Copertina
Autore Susan George
Titolo L'America in pugno
SottotitoloCome la destra si è impadronita di istituzioni, cultura, economia
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2008, Serie bianca , pag. 222, cop.fle., dim. 14x22x1,8 cm , Isbn 978-88-07-17154-3
OriginaleCulture in chains [2008]
TraduttoreRoberta Scafi
LettoreRiccardo Terzi, 2008
Classe paesi: USA , globalizzazione , destra-sinistra , religione , storia contemporanea , storia: America
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Indice


  7 Introduzione

    Il dirottamento verso destra della politica americana, 10;
    Anche sul fronte economico, la situazione non è rosea, 11;
    Nota all'edizione italiana, 16

 21 1. La conquista di un'egemonia culturale

    La dottrina, 21;
    Il New Labour: "Siamo tutti thatcheriani", 24;
    Le radici filosofiche del neoliberismo, 25;
    Neoliberisti e neoconservatori: chi sono,
    come si differenziano e a chi importa?, 30;
    Il lento inizio della svolta verso destra, 34;
    I neoconservatori: dalla rete iniziale alla galassia, 37;
    I Padri fondatori e i finanziatori della nuova destra, 40;
    Le stelle più fulgide della galassia, 43;
    "I valori della tradizione", 47;
    I centri di ricerca degli intellettuali neoconservatori, 49;
    La penna è (talvolta) più potente della spada, 51;
    Gli studi legali delle aquile neoliberiste, 51;
    La Costituzione fatta a pezzi:
    "L'uomo più potente che abbiate mai visto", 54;
    In conclusione?, 57

 58 2. La politica estera

    Preludio, 58;
    L'ossessione per il Medio Oriente, 61;
    Il caso Mearsheimer-Walt, 66;
    America, il marchio della libertà, 73;
    La politica intesa come una guerra combattuta con altri mezzi:
    il Project for a New American Century, 75;
    In linea con la tradizione, 79;
    Il declino della destra tradizionale, 83;
    Il neoimperialismo economico, 84

 87 3. La lunga marcia della destra religiosa

    Un popolo di credenti, 88;
    Religione e potere politico: il pericolo di una teocrazia, 91;
    Il fondamentalismo dei cristiani rinati, 95;
    Il progetto dei ricostruzionisti, 97;
    I leader della destra religiosa, 99;
    Investire nella crescita dell'estremismo religioso, 104;
    Le organizzazioni religiose di massa, 105;
    E i cattolici di destra?, 107;
    Lo scontro di civiltà, 112;
    Sempre più strano, 115;
    L'influsso della destra religiosa sulla politica estera, 120;
    Non tutto è perduto, 124

126 4. L'assalto all'Illuminismo: i condizionamenti imposti
       all'istruzione pubblica e alla ricerca scientifica

    Scienza e religione: due mondi lontani, 127;
    Ingenui e creduloni, 131;
    Sia lodato il Signore (e Adam Smith), 133;
    E la chiamano scienza, 134;
    Un progetto deliberatamente elusivo, 135;
    Il processo contro John Scopes:
    alle origini dell'antievoluzionismo americano, 137;
    Una controversia scientificamente infondata, 139;
    Perfino la teoria del Disegno intelligente si evolve, 143;
    Da Dayton, Tennessee, a Dover, Pennsylvania:
    Darwin sotto processo, 144;
    I difensori dell'Illuminismo: "Aux armes, citoyens", 146;
    Il movimento che si batte per istruire i figli a casa, 152;
    Insegnare o pregare?, 154;
    L'impatto dell'homeschooling sugli istituti di istruzione
    superiore, 157;
    Un avvertimento conclusivo, 159

161 5. Lobby, poltrone e anticamere del potere

    La Camera di commercio e il conflitto di culture:
    il Rapporto Powell, 163;
    Una paga da fame - ma c'è anche chi ingrassa, 168;
    Il vertice della piramide del reddito, 171;
    "No Child Left Behind", 173;
    Quali miglioramenti possiamo aspettarci dopo il governo Bush?, 179;
    Interessi economici e menzogne sui cambiamenti climatici, 184;
    Episodi isolati? Si guardi meglio, 192

194 Conclusione

205 Note

 

 

