Copertina
Autore Sandrine Gayet
CoautorePascale Beroujon, Miquel Dewever Plana, José Manuel Navia [fotografie]
Titolo Messico
EdizioneDe Agostini, Novara, 2009 , pag. 272, ill., cop.fle., dim. 25x25,5x2,8 cm , Isbn 978-88-418-5872-1
OriginaleMexique [2008]
TraduttoreClaudio Silipigni, al.
LettoreDavide Allodi, 2010
Classe paesi: Messico , fotografia , viaggi
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


I colori del Messico                          6

Il mistero delle piramidi                    20

Una mattina al mercato                       58

Città del Messico. L'indomabile              86

Ore andaluse                                112

Racconti d'acqua                            136

Gli eredi dei costruttori                   166

Fuochi sacri                                194

Dalla sierra al deserto                     224

L'arte della festa                          246

Bibliografia                                270
Carta del Messico                           271


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 8

Chi ha respirato la polvere delle strade del Messico non troverà più pace in nessun altro Paese.

Malcolm Lowry

Nella cucina buia e fresca, occupa il posto migliore. Per farsi guardare da tutti. Adulare quasi. Ornata d'una strana corona metallica rimovibile, suscita il riso, fa versare lacrime, emettere grida, sgranare gli occhi. Da quando Juan l'ha portata dalla grande città, diciott'anni or sono, è diventata la regina incontrastata del focolare domestico.

La televisione.

Dall'alba al tramonto, i suoi raggi catodici sferzano le pareti intonacate a calce. In certi orari, poi, la cucina di Juan ha tutta l'aria di una sala comunale. Le amiche di sua moglie Ana vi si riuniscono per starsene incollate a una telenovela, sceneggiato all'acqua di rose e a sfondo sociale, di cui i messicani vanno matti.

Nei fine settimana è il turno di Juan: le partite sono un appuntamento irrinunciabile. Nel suo villaggio yucateco sono rare le case costruite in muratura. La maggior parte degli abitanti vive ancora in semplici capanne rudimentali in malta d'argilla e paglia, con i tetti di palma.

La televisione, allora...

Già prima del suo arrivo, la cucina rappresentava il cuore del focolare domestico. È qui che i genitori di Juan e, prima di loro, i suoi nonni condividevano tutti i momenti più importanti della vita.

Nel forno tradizionale, le donne cuocevano le tortillas e arrostivano selvaggina al peperoncino rosso. D'altronde a quell'epoca la casa era composta solamente da due locali, la cocina per l'appunto e quello, più modesto, in cui erano sistemate le amache per la notte.

Oggi, la casa s'è ingrandita. Juan ha un buen trabajo ("buon impiego") in una hacienda agricola specializzata nella coltura del sisal. È proprio questa pianta fibrosa, oro verde dello Yucatàn, che permette ad Ana e a parecchie abitanti del villaggio di praticare, all'interno di una cooperativa, un mestiere ancestrale: la tessitrice d'amache. «Quelle prodotte in questa regione sono le migliori del paese!», sostiene con fierezza la gente del luogo. In effetti, sono splendide. Robuste, dai colori sgargianti e d'ogni forma e dimensione. Intessute, secondo la tradizione maya, su grossi telai di legno. Sono molte, in campagna, le famiglie in cui si esercita questo mestiere, risorsa preziosissima che permette di arrotondare i soldi a fine mese, se non addirittura di vivere di quest'arte tradizionale. Ogni tanto capita che un gringo si fermi al villaggio per ammirare la maestria delle artigiane e fare acquisti, direttamente sul posto.

Quelle che "lavorano in proprio", come Rosita, la sorella di Ana, vanno il più spesso possibile ai mercati settimanali dei paesi vicini.

Con le loro hamacas rosse, verdi, gialle, azzurre o écru srotolate sulle spalle, si sistemano nel cuadra degli artigiani, la zona del mercado più frequentata dai turisti. È qui che smerciano velocemente i pezzi migliori.

