazione tra gli animali umani e non umani secondo la dicotomia continuità/discontinuità: questi sono i due termini proposti da un dibattito, quello odierno, ricco ma in grave impasse. Si tratta piuttosto di individuare i caratteri di un rapporto di contiguità segnato da un'inversione, cioè contraddistinto da un profondo cambiamento strutturale. Per un verso, tra tutte le forme di vita esistono rapporti di prossimità evolutiva: siamo animali, nessuno lo mette in dubbio. Per un altro, è inutile nascondersi dietro a un dito: quando Lorenz parla dell'"imbarazzo" provato dall'oca alle prese con la rivale o, più recentemente, quando Dahene parla di "matematica animale", abbiamo a che fare con espressioni certamente suggestive ma poco utili. È lo stesso Lorenz a chiarire che l'apparente impaccio del pennuto è il comportamento stereotipato, rigido seppur complesso, del corteggiamento; gli studi più recenti sulle facoltà numeriche animali non nascondono che siamo alle prese con la capacità, limitata e circoscritta, di distinguere percettivamente piccole quantità di oggetti.

In particolare, Florenskij propone un concetto, quello di organo-proiezione, in grado di distoglierci dalla ricerca del fatidico anello mancante tra noi e gli altri primati, in una riedizione inconsapevole del paradosso di uno Zenone che, nei panni dell'evoluzionista, ad alcuni appare forse meno vetusto. La nozione di organo-proiezione corrobora, infatti, un'idea più forte. Tra le due condizioni, umana e animale, esiste un differenziale che mostra i caratteri del rovesciamento: il corpo umano non è immagine del suo ambiente, è piuttosto l'ambiente (non solo il suo ma, non serve il traballante accordo di Kyoto a dimostrarlo, anche quello delle altre specie) a poter diventare immagine del nostro corpo.

La nozione di organo-proiezione mette in mostra questo rovesciamento in maniera intuitiva, cioè particolarmente diretta, nella relazione tra organismo e strumento. Negli animali non umani, un corpo specializzato si avvale saltuariamente di attrezzi rudimentali: i delfini usano spugne protettive per pescare sul fondo senza ferirsi, alcuni scimpanzé impiegano piccoli bastoni per catturare le termiti. Al contrario, "molti dei nostri organi sono rudimentali", afferma con disinvoltura Florenskij: negli animali umani, un corpo rudimentale sopravvive grazie a una gran quantità di attrezzi specializzati. Per l' Homo sapiens la tecnica è, letteralmente, scienza della vita poiché è da essa che dipende la nostra esistenza. Ricorda, non a caso, il filosofo russo: dato che "una mano organica è capace di compiere tante azioni", questa non ne compie "nessuna alla perfezione". La specializzazione non è un dato di partenza della conformazione biologica umana ma frutto del suo sviluppo storico.

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Pagina 89

4. Speranze diverse

di Ettore Sottsass


1.

Ho letto che Florenskij, morto fucilato nel 1937, è stato "una soggiogante figura di mistico, filosofo, matematico e teologo". (Questo lo dice Elémire Zola). Adesso ho anche letto il testo inedito del 1922 e anche, più o meno, il libro Le porte regali saggio sull'icona.

Io non sono un filosofo, tanto meno un mistico e ancora meno un teologo. Penso molto, è vero ma soltanto perché da qualche anno non riesco a sottrarmi ai tamburi assordanti delle cosiddette informazioni a valanga che arrivano da tutte le parti ogni giorno in tempo reale, dicono, cioè in un tempo così breve che in quel tempo le informazioni non vanno al di là di improvvise apparizioni e alla fine tutte quelle informazioni non sai dove metterle, le memorizzi a caso e le sai archiviare ancora peggio. Come le archivi? Con il sistema decimale con il quale finisci per rincorrere la tua stessa coda? Quale altro sistema? Del resto il tema delle informazioni doveva essere complicato anche nei tempi molto, molto antichi, perché le informazioni arrivavano così adagio che per la strada dall'evento all'informazione, l'informazione poteva anche avere perso l'evento.

Per memorizzare, per depositare in qualche posto della storia la guerra di Troia, sembra ci siano voluti più o meno tre secoli. Poi è arrivato Omero che più o meno ha "inventato" l'evento.

Oggi gli eventi non possono non essere che "più o meno inventati".

In tempo reale. Dicono.

[...]


2.

Se Florenskij ha pubblicato il suo testo nel 1922, cioè cinque anni dopo l'esplosione della rivoluzione, lo ha scritto nel tempo di pieno fervore progettuale delle speranze rivoluzionarie.

