Autore Henry Gee
Titolo Brevissima storia della vita sulla Terra
Sottotitolo4,6 miliardi di anni in dodici capitoli
EdizioneEinaudi, Torino, 2022, Super ET Opera viva , pag. 264, ill., cop.fle., dim. 13,5x20,8x1,5 cm , Isbn 978-88-06-25133-8
OriginaleA (Very) Short History of Life on Earth
EdizionePicador, London, 2021
TraduttoreCarla Palmieri
LettoreCorrado Leonardo, 2022
Classe evoluzione , cosmologia , scienze naturali , ecologia , inizio-fine












 

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Indice


   3     I. Canzone del fuoco e del ghiaccio

  17    II. Animali complicati

  31   III. Prove tecniche di spina dorsale

  45    IV. Terra, terra!

  59     V. Arrivano gli amnioti

  79    VI. Triassic Park

  93   VII. Dinosauri in volo

 115  VIII. Magnifici mammiferi

 133    IX. Il pianeta delle scimmie

 147     X. Un mondo senza confini

 169    XI. La fine della preistoria

 185   XII. Il passato del futuro

 205        Epilogo


 215        Approfondimenti
 219        Ringraziamenti
 221        Note


 

 

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Pagina 4

Cera una volta una stella gigante che stava morendo. Bruciava da milioni di anni, e ormai la fornace nel suo nucleo non aveva piú combustibile. Per creare l'energia necessaria a brillare, la stella aveva fuso atomi di idrogeno per formare elio. Quell'energia non era servita soltanto a farla risplendere, ma anche a contrastare l'attrazione verso l'interno esercitata dalla sua stessa gravità. Quando poi le scorte di idrogeno avevano cominciato a scarseggiare, la stella aveva cominciato a fondere l'elio in atomi di elementi piú pesanti, come carbonio e ossigeno. A quel punto, però, restava ben poco da bruciare.

Un giorno il carburante finí del tutto. La gravità ebbe la meglio, e la stella che bruciava da milioni di anni implose in una frazione di secondo. Il contraccolpo fu talmente spaventoso da illuminare l'intero Universo: la stella si era trasformata in una supernova. Ogni possibile forma di vita nel suo sistema planetario fu cancellata all'istante. Ma nel cataclisma della sua fine erano nati i germi di qualcosa di nuovo. L'esplosione aveva sparso ovunque, e a grande distanza, gli elementi chimici forgiati negli ultimi istanti di vita della stella: persino i piú pesanti, come silicio, nichel, zolfo e ferro.

Milioni di anni piú tardi, l'onda d'urto gravitazionale prodotta dall'esplosione della supernova attraversò una nuvola di gas, polveri e ghiaccio.

[...]


È in mezzo a tutti questi sconvolgimenti e disastri che è cominciata la vita. Sono stati gli stessi sconvolgimenti e disastri a nutrirla, permettendole di crescere e di svilupparsi. La vita è nata e si è evoluta nelle profondità piú remote dell'oceano, là dove i bordi delle placche tettoniche si immergevano nella crosta e dalle fessure del fondo oceanico sgorgavano getti d'acqua bollente ad altissima pressione, ricchi di minerali.

I primi esseri viventi non erano che membrane schiumose, tese al di sopra di microscopiche fessure nelle rocce. Si erano formati quando le correnti marine, diventate turbolente, avevano generato vortici, e perdendo energia avevano deposto nelle fessure e nei pori della roccia il loro carico di detriti pieni di sostanze minerali. Le membrane schiumose erano imperfette, porose, piú simili a setacci che a pellicole, e come setacci lasciavano passare alcune sostanze e altre no. L'ambiente al loro interno era comunque diverso dalla tempesta che infuriava al di fuori: piú calmo, piú ordinato. Nel mezzo di una tormenta artica, una capanna di tronchi con tetto e pareti è pur sempre un rifugio, anche se la porta non si chiude bene e le finestre sono malmesse. Cosí quelle membrane hanno fatto della porosità una virtú, sfruttando i loro piccoli orifizi come vie d'accesso per l'energia e le sostanze nutritive, e vie di uscita per i rifiuti.

Protette dal pandemonio chimico del mondo esterno, quelle minuscole pozze erano paradisi dell'organizzazione. Poco alla volta affinarono i loro meccanismi per la produzione di energia e se ne servirono per generare piccole bolle, ciascuna racchiusa in una porzione della membrana madre. Sulle prime tutto avveniva un po' per caso, ma col tempo il meccanismo divenne sempre piú regolare, grazie allo sviluppo di un modello chimico interno che poteva essere copiato e trasmesso alle nuove generazioni di bollicine ricoperte da una membrana. Il modello faceva si che ogni nuova generazione fosse la copia piú o meno fedele dei suoi genitori. A quel punto le bolle piú efficienti iniziarono a prosperare, a scapito delle loro simili meno organizzate.