La vita nel villaggio di Juan trascorre serena, ma nient'affatto monotona. Questo grazie ai furgoncini dei venditori ambulanti. Come veri fili d'Arianna, diffondono le notizie, buone e cattive, tra i villaggi isolati dell'entroterra yucateco, fino ai confini del Campeche e del Tabasco. Il loro arrivo, strombazzato nei megafoni con voce nasale, è già in sé un avvenimento. Questa volta, il señor delle strade ha portato una "meraviglia": un raccoglibriciole a batterie... Ha un bel daffare a esaltare con foga i vantaggi di un aggeggio del tutto inutile in campagna alle donne che ridacchiano e che invece hanno occhi soltanto per gli abiti importati dagli States e per quei tessuti leggeri con cui confezioneranno graziose tendine.

Questa domenica si farà festa. La famiglia di Juan, al gran completo, è più trepidante del solito. Oggi, come ogni ultima domenica del mese, andranno tutti in città per assistere alla messa, nella basilica scintillante d'ori e mosaici. Dopodiché, è previsto un grande picnic con gli amici pescatori che vivono sul golfo del Messico. La spiaggia, un croissant di sabbia bianca come zucchero glassato, con una frangia di palme scompigliata dal vento torrido, si trasforma in un ritrovo di ambulanti. Enormi amplificatori dal retro delle camionetas sparano brani musicali latinos. Sui barbecue, grossi pentoloni fumanti pieni di pesce, verdura e frijoles, i fagioli rossi piccanti. Sulla brace, le donne riscaldano le tortillas e cuociono gli elotes, gustose pannocchie di mais leggermente zuccherate. I bambini giocano a calcio sognando di essere Rafael Marquez, l'eroe degli stadi, oppure sguazzano nel mare color indaco mentre gli uomini, birra Tecate alla mano, chiacchierano e si godono il refrigerio dell'acqua, immersi fino alla vita.

Il picnic vede tutti riuniti. La siesta anche. Ognuno, disteso su un'amaca agganciata tra due palme, si lascia cullare. Si stappano altre birre, ci si disseta con grosse fette d'anguria acquistate al chiosco sulla spiaggia o con noci di cocco bacchiate. Malgrado le melodie indiavolate che riecheggiano dalle casse, la digestione invita alla pigrizia. Le donne si immergono a loro volta nell'acqua tiepida del mare, le più anziane con indosso una veste, tutte le altre in costume intero.

La strada del ritorno è lunga. Bisogna radunare tutto e richiamare i bambini recalcitranti. Juan, Ana e i loro amici si salutano abbracciandosi, con la certezza di rivedersi tra un mese sulla "loro" playa dalle striature verdi, azzurre e bianche.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 32

Ho preso freddo, dal sole, quando mi hanno strappato il cuore in cima alla piramide.

Jack Kerouac

Allo staccato grave dei tamburi si alternano le note acute dei flauti. Con una pelle di giaguaro intorno alla vita, il busto nascosto da una pesante collana di pietre turchesi, rosse, arancioni e verdi, le braccia e le caviglie adorne di spessi bracciali d'oro e d'argento, l'uomo dal volto di rame resta immobile. I lunghi capelli neri scompaiono sotto un'alta corona intrecciata di piume sgargianti e di perle di giada e ossidiana.

Al suono delle conchiglie a fiato il re Pakal, lo "scudiero del sole", apre il corteo, seguito dai figli Chan-Balum e Kan-Xul e da un'armata di sacerdoti, guerrieri e notabili, tutti bardati di piume, pelli e gioielli. Lentamente, si avviano verso l'imponente piramide a gradoni: la pietra tinta dal sangue, ornata di fregi blu maya.

Lungo l'acciottolato, disseminato di petali bianchi e frammenti di madreperla e illuminato dalle torce e dalle fiaccole crepitanti, una folla d'artigiani, contadini, schiavi e cortigiani s'accalca per acclamare il signore.

In cima alla piramide, in un silenzio sepolcrale, il re prende posto sul trono, accanto al sommo sacerdote delle cerimonie e al capitano dell'esercito. Accanto a loro, uomini incatenati e impauriti, i fianchi coperti da un telo. Guerrieri sconfitti, che stanno per essere sacrificati sull'altare degli dèi.

Di nuovo rullano i tamburi. Colpi lenti e gravi. Ai perdenti, fatti sdraiare, viene "strappato" il cuore e i loro corpi sono gettati ai piedi della piramide...