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Pagina 7

Introduzione



Di fronte ai tragici eventi dell'11 settembre 2001, l'Europa aveva reagito manifestando un sentimento di solidarietà profonda pressoché univoco nei confronti degli Stati Uniti. Il giorno successivo all'attacco, il direttore di "Le Monde" Jean-Marie Colombani si era reso portavoce di tale indignazione collettiva con un editoriale intitolato appunto Siamo tutti americani. All'epoca soltanto una piccola minoranza aveva scrollato le spalle, sostenendo che si trattava di una vicenda orribile per le vittime, ma che gli Stati Uniti "se l'erano cercata". Eppure, nel giro di pochi anni, l'interesse e la partecipazione dei più si sono trasformati da oro in piombo. Delusione, sfiducia e un sentimento che il compianto giornalista e autore di romanzi Hunter S. Thompson avrebbe forse definito di "paura e disgusto" nei confronti degli Stati Uniti hanno avuto la meglio.

Questo atteggiamento critico fin troppo diffuso non deve essere inteso come un giudizio negativo nei confronti del popolo americano, bensì della politica del presidente George W. Bush e del suo governo. L'esito delle elezioni di metà mandato del 2006, che ha permesso ai democratici di riconquistare la maggioranza al Congresso, ha fatto rinascere molte speranze. Mentre scrivo, la campagna per le presidenziali del 2008 è in pieno svolgimento e molti si aspettano che la sconfitta dei repubblicani e la conseguente uscita di scena di Bush riportino gli Stati Uniti a una condizione di normalità.

Magari potessi condividere queste speranze! Anch'io vorrei credere che i primi anni del Ventunesimo secolo siano stati soltanto una crudele aberrazione di cui ci scorderemo presto, come di un brutto sogno che svanisce con la luce del mattino. Temo però che non sarà così semplice, e in questo libro cercherò di spiegare perché. Non intendo soffermarmi sulla "guerra al terrorismo", sull'"asse del male" e sulle varie campagne che hanno caratterizzato la politica estera e interna di Bush e Cheney, bensì sul clima politico, intellettuale e culturale che le ha rese possibili.

Ritengo infatti che la cultura americana abbia subito un lento e progressivo dirottamento verso destra, che ha avuto origine almeno a partire dagli anni settanta e che oggi appare radicato al punto da condizionare qualsiasi futuro governo degli Stati Uniti. Si tratta, infatti, di un vero e proprio sistema di valori che non può essere alterato da un mero cambiamento di maggioranza o dall'elezione di un nuovo presidente. "Neoliberismo" e "neoconservatorismo" sono i termini di cui solitamente ci si avvale per descrivere questo orientamento, definizioni che rimandano a un insieme coerente di principi e di idee che a breve discuteremo nei dettagli. Si tratta insomma di un condizionamento ideologico che è stato pianificato con pazienza, che ha avuto esiti pervasivi, attraversando l'intera società americana dai vertici alla base, e che non viene quasi mai messo in discussione, anche perché i suoi assunti non sono esplicitati. Eppure, è proprio grazie a questi taciti principi che il baricentro della politica statunitense si va spostando sempre più a destra.

Questa nuova cultura si fonda soprattutto sulla menzogna e ha permesso di legittimare una condotta politica senza precedenti. Il governo americano si è spinto fino a prevaricare i diritti dei suoi stessi elettori, ignorando le regole di fondo che vincolano qualsiasi democrazia occidentale. Ovviamente, ogni capo di stato ha i suoi segreti ed è incline a mentire, soprattutto quando è convinto di riuscire a farla franca. Ma la quantità di inganni di cui si è reso responsabile George W. Bush oltrepassa ogni limite. Se il Congresso avesse osato intraprendere una qualche indagine significativa tra il 2002 e gli inizi del 2007, il presidente sarebbe stato sicuramente giudicato colpevole di "gravi crimini e violazioni" e rimosso dall'incarico. Così la presidenza sarebbe passata a Dick Cheney, che a sua volta avrebbe subito l'impeachment.

Gli ultimi anni del secondo millennio sono stati segnati dalle grida dei deputati repubblicani che chiedevano l'impeachment per Bill Clinton, perché il presidente aveva mentito sui suoi allegri incontri con una giovane e prosperosa assistente. Si trattava forse di un grave pericolo per la nazione? Che altro avrebbe potuto fare un gentiluomo e marito infedele?

