Copertina
Autore Michel Foucault
Titolo La volontà di sapere
SottotitoloStoria della sessualità 1
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1984 [1978], Saggi , pag. 146, dim. 140x220x12 mm , Isbn 978-88-07-08021-0
OriginaleLa volonté de savoir
EdizioneGallimard, Paris, 1976
TraduttorePasquale Pasquino, Giovanna Procacci
Classe scienze sociali , filosofia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  7 Prefazione all'edizione italiana

  9   I. Noialtri vittoriani

 19  II. L'ipotesi repressiva

         l. L'incitazione ai discorsi, 19.
         2. L'insediamento perverso, 36

 49 III. Scientia sexualis

 69  IV. Il dispositivo di sessualità

         l. Posta in gioco, 72.
         2. Metodo, 81.
         3. Campo, 91.
         4. Periodizzazione, 102

119   V. Diritto di morte e potere sulla vita


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Prefazione all'edizione ítaliana



1. Questo volume apre una serie di studi che non pretendono essere continui, né esaustivi; si tratterà di qualche sondaggio in un territorio complesso. I volumi successivi sono indicati solo a titolo provvisorio. Il mio sogno sarebbe un lavoro di lungo respiro, capace di correggersi man mano che si sviluppa, aperto alle reazioni che suscita, alle congiunture che gli toccherà d'incontrare, e forse ad ipotesi nuove. Lo vorrei un lavoro disperso e mutevole.

2. I lettori che si aspettassero di apprendere in che modo per secoli la gente ha fatto l'amore, o come le è stato vietato di farlo - problema serio, importante, difficile - rischiano di restare delusi. Non ho voluto fare una storia dei comportamenti sessuali nelle società occidentali, ma trattare un problema molto piú austero e circoscritto: in che modo questi comportamenti sono diventati oggetti di sapere? Come, cioè per quali vie e per quali ragioni, si è organizzato questo campo di conoscenza che, con una parola recente chiamiamo la "sessualità"? Quel che i lettori troveranno qui è la genesi di un sapere - un sapere che vorrei riafferrare alla radice, nelle istituzioni religiose, nelle forme pedagogiche, nelle pratiche mediche, nelle strutture familiari, là dove si è formato, ma anche negli effetti di coercizione che ha potuto avere sugl'individui, una volta che li aveva persuasi del compito di scoprire in se stessi la forza segreta e pericolosa di una "sessualità".

3. So bene che è imprudente spedire cosí, in esplorazione, un libro che fa incessantemente allusione a degli studi a venire. Ci sono grandi possibilità che appaia arbitrario e dogmatico. Le ipotesi rischiano di farvi figura di affermazioni perentorie, e le griglie di analisi proposte possono prendere l'aspetto di una nuova dottrina. Ne ho avuto d'altronde un esempio in Francia: dei critici, bruscamente convertiti ai benefici della lotta anti-repressiva, in cui non avevano finora manifestato grande ardore, mi hanno rimproverato di negare che la sessualità sia repressa. Cosa che, evidentemente, non ho mai preteso. Mi sono soltanto chiesto se, per decifrare i rapporti fra potere, sapere e sesso, si dovesse davvero centrare tutta l'analisi sulla nozione di repressione; e se non si rendesse meglio conto delle cose iscrivendo i divieti, le proibizioni, i rífiuti, le occultazioni in una strategia piú complessa, piú globale, non orientata verso la rimozione come obiettivo maggiore e principale.

4. I termini di "sesso" e di "sessualità" sono intensamente caricati e scottano. Mettono in ombra facilmente quelli che accompagnano. Per questo vorrei sottolineare che la sessualità è qui solo un esempio per un problema generale che inseguo - o che m'insegue - da ormai piú di quindici anni, e che guida d'altronde la maggior parte dei miei libri: in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito (almeno per un certo periodo di tempo) un valore di verità è legata ai vari meccanismi ed istituzioni di potere?

M. F.

Parigi, settembre 1977.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

I
Noialtri vittoriani



A lungo avremmo sopportato, e subiremmo ancor oggi, un regime vittoriano. La puritana imperiale apparirebbe sul blasone della nostra sessualità, contenuta, muta, ipocrita.