Gli oracoli l'avevano predetto: le fertili piogge torneranno. Una promessa di ricchezza per gli abitanti di questa città benedetta da tutti gli dèi, dal Sole, dalle Messi, dal Vento, dalla Luna e da parecchi altri idoli della cosmogonia...

Di nuovo, un profondo silenzio, poi uno scroscio d'applausi. Nella notte, una voce scaturisce dagli altoparlanti.

Una luce accecante invade i gradini dell'anfiteatro.

Uomini, donne e bambini si alzano, ancora rapiti dallo spettacolo di luci e suoni al quale hanno appena assistito.

Un viaggio nel passato, un po' rocambolesco ma dall'entusiasmo contagioso. Per coronare la visita del sito archeologico.

Uno show notturno che resuscita uno spaccato di storia degli antichi Maya, proprio qui nel prezioso scrigno di templi e piramidi. Pur senza rivelarne tuttti i misteri. Le bellezze. Gli enigmi che non smettono mai di affascinare storici e archeologi.

Un'altra splendida giornata ha inizio.

Nonostante il caldo e l'umidità tropicali che opprimono e appesantiscono ogni minimo movimento, maledicendo i nugoli di zanzare kamikaze, José Luis si mette all'opera, accovacciato, con la massima attenzione. La fronte imperlata di sudore ma il volto pervaso da un sorriso radioso, lavora di pennello su un bassorilievo appena rinvenuto. È uno studioso di Città del Messico, coinvolto negli scavi archeologici presso il sito di Palenque.

Questa fantastica città maya trasuda un'aura di magia e mistero. Un'atmosfera intrisa di segreti oscuri mette in risalto la foresta che la stringe tra i suoi artigli smeraldo. Un sudario vegetale per un centinaio d'edifici ancora immersi nella giungla profonda, nella quale scorrazzano scimmie urlatrici, scimmie ragno, farfalle morpho d'un blu metallico, tucani dal becco colorato, pappagalli dalle piume cangianti e bestiole striscianti molto meno simpatiche...

José Luis insegue un sogno da quando, bambino, scalò la sua prima piramide, quella del Sole, nella città azteca di Teotihuacàn: scoprire un tempio unico e affascinante quanto il Templo de las Inscripciones di Palenque. Una tomba eccezionale, la sola mai scoperta in tutta l'America centrale, la prova che anche per i Maya, come per gli Egizi, i templi erano luoghi di sepoltura.

A lui piace anche mostrare e descrivere ai visitatori neofiti, le decorazioni incise sulle facciate e gli architravi dei templi. Meglio di un vecchio libro di storia, queste incisioni narrano i miti legati agli antenati costruttori, di cui va tanto fiero.

José Luis approfitta delle vacanze estive per arrampicarsi sulle colline e camminare nella foresta pluviale del Chiapas. Nelle incantevoli ore dell'alba, quando la foschia avvolge le cime degli alberi, avvolte di piante aeree e manicotti di muschio, per diradarsi in tanti filamenti sulle felci arboree. Nel cuore, sempre, la speranza d'imbattersi in un tesoro d'antiche pietre... come gli esploratori John L. Stephens e Frederick Catherwood che nel XVIII secolo risvegliarono Palenque dal suo sonno sepolcrale.

Un sito magnifico. Tra i più emozionanti dell'intero patrimonio messicano, che ne conta più di undicimila.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 60

Siamo tutti fatti della stessa argilla, ma non con Io stesso stampo.

Proverbio messicano

In un gran polverone, il grosso, malconcio pick-up inchioda bruscamente. Antonio salta giù, recupera i pacchi di merce, che riesce a malapena a sollevare, e s'incammina verso la plaza central. Qui si tiene uno dei mercati più frequentati della regione di 0axaca. Tutte le domeniche attrae come una calamita la gente del posto. Più che un luogo di commercio, il mercato è un centro di vita e d'incontro, il cuore pulsante della campagna. Ci sono contadini che affrontano più di tre ore di cammino per venire qui a comprare, vendere o barattare un maiale, una capra, due galline o un cesto di fichi d'India. Se possibile nelle prime ore del mattino, quelle che precedono la messa. Le meno afose, certo, ma anche quelle che offrono l'opportunità, ad affari conclusi, di ritrovarsi con gli amigos intorno a una cerveza fresca.