Sempre alla fine di una guerra, alla caduta di una dittatura, alla fine della peste, alla fine di qualche disastroso cataclisma che ha terrorizzato i popoli, c'è un tempo di molto rumorosa, generale felicità: tutti si baciano, tutti cantano, tutti ballano, tutti si ubriacano, tutti copulano e fanno bambini, tutti fanno progetti, tutti investono nella vita, tutti progettano il futuro finalmente schiarito.

Posso immaginare che il sicuro, raffinato Florenskij si sia improvvisamente trovato in una società percorsa da non altro che da futuristico furore rivoluzionario.

Posso immaginare che, come si dice, Florenskij si sia sentito mancare la terra sotto i piedi; abbia sentito scricchiolare e precipitare a terra l'intero castello dei codici rassicuranti del suo pensiero religioso, quei codici che durante secoli avevano progettato per la cultura agricola, il modello extraterrestre della perfezione.

Posso immaginare che il non più giovanissimo prelato, il mistico, il filosofo, l'intellettuale affondato nelle consolazioni della metafisica e improvvisamente circondato dai fragori, confusioni, brutalità barbariche nelle quali il nuovo progetto politico si stava agitando, sentisse eroicamente di dover confermare la verità degli antichi pensieri. Forse, molto forse riesco anche a capire - certamente non a giustificare - il martirio al quale Florenskij è stato sottoposto per lunghi anni nei lager siberiani fino all'ultimo orrendo martirio della fucilazione.

Nella miserabile cultura della violenza la regola è: "Se c'è qualcuno che ha idee contrarie alle tue, fallo fuori". È semplice, no?

Florenskij non aveva idee convenienti alla rivoluzione; teneva a mantenere l'antico modello extraterrestre anche se sentiva bene che quel modello era brutalmente minacciato da una nuova, inarrestabile forma dei destini umani, intuiva bene che i destini umani visibili e invisibili stavano per essere disegnati dall'uomo su modelli terrestri e i modelli terrestri non prevedevano né l'infinito né l'eternità: prevedevano, più o pieno, soltanto incerte evoluzioni della loro stessa forma nel tempo, incerte nascite, incerte crescite, incerte catastrofi.

La stessa idea di perfezione perdeva la sua sostanza di granito.

Florenskij intuiva anche chiaramente che il grande shock, la rivoluzione, era il prodotto di una molto strana apparizione, l'apparizione della macchina, l'apparizione di un nuovo sistema di produzione di qualunque sognata, desiderata, immaginata, umanamente "comoda" protesi.

Cito. "Gli attrezzi che usiamo sono prolungamenti del nostro corpo e servono ad ampliare il raggio delle nostre azioni e delle nostre sensazioni".

Sembra giusto quello che dice, forse può sembrare un po' troppo semplice, ma quando Florenskij colloca il corpo umano nel centro unico ed esauriente di un possibile uso pratico, funzionale, meccanico delle protesi, lo fa per ignorare la millenaria partecipazione umana all'invenzione delle protesi e riconquistare ancora la meraviglia alla "creazione" dell'essere umano.

Cito: "Creazione di una intenzione grandiosa che poteva essere concepita e realizzata solo da una saggezza profondissima".

Per quello che mi risulta una saggezza un po' lenta nella sua capacità di progettare e realizzare, se ha impiegato qualche centinaio di migliaia di anni per mettere insieme la perfezione di un corpo umano come quello che conosceva Florenskij; quel corpo che oggi, forse, non è neanche più lo stesso corpo.

L'ossessione di Florenskij è stabilire la totale presenza ovunque dell'imperscrutabile, lacerante "intelligenza" del suo ignoto extraterrestre e stabilire insieme la totale dipendenza della molto discutibile intelligenza umana. Antico pensiero.

Tutto quello che gli uomini possono immaginare, progettare, produrre, tutte le protesi delle quali l'uomo può pensare di avere bisogno pratico, sono già previste nei piani del grande ignoto; tutto quello che l'uomo ha fatto, può fare o potrà fare non ha senso se non sta dentro i programmi della grande intelligenza: secondo i quali programmi la grande intelligenza ha progettato anche la ineffabile perfezione del corpo umano.

Florenskij era davvero un sacerdote buono, solitario, innocente. Quasi sembra un bambino che guarda l'arrivo di quel mostro che è la macchina e che, come un bambino un po' sospettoso, un po' curioso, si avvicina all'enorme orso selvaggio, gli da colpetti sulla testa e dice: "Stai calmo orso, stai calmo, non ti agitare".

I vocaboli suoi o che lui cita da altri per la sua descrizione del paesaggio naturale del corpo umano sono: camera oscura, tubo, ventosa, canale porta aria, flauto, archetto, cristallo, specchio, occhiali, tamburo, valvole, freni, leve, lenti, binocolo, microscopio, rifrattori... vocaboli che appartengono alla descrizione di strumenti antichi, di protesi disegnate molto tempo prima e non molto tempo dopo l'arrivo della cultura dell'Enciclopedia.

