Copertina
Autore Giancarlo Gandolfo
Titolo Elementi di economia internazionale
EdizioneUTET Universita, Torino, 2006 , pag. 378, dim. 170x240x23 mm , Isbn 978-88-6008-032-5
LettorePiergiorgio Siena, 2006
Classe economia finanziaria
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Indice

Prefazione                                     XVII

 1  Lineamenti generali                           3


    I    Nozioni di base                          9

 2  Il mercato dei cambi                         11

 3  I vari regimi di cambi ed il sistema
    monetario internazionale                     32

 4  Condizioni di parità d'interesse             52

 5  La bilancia dei pagamenti                    60

    II   Economia monetaria internazionale       77

 6  I modelli di base: elasticità,
    moltiplicatore, Mundell                      79

 7  L'approccio monetario e di portafoglio      110

 8  Movimenti di capitale e crisi valutarie
    speculative                                 123

 9  Determinazione del tasso di cambio          138

10  L'approccio intertemporale                  161

11  Integrazione monetaria internazionale ed
    Unione Europea                              172

12  Problemi del sistema monetario
    internazionale                              205

    III   Teoria del commercio internazionale   229

13  La teoria ortodossa: costi comparati,
    dotazioni di fattori, domanda               231

14  Dazi ed altre misure di politica
    commerciale                                 265

15  Il dibattito libero scambio-protezionismo
    e la cooperazione commerciale               283

16  Il neoprotezionismo                         300

17  Le nuove teorie del commercio
    internazionale                              319

18  Crescita, commercio, globalizzazione        348

 

 

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Pagina 32

Capitolo 3
I vari regimi di cambi ed il sistema monetario internazionale



I regimi di cambi in teoria possibili sono numerosi, in quanto fra i due estremi di cambi perfettamente rigidi (o fissi) e di cambi perfettamente e liberamente flessibili esiste tutta una gamma di regimi intermedi cosiddetti a flessibilità limitata. Una trattazione esauriente esulerebbe dai limiti di questo volume, per cui ci limiteremo ad accennare ai principali regimi cominciando dai due estremi. Premettiamo altresì che in questa sede non introdurremo alcuna discussione dei meriti e demeriti comparati dei vari regimi considerati, per la quale rinviamo al Cap. 9.


3.1 I due estremi

Un estremo è dato dai cambi liberamente e perfettamente flessibili. Tale regime è caratterizzato dal fatto che le autorità monetarie del paese che lo adotta non intervengono nella maniera più assoluta nel mercato dei cambi. Il tasso di cambio (sia a pronti sia a termine) nei confronti di qualsiasi valuta estera è dunque lasciato a se stesso e può fluttuare liberamente in qualsiasi direzione e in qualsiasi misura in base alle domande ed offerte di valuta estera provenienti da tutti gli altri operatori.

L'altro estremo è dato dai cambi rigidamente fissi. Qui bisogna distinguere vari casi. Il primo è dato dal "tallone aureo" o gold standard puro, ove ogni moneta nazionale ha un dato contenuto aureo (a tal proposito è irrilevante che l'oro circoli materialmente sotto forma di monete auree oppure che circolino biglietti convertibili su semplice richiesta in oro). In questo caso il tasso di cambio fra due valute qualsiasi è automaticamente e rigidamente fissato dal rapporto fra il contenuto aureo delle valute stesse (chiamato parità aurea). Concettualmente simile al gold standard è il gold exchange standard, regime nel quale ciascun paese detiene nelle proprie riserve non soltanto oro, ma anche (al limite esclusivamente) valute estere, le quali siano pienamente e liberamente convertibili in oro. Questo regime consente, rispetto al gold standard puro, di "economizzare" oro, nei limiti in cui la richiesta di conversione in oro delle valute estere convertibili costituisce soltanto una frazione di queste ultime.

Occorre a questo punto sottolineare che, affinchè si tratti di gold exchange standard vero e proprio, occorre che la convertibilità in oro delle valute di riserva sia libera e piena, possa cioè esser chiesta e ottenuta da chiunque. In questo caso si ha equivalenza con il gold standard. Nel momento in cui tale convertibilità sia limitata, ad esempio ai soli rapporti fra banche centrali, siamo in presenza di un regime di gold exchange standard zoppo (limping gold exchange standard), i meccanismi automatici che governano il gold standard non funzionano più, e lo stesso concetto di "convertibilità" deve essere rivisto: ora la convertibilità significa semplicemente che l'operatore privato ha diritto di scambiare liberamente le varie valute fra di loro. Quando la convertibilità in oro viene completamente eliminata, anche tra le banche centrali, si ha il pure exchange standard, in cui un paese acquista e vende valuta estera a tassi fissi.

