Copertina
Autore Barbara Frischmuth
Titolo La scrittura dell'amico
EdizioneVoland, Roma, 2009, Amazzoni 50 , pag. 326, cop.fle., dim. 14,4x20,5x1,9 cm , Isbn 978-88-6243-006-7
OriginaleDie Schrift des Freundes
EdizioneAufbau Verlag, Berlin, 2005
TraduttoreStephanie Kunzemann, Silvia Morante
LettoreLuca Vita, 2009
Classe narrativa austriaca
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Pagina 9

"C'era una volta, una volta non c'era." È uno di quei sogni da cui ci si sveglia a fatica. Anna Margotti sogna e imbocca una strada piena di pericoli. Senza difese, sola. Si osserva camminare verso la fermata del tram, all'angolo di via Non-so-quale, linea Sette, linea Fare-attenzione.

Foschia, occhi annebbiati, ma la direzione è quella giusta. I passeggeri sono di carta, coperti di scritte dalla testa ai piedi. Una lettera prova a uncinarla, cerca di tirarla fuori dal suo stesso corpo tenendola sospesa a mezz'aria. Ma lei ha bisogno di avere i piedi per terra.

"Se potessi ritornare al Donaustadt!" Sa che non ci arriverà mai. L'autista sembra un derviscio, con un'occhiata può leggerle l'anima. Deve essere un vecchio tram, una barra per volante e maniglie di pelle per reggersi, una specie di rottame che viaggia solo a mezzanotte.

La periferia si dirada e la neve, che sempre più abbondante riempie gli spazi lasciati vuoti dalle case, è scolpita dalle orme degli uccelli, una trama di linee che si intersecano. I nomi delle stazioni hanno un sapore antico. I nomi di tanti angeli custodi.

"Capolinea!" Fruscio, crepitio di carta. Le pagine si girano. Il derviscio nomade sbadiglia rumorosamente e dimentica il cappotto.

"Vieni bambina mia, il mio soffi resusciterà per te il mondo."

Vanno a passeggiare lungo l'Alte Donau, scaldandosi a vicenda fino a fondersi l'una nell'altro. Ma ognuno resterà attaccato al proprio destino.

"Anna Margotti, bambina mia, ora mi prendo il tuo cuore."

Il sogno è già durato troppo.

Il genio rivelatore delle cose nascoste si autopunisce e Anna Margotti apre gli occhi.


Anna si presenta al lavoro ancora avvolta nel sogno. Chi non lavora non mangia. Il cuore ha ancora dei sussulti. Ogni volta che si lucida le scarpe sa di farlo anche per il suo capufficio, che in realtà è una Capufficio. Lo splendore della Società si riflette sulla superficie del cuoio. E tutto luccica, perfino quei Mondi intorno ai quali tutto ruota, una realtà più reale del reale, non solo numeri, numeri, numeri. Fondamentale è la visione d'insieme, il sistema X, il futuro, quello che ognuno cerca di portare via agli altri come se fosse davvero lì, sullo schermo.

"Sei tu, Anna, il mio ideale hollywoodiano" ha scritto Frantischek, il tuttofare, sul sacchetto di carta del sandwich prosciutto e formaggio. "Le tue gambe sono più lunghe del Sunset Boulevard!"

Calata nel ruolo, Anna conta i soldi sulla mano sudata di lui. "Tra tre anni uscirò con te, Frantischek, se lo vorrai ancora." Allora lei sarà già da tempo scappata nel mondo dei suoi sogni. O morta. E Frantischek si sarà innamorato di una quattordicenne.

Con un balletto delle unghie laccate di viola Anna accende il computer e i cristalli liquidi cominciano a scintillare. "Lo sai come si fa il semifreddo alla violetta?" È probabile che Teresa, la collega all'altro terminale, stia pensando alla penultima imperatrice a cui piaceva tanto il semifreddo alla violetta.

"No, ma ti andrebbe di andare a prenderci un gelato dopo l'ufficio?"

"Ti meriteresti un bacio Anna, veramente fa ancora troppo freddo, ma sarà un modo per non dimenticare che ormai avremmo diritto a qualcosa di simile alla primavera."

La vita è piena di doveri ed è dominata dalle leggi del profitto. Al calduccio all'interno della rete mondiale, Anna ha esperienza del vento gelido della recessione solo attraverso le notizie dei media. Sa perfettamente cosa sia la debolezza congiunturale e la diffusa insufficienza strutturale, se ne occupa ogni giorno sul computer, ma sulla propria pelle non ha vissuto nessun tracollo, e se la sua Società dovesse un giorno vacillare, allora insieme vacillerebbe l'Europa intera.