Florenskii usa quei vocaboli e quel catalogo di riferimenti per dire ancora che tutto era previsto nella struttura del corpo umano; per dire che l'uomo con il "suo"' catalogo non ha inventato niente.

Grande parte del testo di Florenskij è dedicata a nutrire di argomenti più o meno sofisticati, più o meno teologici, più o meno filosofici, l'idea che la natura cioè il grande ignoto extraterrestre, produce i prototipi per ogni possibile immaginazione umana. Gli esempi che porta per spiegare meglio quello che pensa sono molto segnati dal tempo, sono un po' buffi e viene a galla che Florenskij aveva idee un po' vaghe della scienza, delle tecniche, della tecnologia, di quello che stava succedendo nei destini della futura cultura industriale. I tempi erano agitati, molto agitati; nessuno, anche se colto, poteva sapere quello che stava succedendo. Forse non si sa mai quello che sta succedendo.

Di un suo collega, certo Bossuet, Florenskij dice: "L'esattezza delle sue parole e l'arricchimento delle sue idee con impressioni concrete, cosa abbastanza insolita per un vescovo, si spiega con il fatto che Bossuet seguì le lezioni dell'anatomista Deuverné".

Certamente Florenskij naviga bene nella teologia ma forse un po' meno bene nell'attualità; ancora meno bene nelle previsioni del futuro industriale.

Ecco gli esempi che Florenskij propone a conferma del suo pensiero: "Le nostre mani e spalle... si proiettano nella tecnologia come una comune bilancia...". "All'orecchio assomigliano il pianoforte a coda, la pianola e altri strumenti musicali simili a percussione con tasti". "La proiezione dell'occhio... è la camera oscura". "La fotografia deriva dall'occhio". "Il sistema nervoso si proietta nelle apparecchiature elettriche...".

Vaga deviazione: "L'elettricità, secondo le visioni esoteriche dei tempi antichi, era vista come priva di materia primaria...che porta in sé non solo i fenomeni fisici ma anche i fenomeni occulti del mondo". "Le ossa sono... il prototipo delle costruzioni in ferro e cemento armato". "Un essere vivente e in genere qualsiasi creatura a sangue caldo può essere equiparata a un termostato e costituisce il prototipo dei termostati... possiamo essere ancora più precisi, un termostato è la proiezione dell'utero materno...". "Il corpo è assimilato all'abitazione in quanto l'abitazione stessa è la copia del corpo".

Più o meno questo è un elenco schematico dei sofisticati, conosciuti e ancora sconosciuti organi del corpo umano che fanno da prototipo a qualunque idea l'uomo abbia avuto o avrà nel progetto di strumenti meccanici.

Vorrei domandare a Florenskij: dove è nel corpo umano il prototipo di una portaerei? Piena di uomini, piena di motori, piena di elettronica, piena di esplosivi, di cannoni, di missili, piena di aerei a loro volta pieni di motori, pieni di elettronica, pieni di strumenti di morte?

Vorrei domandargli: dove è nel divino corpo umano il prototipo degli strumenti per filmare dentro l'intestino ammalato? Dove è nel supersofisticato corpo umano il prototipo del bombardiere quattro jet che ha portato l'atomica su Hiroshima? Dove sono nelle perfette proporzioni del corpo umano i prototipi della montagna di umanamente prodotte protesi come le macchine per tessere le stoffe, le macchinette per frullare verdure, per fare gelati, per lavare camicie, mutande e varie, per telefonare, per avere sempre la luce, per riscaldare le camere, per stampare la bibbia e cacciarla in tutti i cassetti degli alberghi, per avere i motori e far andare le auto, i trattori, i treni, per far andare anche le grandi ruote del luna park?

Florenskij ha dato la sua risposta. Cito:

Per prima cosa non conosciamo tutti gli organi del nostro corpo. Il nostro corpo non può essere considerato completamente esplorato, cosa che nondimeno non impedisce all'immaginazione tecnologica di proiettare nella tecnica organi che l'analisi micro e macroscopica, anatomica e fisiologica ancora non conoscono.

Con questa risposta che mi lascia perplesso, Florenskij ci spiega che sarà la tecnologia a scoprire nei segreti ancora inesplorati della natura dove si trovano i prototipi extraterrestri di tutto quello che la tecnologia sta già attuando: come dire che sarà la tecnologia a svelare che "la creazione può essere concepita e realizzata solo da una saggezza profondissima".

Le parti si sono invertite: per il pianoforte o per il termostato il "prototipo" cioè la saggezza infinita si fa avanti senza pudore e invece per la portaerei la saggezza si fa segreta, si nasconde, gioca a rimpiattino con la tecnologia ma un giorno o l'altro la tecnologia la scoprirà.

Si tratta di aspettare.