Altri regimi di cambi fissi comprendono: a) situazioni in cui un dato paese non ha alcuna valuta nazionale, o perché fa parte di un'unione valutaria o perché ha formalmente adottato la valuta di un altro paese come propria (cosiddetta dollarizzazione, ma la valuta estera può essere qualsiasi). b) i cosiddetti currency boards. Le principali caratteristiche di un currency board sono: 1) il comitato monetario è tenuto a scambiare valuta nazionale nella valuta estera di riserva ad un cambio rigidamente fisso; 2) per assicurare tale rigidità, il comitato monetario è obbligato a detenere attività liquide nella valuta estera di riserva in quantità almeno uguale al valore della moneta nazionale in circolazione. Pertanto in tale sistema non vi può essere alcuna emissione fiduciaria di moneta nazionale. I regimi a) e b) vengono di solito denominati hard pegs.


3.2 Il regime di Bretton Woods

II regime di cambi che venne posto in essere sul finire della seconda guerra mondiale e che prende il nome di "sistema (o regime) di Bretton Woods" (dal nome della località statunitense ove si svolsero le trattative e furono firmati gli accordi finali nel 1944), appartiene alla categoria del gold exchange standard zoppo. In estrema sintesi, ciascun paese aderente all'accordo dichiarava una parità della propria valuta in termini di oro, da cui, essendo all'epoca il dollaro USA l'unica valuta convertibile in oro (al prezzo fisso di 35 dollari per oncia di fino), discendeva automaticamente una parità in termini di dollari. La convertibilità del dollaro USA faceva inoltre sì che detenere oro o detenere dollari fosse la stessa cosa per le banche centrali dei vari paesi (si noti però che la convertibilità in oro non valeva per i privati, quindi si trattava di un gold exchange standard zoppo). I paesi aderenti al sistema si impegnavano a mantenere fissa la parità (erano consentite oscillazioni del cambio soltanto nei limiti del ±1% della parità), salvo la possibilità di variarla in caso di "squilibrio fondamentale" e seguendo determinate regole: per variazioni fino al 10% vi era piena discrezionalità, mentre per variazioni maggiori occorreva informare preventivamente il FMI (Fondo Monetario Internazionale, l'organismo internazionale creato con gli accordi di Bretton Woods) ed ottenerne il consenso.

Il Sistema di Bretton Woods crollò con la dichiarazione di inconvertibilità de jure del dollaro USA il 15 agosto 1971 (vedi oltre) e da allora è stato sostituito da un sistema di fluttuazione spuria o "sporca" (dirty float) detta anche manovrata (managed float), ove non esistono parità ufficialmente dichiarate (salvo eventuali accordi fra gruppi di paesi) ed i cambi fluttuano, pur con interventi più o meno assidui delle autorità monetarie. La fluttuazione manovrata appartiene alla categoria dei regimi di cambio a flessibilità limitata, di cui forniamo ora una classificazione.

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Pagina 138

Capitolo 9
Determinazione del tasso di cambio



Il problema delle forze che determinano il tasso di cambio e, in particolare, il suo valore di equilibrio, è di ovvia importanza in regime di cambi flessibili. Naturalmente anche in regime di cambi fissi tale problema è essenziale, poiché la fissazione di una parità ufficiale non corrispondente ad un tasso di cambio di equilibrio determinerà un continuo eccesso di domanda o di offerta di valuta estera e dunque un continuo depauperamento o incremento delle riserve internazionali, come abbiamo visto nel par. 3.2.

Collegato a questo è l'annoso dibattito se sia meglio un regime di cambi fissi oppure un regime di cambi flessibili, dibattito che esamineremo in un successivo paragrafo.


9.1 La teoria della parità del potere d'acquisto

Forse la più antica teoria del tasso di cambio è la teoria della parità del potere d'acquisto (PPA; viene anche usata la sigla PPP dalle iniziali della dizione inglese Purchasing Power Parity) attribuita a Cassel (1918), anche se al solito non mancano precursori in tempi più antichi. Si distinguono comunemente due versioni della PPA: quella assoluta e quella relativa. Secondo la versione assoluta, il tasso di cambio fra le valute di due paesi è uguale al rapporto fra i valori, espressi nelle due monete considerate, dello stesso "paniere" tipico contenente determinate quantità degli stessi beni. Se, ad esempio, detto paniere ha un valore di 10.000 dollari in USA e di 8.000 euro in Europa, il tasso di cambio dollaro/euro sarà 10.000/8.000 = 1,25 dollari per euro (oppure 8.000/10.000 = 0,80 euro per dollaro, a seconda del modo di quotazione adottato).

Più generalmente (v. oltre) si possono usare opportuni indici dei prezzi dei due paesi (com'è noto, tali indici sono anch'essi basati su ampi panieri di beni), per cui r = Ph / Pf ovvero Ph = r Pf.

