Copertina
Autore Max Frisch
Titolo Il silenzio
SottotitoloUn racconto dalla montagna
EdizioneDel Vecchio, Roma, 2013, formelunghe 35 , pag. 120, cop.fle., dim. 13,7x21,5x1 cm , Isbn 978-88-6110-048-0
OriginaleAntwort aus der Stille. Eine Erzählung aus den Bergen
EdizioneSuhrkamp, Frankfurt am Main, 2009 [1937]
PrefazionePeter von Matt
TraduttorePaola Del Zoppo
LettoreCristina Lupo, 2014
Classe narrativa svizzera
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Indice


IL SILENZIO. UN RACCONTO DALLA MONTAGNA             7


POSTFAZIONE
di Peter von Matt                                 101

LA SCATOLA NERA DEL TRADUTTORE                    117


 

 

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Pagina 9

È una giornata che per camminare non potrebbe essere più bella, una giornata azzurra e non tanto calda.

Come batuffoli bianchi le nuvole pendono sulla valle, immobili, e sui prati friniscono i grilli. È ancora estate; ma la luce che vibra sui campi ha già una dorata dolcezza, e basta avvistare sul sentiero una sola foglia caduta, con i bordi imbruniti, ed ecco che si pensa all'autunno, anche se tutto è ancora verde, anche se le farfalle colorate ancora svolazzano e il frumento sui pendii matura.

Già da ore il viandante si concede a malapena una sosta; si è tolto la camicia e porta lo zaino sulle spalle nude, abbronzate e lucide. È uno zaino pesante, carico di fune e piccone, sacco a pelo e tenda; non mancano neanche gli agganci e chiunque lo incontrasse indovinerebbe alla prima occhiata che ha evidentemente in mente grandi cose, questo viandante dal passo veloce col piccone nella mano che oscilla al passo...

Ma nessuno gli viene incontro.

È una valle solitaria e silenziosa, si sente a volte, come un tempo, il torrente che si intreccia nelle gole o supera le rocce più alte, dove l'acqua precipita in veli di polvere e d'argento. È tutto sempre come allora, come tredici anni prima; allora camminava con suo fratello maggiore, che a volte gli indicava e gli spiegava, per esempio, come si era formata una valle così, come gli antichi ghiacciai, lentamente, avessero limato un'ampia conca, proprio come una pialla, e come sulle pareti di roccia si potessero riconoscere le striature che lo testimoniavano, e se si guardava in lontananza si potevano riconoscere i terrazzamenti di un antico e più elevato pavimento della valle. E solo poi, diceva suo fratello adulto, era arrivato il torrente che si era scanalato le strette gole, ovviamente nel corso di molti millenni.

Il viandante solitario ricorda tutto questo solo quando rivede le pareti di roccia. Al tempo era ancora un ragazzino, e aveva ancora la sensazione di possedere una vita immensa, quasi infinita, e forse qui, per la prima volta, si era sentito un effimero moscerino –

Allora, tredici anni fa.

A un certo punto un carro traballante e ondeggiante viene giù per la via, e bisogna mettersi di lato finché la polvere vorticante non scende in veli biancastri sui prati.

Anche della minuta fonte che si trova un po' più avanti, sul ciglio della strada, si ricorda il viandante; il fiero gorgoglio non è invecchiato negli anni, e anche questa volta beve l'acqua gelata il cui flusso talvolta semplicemente si arresta per poi spruzzare e scrosciare ancora più vigoroso. Rinfresca magnificamente la fronte, che lui trattiene sotto il tubo; anche le braccia abbronzate le immerge nel trogolo di legno foderato dal muschio, prima di afferrare nuovamente la piccozza, e in breve le gocce scure sulle sue scarpe saranno di nuovo secche e scompariranno.

Forse lui stesso non sa perché non si concede riposo nonostante abbia in realtà abbastanza tempo. Spesso osserva solo i suoi scarponi da montagna senza guardare ciò che sorge a destra e a sinistra, come qualcuno che miri a una meta fondamentale, o che comunque pensi di averne una e che si concentri solo e unicamente su quella meta...

La via si fa sempre più solitaria. A malapena ogni tanto si scorge una baita. Nei campi mormora il meriggio e più tardi, nel momento più caldo, si sente ogni tanto un rollio ottuso che da qualche parte echeggia nella valle, un crollo di rocce su tra le montagne, come sempre a quest'ora.

Anche questo è come un tempo.

