Copertina
Autore Giuseppe Gavazzi
Titolo La colorata lentezza delle galassie
SottotitoloVita di uno scienziato irriverente
EdizioneMarsilio, Venezia, 2008, I nodi , pag. 208, ill., cop.ril.sov., dim. 14x22x1,7 cm , Isbn 978-88-317-9601-9
LettoreRenato di Stefano, 2008
Classe astronomia , biografie , scienze naturali , cosmologia
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Indice


  9 Premessa

 13 Antefatto
     15 Dalle nebulose alle galassie
     20 Misurare il cosmo
     24 Il fallimento del programma cosmologico

 27 Astronomia pancromatica
     29 Beppo Occhialini
     33 Sterrewacht Leiden
     36 L'origine dei raggi cosmici
     40 Amsterdam
     44 Di nuovo in Italia e nel mondo
     50 Acquerelli
     52 Oltre i raggi cosmici
     58 Fotografia
     60 Arecibo
     67 Itinerario musicale minimo
     71 Visione infrarossa
     77 Pesare le galassie
     78 Vela

 83 Astronomo per passione
     85 CCD: una rivoluzione democratica
     93 Foglia
     95 Montagne e telescopi
    101 Volare
    105 San Pedro Màrtir
    110 Cielo australe
    113 Nottetempo
    116 Pietro
    118 Stagioni
    Izo Peer review
    122 Andromeda
    124 Downsizing
    129 Il computer è un pessimo log-book
    131 My favorite things

135 Astronomia non sostenibile
    137 Scoperta
    141 Concordance cosmology
    148 Big Science
    151 Large Synoptic Survey Telescope
    1S4 Ma quanto grande può diventare la Big Science?
    157 Telescopio Nazionale Galileo
    16o Observing blocks
    163 Mio padre

167 Oltre la ragione
    169 Amarezza
    176 ALFALFA
    178 Congresso Vaticano
    181 Hubble Ultra Deep Field
    186 Epilogo

189 Appendice. Misurare la massa

195 Note

 

 

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Pagina 52

Oltre i raggi cosmici



Le galassie, che avevo fino ad allora considerato come semplici scatole per raggi cosmici, cominciavano a catalizzare la mia attenzione per tutt'altro motivo: la loro bellezza.

Per raccontarla ci vuole la «scrittura dal vero», l'analogo della «pittura dal vero», adatta per scene viste in presa diretta oppure con gli occhi dell'immaginazione, purché prendano forma di figure proiettate su qualche schermo, che sia la retina o un altro piano imprecisato del cervello. In questo modo si può dare forma di parole a una galassia, come a un pensiero lirico, purché sia possibile immaginarlo — nel senso letterale di farne un'immagine —, ma anche a una musica, purché la si stia ascoltando, senza dover inventare nulla.

A proposito della Sonata per Piano e Violino di César Franck, scriverei (dal vero) che non riesco a concepirla come una Sonata, piuttosto come un Duetto, tanto fittamente le parti dei due strumenti si intrecciano. I lamenti trattenuti di due amanti crescono in grida che salgono altissime, per ricadere a precipizio in preghiere cui l'amato risponde rassicurando. L'altro allora s'accheta, ma solo per poco dura la pace. La temperatura risale d'improvviso, sale all'unisono l'affanno dei loro respiri che si conclude in urlo disperato.

Robert Byron, nel suo diario di viaggio La via per l'Oxiana, racconta l'Oriente utilizzando la scrittura dal vero, riuscendo a rendere immagini, paesaggi e architetture, ma anche suoni, colori e profumi e persino il carattere di quelle genti.

Cercando di imitarlo ecco come racconterei io (dal vero) una galassia a spirale: appesa nel buio delle notti di primavera, invisibile se non ai potenti telescopi, ma reale uragano di stelle e vapori colorati, forma eterna silenziosa e apparentemente immobile, ma definita da un bordo e da un centro di perfetta simmetria, logica ma inquietante c'è la galassia M100 nell'ammasso della Vergine.