Ancora all'inízio del XVII secolo esisteva, si dice, una certa franchezza. Le pratiche cercavano raramente il segreto; le parole erano dette senza eccessiva reticenza, e le cose senza troppa simulazione; si aveva coll'illecito una familiarità tollerante. I codici del volgare, dell'osceno, dell'indecente non erano affatto rigidi, se li si confronta con quelli del XIX secolo. Gesti diretti, discorsi senza vergogna, trasgressioni visibili, forme anatomiche in bella mostra mischiate con disinvoltura, bambini smaliziati che si aggirano senza fastidio e senza scandalo fra le risate degli adulti: i corpi "si pavoneggiavano".

A questa luce piena sarebbe succeduto un rapido crepuscolo, fino alle notti monotone della borghesia vittoriana. La sessualità viene allora accuratamente rinchiusa. Mette casa. La famiglia coniugale la confisca e l'assorbe tutta nella serietà della funzione riproduttiva. Intorno al sesso si fa silenzio. La coppia, legittima e procreatrice, detta legge; s'impone come modello, rende efficace la norma, detiene la verità, conserva il diritto di parlare riservandosi la prerogativa del segreto. Nello spazio sociale, come nel cuore di ogni casa, esiste un solo luogo di sessualità riconosciuta, ma utilitario e fecondo: la camera dei genitori. Il resto deve ormai scomparire; le regole della buona educazione evitano i corpi, la decenza delle parole rende innocenti i discorsi. E ciò che è sterile, se insiste e si mostra troppo, si trasforma in anormale: ne riceverà lo statuto e dovrà pagarne le sanzioni.

Quel che non è finalizzato alla generazione o non ne è trasfigurato è fuori legge, e non ha nemmeno diritto alla parola: cacciato, rifiutato e ridotto al silenzio ad un tempo. Non solo non esiste, ma non deve esistere, e lo si farà scomparire alla prima manifestazione - atti o parole. I bambini, per esempio, si sa che non hanno sesso: ragione di piú per vietarglielo, per proibire che ne parlino, per chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie dovunque dovessero farne mostra, ragione di piú per imporre un silenzio generale e rispettato. Questo sarebbe il carattere specifico della repressione, e quel che la distingue dai divieti che mantiene la semplice legge penale: funziona certo come condanna alla disparizione, ma anche come ingiunzione di silenzio, affermazione d'inesistenza, e dunque constatazione che di tutto ciò non c'è niente da dire, né da vedere, né da sapere. Cosí funzionerebbe, nella sua logica zoppicante, l'ipocrisia delle nostre società borghesi. Forzata pur sempre a qualche concessione. Ma se bisogna veramente far posto alle sessualità illegittime, che vadano a fare altrove il loro schiamazzo: là dove è possibile reinscriverle, se non nei circuiti della produzione, almeno in quelli del profitto. La casa chiusa e la casa di cura saranno i luoghi di tolleranza: la prostituta, il cliente ed il protettore, lo psichiatra e la sua isterica - questi "altri vittoriani", direbbe Stephen Marcus - sembrano aver surrettiziamente fatto passare il piacere indicibile nell'ordine delle cose che si contano; le parole, i gesti, allora autorizzati in sordina, vi si scambiano ad un alto prezzo. Lí soltanto il sesso selvaggio avrebbe diritto a qualche forma di realtà, purché ben isolata, ed a tipi di discorso clandestini, circoscritti, codificati. In qualsiasi altro luogo il puritanesimo moderno avrebbe imposto il suo triplice decreto di divieto, d'inesistenza e di mutismo.

Saremmo liberati da questi due lunghi secoli in cui la storia della sessualità dovrebbe leggersi innanzitutto come la cronaca di una repressione crescente? Ancora molto poco, ci viene detto. Da Freud, forse. Ma con che circospezione, che prudenza medica, che garanzia scientifica d'innocuitá, e quante precauzioni per tenere tutto, senza timore di "straripamento", nello spazio piú sicuro e piú discreto, fra divano e discorso: ancora un bisbiglio rimunerativo su un letto. E come potrebbe essere diversamente? Ci viene spiegato che, se la repressione è stata, a partire dall'età classica, il tipo fondamentale di legame fra potere, sapere e sessualità, non ce ne si può liberare che ad un prezzo molto alto: ci vorrebbe addirittura una trasgressione delle leggi, una rimozione dei divieti, un'irruzione della parola, una restituzione del piacere nel reale, e tutta una nuova economia nei meccanismi del potere; poiché il minimo frammento di verità è sotto condizione politica. Tali effetti non li si può dunque attendere da una semplice pratica medica, né da un discorso teorico, per quanto rigoroso. Si denunciano cosí il conformismo di Freud, le funzioni di normalizzazione della psicanalisi, tanta timidezza sotto i grandi slanci di Reich, e tutti gli effetti d'integrazione assicurati dalla "scienza" del sesso e dalle pratiche, appena ambigue, della sessuologia.