La visione quotidiana di Anna è dall'alto. E cosa significa? Le linee sembrano più regolari, il verde più omogeneo. E se l'ascensore si bloccasse? Come un incubo ricorrente, questa immagine ritorna di tanto in tanto. Nonostante i tre filodendri l'aria è ancora secca. Per il resto non c'è molto di cui lamentarsi. Per quanto la riguarda. Nel complesso però? Chi osserva l'umanità senza veli avrebbe voglia di smettere di essere un umano.

Dopo l'inizio di ogni guerra Anna si compra un paio di scarpe nuove. Il mondo intorno a lei ha bisogno del suo buon umore. Forse lei, come una forza motrice mentale, riuscirà a iniettare nel Globo qualcuna delle sue frequenze positive.

"Anna," dice la Capufficio "a me deve sorridere, senza ragione, ma sorridere!"

Anna non può fare questo favore alla Capufficio: la sua ragione le è sacra. Fino a che punto può arrivare oggi una donna? Non è possibile che tutto dipenda dal sorriso.

"Purtroppo sono allergica ai problemi che non hanno soluzione" dice Teresa con serietà. Eppure non collabora all'incarico governativo che i programmatori tra di loro chiamano eufemisticamente PACIDIUS. "Ti faccio ridere?"

Anna non ride mai di nessuno. Neanche di Ferdy, del reparto posta, che parla solo della propria pelata. "Proprio come quella di un francescano, cosa avrò fatto per meritarlo?"

"La tua pancia, Ferdy, la tua pancia è il secondo indizio. Sono necessari tre segni, il terzo è la cessione dei beni alla gerarchia ecclesiastica." Teresa ricorda molti altri dettagli di quello che ha imparato durante un'infanzia rigidamente cattolica, con i quali può alimentare la fissazione di Ferdy. "Ubbidienza, povertà e castità, Ferdy."

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Pagina 25

"In fondo," spiega Jussuf, che è esperto in immigrazione dal Medio Oriente "stiamo lavorando a qualcosa di non molto diverso dalla buona vecchia sfera di cristallo degli indovini, con la differenza che gli auspici da soli non bastano, si devono anche premere bottoni e tasti. Ma quello che alla fine dovrebbe apparire non è niente di meno che il tutto. Tanti i punti di vista, altrettanti i modelli. I dati estratti vengono elaborati e trasformati in pezzi di informazione. Siamo pronti a servirci di qualsiasi indiscrezione.

Solo con una perfetta visione d'insieme è possibile prendere la decisione corretta. Per questo servono tutti i dati. Chi sviluppa il software, cioè noi, deve sapere tutto. Il governo deve accettarlo. Per noi non esiste segretezza. Per questo è nostro preciso dovere lasciarci aperta una via di fuga. Per fortuna non si usa uccidere i programmatori per far sparire con loro i loro segreti, come si faceva un tempo con gli architetti che progettavano le tombe dei faraoni.

Però bisogna stare attenti. Non penso direttamente a PACIDIUS, sebbene qualcuno sia stato mandato all'altro mondo per molto meno. Il Ministero degli Interni ci ha messo a disposizione una gran quantità di dati, per esempio tutti gli indirizzi, in città e nei dintorni, dei luoghi di culto, noti o sospetti, della setta degli Assasini. E, oltre agli indirizzi, dove lavorano, a chi estorcono denaro, con chi vanno a letto e i dettagli sull'attività sessuale di quanti sono, o sono sospettati essere, seguaci del 'vecchio della montagna' e del suo culto. Il nostro compito è poi quello di collegare tra loro i dati per scoprire possibili connessioni, reti, relazioni o organizzazioni mafiose, in pratica rielaborare i dati per individuare potenziali focolai tra gli immigrati."

È una delle tipiche lezioni di Jussuf e Anna non ascolta quasi più quando lui si esibisce così, con l'indice levato, descrivendo in modo epico la loro profana professione.

Tra l'altro Ivo, cui periodicamente si risveglia il senso dell'humour, ha ribattezzato PACIDIUS, che lui conosce pur non partecipandovi, TATORT, dal nome della serie televisiva di gialli che va in onda la domenica sera da più di vent'anni, dove i reati sono commessi da gente appartenente al milieu delle cosiddette minoranze. L'associazione si deve al fatto che alcuni locali e luoghi di culto che appaiono nella sceneggiatura di TATORT, come il caffè Museum o il ristorante Butterfassl nel Prater, sono davvero considerati sospetti. Bisogna pur distrarsi. E in quei posti c'è sempre un tizio che incontra un altro tizio.