Ruota questa girandola eterea. Quanto rapidamente? Molto, se pensiamo che un suo punto qualsiasi sfreccia a trecento chilometri al secondo; come una lumaca, se invece pensiamo che in tutta la sua vita ha fatto meno di cento rivoluzioni.

Se solo potessimo anche noi girarle attorno per spiare la sua forma segreta, scopriremmo che l'uragano è sottile e tenue come una foglia e che è fragile come un piatto di porcellana.

Ma anche da questa prospettiva le sfumature del suo colore appaiono delicate, dal rosso della gemma incastonata al centro, al blu delle sue ali spalancate.

M100 appare maestosamente solitaria. Inesorabile gorgo cosmico, sembra aver ingoiato tutto ciò che la circondava, racchiudendolo in sé dopo averlo intrappolato, scomposto e trasformato nelle sue stelle.

Le stelle imprigionano la materia, ma non per sempre. Alla fine della loro vita la restituiscono arricchita di nuova chimica, moltiplicandone la potenza creatrice. Le stelle sono fucine di nuovi materiali mai sperimentati prima. Gas respirabili, nuovi metalli, ferro per il nostro sangue, molecole organiche che sono a un passo da sbocciare nella vita, messe a disposizione dell'evoluzione per le sue frenetiche prove. Ogni galassia contiene cento miliardi di stelle: cento miliardi di laboratori dove si prova a fare la vita.

Spostando un poco il campo, fino a comprendere la regione più densa dell'ammasso della Vergine, fanno la loro apparizione decine di altre galassie, decine di macchie luminose che sembrano occhi spuntati nel cielo. Le due più grandi, quasi amorfe, sono galassie ellittiche. Della stessa forma se ne scorgono anche di più piccole, le ellittiche nane. In basso si vedono due esemplari di spirali. Fa la sua elegante entrata in scena ad ali spiegate anche la galassia butterfly.

Per trovare migliaia di galassie ellittiche bisogna invece osservare gli ammassi più ricchi di galassie, come quello raffigurato a sinistra, colto dal telescopio spaziale Hubble.

In poche foto è condensato un secolo di domande che gli astronomi si sono posti sulle galassie. Perché tanta varietà di forme, dimensioni e colori? Perché così tante assiepate in una regione di cielo così piccola? Perché le ellittiche sembrano prediligere le zone più dense del cosmo? A che distanza da noi avviene questa giostra? Sono composte soltanto dalla materia che vediamo brillare o ne contengono altra sconosciuta? Sono immutabili o sede di continue trasformazioni? E per finire, qual è l'origine delle galassie e come sono evolute? Perché tutto nell'universo sembra scorrere, come volevano Eraclito e Darwin?

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Pagina 77

Pesare le galassie



La legge di gravità ci mette a disposizione una bilancia per misurare la massa di oggetti astronomici, sole e galassie, a partire dalla velocità che assumono i corpi che orbitano loro attorno. C'è però una difficoltà: basandosi sulla loro alta velocità di rotazione, si deduce per le galassie una massa molto più grande di quella che si stima a partire dalla loro luminosità, cioè nasce il problema della massa mancante. Questo problema venne risolto un po' frettolosamente nel corso degli anni ottanta assumendo che le galassie siano costituite per il 90 percento da qualche forma «esotica» di materia invisibile, detta oscura (dark matter), senza avere la più pallida idea però di che cosa si trattasse. Così tutt'a un tratto le galassie vennero declassate da «fari dell'universo» a trascurabili quantità barioniche, semplici punte dell'iceberg della materia oscura.

Un'alternativa c'è, non meno esotica, che si chiama MOND. Si ottiene ritoccando la legge di gravità quando si verificano regimi di gravità molto bassa, come nelle galassie, ma questa proposta non ha avuto molto successo. Per fortuna la gran parte della materia oscura è periferica alle galassie, cosicché per stimare la parte di massa che sta nelle loro parti centrali, dominata dalle stelle, un buon indicatore si rivela essere la luminosità infrarossa. A questo stava lavorando Marc Aaronson prima di morire.