Al contrario, pochi sembrano preoccuparsi oggi della truffa delle presidenziali del 2000, del fatto che gli stessi agenti dei servizi segreti americani siano stati esposti al rischio di essere assassinati e di tutte le menzogne inflitte al Congresso e alla nazione per convincerli a sostenere una guerra criminale, inutile e dispendiosa. Alcuni scettici sostengono che negli Stati Uniti l'opinione pubblica sia ormai abituata agli inganni del potere, che se li aspetti perfino. Certo è che soltanto pochi anni fa le reazioni degli elettori erano del tutto diverse.

Lyndon Johnson e Richard Nixon furono costretti a ritirarsi per le loro menzogne sul Vietnam e sul Watergate. Ronald Reagan dovette affrontare non poche difficoltà per aver ingannato gli americani sulla vendita di armi all'Iran e per aver finanziato con le tasse dei cittadini l'illecita invasione militare del Nicaragua da parte dei Contras, anche se alla fine riuscì a farla franca. Nel caso di Clinton, è difficile dire se l'opinione pubblica fosse più disgustata dal comportamento del presidente o dal circo romano che i repubblicani avevano montato per ottenere l'impeachment, ma tutti concordavano sul fatto che lo scandalo comportasse uno spreco di tempo prezioso e che sarebbe stato meglio concentrarsi su questioni più urgenti. Con Bush e Cheney, invece, le bugie sono diventate la norma.

I costi a lungo termine delle loro menzogne sono incalcolabili, per gli stessi cittadini americani e per le vittime nei paesi coinvolti. L'amministrazione Bush coniuga spesso una sincerità disarmante e senza precedenti con l'inganno premeditato, come rileva il giornalista inglese Michael Kinsley in un suo memorabile commento: "Le menzogne dell'amministrazione Bush II sono spesso così ridicole e plateali che viene da chiedersi perché si prendano la briga di inventarle. Poi ci si rende conto che non lo fanno per pudore. Se la verità comportasse meno problemi, proverebbero a dire anche quella. L'atteggiamento disonesto di fondo che caratterizza il governo Bush II consiste nell'inventare una verità alternativa su qualsiasi questione e nel rispondere a chiunque provi a obiettare trattandolo come un noioso maniaco ossessionato dalle 'sfumature'".

Questa strategia ha dato i suoi frutti. La presidenza Bush-Cheney — non dobbiamo mai perdere di vista il vice di Bush — si è servita della grande menzogna di una guerra contro il terrorismo che si poteva vincere facilmente non soltanto per sterminare migliaia di giovani americani e centinaia di migliaia di iracheni, ma anche per affossare alcuni dei diritti civili che erano stati conquistati e sanciti dalla rivoluzione.

Il governo Bush è il primo regime americano da oltre due secoli a questa parte che abbia autorizzato perquisizioni, confische e arresti nelle abitazioni di privati cittadini in assenza di mandato giudiziario. I nuovi metodi di sorveglianza elettronica ad ampio raggio e di raccolta di informazioni sui cittadini statunitensi violano il Quarto Emendamento, che non si limita a vietare "perquisizioni, confische e arresti irragionevoli", ma impone anche una descrizione precisa "del luogo perquisito, nonché dei beni confiscati e delle persone arrestate". Questa presidenza si è spinta fino a negare l' habeas corpus e ad autorizzare la tortura su chiunque venga considerato come un nemico. Se l'intento è quello di far cadere la democrazia, sembra proprio che la strategia della menzogna funzioni.

Senza voler indulgere in una teoria della cospirazione, e anche facendo a meno di evocare la lobby dell'industria del petrolio, è facilmente dimostrabile che il clan Bush-Cheney ha deciso e pianificato l'invasione dell'Iraq molto tempo prima dell'11 settembre 2001; ha manipolato i servizi segreti e alterato i loro resoconti al fine di legittimare l'intervento; sapeva che l'Iraq non era in possesso di armi di distruzione di massa; sapeva che non c'erano rapporti di connivenza tra il regime arabo laico di Saddam Hussein e i fanatici religiosi di Osama bin Laden e al Qaeda.