Quelle semplici membrane rappresentarono dunque il primo passo nell'evoluzione della vita: a loro va il merito di aver trovato il modo di arrestare - benché temporaneamente, e con grande sforzo - l'inesorabile crescita dell'entropia, cioè della quantità netta di disordine nell'Universo. Arginare l'entropia è una proprietà fondamentale della vita. Ognuno di quegli agglomerati schiumosi, composti da cellule simili a bolle di sapone, era un minuscolo pugno alzato in sfida a un mondo inanimato.


La caratteristica forse piú sorprendente della vita - a parte la sua stessa esistenza - è la rapidità con cui è iniziata. È accaduto a soli cento milioni di anni dalla formazione del pianeta, nelle profondità vulcaniche di una giovane Terra che veniva ancora bombardata da oggetti celesti abbastanza grandi da produrre crateri di estensione paragonabile ai piú grandi oggi visibili sulla Luna. Circa 3,7 miliardi di anni fa la vita era già uscita dall'eterna notte delle profondità oceaniche per raggiungere le acque superficiali, rischiarate dal Sole. Circa 3,4 miliardi di anni fa, migliaia di miliardi di esseri viventi avevano già cominciato a raggrupparsi, formando ammassi simili a barriere coralline visibili persino dallo spazio. La vita sulla Terra era arrivata sul serio.

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Pagina 18

La disgregazione del supercontinente chiamato Rodinia ebbe inizio circa 825 milioni di anni fa e proseguí per quasi cento milioni di anni, generando un anello di continenti sparsi intorno all'equatore. La frammentazione fu accompagnata da massicce eruzioni che portarono in superficie grandi quantità di rocce vulcaniche, con una forte predominanza di basalti. I basalti sono facilmente intaccabili dagli agenti atmosferici, e molte delle nuove masse continentali appena emerse si trovavano ai tropici, dove il calore e l'umidità accelerano il processo di degradazione meteorica.

Oltre a far franare il basalto negli oceani, il vento e le piogge riversarono nelle profondità marine, dove non c'era ossigeno, enormi quantità di sedimenti che contenevano carbonio. L'ossidazione del carbonio produce anidride carbonica che riscalda la Terra grazie all'effetto serra, ma se il carbonio non è presente nell'atmosfera l'effetto serra si arresta e il pianeta si raffredda. La danza di carbonio, ossigeno e anidride carbonica avrebbe scandito il ritmo nelle fasi successive della storia terrestre e della vita che lentamente stava facendo il suo corso.

L'esposizione agli agenti atmosferici dei frammenti del supercontinente Rodinia fece precipitare la Terra in una serie di ere glaciali globali, che iniziarono circa 715 milioni di anni fa e durarono quasi 80 milioni di anni.

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Pagina 30

Alla fine del Cambriano, tutte le principali famiglie di animali ancora esistenti ai giorni nostri avevano fatto la loro prima comparsa, stando alla documentazione fossile. Non solo artropodi e vermi di vario tipo, ma anche echinodermi (gli animali dalla pelle spinosa, come i ricci di mare) e vertebrati (gli animali con la spina dorsale, come noi uomini). Uno dei primissimi vertebrati fu la Metaspriggina, anch'essa rinvenuta nell'argillite di Burgess. Di aspetto simile a un pesce, era dotata non di un'armatura calcarea ma di una spina dorsale interna e flessibile, alla quale erano ancorati potenti muscoli. Un'ottima soluzione per nuotare, e per farlo velocemente, in modo da sfuggire agli agguati degli artropodi giganti come l' Anomalocaris.

La Metaspriggina è uno dei primi pesci di cui abbiamo documentazione fossile. La sua storia sarà tra gli argomenti del prossimo capitolo.