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Pagina 122

Andromeda



Riprendendo il discorso sull'importanza della visione «pancromatica» per capire le galassie, consideriamo per esempio Andromeda, la più vicina di tutte, tanto da vedersi a occhio nudo o con un piccolo binocolo nel cielo estivo. Si trova fra le costellazioni di Cassiopea e Pegaso.

Nel collage di foto qui sotto si vede che le sue stelle formatesi di recente (foto nell'ultravioletto) sono distribuite principalmente su un anello e in misura minore al centro, come le polveri (foto nell'infrarosso). Nella regione centrale invece abbondano stelle vecchie che emettono nel visuale, ma l'idrogeno, l'elemento che serve alla loro formazione, è totalmente assente al centro. Che sia stato completamente consumato diventando stelle?

Il serbatoio di idrogeno è significativamente più grande di tutto il resto. Ma alla periferia è troppo tenue perché possa collassare su se stesso dando luogo alla formazione di stelle.

Cogliere queste sottili differenze per un gran numero di galassie è la chiave per capire cosa governa le trasformazioni ancora in corso al loro interno. Negli anni novanta mi occupai principalmente di questo.

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Pagina 137

Scoperta



Una delle parole chiave più significative della scienza è scoperta. Ma non va intesa nel senso comune. La gente spesso mi chiede «hai scoperto qualche nuova galassia?». No, al massimo si possono scoprire fenomeni transitori, come supernovae che esplodono, ma non è tanto importante scoprire altre galassie che sono sempre esistite e da molti anni sono sotto i nostri occhi.

Scoperta è stata accorgersi di loro. Le nebulose di Messier si sono trasformate in galassie in un gesto creativo dell'uomo, non della natura. Scoperta è allora l'invenzione di nuove categorie mentali, di chiavi interpretative nuove. Il nostro mestiere è formulare modelli, e scegliere col criterio della semplicità quelli che spiegano meglio la natura. Questa è la vera fase creativa della ricerca.

Quella delle scoperte casuali è comunque una questione seria per l'avanzamento della scienza.

Mi faccio aiutare da Thomas Kuhn e dalla sua analisi del procedere della conoscenza nella «struttura delle rivoluzioni scientifiche». Kuhn dice che, dopo l'instaurazione di un paradigma scientifico, segue un periodo di relativa stagnazione di nuove idee in cui – in un certo senso – si raccolgono i frutti della fatica appena fatta a partorirne uno. Questo viene definito periodo di scienza «normale», in cui i ricercatori sono chiamati a fare un'attività di routine di consolidamento del paradigma attraverso la soluzione di problemi che – come quiz enigmistici – hanno una soluzione certa. Li chiama anche grattacapi. In questi periodi è norma che la società concentri molte risorse sulla scienza, generalmente investendo su progetti e programmi solidi e poco rischiosi. Siccome però tutti riconoscono che talvolta la conoscenza avanza significativamente per puro caso, è buona norma impegnare il 90 percento delle risorse in programmi di esito sicuro, lasciando che il rimanente 10 percento serva a far emergere l'imprevisto. Se si esagera a chiudere i rubinetti dell'incerto succede che la ricerca applicata finisce per risultare favorita rispetto a quella di base – come sta succedendo oggi, specialmente in Italia. Se non si alimenta la ricerca di base, però, quella applicata si isterilisce molto rapidamente. Per produrre il laser che c'è in tutti i nostri lettori di CD al costo di qualche dollaro, ci sono volute decine di anni di lavoro e milioni di dollari scaraventati dentro a istituti di ottica quantistica, dove giovani Ph.D. in pantaloni corti e capelli lunghi lavoravano giorno e notte per il più astratto dei problemi di base. Erano finanziamenti pubblici e per nulla finalizzati alla ricerca applicata.

Copernico e Galileo, per dire i due primi spreca-risorse che mi vengono in mente, venivano «pagati» per occuparsi di problemi di astronomia della peggior inutile specie. Figurarsi a chi poteva importare dell'orbita di questo o quel pianeta (se non alla Chiesa che, invece, di ricerca di base se ne intendeva e voleva mantenere l'egemonia sulla conoscenza).