Il dirottamento verso destra della politica americana

Attualmente negli Stati Uniti non c'è la minima speranza di poter tornare a un governo di ispirazione keynesiana paragonabile a quelli del New Deal e del secondo dopoguerra. Non esiste alcun programma alternativo credibile a sinistra e, anche se ci fosse, troverebbe ben poche organizzazioni progressiste disposte a sostenerlo. Il Partito democratico non fa nemmeno più finta di essere socialdemocratico e di voler proteggere i cittadini più deboli. In qualsiasi altro paese, un simile partito verrebbe considerato di centrodestra, eppure molti suoi membri cercano di spingerlo verso posizioni ancora più reazionarie. Angela Merkel e Jacques Chirac sono probabilmente più progressisti della maggior parte dei democratici americani - con qualche eccezione onorevole, come i membri del Congressional Progressive Caucus.

Il sistema di finanziamento dei partiti permette di selezionare candidati democratici che rispondono agli interessi delle grandi imprese al pari dei loro avversari repubblicani. Il declino della classe operaia ha fatto sì che i problemi e le opinioni dei lavoratori contino sempre di meno. Il Nafta e altri accordi sul libero mercato hanno cancellato molti posti di lavoro e i governi che si sono susseguiti negli ultimi venticinque anni, inclusi quelli di Carter e Clinton, hanno smantellato l'assistenza sociale. Alcune città americane versano in condizioni da Terzo mondo, come si è potuto vedere quando l'uragano Katrina ha devastato New Orleans. Eppure, il sistema bipartitico rimane intatto e a oggi non esistono forze politiche con ampio seguito o movimenti di rilievo in grado di ricondurre l'asse della politica americana a sinistra.

Dopo il tragico attentato alle Torri gemelle e la decisione di intraprendere guerre inutili e dispendiose, l'esecutivo ha più volte ignorato e sminuito il Parlamento. Per esempio, il governo continua a costruire delle basi militari permanenti in Iraq di cui il Pentagono intende avvalersi a tempo indefinito, nonostante il Congresso abbia espressamente vietato di effettuare ulteriori investimenti a tale scopo.

La "guerra contro il terrorismo" è stata un dono del cielo per i vertici neoconservatori, per il semplice fatto che non può essere vinta. Gli Stati Uniti rimangono così in uno stato di guerra permanente e sono costretti a sborsare decine di miliardi di dollari di contratti astronomici che finiscono nelle casse di multinazionali quali la Halliburton di Cheney. Anche il presidente ne trae vantaggio, approfittando della guerra per assumere poteri sempre più ampi. Nel frattempo, i soldati americani e gli iracheni continuano a morire inutilmente. Quasi tutti ormai concordano nell'ammettere che la situazione in quel paese martoriato dalla guerra è di gran lunga peggiorata in seguito all'intervento degli Stati Uniti, e che gli stessi Usa sono meno sicuri di quanto non fossero prima dell'invasione. Nonostante l'embargo, l'Iraq riusciva a sopravvivere, anche se nessuno nega che la dittatura di Saddam Hussein fosse davvero ripugnante.

Resta da vedere se i democratici, dopo aver riconquistato la maggioranza al Congresso, vorranno aprire delle inchieste sulle molte azioni degne di impeachment dell'amministrazione Bush-Cheney e sui crimini di guerra commessi in Iraq, a Guantánamo e altrove. I democratici non hanno, è vero, i due terzi della maggioranza al Senato necessari per ottenere l'impeachment, ma sembra che a mancare sia soprattutto il coraggio. Pare che la dirigenza del partito abbia già deciso di non "guardarsi indietro". I media controllati dalle grandi imprese si dicono annoiati dall'intera vicenda e sostengono che l'opinione pubblica "vuole andare oltre". A parte pochi giornalisti indipendenti, qualche sito web e alcune associazioni di cittadini, al momento nessuno si batte perché le indagini vengano aperte.


Anche sul fronte economico, la situazione non è rosea

La maggior parte dei cittadini americani si trova oggi a lavorare di più e a guadagnare di meno. Le diseguaglianze sociali non sono mai state tanto estreme e diffuse dalla fine degli anni venti. Rispetto alla situazione del secondo dopoguerra, l'1 per cento dei cittadini più ricchi ha più che raddoppiato la sua fetta di reddito nazionale, mentre il salario degli operai è rimasto inalterato o addirittura è diminuito. La cosiddetta "soglia di povertà" definita negli anni cinquanta e mai davvero aggiornata sottostima notevolmente la percentuale di cittadini poveri, che supera di molto il 12,5 per cento indicato. Un bambino su quattro nasce in condizioni di povertà, quarantacinque milioni di cittadini americani non hanno un'assicurazione per le cure mediche e il salario minimo è rimasto quasi invariato per un quarto di secolo, anche se di recente i democratici hanno deciso di aumentarlo. La povertà si presenta come un fattore endemico in settori significativi della maggioranza bianca, oltre che tra le minoranze ispaniche e afroamericane.

