Copertina
Autore Carlo Emilio Gadda
Titolo Saggi Giornali Favole e altri scritti II
EdizioneGarzanti, Milano, 2008 [1992] , pag. 1152, cop.fle., dim. 11x18x5 cm , Isbn 978-88-11-60084-8
CuratoreDante Isella
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe narrativa italiana
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Indice


Piano dell'edizione                                   4

Sommario                                              9


Il primo libro delle Favole                          13

1 L'agnello di Persia                                13
2 Il lupo, accompagnatosi                            13
3 Il leone saziato                                   13
4 Un botanista apprese                               13
5 I rettangolari architetti                          14
6 Una belva sinistra                                 14
7 I letteratori ingaggiati                           14
[...]
184 Il topo delle chiaviche                          59
185 Pier Luigi, non per altro Farnese                59
186 Zorzi pittor veneto fece San Liberale            60

Nota bibliografica                                   63


I Luigi di Francia

Luigi XIII
 1 Nascita                                           91
 2 Battesimo. Adolescenza                            93
 3 Storia di un regicidio                            98
 4 Carlotta di Montmorency                          101
 5 Due fiorentini alla Corte di Maria               105
 6 Il maresciallo e la marescialla d'Ancre          106
 7 Omaggi alla regina Anna                          110
 8 Il peggio è facile, il meglio è difficile        113
 9 Dame e damigelle alla Corte di Anna              117
10 Guerra di Mantova con assedio di Casale          120
11 La giornata degli inganni                        122
12 Quando i giorni si spengono                      125

Luigi XIV
 1 Procreazione laboriosa                           133
 2 Mazarino                                         138
 3 La Fronda                                        143
 4 La duchessa di La Vallière                       148
 5 Al campo, da Turenne                             153
 6 La marchesa di Montespan                         156

Luigi XV
 1 Morbillo a Corte                                 169
 2 Disegni per «Dafni e Cloe»: seguiti da colpo
   apoplettico                                      171

[...]


Eros e Priapo (Da furore a cenere)

Premessa                                            217
1                                                   221
2                                                   244
[3] Latenze e non latenze della erotia normale      250
4                                                   271
[5] La collettività subisce l'incanto non più del
    maestro, nel seno delle arti e mestieri, ma
    d'un istrione millantatore                      279

[...]


Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia
nel verso immortale del Foscolo

[...]


Giornale di guerra e di prigionia

Giornale di Campagna                                437
24 agosto 1915 - 15 febbraio 1916

Giornale di guerra per l'anno 1916                  525
4 giugno - 26 ottobre 1916

[...]


 

 

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Pagina 13

1

L'agnello di Persia incontrò una gentildonna lombarda, che prese a rimirarlo con l'occhialino. «Fedro, Fedro», belava miseramente l'agnello: «prestami il tuo lupo!»


2

Il lupo, accompagnatosi con l'arcicorvo, lo scongiurava di erudirlo nella lingua latina. L'arcicorvo si ricusò: e il lupo, da allora, usa della fauce in modo improbo.


3

Il leone saziato s'imbatté in un cronico di stomaco. «Salvami dal chirurgo!» implorò il gasteròpata.


4

Un botanista apprese dal carpentiere che il legno del larice era buono da finestre e da banco: e volle che fossero tutti larici intorno alla casa. Andò anche dallo speziale e disse: larici! E dal cavallaro e disse: larici! E dal mastro muratore e disse: larici!

Avvenne infine che gli bisognasse una gran tavola, da disseccarvi alcuni funghi velenosi: che intendeva distinguere dai mangiativi. Gli disse, il carpentiere, che gli facesse, alla tavola, le quattro gambe di legno pero: che a tornire vien meglio. E gli sovvenne, al botanista, che nel secolo pur allora consumato c'era un pero nel giardino. Ma i larici tenevano il suo luogo oggimai.

Questa favoletta ne certifica: ogni forma dell'Essere la merita tutela nel Jardin des Plantes. E la parola d'ordine è da incuorare al ballo i dementi.