"Inoltre quello che facciamo qui serve a rendere il mondo più comprensibile" ha spiegato la Capufficio ad Anna assegnandola al team di PACIDIUS. "In questo modo possiamo non solo dare una mano a mantenere la pace interna, ma forse persino salvare vite umane."

Quando si tratta di salvare vite umane non ha senso discutere sull'eleganza dei metodi. Altrettanto senza senso sarebbe stato chiedere alla Capufficio ulteriori dettagli. In fondo è Haugsdorff il collegamento con il Ministero e quindi il reale committente. Anna si fida di Haugsdorff, per lo meno su questo punto.

"Tutto è puro per i puri," fa notare Jussuf ogni giorno cominciando a lavorare "quindi rendiamo limpidi tutti i dati che abbiamo a disposizione."

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Pagina 57

"Anna Margotti, attenta al cuore!" Il genio rivelatore delle cose nascoste si prepara a confonderla ancora. "Ha gli occhi neri, quello che indossa il cappotto, e la faccia coperta di scritte. Lo conosci dai tuoi sogni, Anna. E in questo seme è nascosto un segreto."

Anna beve il tè e prova ad aprire il pistacchio con le unghie. In che senso un segreto? Ne viene fuori un seme marrone che lei sbuccia finché non diventa verde. Verde quasi come la foglia. Ingoierò il segreto. Il pistacchio scricchiola sotto i denti. Fai il bravo, anche se non capisco la tua lingua adesso sei una parte di me. E appena ti avrò ingoiato saprò cosa significa. Cosa?

Le è andato per traverso, la tosse di Anna fa agitare il cappotto. Sparge le bucce del seme nel posacenere, che è lì in giro solo per completezza. Un souvenir che le ha portato Gigi dalle ultime vacanze (dove ha conosciuto il caporeparto?). "In caso Haugsdorff volesse fumare da te."

Anna si versa dell'altro tè. È tremendamente stanca. Gli effetti della notte del compimento del destino. Ma lei si aspetta che l'uomo voglia riavere indietro il cappotto. E magari anche presto. Farebbe una strana figura se gli barcollasse incontro ubriaca di sonno. E poi lui l'ha già vista priva di sensi. Comincia a provare un certo imbarazzo. Probabilmente avrà pensato che fosse completamente ubriaca.

Anna trasale. Il suono del telefono è come un pugno alla bocca dello stomaco. Prima le sembra la sirena di una nave, poi, la seconda volta, riconosce il suono familiare. "Pronto?..."

"È lei quella di cui ho l'immagine davanti agli occhi?"

"Cerca il suo cappotto?"

"Devo essere stato piuttosto confuso la notte scorsa."

"Anch'io." Anna vede sparire all'orizzonte la nave sulla quale per un po' aveva sognato di viaggiare.

"Sono qui a due passi."

"Venga pure. Il suo cappotto ha ripreso la forma usuale, l'ho appeso."

Anna si alza per chiudere le tende. La porta della cabina telefonica giù in strada oscilla. Cerca inconsapevolmente di anticipare il suono del campanello, per neutralizzarlo. Il suo udito è rimasto vigile. Anna dà un colpo di pettine ai capelli e un morso a una mela. Non deve aver sonnecchiato a lungo, il tè è ancora caldo.

Si sente bussare, non suonare. È piacevole. Anna va alla porta e la apre. L'uomo è là, nell'esatto punto dove stava accovacciato come un masso. Le dà le spalle, spalle coperte da un maglione, senza cappotto.

"Sì?" Che altro dovrebbe dire.

"Salve!" Lui si gira. Quel viso. Cerca il suo sguardo e ha paura di annegarci.

"Venga! C'è corrente." Lui tiene lo sguardo fisso su di lei e viene davvero più vicino.

"Non so dove avessi la testa." Ha varcato la soglia senza calpestarla.

Anna porta la mano verso il cappotto. "Ho mangiato il pistacchio."

Lui ride e prende il cappotto. Quello sguardo. Anna deve abbassare gli occhi. Per un attimo la situazione si fa troppo scottante. L'uomo indossa lentamente il cappotto. Lei non dice nulla, è tremendamente imbarazzata. Sei una vigliacca, Anna! "La ringrazio!" Indugia ancora un momento. Poi non ha altra scelta che riattraversare la porta che Anna, incapace di invitarlo a restare, chiude dietro di lui.