Con tutto ciò, non si assiste a una sollevazione popolare che rivendichi riforme economiche, salari più alti, pensioni d'anzianità, un'assistenza medica e una maggiore distribuzione della ricchezza. Tantomeno a manifestazioni di protesta o a scontri per le strade. A parte qualche coraggiosa eccezione, i sindacati sono deboli e tendono a concentrarsi - in linea con la maggior parte della sinistra americana - sulle questioni di discriminazione di razza e di genere. I cittadini americani, sempre che votino, sembrano ben disposti a scegliere contro i loro interessi e a conservare testardamente la fiducia nel "mercato". Del resto, almeno la metà di loro - soprattutto i più poveri e i meno istruiti - non vota affatto.

Le grandi imprese continuano ad accaparrarsi profitti astronomici - nel 2006 la Exxon ha guadagnato quaranta miliardi di dollari - mentre il governo non fa che concedere loro riduzioni sulle tasse e sussidi scandalosi, soprattutto a beneficio della già opulenta industria del petrolio. Il paese è colpito da uno scandalo finanziario dopo l'altro, però di solito i colpevoli se la cavano con una penale a carico dei contribuenti, qualche capro espiatorio viene mandato in prigione e lo scandalo si dimentica. Oggi lo stipendio dei massimi dirigenti delle multinazionali supera di oltre quattrocento volte quello di un impiegato medio, ma i movimenti progressisti che negli anni trenta si battevano per una maggiore uguaglianza e giustizia sociale sono scomparsi da tempo.

Anche la stampa, un tempo libera e battagliera, ha accettato di autocensurarsi, perché appartiene a corporation del tutto simili a quelle che controllano il resto dell'economia del paese. La televisione, che per la maggior parte degli americani costituisce l'unica fonte d'informazione, è sottomessa e sostituisce le indagini importanti con pettegolezzi sulle celebrità o servizi triviali (anche se non per le vittime) sugli incidenti stradali o sull'ultima catastrofe causata dal maltempo. Tutto questo non può che suscitare uno sbadiglio collettivo. Come affermava Gore Vidal, "America significa un quarto di miliardo di persone del tutto disinformate o male informate dal loro governo. È tragico, ma i nostri media sono - non direi nemmeno corrotti - semplicemente incapaci di concepire un'informazione che non sia controllata dal governo".

Sul versante religioso, Chris Hedges, vincitore del premio Pulitzer ed ex corrispondente del "New York Times" descrive l'estrema destra cristiana come una nuova versione americana del fascismo che si va diffondendo. I poveri, inclusa una fetta crescente di una classe media sempre più debole e minacciata, sono in preda alla disperazione, intrappolati in agglomerati anonimi e alienanti in cui si sentono soli, abbandonati ed emarginati. Accade allora che cerchino rifugio in quelle chiese che promettono di appagare il loro desiderio di comunità, di utopia, e in molti casi anche di vendetta. La maggior parte di questi neoconvertiti sono anime perse che si aggrappano a delle fedi spesso bizzarre. Alcuni sono perfino degli idealisti, degli utopisti, e molti sono comunque in buona fede, di certo non malvagi. Rimane il fatto che vengono facilmente manipolati.

Tra i portavoce delle comunità evangeliche vi sono molti pericolosi demagoghi di estrema destra che sognano di costituire una teocrazia di stampo fascista negli Stati Uniti. Non è fuori luogo un confronto con la Germania degli anni trenta, agli inizi della dittatura di Hitler. I capi dei cristiani di destra sono in grado di manipolare le masse e sono certi che le loro truppe li seguiranno, almeno all'inizio, proprio come accadde con Hitler, Mussolini e con altri dittatori.