O forse il viandante sta ripensando al passato; è una lunga valle, e tredici anni sono un lungo periodo, e lui si spinge sempre più in là nei suoi ricordi. Qualcosa lo fa sorridere, debolmente, magari per vergogna o per segreta invidia: era qui, a questo ponte di legno, che apertamente e con slancio giovanile spiegava a suo fratello adulto, al tempo appena fidanzato, che il matrimonio era cosa per gente ordinaria, e lui non si sarebbe mai sposato, il diciassettenne; perché lui non era una persona ordinaria, gli disse, bensì un artista o un inventore o cose così. Era la prima volta che lo confidava ad anima viva, allora, su questo ponte di legno, e suo fratello adulto gli chiese solo: e che tipo di artista sarebbe stato?, cosa creava? E quella fu ovviamente una domanda che ferì profondamente il giovane, perché non poteva rispondere; visto che non aveva ancora dato forma a nulla. Sentiva solo di non essere una persona come le altre, come suo fratello adulto, per esempio, che era fidanzato e che pertanto lui disprezzava perché quintessenza dell'uomo ordinario...

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Pagina 28

Tra l'altro nel frattempo si è rimesso già in discesa; è rimasto sulla cima un quarto d'ora scarso, anche se era così meravigliosa, un quarto d'ora scarso...

Forse aveva bisogno di una coscienza molto pura per resistere a quel puro silenzio; altrimenti potrebbe essere che in un'ora tutto crolli su se stesso e si sciolga ciò per cui si è coltivato e costruito per tutta la vita, che forse l'ambizione eroica si sveli in vanagloria, in semplice fuga, e che alla fine, quando si è rimasti seduti a lungo lì, rimanga solo la macchia scura, una qualche fondamentale menzogna del cuore, che si intuisce e che si teme da sempre e si tenta mille volte di nascondere, perché semplicemente non si ha il coraggio, il coraggio di aprire gli occhi, di mutare davvero.

Verso sera, quando torna a valle, il cielo si è coperto; come veli le ombre delle nuvole si stendono sul firn che indossa un bagliore dorato, si arrampicano anche sui pendii, ed è bello guardarle, quelle nuvole che si muovono, e le ombre e i boschi, che adesso si fanno marrone e violetto. Un soffio bluastro riempie la valle vespertina, e a tratti il sole riesce a farsi strada e infiltrare i raggi nello spazio, come un fascio di lance argentee.

Irene è seduta nella sua sedia a sdraio, e perché non dovrebbe rivolgere la parola al viandante, dato che lui si spinge in terrazza a controllare il tempo?

È riuscito a beccare il bel tempo per poco, dice lei e vuole sapere se la vista era limpida.

– Oh, sì! – Lui è appoggiato alla ringhiera, la mano sinistra nella tasca dei pantaloni e fuma dalla sua pipa e di certo non gli dispiace che lei lo abbia guardato scalare la parete, lei, che ieri lo guardava stare nel torrente come un ragazzino a giocare con i ritagli di corteccia. È una parete azzardata, quella che ha superato oggi, bisogna proprio dirlo, ed è magnifico come le nuvole proprio adesso le scivolino sopra; a malapena si distingue ancora cosa sia montagna e cosa nembo, perché tutto ormai è in fiamme e si scioglie.

Ha altre grandi cose in mente?, chiede lei, mentre raccoglie le cose nella borsa perché in terrazza comincia a rinfrescare. E lui si toglie la pipa dalla bocca:

— La Cresta Nord, sì.

Va notato che lo dice in tono modesto, sobrio e naturale. Ma la giovane straniera non sa cosa voglia dire; non sa che lei è la prima persona a cui lo confida e forse glielo confida per non poter più tornare indietro; raccoglie solo il suo lavoro, rilassata, come se lui avesse parlato di una gita qualsiasi —

E neanche questa Cresta Nord deve essere facile, dice lui da solo, in ogni caso nessuno la ha ancora mai scalata.

E quindi vorrebbe scalarla lui?

Con uno slancio deciso lei si pettina i capelli che il vento le ha scompigliato, e sorride, senza scherno né dubbio, solo con molta indifferenza; poi rimette via il pettine rosso:

— Ma a che scopo? — chiede.

Lui si limita a guardarla...

Non si può dire che lei sia propriamente bella; ha denti grandi e bianchissimi, e un viso bruno, e i capelli hanno un riflesso pallido, e ciò che rende quel viso così sconcertante sono forse solo gli occhi, quegli occhi rapidi e svegli, dallo sguardo quasi impertinente e molto limpido e spesso superbo.

Perché, quindi...?