Oggi Copernico e Galileo non avrebbero accesso ai finanziamenti pubblici perché non fanno ricerca applicata, figurarsi a quelli privati. Attenzione che rinunciare alla rivoluzione copernicana non significa soltanto riportare la Terra al posto sbagliato, ma dire addio all'intera cultura occidentale. Rinunciando all'itinerario Aristotele - Copernico - Illuminismo potremmo per esempio ritrovarci Aristotele - Tolomeo - Khomeini.

Produrre un Copernico al secolo è un lusso, d'accordo, ma sembra valerne la pena. Dopotutto la ricerca scientifica non costa cifre esorbitanti: l'1-2 percento del prodotto interno lordo. Una cifra che si potrebbe benissimo ritagliare nelle pieghe di tanti denari sprecati, ma la scienza non fa audience.

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Pagina 141

Concordance cosmology



Una delle prove più solide che i radioastronomi portano a favore del modello del Big Bang è che attualmente l'universo è pervaso da una radiazione termica alla temperatura di 2,7 gradi sopra lo zero assoluto (il cosiddetto «fondo a microonde»).

Tredici miliardi di anni fa, ossia immediatamente dopo l'evento esplosivo che ha dato origine all'universo (allo spazio, al tempo e alla materia), questo bagno termico doveva essere caldissimo, per poi raffreddarsi gradualmente per espansione.

I satelliti COBE (Cosmic Background Explorer, 1989) e WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe, 2001) hanno osservato la radiazione di fondo a microonde, relitto fossile del Big Bang (premio Nobel 2006 per la fisica a George Smooth e John Mather). Questi satelliti hanno rivelato che la radiazione di fondo a microonde non è completamente isotropa, ma ha delle piccole increspature, come si vede nella mappa a colori riprodotta alla pagina seguente. Dall'esame di queste fluttuazioni, sotto una montagna di ipotesi di lavoro si possono ricavare con grande precisione i parametri del modello cosmologico del Big Bang (riaffiora il programma di Sandage della seconda metà del Novecento, riproposto con l'osservazione del fondo a microonde).

La più cruciale di queste ipotesi è che il fondo a microonde sia la fotografia della radiazione scattata circa 400 mila anni dopo il Big Bang. Da allora la materia si raffreddò al punto da smettere di interagire con la radiazione. In quell'ultima istantanea la radiazione porta congelata dentro di sé la mappa della distribuzione della materia prima che si trasformasse in galassie, ammassi e altre strutture più grandi.

Se crediamo che tutto sia iniziato col Big Bang e che le ipotesi di cui sopra siano corrette (compreso che dopo il Big Bang avvenne un'altra fase di espansione istantanea, detta «inflazione»), la mappa di WMAP permette di fissare i parametri del modello cosmologico con una precisione sconcertante: allora l'universo avrebbe 13,7 miliardi di anni, per il 4% sarebbe costituito di materia ordinaria (chiamata barionica dai fisici), per il 22% di materia oscura di natura ignota. È questa la cosmologia denominata CDM (della materia oscura fredda). Ma c'è di più: da qualche miliardo di anni l'universo subisce un'espansione accelerata a causa di una forma ignota di energia repulsiva chiamata oscura (dark energy) o quintessenza, che assomma al 74% dell'energia totale dell'universo.

A formare quest'ultima convinzione ha contribuito in modo cruciale una campagna di misure ottiche fatte da terra. Dopo aver accertato che una certa categoria di stelle (le cosiddette supernovae di tipo Ia) esplode in una maniera così regolare da renderle tutte uguali fra loro, le si è fatte assurgere a status di «candele campione». Quello che a Sandage non era riuscito di fare con le galassie negli anni settanta, si è riproposto con le supernovae alla fine degli anni novanta. Si è scoperto che le supernovae la lontane sono leggermente più deboli di quanto ci si sarebbe aspettati data la loro distanza; come se fossero un po' più lontane del previsto. Questa anomalia, invece di essere guardata «di storto» come un problema, come normalmente si sarebbe fatto in passato (si ricordi la lezione data da Trumpler a Shapley a proposito delle dimensioni della Via Lattea), ha ricevuto un'interpretazione frettolosa: facendola diventare la prova che l'universo, da un certo momento in poi, si è messo a espandersi più rapidamente di prima a causa di un agente repulsivo ignoto: la dark energy.