Un fattore scatenante come un nuovo attentato terroristico della portata di quelli dell'11 settembre, una catastrofe ecologica o una crisi economica potrebbe offrire loro l'occasione sperata. Al momento non esistono forze d'opposizione in grado di contrastarli, e l'intervento moderatore dei cristiani non estremisti è sempre meno incisivo. La maggior parte degli intellettuali americani e dei cittadini di ceto medio-alto sottovaluta il pericolo. Secondo loro, queste decine di milioni di zelanti sono soltanto dei "fuori di testa", dei fanatici di Gesù che non meritano di essere considerati una vera e propria forza politica.

Molti di questi problemi sono già stati dibattuti, almeno a grandi cenni, e fatta eccezione per la questione religiosa non ritengo di doverli discutere nei dettagli. Le diseguaglianze estreme, la guerra senza fine, l'avidità della classe dirigente e la situazione disperata di un numero crescente di americani non sono l'argomento centrale di questo libro, anche se ne costituiscono lo sfondo imprescindibile.

Intendo invece concentrarmi su come tutto questo è potuto accadere.

Come è possibile che in pochi decenni gli ideali del popolo americano, sanciti da documenti politici tra i più forieri di ispirazione che siano mai stati scritti, siano finiti nel fango? Come è possibile che proprio quel paese il cui primo atto di indipendenza fu dichiarare che tutti gli uomini sono stati creati uguali si sia poi trasformato in una delle società più inique di questa Terra? Per quale ragione gli artefici di questa presa di potere — perché è di questo che si tratta — sono stati lasciati liberi di operare? Per quale ragione hanno incontrato così poca resistenza? C'è la speranza di assistere a un cambiamento? Intendo dimostrare che la strategia dell'estrema destra ha operato soprattutto sul piano culturale e si è rivelata vincente. Se si conquista il controllo della mente delle persone, non ci si deve preoccupare delle braccia e dei sentimenti, perché obbediranno. E chi è al potere sarà libero di comportarsi come gli pare.

Molte persone, soprattutto in Europa, vivono in un mondo che per molti aspetti è ancora razionale e istruito, che gode di servizi pubblici e almeno di una qualche forma di assistenza sociale. Nonostante le ingiustizie, i loro paesi sono ancora relativamente vivibili. Forse è proprio questo che li induce a credere che l'attuale situazione disastrosa degli Stati Uniti sia stata provocata soltanto da Bush e dai suoi seguaci neoconservatori e che tutto cambierà presto, al massimo entro il 2008, quando l'attuale dirigenza verrà sostituita da politici più degni.

Inoltre molti europei che viaggiano negli Stati Uniti per lavoro o per diletto non si avventurano mai oltre gli stati della costa atlantica o di quella occidentale, che sono sicuramente più attraenti, più aperti all'Europa e più vivaci della maggior parte degli stati centrali. Poco o niente si viene a sapere di ciò che pensano — o non pensano — gli abitanti di quel vasto territorio. Per questo non si capisce perché gli americani abbiano eletto e apprezzato certe figure politiche e ci si aspetta che da un giorno all'altro riprendano a ragionare, come se si trattasse di un comportamento eccentrico ma temporaneo che l'avvento al potere di un altro partito o di un'altra dirigenza basterà a sanare.

Non sono d'accordo. Queste previsioni ottimistiche mi sembrano soltanto un'illusione crudele e pericolosamente fuorviante. Ritengo che dipendano anche da un pregiudizio sociale o intellettuale, da un atteggiamento aristocratico che in maniera più o meno consapevole induce a sottovalutare le opinioni della gente comune. Non possiamo limitarci a ridere delle convinzioni, dei comportamenti e delle reazioni servili di decine di milioni di persone, soprattutto se fanno parte della nazione più potente del mondo che in questo senso è anche potenzialmente la più pericolosa. Ecco perché credo che sia importante analizzare l'origine di questi nuovi sistemi di valori, il modo con cui vengono propagati da una dirigenza reazionaria, e in alcuni casi addirittura fascista, e come vengono trasmessi alla gente comune attraverso strategie a lungo termine sofisticate e molto efficaci, che difficilmente potranno essere sconfitte.