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Pagina 32

Mentre negli oceani caldi e poco profondi del primo Cambriano risuonava il crocchiare aculeato delle tenaglie degli artropodi, altri eventi si svolgevano nel pantano delle sabbie minerali sottostanti. Un esserino chiamato Saccorhytus, non piú grande di una punta di spillo, conduceva una vita modesta filtrando i detriti che trovava nell'acqua, tra un granello di sabbia e l'altro. Nutrirsi per filtrazione non era certamente una novità: le spugne lo facevano già da trecento milioni di anni, e molte altre specie, fra cui le vongole, stavano apportando innovazioni al sistema. Setacciare il sedimento in cerca di minuzie commestibili è un modo economico ed efficiente di guadagnarsi da vivere, soprattutto per i piccoli animali con scarse necessità metaboliche. E il Saccorhytus era proprio uno di questi.

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Due milioni e mezzo di anni fa il mondo ha inaugurato una serie di glaciazioni destinata a prolungarsi ancora per decine di milioni di anni. I ghiacci sono già aumentati e diminuiti piú di venti volte, causando disagi climatici di una portata che non si vedeva dai tempi dell'Eocene: e siamo appena agli inizi. A ogni avanzata del ghiaccio, a ogni ritirata, il gioco cambia. Alcune specie sono destinate a estinguersi, altre a prosperare. Quelle che prosperano in una fase potrebbero scomparire nella successiva. E prima che la serie si concluda, ci aspettano quasi un centinaio di cicli glaciali-interglaciali.

L' Homo sapiens è la specie che ha raccolto i frutti del ciclo attualmente in corso. È esplosa nella piena consapevolezza di sé circa 125 000 anni fa, quando la precedente fase calda ha lasciato il posto a un periodo di freddo prolungato. Ha approfittato dell'abbassamento dei mari per migrare, saltellando da un'isola all'altra.

Quando i ghiacci raggiunsero la massima estensione, circa 26 000 anni fa, l'umanità aveva già piantato le tende in tutto il Vecchio Mondo ed era persino arrivata nel Nuovo. Solo il Madagascar, la Nuova Zelanda, le isole piú remote dell'Oceania e l'Antartide attendevano ancora di essere calcate da un piede umano, ma non mancava molto. Mentre l' Homo sapiens portava a termine la sua avanzata, tutte le altre specie di ominini stavano scomparendo. L' Homo sapiens è l'ultima forma ominine rimasta sulla Terra.


Per quasi tutta la loro storia gli umani sono stati cacciatori e raccoglitori; come tutti i bravi procacciatori di cibo, conoscevano i posti migliori. Poco tempo dopo la fase di massimo avanzamento dei ghiacci, le ripetute visite degli umani negli stessi punti di raccolta spronarono la selezione naturale a produrre frutti e semi piú graditi ai visitatori. Non meno di 23 000 anni fa, i nostri antenati cominciarono a macinare grano selvatico e orzo per produrre la farina necessaria alla panificazione. L'agricoltura ha avuto inizio piú o meno contemporaneamente in diverse parti del mondo circa diecimila anni or sono, alla fine del Pleistocene.

Da allora a oggi la popolazione umana è aumentata a ritmo vertiginoso: al momento la nostra specie consuma da sola un quarto di tutti i prodotti della fotosintesi vegetale sulla Terra. Un tale sequestro di risorse non può che andare a scapito di milioni di altre specie, alcune delle quali stanno di conseguenza scomparendo.

[...]

Tra poche migliaia di anni l' Homo sapiens sarà scomparso. La causa sarà, almeno in parte, un debito di estinzione scaduto da tempo. Il frammento di habitat occupato dall'umanità corrisponde all'intero pianeta, e gli esseri umani lo hanno reso sempre meno abitabile.

Ma la ragione principale sarà un'altra, e cioè l'incapacità di raggiungere la soglia di sostituzione che garantisce il ricambio generazionale. Dopo che avrà raggiunto il picco, forse nel corso di questo secolo, la popolazione terrestre diminuirà, ed entro il 2100 scenderà al di sotto dei livelli odierni. Anche se dovesse fare molto per rimediare ai danni arrecati alla Terra, l'umanità ha davanti a sé non piú di qualche migliaio, al massimo qualche decina di migliaia, di anni.

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Pagina 199

Molto dopo la nascita delle micorrize, mentre l'era dei dinosauri si avvicinava all'apogeo, il mondo delle piante subí una silenziosa rivoluzione. L'evoluzione aveva inventato i fiori.

Le prime piante in grado di produrli erano creaturine striscianti annidate ai margini acquorei del pianeta, ma la categoria delle piante fiorite si diffuse rapidamente. Oggi, cento milioni di anni piú tardi, sono la forma dominante di vegetazione terrestre.

Uno dei vantaggi dei fiori è che attirano gli impollinatori, e questi ultimi, ai fini della fecondazione, sono molto piú efficienti del vento, del tempo e del caso. Nelle piante da fiore, come in tante altre cose, la vita ha bypassato l'ambiente; ha truccato le carte a proprio favore.