5

I rettangolari architetti farebbono cipria del Borromini, come di colui che rettangolare non è, ma cavatappi.

Questa favoletta ne certifica: la parola d'ordine rinnova l'opere: e l'opere nuove trovano parole a essere commendate.


6

Una belva sinistra, che compicciava in tela certi avortini, ruggì che le tele vangoghesche fossero distrutte come entartete Kunst.

Mossero, alla parola d'ordine, gli zelatori e i seguaci.


7

I letteratori ingaggiati dopo anni zinque si disingaggiano.


8

Un navicellaio aveva a passar lo Stretto, e con il mare alle brutte: Scilla dalle molte bocche faceva le boccacce, Caribdi, dai dentolini di squalo, in tra il frangente e l'onda ne andava dimostrando l'aguto.

Si pensò, il buon padrone, di rabbonire i due mostri: col lasciar loro intendere non tutti i navicelli sono boccon da Scilla: o Caribdi. Richieduti i congiunti se in quel commosso verde, che aveva quel dì le male creste con più rabbuffi di spuma, gli volesse alcun di loro venir compagno a seco dividere i perigli, e' l'andava facendo luogo fra le botti, in coperta, da poterlo accomodare per il meglio.


9

La madre della di lui Signora si offerì.

Approdarono felicemente a Zacinto.


10

I pubblicani volevano scrivere nelle tabelle il numero delle vacche di Zebedìa, per averne oblazione: di duo nummi di tributo a ogni vacca. Zebedìa andò a vendere issoffatto i quadrupedi e dichiarò ai pubblicani che le sue vacche se le erano sognate loro.


11

Un apparitore doveva introdurre l'elefante, reo d'aver adusato proboscide alla su' vendetta, nella curia dove sedeva il proconsole. Al proconsole gli mise in capo la criniera del leone: dall'elefante si fe' regalare le zanne.


12

Un convittore trovava che la mensa del propretore era troppo lauta per il suo stomaco. Invitò il lupo alla mensa, come aiuto-convittore.


13

Un moralista volle vedere nel caleidoscopio: ma ne torse il capo ischifito: «Oh, oh, oh! », badava esclamare.

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Pagina 37

115

Un gentiluomo lombardo era pervenuto alla sordità e amava teneramente un suo pappagallo nonagenario, cioè poco più giovane di lui. Rimbrottava egli del continovo il suo cameriere. Questi, nel porgergli mantello, cappello e mazza, faceva ogniqualvolta un leggero inchino e con impeccabile distinzione dimandàvalo: «Quan l'è ké té crèpet?» Il gentiluomo, coccolando il suo loro, offerivagli con i labbri disseccati un'aràchide o una nocciuola parimente secca, che vi teneva nell'atto di chi dà il bacio: e il loro s'ingegnava, col rostro e con una zampa, a distoglier dai labbri del gentiluomo quell'aràchide (o nocciuola), senza far male: torcendo tutto, da un lato, il suo bellissimo e verde capo, e a tratti velando i due occhi, con le sue sei palpebre al centesimo di secondo, che pareva si morisse d'amore. Cincischiata e rimuginata a lungo l'aràchide (o nocciuola) e con il becco e con la lingua ancora inturpiti dalle briciolette e pellicole, e anco un po' di saliva, rognava di poi dolcemente: «Quan l'è ké té crèpet? » Il gentiluomo lombardo credeva che fosse: «Ā revoir, mon enfant!»: e al tutto beàvasi.


116

Uno di Bibbiena, uno di Fucecchio, uno di Navacchio, un aretino, un genovese, un melanese, un fiorentino, un padovano, un pisano, un romagnolo tornato in bastardo, un senese, un lucchese, un tudesco, un porporato a Laterano, un basco, un francese, e monzignor Carlo d'Angiò primo, conte di Provenza, e 'l re Roberto a Napoli; un Guidi, un Montefeltro, un Malatesta, un Maghinardo Pagani da Susinana signor d'Imola, e 'l Gaetani pontefice in soglio Bonifazio ottavo e sua gente e famiglia, veddero, in un quaderno a scrivere, l'ombra del poeta Allighieri.