Questa descrizione ha coagulato un tale consenso che l'hanno chiamata concordance cosmology ed è diventata il paradigma cosmologico del terzo millennio. La si chiama comunemente cosmologia ACDM: materia oscura fredda con energia oscura.


Ma come si fa a credere che un'interpretazione della storia dell'universo che si fonda non su una, ma su due entità esoteriche e completamente ignote alla fisica, sia davvero l'unica possibile?

Quanta tracotanza in questo atteggiamento! Altro che accordo, questa è la morte del dibattito cosmologico! Mike Disney, insigne astrofisico inglese, nel suo articolo polemico The case against cosmology («Gen. Rei. Grav.», 32, 2000, p. 1125) afferma che gruppi egemoni di nuovi preti si sono di nuovo appropriati dell'interpretazione del mondo, e continua: «[il paradigma della] Materia Oscura Fredda mi sembra una liturgia religiosa che i suoi adepti invocano come un mantra nella folle speranza di farlo diventare una realtà». Paragonando la cosmologia alla religione insiste: «L'audience rapita, l'esposizione dei media, il grande successo di pubblico esercitano tentazioni per preti, farabutti e allocchi, come in nessun altro ramo della scienza».


Dark matter e dark energy sono perfetti archetipi neoaristotelici. Terra, acqua, aria e fuoco erano gli apriori della cosmologia aristotelica, che messi in quest'ordine di peso decrescente giustificavano perché il Sole dovesse occupare una sfera più alta della Terra, che dunque doveva trovarsi al centro dell'universo e lì rimanervi per i due millenni che separano Aristotele (400 a.C.) da Copernico (1500 d.C.).

Già si vedono le prime conseguenze nefaste della concordance cosmology.

La National Science Foundation, principale organo pubblico di finanziamento della ricerca astronomica negli USA (191 milioni di dollari nel 2006), ha istituito una commissione di esperti per decidere quale attività astronomica sacrificare per finanziare ALMA (il grande interferometro in costruzione in Cile). La short-list di pecorelle sacrificali si era stretta attorno all'osservatorio radio di Arecibo e a quello ottico di Kitt Peak. Tra le due la commissione ha raccomandato che si mantenesse in vita Kitt Peak e si chiudesse Arecibo (rapporto del 3 novembre 2006). Eppure Kitt Peak possiede telescopi vecchi di trent'anni e la comunità ottica americana può già contare su telescopi più grandi e moderni, mentre il telescopio di Arecibo rimane di gran lunga il più grande disponibile per la radioastronomia e uno più potente è di là da venire (SKA nel 2019?). Ma Arecibo è sensibile alla materia barionica, l'idrogeno, che rappresenta per i cosmologi un mero 4% di tutta la materia. Troppo poco per giustificare il budget di spesa di 12 milioni di dollari all'anno di Arecibo. Chiudere Kitt Peak (24 milioni di dollari all'anno) significherebbe invece sacrificare qualche programma sulla dark energy! Una rinuncia molto più difficile da far digerire ai media. Persino Simon White, uno dei cosmologi più autorevoli dei nostri giorni, padre della cosmologia ACDM, scrive (aprile 2007) un articolo dal titolo: Fisica fondamentalista: perché la dark energy fa male all'astronomia, dove solleva preoccupazioni sul futuro della ricerca cosmologica. Condividiamo che ci debba essere qualche grave lacuna nella nostra comprensione del cosmo, ma non che debba necessariamente prendere la forma esoterica che le è stata attribuita affrettatamente.

Richard Liew, altro autorevole cosmologo americano, in un articolo del maggio 2007 si scaglia ferocemente contro la cosmologia ACDM dicendo: «Non vedo per l'astronomia un futuro roseo a meno che le agenzie che la finanziano non mostrino un profondo ripensamento e facciano marcia indietro rispetto all'attuale propensione a brancolare nel buio [groping in the darle]».