I cambiamenti che ho cercato di evidenziare in ambito politico, civile e religioso rivelano la presenza di una strategia a lungo termine che è stata architettata da élite spregiudicate, molto ricche e molto efficienti. Il loro obiettivo è la costituzione di uno stato oligarchico controllato dalle grandi imprese: uno stato autoritario e antidemocratico, che si avvale di una religione reazionaria e consolatoria per nascondere le sue mire reali e controllare la società civile. Un presidente come George W. Bush rappresenta un valido sostegno, ma non è indispensabile.

Ogni giorno mi trovo di fronte a nuovi elementi che confermano la mia tesi e mi inducono a rivedere intere sezioni di questo libro, per renderlo completo e aggiornato a dovere. Ho ceduto a questa tentazione più di una volta, ma adesso penso che debba prevalere l'urgenza di informare gli osservatori esterni e i molti americani ancora increduli su come stanno veramente le cose negli Stati Uniti. Credo che questo debba essere l'intento prioritario di una ricercatrice impegnata nel sociale. Mi rendo conto che il mio lavoro non potrà che essere incompleto, ma invece di aspirare a un'irraggiungibile universalità enciclopedica, a un'opera che tra l'altro diventerebbe troppo voluminosa per attrarre il grande pubblico, preferisco lanciare un segnale d'allarme, per quanto limitato, ai miei lettori.

Per non essere fraintesa, aggiungo anche che sarei felice di scoprire di essermi sbagliata. La tendenza che descrivo mi appare oggi come un pericolo reale e destinato a durare a lungo, ma ciò non significa che la situazione non possa cambiare. Gli americani hanno dimostrato più volte di essere in grado di reagire in maniera intelligente ed efficace.

Vi sono decine, centinaia di movimenti civili che operano in condizioni difficili e non si rassegnano, ma continuano a esrcitare pressioni sul Congresso, a informare i giornalisti pigri e a promuovere azioni di protesta su questioni di carattere locale, nazionale o internazionale. Questo libro si concentra soprattutto sulle strategie della destra, ma ciò non significa che l'opposizione sia del tutto inesistente. I progressisti oggi sono meno visibili, ma non hanno smesso di opporsi a chi disonora la loro nazione e meritano tutto il nostro aiuto. Può darsi che grazie ai loro sforzi anche la grande maggioranza dei cittadini americani si renda conto in tempo di quali sono i suoi reali interessi e di come la destra l'abbia ingannata: può darsi che riesca a liberarsi dei suoi falsi profeti.

È proprio nella speranza di raggiungere questo obiettivo che cerco di fare luce sulle manipolazioni descritte in questo studio, senza pretese di esaustività. Mi riterrei davvero soddisfatta se il libro potesse indurre qualcuno a portare a termine il mio lavoro, e ancor più se potesse convincere i progressisti a interrogarsi sulle strategie con cui la destra ha conquistato un'egemonia culturale impensabile fino a qualche decennio fa, per poi fare buon uso delle risposte.

La presa di potere della destra americana non ha nulla di particolarmente misterioso — i suoi artefici hanno saputo sfruttare strategicamente il denaro, le risorse umane e le strutture organizzative necessarie per raggiungere i loro scopi. Anche i progressisti sono in grado di organizzarsi, di avvalersi del contributo di molte personalità intelligenti e volonterose, e potrebbero contare anche su un aiuto economico, se i loro potenziali finanziatori si rendessero finalmente conto delle loro responsabilità, della necessità di incoraggiare la diffusione delle idee progressiste e illuminate, perché queste idee riescano a incidere sulla realtà.

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Pagina 21

1.
La conquista di un'egemonia culturale



Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per l'assimilazione e la conquista "ideologica" degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che è tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo elabora simultaneamente i propri intellettuali organici.

Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere


La dottrina

Assumere il controllo della cultura di un popolo è un'impresa che richiede astuzia, strategia e determinazione, e che non può prescindere da un sistema di valori. Per poter comprendere gli assunti di fondo e le principali convinzioni che oggi costituiscono il "senso comune" dell'opinione pubblica americana, conviene dunque cominciare dalla dottrina. Trattandosi di un insieme di credenze, possiamo paragonarla a una religione che, come tutte le religioni, non viene quasi mai praticata nella sua forma più pura. Se così fosse, dovrebbe professare principi di questo tipo:

- una soluzione interna al mercato è sempre da preferire a un intervento o a una regolamentazione da parte dello stato;

- l'impresa privata è superiore all'ente pubblico per qualità, efficienza, reperibilità dell'offerta e per i costi più contenuti;