«Di certo la invettiva contro a Busto Arsizio», Si dissono.

In chel medesimo momento la Sapìa, vedova a Guinibaldo Saraceni da Castiglioncello di Monteriggioni, e contessa a morir dura sopr'a Colle in castello, e il conte Mainardi, a Bertinoro, e il conte Malvicini, a Bagnacavallo, e il conte da Barbiano, a Castrocaro, e il conte di Conio, e' feciono il medesimo penziere.

E 'l medesimo esso pure sotto la torre di ser Mangia, in dove podestà fu, Bernardino di ser Fosco faentino, verga gentil di picciola gramigna.

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Pagina 57

180

Il passero, venuta la sera, appiccò lite a' compagni da eleggere ognuno la su' fronda, e '1 rametto, ove posar potessi.

Un pigolio furibondo, per tanto, fumava fuore dall'olmo: ch'era linguacciuto da mille lingue a dire per mille voci una sol rabbia.

D'un'aperta fenestra dell'ipiscopio com'ebbe udito quel diavolio, monzignor Basilio Taopapagòpuli arcivescovo di Laodicea se ne piacque assaissimo: e dacché scriveva l'omelia, gli venne ancora da scrivere: «inzino a' minimi augellini, con el vanir de' raggi, da sera, e nel discolorare de le spezie universe, e' raùnano a compieta: e rendono a l'Onnipotente grazie di chelli ampetrati benefizi ch'Ei così magnanima mente a lor necessitate ha compartito, et implorando de le lor flebile boci, contro a la paurosa notte sopravvenente el Suo celeste riparo, da sotto l'ala richinano 'l capetto, e beati e puri s'addormono».

Ma i glottologi del miscredente ottocento e' sustengono che 'n sua favella, ciò è delli storni e de' passeri, quel così rabbioso e irriverente schiamazzo che fuor d'onni fronda vapora, o tiglio o càrpine od olmo, non è se non:

«di sò, el mi barbazzàgn, fatt bèin in là...»

«diti con me?»

«proppri con te, la mi fazzòta da cul!...»

«mo fatt in là te, caragna d'un stoppid...»

«t'avèi da vgnir premma, non siamo mica all'opera qui...»

«sto toto de porséo...»

«va a remengo ti e i to morti!...»

«quel beco de to pare...»

«e po' taja, se no at mak el grogn, ... tel dig me, ... a te stiand la fazza...»

«in mona a to mare...»

«lévate 'a 'lloco, magnapane a tradimento!...»

«né, Tetti, un fa' 'o bruttone...»

«i to morti in cheba...»

«to mare troja...»

«puozze sculà!...»

«'sta suzzimma, 'e tutte 'e suzzimme!»

«piane fforte 'e loffie!...»

«chitarra 'e stronze!...»

«mammete fa int' 'o culo...»

«e soreta fa int' 'e rrecchie...»

«a tte te puzza 'u campà...»

«lèati, porco, 'e cc'ero prima io...»

«e cc'ero io, invece!... l'è mmaiala!»

«... mandolin 'e mmerda!...»

«... sciu' 'a faccia tual...»

«chiàveco!...»

«sfacimme!...»

«recchio', te ne metti scuorno o no!»

«è 'ttrasuta donn'Alfunsina!»

«e cc'ero io, maledetta befana, costassù costì l'è la mi casa!...»

«vaffangul' a mammeta!»

«abbozzala, pezzo di merda, o ti faccio fori...»

«levate da' ccoglioni... accidenti a la buhaiòla 'he tt'a messo insieme!...»

«to màae...»

e altre finezze, e maravigliose e dolce istampite del trobàr cortés.