Una versione faceta della PPA assoluta consiste nel paragone tra i prezzi del noto panino Big Mac della catena McDonald's in vari paesi del mondo pubblicato dal settimanale economico inglese The Economist. La caratteristica attraente del Big Mac come indicatore della PPA è la sua composizione uniforme. Infatti, con pochissime eccezioni (fra cui l'India, ove le polpette di manzo vengono sostituite da polpette di pollo), gli ingredienti del Big Mac sono i medesimi in tutto il mondo. Quindi il Big Mac serve come paniere uniforme di beni tramite il quale paragonare il potere d'acquisto delle varie monete (Pakko e Pollard, 2003).

Secondo la versione relativa, le variazioni percentuali del tasso di cambio sono uguali alle variazioni percentuali del rapporto fra gli indici dei prezzi dei due paesi considerati (e quindi, in prima approssimazione, alla differenza fra le variazioni percentuali di tali indici o differenziale d'inflazione).

In entrambe le versioni la PPA si propone come una teoria di lungo periodo del tasso di cambio di equilibrio, nel senso che nel breve periodo vi possono essere deviazioni anche consistenti da essa, che però mettono in moto forze tali da riportare, nel lungo periodo, il tasso di cambio verso il suo valore di equilibrio. I problemi sorgono proprio quando si passa a qualificare meglio la teoria, il che implica sia una precisa individuazione degli indici dei prezzi da utilizzare sia delle forze che agiscono per ripristinare la PPA: le due questioni sono infatti strettamente connesse.

Coloro i quali propongono di utilizzare come indici dei prezzi quelli relativi ai soli beni oggetto di commercio internazionale hanno infatti in mente che la PPA sia mantenuta dall'arbitraggio internazionale su merci che si esplica ogni qualvolta il prezzo di un bene commerciato si discosti dal prezzo internazionale (legge del prezzo unico).

Chi invece propone di utilizzare l'indice generale dei prezzi ha in mente che la gente valuti le varie monete essenzialmente per ciò che esse possono acquistare e quindi che, in mercati liberi, tenda a scambiarle in proporzione ai rispettivi poteri d'acquisto.

Altri ancora propongono di utilizzare indici del costo di produzione, ritenendo che la concorrenza internazionale e il grado di internazionalizzazione delle industrie siano le forze principali che realizzano la PPA.

Una quarta proposta suggerisce di utilizzare i tassi di inflazione interna partendo da varie ipotesi:

a) i tassi dell'interesse reali sono livellati tra paesi;

b) i tassi dell'interesse nominali sono uguali ai tassi dell'interesse reali più i rispettivi tassi di inflazione (c.d. relazione di Fisher);

c) il differenziale fra i tassi dell'interesse nominali dei due paesi è uguale (se si assume neutralità rispetto al rischio) alla variazione percentuale attesa del tasso di cambio (cfr. il par. 4.2).

Date queste ipotesi segue immediatamente l'uguaglianza tra variazioni percentuali attese (che, con previsione perfetta, coincidono con quelle verificate) del cambio e differenziale d'inflazione.

Ciascuna di queste proposte non è naturalmente priva di inconvenienti e ha dato luogo a numerose critiche che sarebbe troppo lungo riportare qui per esteso. Basti ricordare, ad esempio, che alla prima versione si può obiettare che essa presuppone la libera mobilità delle merci (assenza di dazi e altre restrizioni al commercio) e un rapporto costante, all'interno di ciascun paese, fra i prezzi dei beni commerciati e quelli dei beni non commerciati. La notoria inesistenza, anche nel lungo periodo, di queste condizioni, è un fatto a tutti noto. D'altra parte la legge del prezzo unico presuppone che i beni commerciati siano altamente omogenei, ipotesi questa che pare contraddetta dai fatti e dalle nuove teorie del commercio internazionale, che sottolineano il ruolo della differenziazione dei prodotti (cfr. il Cap. 17).

La medesima idea della libertà dei mercati, sia delle merci sia dei capitali, sta alla base delle altre proposte, che vengono a trovarsi in difficoltà ove tale libertà non sussista, come in pratica non sussiste. Lo stesso Cassel, d'altra parte, aveva già individuato questi problemi attribuendo loro la causa delle deviazioni del tasso di cambio dalla PPA.

Tali deviazioni, che rendono inutile la PPA per spiegare l'andamento del tasso di cambio nel breve periodo, indussero gli studiosi ad abbandonarla a favore dell'approccio del mercato dei cambi; occorre però osservare che essa è stata ripresa dall'AMBP (di cui abbiamo detto nel par. 7.1; v. anche oltre, par. 9.3.2) e rivalutata come indicatore delle tendenze di lungo periodo del tasso di cambio.

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