Ora anche il profumo di lui è svanito. Anna è spaventata. Perché non l'ha fatto tornare indietro? Spalanca la porta e corre alle scale. "Senta, lei, non vorrebbe bere una tazza di tè con me?"

Nessuna risposta. La luce si spegne e lei torna indietro a tastoni verso il chiarore che filtra sotto la porta dell'appartamento. Troppo tardi. Rabbrividisce, quasi che quell'uomo avesse portato via con sé tutto il caldo. Come ha potuto rimanere così imbambolata. E permettere che quell'uomo se ne andasse via tanto facilmente con il cappotto. Già le manca. Ma come può mancarle se non l'ha neppure guardato bene? O forse sì?

Con gli occhi potrebbe proiettarlo perfettamente sulla parete bianca della stanza, se sapesse proiettare con gli occhi. I suoi sensi lo hanno registrato con la nitidezza di una foto. Almeno ne è convinta. Ma non c'è modo di dimostrarlo. L'arco quasi piatto delle sopracciglia, l'ombra fine e curva sotto il naso, la bocca non proprio regolare, i capelli scuri e leggermente ricci che vanno in tutte le direzioni. Di sicuro è lo stesso uomo che lei ha incontrato di recente. Non è solo il cappotto che le sembra di riconoscere.

Anna si tira su i capelli e li appunta con un fermaglio. È ancora seduta e si dondola sulle due gambe di dietro della sedia in cucina. Si inclinasse un altro po' indietro e la sedia cadrebbe.

Perché continua a pensare a quest'uomo? Un perfetto estraneo che dimentica il cappotto nell'appartamento dopo averle fatto, quando lei era priva di sensi, degli impacchi freddi. Che storia orribile! La cosa migliore è far finta di raccontarla a Bonny. Questo forse le chiarirà le idee.

"Non ci crederesti mai Bonny!"

"A cosa?"

"Ho conosciuto un uomo."

"E allora!?"

"Il suo sguardo mi ha eccitata."

"Come si chiama?"

"Non ne ho idea."

"Come si guadagna da vivere?"

"Come faccio a saperlo?"

"Come lo hai conosciuto?"

"Come un masso davanti alla mia porta."

"E dove è rotolato il masso?"

"Ho perso conoscenza."

"Sei malata o sei fatta?"

"Mi ha dovuto mettere a letto e farmi degli impacchi."

"Almeno sa cosa si deve fare. E poi?"

"L'ho lasciato andare."

"Evidentemente hai ripreso conoscenza."

"Quando ha ripreso il suo cappotto."

"Quale cappotto?"

"L'aveva dimenticato da me."

"Di proposito?"

"Come di proposito?" La sedia di cucina cade definitivamente. Quando tocca il pavimento, un lampo le illumina i pensieri. Perché non di proposito? Forse ha lasciato lì il cappotto per avere un motivo per rivederla? E lei ha sprecato pure questa seconda opportunità.

Anna si rialza in piedi e si poggia di piatto la lama di un coltello sul bernoccolo che le sta spuntando. Così impara! La terza volta farà meglio. Se ci sarà una terza volta. Dove è scritto che ci debba essere una terza volta? Forse lo incontrerà ancora per caso. Non ha detto che ha degli amici nel palazzo? Chi potrebbero essere questi amici?

Anna non è abituata a cercare a casaccio. Di solito, se perde qualcosa inserisce tutti i possibili dati, anche i più irrilevanti, finché non trova una traccia che valga la pena di prendere in seria considerazione. A quel punto gira attorno all'oggetto della sua curiosità con ogni mezzo a disposizione, irrompe nella rete forzandone le protezioni con incredibile estro e dopo un tempo sufficientemente lungo è raro che un'informazione le si sottragga. Ma questa volta non ha a disposizione una tastiera, è nelle mani del caso e questo la fa un po' soffrire.

"Ma tu, cosa vorresti?" Sente in testa la voce di Bonny. Ben detto. Cosa vuole veramente? Da questo sconosciuto, dall'uomo che dimentica il cappotto, nel cui sguardo è brevemente affogata.

Mettendo provvisoriamente da parte l'orgoglio Anna confessa: prima di tutto rivederlo!

Può sentire Bonny mentre manda giù la banalità di questa confessione.

"Bere con lui un tè o quello che capita. Poi forse saprò quello che mi sta succedendo."

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