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Pagina 358

[11]
TEOREMI CENTRALI



a) La esibizione è il pragma narcissico specifico.

b) La esibizione atto fondamentale della psicosi narcissica.

c) Trasposizione simbolistico-analogica o simbolistico-estensiva del pragma specifico in una esibizione di oggetti. Sublimazione e falsa sublimazione.


Devo ora separarmi da ognuno de' du' elenchi (il modale A, il contenutistico B) per innestarmi su entrambi in una rappresentazione complessa, la quale mi dimanda ch'io la rigiri dimolto bene la mi' polta, da uscirne cotta una sissignora polenta, così De Madrigal.

I millenni della evoluzione storica e i martellanti secoli della cognitiva, antichi e fulgidi, nonché i recenti e commossi hanno conferito all'Io quell'incarco di ulteriori e direi stabili riferimenti che si assomma nel greve cioè indigesto peso della civiltà e in quello più greve del pudore, perché il pudore, oggi, per l'uomo medio normale o per la tabaccaia media normale, il pudore ha la forza nativa di un istinto, e si configura entro certi limiti in una vis ineluttabile. Detta vis è però legata alle funzioni della socialità e del parere o apparire: che quando te ti senti sicuro o sicura del nascondiglio e l'immunità o l'impunità ti è garentita dalle circostanze, ove un'Alta Idea non ti soccorra o un Veto parimente Alto non ti inibisca, te il tuo pudore lo molli in tanta malorsega: e buona notte. Ciò vediamo tuttodì; e né fa d'uopo ch'io v'illumini al caso, per exempla che verrebbono superflui. Molte volte un pudore scenico è tirato in campo, specie dalla donna, una od altra, o a respingere un assalto non gradito, o a ritardare l'aggressione intempestiva, o ad ostacolare la tempestiva: da render quella tal donna audace e folle o da pervenire a dilungar da lei, schermagliando, quella reiterata protervia che le smove tutto il fondale dell'anima.

Il pudore grava comunque su gli stinchi di santo del secol d'oggi come sua soma sul ciuco, e rari sono i casi di pudore nullo e per lo più connessi o a un'estrema usura della femina o a follia esibitiva o a una regressione verso l'infanzia, nei Babinski-Frölich e analoghi.

Il pudore infrena e, più che non infreni, asconde e rende cauto l'atto coniugalmente inevitabile della esibizione; che è il più perentorio dei richiami nella dialettica dei sessi.

Innumerabili sono i richiami d'amore: e i più si compiono per dispositivo naturale: talvolta vi ha gran parte il meccanismo simbolistico e analogico dell'olfatto nei mammiferi: quali cani, cavalli. In determinate stagioni la femina di detti quadrupedi è profumata della piena degli ormoni d'amore e con quel profumo attira ed esacerba il maschio. Altrove vi gioca la voce, come nel cinguettio degli uccelli: una mimica e di poi una mistica romantica la è ne' gatti gnaulanti su da la notte, a febbraio o ad agosto, che Belzebù gli anneghi, tiratili in ne' fognòli.

Nel somaro il raglio, nell'uomo il canto e l'eloquio, e nella su' donna i trilli e le risatine e gli aguti coi gorgheggi e i drammatici nitriti che tanto ne commovono, al teatro del canto eccellente: ecco i richiami. Anche i profumi di Coty. Ma il richiamo più sentito è pur sempre «la bella persona» esibita ai Campi Elisi o al Corso, a Montemalo o all'Uccellatoio. L'esibizione feminina è del volto, de' capegli, della intera struttura, delle anche, del flettibile e pieghevol treno postico, delle belle gambe diritte di certa chiantigiana mia dea, così De Madrigal, della parlata pistoiese e della senese chiara e aspretta: et è soprattutto de' seni e de' beccucci loro sotto a camiscia, nelle più poppute e proterve: nella Zaira del Battifredo. Tantoché le più dilassate, poarine, certe lor poppe d'abisso le ricolgono e sustentano con lacciuoli e reggipetti, coi grappini, raffio e arpagone, sì come ripescar di mare i polpi.

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