Non ha ancora trovato una risposta alla disinvolta domanda di lei; si limita a scuotere le spalle, per metà imbarazzato e per metà sprezzante, dato che lei pare proprio che di certe cose non capisca nulla, poi si rimette a fumare dalla sua pipa, mentre lei si alza e finisce di raccogliere le sue quattro cose:

Di certo vuole finire sui giornali, fa lei; e lo guarda e ride con gusto, ma senza malizia, solo a cuore aperto...

Poi suona la campana della cena.


*


Tra l'altro ha ragione, la giovane straniera; il giorno seguente piove davvero, e per giunta a dirotto. Dalla valle ribollisce la nebbia come se stessero cuocendo le patate; le coltri grigie scivolano senza sosta sui pendii e tutti i monti sono avvolti.

Si sta tutto il giorno seduti nel cosiddetto salone, dove c'è un camino. A volte un ciocco schiocca, o sfrigola solo se è ancora umido. Altrimenti regna il silenzio; ognuno è occupato a suo modo, e quando qualcuno parla, lo fa a voce bassissima, come in una sala d'aspetto...

Solo Irene non c'è.

A quanto pare, sta di nuovo giocando con i bambini, giù al piano terra, a momenti si scatenano e fanno rumore, e si sentono le sedie che cadono e le porte che sbattono, i bambini lanciano urletti e gridano, e si sente anche Irene che ride, come se stesse giocando con bambini suoi.

A che scopo?

È proprio la domanda più scortese che si possa fare alla vita...

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Pagina 42

Forse si è ricordato che oggi compie gli anni. E che ha sempre ripetuto: chi a trent'anni non ha ancora portato a compimento nulla, può tranquillamente appendersi all'albero più vicino...

A volte la pioggia sibila più forte tra le cime e lui osserva l'acqua scendere dal sentiero, e lascia anche che le gocce gli scorrano sul collo, perché non sa per quale motivo dovrebbe muoversi.

Sa solo che non ci sarà la possibilità di rettificare quando si è sprecata la propria vita, non si può tornare indietro nel passato, non si recupera né si aggiusta niente, non c'è misericordia; lo sa come non l'ha mai saputo, che tutto è definitivo, quello che si fa o che non si fa, ogni errore e ogni omissione, e che anche quello star seduti non si recupererà mai, che la vita va sempre avanti, inarrestabile, anche se non si sa perché ci si dovrebbe muovere.

A volte trattiene il respiro, allora è come se potesse ascoltare il tempo che sgocciola dagli alberi, gocciola in singoli istanti...

Nient'altro che si muova in tutto il bosco.

Può essere che ciò che uno si aspetta dalla vita sia davvero poco modesto; è poco modesto che ogni creatura pensi di dover avere un senso. Alla fine siamo solo passaggi, veicoli di una vita che si compiace di sé e si basta. Ma forse ci sono veicoli vuoti, e quando si sta soli nel bosco piovoso, perché non essere sinceri? A volte ci si entusiasma per un paesaggio, per il colore di una nuvola passeggera o di uno specchio d'acqua che brilla al sole in quel momento, e si è soddisfatti, perché il mondo è bello. Si è felici e grati per il solo esserci, in questo mondo, ed è abbastanza che si possa guardare nella corolla di un fiore e toccare i suoi stami. O a volte anche un fungo, che preso in mano si sbriciola, può essere molto bello, o un pezzo di legno marcio che, staccato da un tronco d'albero umido, si frantuma tra le dita. E, si pensa, forse, che la bellezza sia il senso di questo mondo, che sia forse l'Esperienza, e anche questo è vero e falso, come tutti i pensieri che si afferrano; si possono sbucciare o frantumare tra le mani e gettarli di nuovo via. Come una pigna o un fungo o un pezzo di legno marcio che si frantuma. E quello che ci rimane di tutto l'entusiasmo che la natura ci dona è sempre solo la consapevolezza di quanto tu sia separato da questo mondo, che è bello, e che magari ha un senso, quanto sei scacciato da tutta la compiutezza della natura, quanto solo nel tuo vuoto, quanto estraneo e sordo nel grande silenzio di un bosco del genere.

Solo la nebbia silenziosa scivola tra gli alberi vicini, i cui tronchi sono bagnati e scuri, e in lontananza, dove si riconoscono, gli abeti alti e frastagliati sembrano ombre grigie che si ergono da qualche parte su un nulla senza fondo né fine —

Oh, non che lui pensi che si dovrebbe poterlo mettere in parole, il senso della vita, che si dovrebbe pensarlo o neanche provarlo! Posto che tutto ciò che è vero può solo essere creduto. Ma che lui abbia così poca fede in tutto ciò che intraprende, ecco, e non aiuta affatto la volontà per quanto possa essere salda.

È un peccato, ma è così che stanno le cose.

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