È ancora Mike Disney a prendere la parola in Modern cosmology: science or folk tale?, apparso su «American Scientist» del settembre 2007, dicendo che la concordance cosmology ha perso l'eleganza e la semplicità della teoria di Einstein, in quanto consiste ormai di 5 teorie impilate una sopra l'altra. Alla base c'è il Big Bang, sopra l'inflazione e sopra ancora tre stregonerie: la materia oscura, una ricetta per trasformare in galassie i semi iniziali e l'energia oscura. È evidente – lamenta Disney – la mancanza di eleganza e di parsimonia dell'attuale cosmologia. Fra teorie scientifiche concorrenti quella da preferire dovrebbe essere la più semplice, cioè quella con il minimo numero di parametri liberi, e questo non è certamente un attributo della cosmologia moderna.

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Pagina 151

Large Synoptic Survey Telescope



Nella corsa verso la Big Science il primato dell'arroganza e – ammettiamolo pure – del fascino va al futuro progetto Large Synoptic Survey Telescope (LSST), un telescopio di 8,4 metri che gli americani prevedono di costruire in Cile entro il 2014. Di rivoluzionario questo telescopio ha tutto: la concezione ottica, cioè il disegno degli specchi, il detettore CCD che rappresenterà il cuore della sua macchina fotografica, e l'apparato di calcolo che servirà a gestire l'enorme massa di dati.

Un sofisticato disegno ottico degli specchi gli conferirà un campo di vista di 10 gradi quadrati! Questo consentirà di scattare foto a porzioni di cielo 50 volte più grandi della luna piena, 3600 volte più grandi di ogni fotografia della Camera a grande campo di Space Telescope! Con un tempo di esposizione di soli 15 secondi per foto, sarà possibile fotografare tutto il cielo in sole tre notti! A questo ritmo bisogna pensare a un film, più che a delle foto del cielo.

Qual è il vantaggio? Che, oltre a dirci com'è il cielo, ogni settimana LSST ci dirà com'è cambiato. Basterà sottrarre da ogni foto quelle fatte precedentemente per isolare gli oggetti in movimento, come le comete e gli asteroidi che circolano per lo spazio interplanetario, a cominciare da quelli che potrebbero minacciare la nostra incolumità se cadessero sulla Terra. Ma la vera ragione perché una macchina costosa come LSST (300 milioni di dollari) viene finanziata è legata al suo appeal come potenziale strumento per risolvere l'enigma della dark energy, in quanto capace di registrare le supernovae esplose alle grandi distanze cosmiche che, fra le miriadi di sorgenti immutabili nel tempo, si distinguono per aver cambiato di intensità ma non di posizione. Speriamo che queste siano le moderne candele campione che ci facciano capire perché l'espansione dell'universo ha cominciato ad accelerare anziché diminuire, gettando luce su una delle questioni più dark della cosmologia. Speriamo. Per individuare le supernovae che esplodono a caso e svaniscono tanto repentinamente quanto sono apparse, sono necessarie tante pose brevi e ripetute del cielo, che solo una macchina come LSST può fare.

Di successive immagini della stessa zona di cielo si conserverà, oltre alla differenza, anche la somma, per accumulare, mese dopo mese, anno dopo anno, esposizioni di crescente durata. Un campo di vista così grande richiede che il sensore fotografico di LSST sia enorme. Ricordate i primi CCD da 320 x 512 pixel? Stavano in un centimetro quadrato.

Per LSST se ne prevede uno da 64 centimetri di diametro, dotato di 3,2 Gigapixel (circa mille macchine fotografiche digitali unite insieme)!

La mole di dati prodotta da LSST sarà senza precedenti per l'astronomia: 1200 Megabyte al secondo. A questo tasso basterà un minuto per riempire l' hard disk di un Pc dello standard attuale. Figurarsi per registrare le centinaia di Petabyte (1 Petabyte è pari a un milione di Gigabyte) che l'intera survey produrrà.

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