Non è una coincidenza, dunque, che l'evoluzione dei fiori sia stata accompagnata da una forte espansione degli insetti impollinatori, in particolare formiche, api e vespe (appartenenti all'ordine degli imenotteri), nonché farfalle e falene (i lepidotteri). Tutte specie che esistevano già da milioni di anni, prima che la diffusione delle piante da fiore mettesse il turbo alla loro evoluzione.

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Pagina 205

Epilogo



Per parafrasare ciò che è già stato detto in un diverso contesto, le carriere di tutti gli esseri viventi si concludono con l'estinzione. La vita non dura in eterno, e questo vale anche per l' Homo sapiens.

Anche se non potrà sottrarsi alla ferrea legge dell'estinzione, la vita dell' Homo sapiens sarà comunque stata eccezionale. Sappiamo che la durata di quasi tutte le specie di mammiferi è nell'ordine del milione di anni: la nostra, nel senso piú ampio del termine, esiste da meno della metà di quel tempo, ma la sua eccezionalità è innegabile, sia che duri per altri milioni di anni, sia che perisca improvvisamente martedí prossimo.

L'eccezionalità dell' Homo sapiens sta nel suo essere l'unica (a quanto ne sappiamo) specie consapevole del suo posto nell'ordine delle cose. Siamo anche diventati consapevoli del danno che causiamo al mondo, e abbiamo cominciato ad agire per limitarlo.


Oggi molti si dicono preoccupati che l' Homo sapiens possa aver accelerato quella che è stata chiamata la «sesta estinzione di massa», un evento analogo per portata alle cosiddette Big Five, le cinque estinzioni verificatesi alla fine del Permiano, del Cretaceo, dell'Ordoviciano, del Triassico e del Devoniano, e tuttora rilevabili, a distanza di centinaia di milioni di anni, nella documentazione geologica.

Se è vero che il «tasso base» di estinzione - il meccanismo elementare per cui le specie si evolvono e si estinguono, ciascuna per le proprie ragioni - è andato crescendo a partire dalla comparsa degli esseri umani ed è ora particolarmente elevato, è altrettanto vero che gli esseri umani dovranno perseverare in ciò che stanno facendo per altri cinquecento anni prima che l'attuale tasso di estinzione raggiunga livelli paragonabili ai Big Five. Cinquecento anni sono quasi il doppio del tempo trascorso dalla Rivoluzione industriale a oggi. Il danno fatto è grave, si sa, ma c'è ancora tempo per evitare che la situazione arrivi fin dove potrebbe arrivare se l'umanità non muovesse un dito. Insomma, non è la sesta estinzione. O almeno, non lo è ancora.

Purtroppo l'umanità ha anche accelerato un episodio di riscaldamento globale legato in gran parte all'improvvisa emissione di anidride carbonica nell'atmosfera. I suoi effetti stanno già mettendo in pericolo la salute e la sicurezza di noi umani, oltre alla vita di molte specie viventi.


Certo, si potrebbe dire che è nella natura del clima essere mutevole; che il nostro pianeta è stato di volta in volta una sfera di magma, un mondo d'acqua, una giungla estesa da un polo all'altro, una palla di ghiaccio spesso diversi chilometri. Arrestare il cambiamento climatico potrebbe sembrare un esercizio di colossale arroganza narcisistica.

Di fronte a certi slogan come «Salvate il pianeta!» si sarebbe quasi tentati di ribattere: «Basta con la tettonica a placche!» o addirittura «Fermate la tettonica a placche, ORA!» Dopo tutto la Terra era già vecchia di 4,6 miliardi di anni quando vi ha fatto la sua comparsa l' Homo sapiens, e continuerà a esistere per molto, molto tempo anche dopo che l' Homo sapiens si sarà estinto.


Tanta acidità nei confronti di chi pretende di arrestare il cambiamento climatico sarebbe giustificabile solo se l'umanità fosse ignara di ciò che fa più o meno come lo erano i primi batteri fotosintetici, che adulterarono l'atmosfera con quantità piccole ma comunque letali di quel veleno che oggi chiamiamo ossigeno molecolare. E invece noi sapiens siamo molto consapevoli di quel che facciamo, e ci stiamo già impegnando a essere piú responsabili. Tutto il mondo sta rinunciando ai combustibili fossili in favore di alternative meno inquinanti. Nel Regno Unito, per esempio, la quantità di energia elettrica generata da fonti rinnovabili nel terzo trimestre del 2019 ha superato per la prima volta la produzione delle centrali a combustibili fossili, e il dato non può che migliorare. Le nostre città sono già piú pulite e piú verdi.