All'ombra d'un telo sospeso alla bell'e meglio, Antonio disimballa un arsenale d'articoli d'ogni genere: coperte di lana, statuette di Frida Kahlo in ceramica nera, recipienti smaltati, piccole sculture di terracotta "in stile amerindio" e qualche cintura di cuoio. Da quando interi autobus di gringos hanno iniziato a riversarsi nei mercati messicani, lui s'è adattato. Niente più utensili da cucina, bacinelle in plastica rossa e magiche scope made in America. Poco male, le vendono tre bancarelle più in là. Lui preferisce «rendere onore al magico talento messicano», afferma tra il serio e il faceto ma poi confessa a mezza voce di non disprezzare nemmeno il verde dei bigliettoni che intasca...

Verso mezzogiorno, il brusio riempie il mercato. Una simpatica folla va su e giù tra le bancarelle, sotto il caldo soffocante. È un arcobaleno di colori, una distesa di mercanzie di ogni tipo, ovunque regna una gioiosa cacofonia. La funzione domenicale è terminata e i pullman climatizzati rigurgitano i loro carichi d'anime: turisti. Ora si inizia a far sul serio.

Nell'area bestiame, le trattative proseguono alacremente, anche se talvolta i toni si scaldano. Bisogna alzare la voce per farsi sentire in mezzo a muggiti, belati, chiocciare e altre proteste animalesche.

Forse la situazione è un po' più tranquilla nella zona dei pescivendoli... Macché! Il comizio imperversa alle bancarelle piene di pesci d'acqua dolce e salata, sepolti in un letto di ghiaccio tritato.

Per conoscere una regione del Messico, la sua gente e le sue abitudini, niente di meglio che un giro al mercato.

Niente di meglio per scoprire la geometria della natura, il tesoro di verdure esotiche, frutti tropicali, sementi d'ogni tipo, spezie ed erbe... "magiche", anche loro!

Tuberi biancastri, sferici o barbati, ovali o conici, dozzine di specie di radici di yucca, di patate dolci e d'ignami s'ammassano accanto alle pannocchie di mais, agli avocado, alle foglie di nopale, alle banane gialle o rosa, ai manghi arancioni, ai limoni verdi, alle papaie rosse, agli ananas e ai meloni... Pepe, cacao, caffè, noce moscata, cannella, vaniglia — in polvere o a bastoncini — ammucchiati alla rinfusa riempiono l'aria di aromi che si mescolano ai profumi dei fiori, che non mancano mai nei mercati della zona.

Un quadro dai colori vivaci degno dei dipinti di Rufino Tamayo, nativo di questa regione.

Tuttavia, è alle bancarelle dei chiles che s'affollano le massaie. Non si può parlare di cucina messicana senza i famosi peperoncini, freschi o secchi, già noti agli Aztechi per le loro virtù nutritive e curative. Jalapeño verde per il guacamole e le salse, poblano verde o rosso per i ripieni, guero giallo da conservare sott'olio e, ovviamente, il più piccante di tutti, quello che agli stranieri conviene evitare, il chile habanero, color arancio... trasforma il palato nella fucina di Vulcano!

Antonio è soddisfatto, la giornata è stata proficua, è riuscito a vendere quasi tutta la fornitura di poncho e di bamboline Frida. Approfitta di un momento morto del "bisnéss" per lasciare la merce in custodia a un ragazzino del suo villaggio, promettendogli qualche peso di mancia, e va a rimpinzarsi di tamales dolci alle mandorle con un bicchiere d' agua fresca al tamarindo e guaiava. Saluta un cliente che incrocia a una bancarella gremita di turisti: vendono mezcal, alcolico fortissimo a base d'agave prodotto nell'Oaxaca. Ne bevono qualche goccio, tanto per stare in compagnia — una vera prodezza con questo caldo —, poi Antonio propone al suo cliente- amigo di provare una specialità muy buena, le chapulines... Adora giocare questo scherzo ai nuovi arrivati: fare assaggiare le cavallette alla griglia. «Su, avanti, sono come gamberi con le zampe lunghe»... il nostro Tonio sa anche essere convincente. E ne immortala le smorfie o i sorrisi sospettosi con la sua nuova fotocamera digitale. Lui, assicura, tiene «solo le più spassose».

| << |  <  |