Questo discorso sulla moderna repressione del sesso regge bene. Probabilmente perché è facile farlo. Una grossa cauzione storica e politica lo protegge; facendo nascere l'epoca della repressione nel XVII secolo, dopo centinaia d'anni all'aria aperta e di libera espressione, la si porta a coincidere con lo sviluppo del capitalismo: farebbe corpo con l'ordine borghese. La piccola cronaca del sesso e delle sue vessazioni si traspone immediatamente nella storia cerimoniosa dei modi di produzione; la sua futilità svanisce. Si delinea in questo modo un principio di spiegazione: se si reprime il sesso con tanto rigore, è perché è incompatibile con una costrizione al lavoro generale ed intensiva; nell'epoca in cui si sfrutta sistematicamente la forza lavoro si potrebbe tollerare ch'essa vada a disperdersi nei piaceri, salvo in quelli, ridotti al minimo, che le permettono di riprodursi? Il sesso ed i suoi effetti non sono forse facilmente decifrabilí; cosí ricollocata invece, la loro repressione si analizza agevolmente. E la causa del sesso - della sua libertà, ma anche della conoscenza che se ne acquisisce e del diritto che si ha di parlarne - sí trova con piena legittimità legata all'onore di una causa politica: anche il sesso s'inscrive nell'avvenire. Una mente sospettosa si chiederebbe forse se tante precauzioni per dare alla storia del sesso un patrocinio cosí importante non portino ancora la traccia dei vecchi pudori: come se ci fosse bisogno di tutte queste correlazioni valorizzanti perché questo discorso possa esser fatto o recepito.

Ma c'è forse un'altra ragione che ci rende cosí gratificante formulare in termini di repressione i rapporti fra sesso e potere, ed è quel che potremmo chiamare il "beneficio del locutore". Se la sessualità è repressa, cioè destinata alla proibizione, all'inesistenza ed al mutismo, il solo fatto di parlarne, e di parlare della sua repressione, ha un tono di trasgressione deliberata. Colui che adopera questo linguaggio si mette in una certa misura al di fuori del potere; attacca la legge; anticipa, foss'anche di poco, la libertà futura. Di qui la solennità con cui oggi si parla del sesso. I primi demografi e gli psichiatri del XIX secolo, quando erano obbligati ad evocarlo, pensavano di doversi far perdonare se fermavano l'attenzione dei loro lettori su argomenti cosí poco nobili e tanto futili. Noi, da decine di anni, non ne parliamo quasi mai senza prendere un po' la posa: coscienza di sfidare l'ordine stabilito, tono di voce che lascia intendere che si sa di essere sovversivi, ardore nello scongiurare il presente e nell'invocare un avvenire di cui si pensa di contribuire ad affrettare la venuta. Qualcosa della rivolta, della libertà promessa, dell'età futura di un'altra legge passa facilmente in questo discorso sull'oppressione del sesso. Alcune delle vecchie funzioni tradizionali della profezia vi si trovano riattivate. A domani il buon sesso. È perché si afferma questa repressione che si può ancora far coesistere, discretamente, quel che la paura del ridicolo o l'amarezza della storia impedisce alla maggior parte di noi di accostare: la rivoluzione e la felicítà; o la rivoluzione ed un corpo diverso, píú nuovo, piú bello; o ancora la rivoluzione ed il piacere. Parlare contro i poteri, dire la verità e promettere il godimento; legare l'una all'altra l'illuminazione, la liberazione e innumerevoli voluttà; fare un discorso in cui si uniscono l'ardore del sapere, la volontà di cambiare la legge ed il giardino sperato delle delizie - ecco probabilmente che cosa sorregge in noi l'accanimento a parlare del sesso in termini di repressione; ed anche forse che cosa spiega il valore commerciale che si attribuisce non solo a tutto ciò che se ne dice, ma al semplice fatto di prestare orecchio a quelli che vogliono eliminarne gli effetti. Dopo tutto siamo la sola civiltà in cui delle persone specialmente adette sono retribuite per ascoltare ciascuno confidare il proprio sesso: come se la voglia di parlarne e l'interesse che si spera di trarne fossero andati sí largamente al di là delle possibilità dell'ascolto, che alcuni hanno addirittura messo in affitto le loro orecchie.