Cinquant'anni fa, quando la popolazione planetaria era metà dell'attuale, molti temevano che di li a poco non ci sarebbe stato piú cibo a sufficienza per tutti. È passato mezzo secolo e oggi la Terra nutre il doppio delle persone, e quelle persone sono generalmente piú sane, vivono piú a lungo e piú agiatamente di un tempo. Oggi al centro del dibattito non c'è piú l'assenza di benessere, ma gli effetti deleteri del divario tra ricchi e poveri.

Nel frattempo, gli esseri umani stanno imparando la parsimonia; lo stanno facendo in fretta, e con un certo entusiasmo. Sebbene il consumo pro capite di energia sia ancora in crescita a livello mondiale, in alcuni paesi ad alto reddito si comincia a registrare un'inversione di tendenza. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per esempio, il consumo di energia per abitante ha raggiunto il picco negli anni Settanta ed è rimasto piú o meno invariato fino agli anni Duemila, ma da allora in poi ha iniziato a scendere bruscamente. I dati del Regno Unito evidenziano un calo di quasi un quarto solo negli ultimi vent'anni.

Siamo anche piú istruiti di un tempo. Nel 1970 solo un bambino su cinque frequentava la scuola fino ai dodici anni di età; oggi la percentuale è al 51 per cento (poco piú di un bambino su due) e dovrebbe raggiungere il 61 per cento entro il 2030.

La popolazione del pianeta, che un tempo sembrava sull'orlo di una crescita incontrollata, raggiungerà il picco in questo secolo, poi comincerà a calare. Entro il 2100 la Terra avrà meno abitanti di oggi.

Le tecnologie piú efficienti e la migliore produttività in campo agricolo sono all'origine di molti di questi cambiamenti, ma l'innovazione che da sola ha contribuito in misura piú significativa a migliorare le nostre condizioni di vita nell'ultimo secolo è stata probabilmente l'emancipazione riproduttiva, politica e sociale delle donne, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Oggi le donne sono piú libere di disporre del proprio corpo e hanno sempre piú voce in capitolo nelle questioni sociali: di conseguenza l'umanità ha raddoppiato la forza lavoro, migliorato l'efficienza energetica complessiva e ridotto la crescita demografica.

Sono ancora molte le sfide che ci attendono. L'umanità risponderà - sta già rispondendo - con la divisione del lavoro, che ci permetterà di far durare piú a lungo le minori risorse disponibili. La vita, ormai lo sappiamo, accetta sempre le sfide: ma prima o poi anche la carriera dell' Homo sapiens dovrà concludersi con l'estinzione.


Eppure una scappatoia potrebbe esserci, anche se a guardarla da vicino pare proprio una chimera. In questo libro abbiamo raccontato la vita sulla Terra e siamo giunti a concludere che in futuro le condizioni del pianeta diventeranno proibitive per ogni forma vivente, per quanto piena di risorse. Ma non abbiamo ancora parlato di come la vita potrebbe estendersi oltre i confini del nostro mondo.

Benché sia noto che alcuni organismi sono in grado di sopravvivere nello spazio, l' Homo sapiens è (a quanto ne sappiamo) la prima specie terrestre a essersi avventurata di proposito al di fuori dell'atmosfera. Se abbiamo mandato in orbita una stazione spaziale con equipaggio e addirittura messo piede su un altro corpo celeste, la Luna, nulla esclude che in futuro l'umanità possa assentarsi regolarmente dalla Terra o persino trasferirsi nello spazio, che sia su altri pianeti o all'interno di habitat artificiali.

Oggi come oggi ci sembra abbastanza improbabile. Al momento in cui scriviamo gli astronauti che hanno camminato sul nostro satellite sono appena una dozzina, e l'ultimo allunaggio risale al 1972. Ma non sono motivi sufficienti per essere del tutto pessimisti. Circa 125 000 anni fa, sulle coste dell'Africa meridionale, i primi umani moderni hanno inventato i cosmetici, imparato a disegnare e a usare archi e frecce, ma quelle tecnologie appena venute alla luce sembrano essere state dimenticate quasi subito, a volte per migliaia di anni, prima di riemergere e diventare di uso comune. Può darsi che certe attività necessitino di popolazioni abbastanza numerose e abbastanza vicine, tanto da renderle sostenibili e garantire la trasmissione delle competenze.