Mi dispiace. Ci sono aspetti del pensiero o del non pensiero dei prelati che non riesco davvero a seguire.

Appartengo alla grande tribù tanto disprezzata da Florenskij; la tribù, cito: "che si compiace della auto-beatificazione della mente umana, che è l'essenza della vita dei tempi moderni.".

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5. La natura come caso speciale della tecnica

di Brunella Antomarini


                                Guarda le mie mani. Sono una macchina!
                            (Sergej Ejsenstejn, Il vecchio e il nuovo)

                    Armi furono in antico le mani, le unghie e i denti
                                  (Lucrezio, De rerum natura, V, 1282)



1. Deboli inventori

Per debolezza biologica gli esseri umani hanno dovuto diventare inventori, di armi, di utensili, di macchine, di tutto quello che serve a replicare se stessi come se fossero forti. Si sono ricostruiti, insieme a protesi della percezione, della forza, dell'efficienza, un'altra immagine di se stessi. Si sono rappresentati liberi dai limiti cognitivi e pragmatici che erano una minaccia perenne alla loro sopravvivenza. Una volta forti per merito di quell'immagine, si sono proiettati su quell'immagine, hanno creduto di esserlo. La ruota, la freccia, il martello, la lente, la ruspa, il carro, la macchina da guerra, il satellite, il computer, la rete telematica, sono parti umane glorificate, monumenti alla forza mancante che è stata sostituita dalla forza mentale dell'invenzione tecnica.

Divinizzati di propria mano, hanno creduto, per analogia proporzionale, che tutte le cose esistenti fossero state create, e create da un dio, così come loro hanno creato gli strumenti. La distinzione tra cose naturali e cose tecniche è tardiva rispetto al continuum della creazione: come gli esseri umani creano gli oggetti, così le cose naturali sono state "create". Nell'articolo La tecnica come proiezione degli organi Pavel Florenskij parla esattamente di questo difficile confronto tra la visione teologica e quella scientifica. L'interesse crescente per questa figura che si va scoprendo gradualmente, grazie alle traduzioni dell'opera in diverse lingue, è dovuta alla complessità del suo pensiero. Ora che non abbiamo più campi di ricerca teorica così definiti e distinti, perché la scienza richiede riflessioni etiche, la filosofia esige riscontri scientifici, le arti pretendono un valore cognitivo, ora che il concetto di natura viene storicizzato perché la tecnica sembra in grado di riprodurne le leggi, una figura come quella di Florenskij ci dà un lessico adatto a capire l'irriducibile complessità del pensiero.

Stilare un elenco delle cose costruite dagli uomini e scoprirne la più o meno apparente somiglianza con gli organi del corpo ha qualcosa che incuriosisce, che disturba, che ci fa anche ridere. Possiamo costruire un attrezzo che non assomiglia a un organo? Perché tutte le cose in fondo, se ci diamo una base abbastanza ampia di paragone, possono assomigliare le une alle altre? Perché non sono mai del tutto sproporzionate le une alle altre, come i sassi si arrotondano reciprocamente e si aggiustano sul suolo che li leviga e si aggiusta su di loro? E perché il lavoro del mulino, che assomiglia al lavoro delle mani e delle gambe, assomiglia anche a un gigante? Se c'è qualcosa di donchisciottesco nel fatto che i creatori umani si facciano il mondo a propria immagine, c'è anche però un elemento di preoccupazione, perché la macchina, se viene costruita perché sia più forte degli organismi, ci dice continuamente quanto siamo deboli:

Abbiamo un certo potere sugli organi interni, ma la mancanza di potere sui diversi oggetti del mondo esterno non si spiega con il limite effettivo del nostro corpo, ma al contrario; i limiti del nostro corpo sono le conseguenze del nostro limitato potere su noi stessi.

Di contro alla centralità un po' ridicola dell'uomo nell'universo, Florenskij (senza volerlo?) ci dà l'occasione di leggere la proiezione degli organi in un altro modo, nel modo della reciprocità.


2. La reciprocità cognitiva

C'è uno scambio di natura e tecnica in cui l'una è un feedback per l'altra; analizziamo la natura con gli strumenti della tecnica e, viceversa, la tecnica nasce dall'auto-osservazione degli organismi umani. La fotografia nasce dall'occhio ma è spia della meccanica dell'occhio; la meccanica dell'occhio è solo un 'frammento' delle funzioni organiche ma queste sono anche funzioni meccaniche, e così via. Il corpo è di per se stesso tecnologico (come nell'enigma della specializzazione delle cellule staminali), ma le tecnologie implicano sempre di più processi naturali (come lo scambio di informazioni, la trasmissione di energia, l'adattamento alle modificazioni ambientali, la capacità reattiva di fronte all'imprevisto, la logica fuzzy, eccetera).

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