Ma piú ancora di questo aspetto economico, mi sembra essenziale l'esistenza nella nostra epoca di un discorso in cui il sesso, la rivelazione della verità, il rovesciamento della legge del mondo, l'annuncio di un'altra èra e la promessa di una certa felicità sono legati insieme. È il sesso che oggi serve da supporto alla vecchia forma della predicazione, cosí familiare e cosí importante in Occidente. Una grande predica sessuale - che ha avuto i suoi teologi sottili e le sue voci popolari - ha attraversato la nostra società da qualche decina d'anni; ha fustigato il vecchio ordine, denunciato le ipocrisie, cantato il diritto dell'immediato e del reale; ha fatto sognare un'altra città. Pensiamo ai francescani, e chiediamoci come è potuto succedere che il lirismo, la religiosità che avevano accompagnato a lungo il progetto rivoluzionario si siano, nelle società industriali ed occidentali, trasportati, almeno in buona parte, sul sesso.

L'idea della repressione del sesso non è dunque solo una questione teorica. L'affermazione che la sessualità non sarebbe mai stata assoggettata con maggior rigore che nell'età dell'ipocrita borghesia indaffarata e contabile va insieme con l'enfasi di un discorso destinato a dire la verità sul sesso, a modificarne l'economia nella realtà, a sovvertire la legge che lo governa, a cambiarne l'avvenire. L'enunciato dell'oppressione e la forma della predicazione rinviano l'uno all'altra, si rafforzano reciprocamente. Dire che il sesso non è represso, o piuttosto, dire che fra il sesso ed il potere il rapporto non è di repressione rischia di non esser altro che uno sterile paradosso. Non significherebbe solo opporsi apertamente ad una tesi ben accettata; ma andare contro tutta l'economia, tutti gli "interessi" discorsivi che la sottendono.

È qui che vorrei situare la serie di analisi storiche di cui questo libro è contemporaneamente l'introduzione ed in un certo senso la prima presentazione d'insieme: individuazione di qualche punto storicamente significativo ed abbozzo di alcuni problemi teorici. Si tratta insomma d'interrogare il caso di una società che da piú di un secolo si fustiga rumorosamente per la sua ipocrisia, parla con prolissità del proprio silenzio, s'accanisce ad esporre minutamente quel che non dice, denuncia i poteri che esercita e promette di liberarsi delle leggi che l'hanno fatta funzionare. Vorrei prendere in considerazione non solo questi discorsi, ma la volontà che li anima e l'intenzione strategica che li sorregge. La domanda che vorrei porre non è: perché siamo repressi? ma: perché diciamo con tanta passione, con tanto rancore contro il nostro passato piú prossimo, contro il nostro presente e contro noi stessi, che siamo repressi? Attraverso quale spirale siamo giunti ad affermare che il sesso è negato, a mostrare ostentatamente che lo nascondiamo, a dire che lo taciamo -, e questo formulandolo a chiare lettere, cercando di farlo vedere nella sua realtà piú nuda, affermandolo nella positività del suo potere e dei suoi effetti? È sicuramente legittimo chiedersi perché per tanto tempo si è associato il sesso al peccato - resterebbe però da vedere come si è fatta questa associazione, evitando di dire globalmente ed affrettatamente che il sesso era "condannato" -; ma bisognerebbe chiedersi anche perché oggi ci colpevolizziamo tanto di averne fatto un tempo un peccato. Per quali strade siamo arrivati a sentirci "in colpa" nei confronti del nostro sesso? E ad essere una civiltà tanto singolare da dirsi che ha per molto tempo, ed ancor oggi, "peccato" contro il sesso, per abuso di potere? Come si è operato questo spostamento che, pur pretendendo di liberarci dalla natura peccatrice del sesso, ci opprime di una grande colpa storica che sarebbe consistita appunto nell'immaginare questa natura colpevole e nel trarre da questa credenza degli effetti disastrosi?

| << |  <  |