Dopo quello che è sembrato un lungo letargo, oggi i viaggi nello spazio stanno tornando in auge e potrebbero addirittura diventare un'abitudine. Grazie al progresso tecnologico, inoltre, la navigazione spaziale è molto meno costosa: se un tempo solo gli Stati potevano permettersela, oggi entrano in gioco anche le società private. L'idea di avventurarsi nello spazio per puro e semplice turismo non è piú fantascienza; forse all'inizio le agenzie di turismo spaziale avranno una clientela composta esclusivamente da nababbi, ma sappiamo che in passato era così anche per i viaggi aerei.

Fermiamoci per un istante a considerare quanto sia stato rapido il progresso tecnologico. Per esempio, solo cinquant'anni separano il primo allunaggio (luglio 1969) dal primo volo aereo transatlantico (giugno 1919) compiuto da due coraggiosi piloti che hanno attraversato l'oceano da Terranova all'Irlanda con una macchina volante che oggi ci sembra un fragile trabiccolo di tela e legno, alimentato da due motori antidiluviani.

Ma anche se dovesse arrivare alle stelle, la specie umana non sfuggirà comunque all'estinzione. Le colonie di umani nello spazio saranno molto piccole e molto distanziate, il che aumenterà il rischio di esaurimento per mancanza di materiale umano e di diversità genetica; e quelle che prospereranno finiranno per dare origine a specie diverse. Non potremo sottrarci al nostro destino.


E che cosa lascerà dietro di sé il genere umano? In rapporto alla durata della vita sulla Terra, niente. Tutta la nostra storia, cosí intensa eppure cosi breve; tutte le guerre, le opere letterarie, i principi e i dittatori nei loro sontuosi palazzi; tutta la gioia, la sofferenza, gli amori, i sogni e le conquiste, non lasceranno che una traccia spessa pochi millimetri in qualche futura roccia sedimentaria che, a sua volta, diventerà polvere e si depositerà sul fondo dell'oceano.

Per quanto assurdo possa sembrare, tutto ciò dovrebbe renderci ancora più consapevoli dell'importanza di proteggere ciò che abbiamo, di rendere la nostra effimera esistenza il piú gradevole possibile per noi stessi e per le specie con cui dividiamo il pianeta.

Il romanzo di Olaf Stapledon (1886-1950) intitolato Il costruttore di stelle è forse la più audace opera di fantascienza speculativa mai pubblicata, e il fatto che pochissimi ne abbiano sentito parlare è forse una conseguenza dell'insostenibile vastità a cui mette di fronte (a dispetto del numero di pagine relativamente esiguo). Vi si racconta la storia del nostro Universo, che nel libro dura piú di 400 miliardi di anni; ma è solo uno dei tanti universi esistenti, e la storia dell'umanità sta tutta in un paragrafo.

All'inizio il protagonista esce di casa dopo una discussione con la moglie. Si siede sulle pendici di una collina e all'improvviso è colto da una visione e comincia a vagare nel cosmo. Dopo l'incontro con altri viaggiatori, entra a far parte di una comunità di anime che vive svariate avventure finché, trasformatasi in una sorta di mente cosmica, giunge a incontrare il Creatore. Si scopre cosí che il nostro Universo è solo una prova d'artista: altri universi creati per gioco ingombrano l'officina del Creatore. Altri, ancora piú grandi, stanno per prendere forma.

Tornato a casa, il protagonista riflette sulla sua esperienza. È il caso di ricordare che Stapledon, fervente pacifista, aveva prestato servizio come infermiere volontario sul fronte occidentale ed era stato testimone degli orrori della guerra. Il costruttore di stelle fu pubblicato in Inghilterra nel 1937, quando il mondo stava precipitando verso un nuovo conflitto globale: e il tema viene affrontato nel prologo e nella postfazione.

La domanda cruciale è: come si può guardare in faccia un orrore cosí indicibile?

«Due luci, - sostiene il narratore, - ci fanno da guida. La prima è il nostro piccolo atomo di comunità». La seconda, apparentemente antitetica, è «il freddo ammiccare delle stelle», al cui confronto le guerre mondiali sono eventi di nessuna importanza. Il libro si conclude con queste parole:

Strano che sembri tanto urgente prendere parte a questa battaglia, a questo breve sforzo di animaletti che lottano affinché la loro specie intraveda un lampo di chiarezza prima della tenebra finale.


Non disperate, dunque. La Terra permane, e la vita vive ancora.

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