- il libero mercato può provocare qualche difficoltà temporanea a una parte della popolazione, ma in ultima analisi apporta sempre benefici maggiori all'intera società di qualsiasi paese rispetto al protezionismo;

- è normale e auspicabile che i settori della sanità e dell'istruzione siano controllati da imprese che operano a scopo di lucro;

- la riduzione delle tasse, soprattutto per le fasce sociali più alte, garantisce maggiori investimenti e di conseguenza un incremento del benessere per tutta la popolazione;

- le diseguaglianze economiche sono insite in qualsiasi società e dipendono probabilmente da differenze di natura genetica o di razza;

- i poveri possono accusare soltanto se stessi, perché chi si dà da fare viene sempre ricompensato;

- una società che sia davvero libera non può esistere senza il libero mercato; ne consegue che capitalismo e democrazia si sostengono a vicenda;

- l'aumento delle spese per la difesa e un solido apparato militare garantiscono la sicurezza della nazione;

- per ragioni storiche, per i loro ideali e perché hanno un sistema democratico più avanzato, gli Stati Uniti devono avvalersi della loro potenza economica, politica e militare per intervenire negli affari interni di altre nazioni, al fine di promuovere il libero mercato e la democrazia;

- tali interventi, che servono per ripulire il mondo dai membri indesiderabili e distruttivi della comunità internazionale, e che in ultima analisi si rivelano utili per tutti, saranno accolti con favore anche dai popoli delle altre nazioni.

Anche se i sindacati americani si oppongono alle misure economiche più liberiste e se qualche gruppo sociale o minoranza non crede in alcuni di questi principi, negli Stati Uniti la maggior parte dei cittadini condivide nel complesso quanto enunciato. Gli assunti che legittimano l'interventismo militare sono stati ancora una volta tragicamente smentiti dal conflitto in Iraq, che al pari delle guerre in Vietnam, Cambogia, Cile e Nicaragua e delle molte altre azioni militari intraprese hanno provocato soltanto massacri e rivolgimenti, per concludersi con una sconfitta. Attualmente, negli Stati Uniti, la maggioranza dei cittadini si dichiara contraria alla guerra in Iraq, ma ciò non significa che abbia smesso di credere al principio dell'interventismo e all'idea della grande missione americana.

L'americano medio non è incoraggiato a discutere il ruolo del suo paese sulla scena internazionale - al contrario, in questo campo la disinformazione è spesso abissale - e ancor meno a riconoscere i diritti, gli interessi e gli spazi delle altre nazioni. Nessuno lo induce a porsi degli interrogativi fondamentali quali: "A che serve l'economia? Ad assicurare i lauti guadagni di una minoranza oppure a provvedere ai miei bisogni, a quelli della mia famiglia e dell'intera società?". E ancora: "Quale dovrebbe essere il ruolo del governo? Potrebbe fare di più per la popolazione?". Se i cittadini tacciono, la colpa non è loro. In ogni sua espressione, dai media alla maggior parte delle scuole e alle pratiche religiose più diffuse, la cultura americana ostacola la formazione di un pensiero critico su tali argomenti.

D'altra parte, di solito gli americani hanno convinzioni ben definite e sono più che disposti a lanciarsi in vigorosi dibattiti su tematiche relative a quella che potremmo definire come "politica del corpo" - l'interruzione di gravidanza, l'omosessualità e le unioni omosessuali, la ricerca sulle cellule staminali, l'eutanasia - oppure sulla definizione dei diritti fondamentali. Il diritto di possedere un'arma, di pregare in una scuola pubblica, di insegnare l'educazione sessuale contro il volere dei genitori possono essere inclusi tra questi? Poiché di solito crede nell'aldilà, la maggior parte dei cittadini americani è anche molto interessata alle sorti dell'anima dopo la morte, come vedremo nei capitoli successivi. Molti di loro non sono istruiti e possono essere ingannati facilmente, ma questo non significa che siano sciocchi. Su George W. Bush, per esempio, si sono fatti un'opinione precisa. Due volte all'anno, il Pew Research Center chiede a un campione rappresentativo della cittadinanza di riassumere in una parola la sua opinione sul presidente. A febbraio del 2005, i giudizi più ricorrenti erano "onesto" e "buono", mentre due anni dopo, a febbraio del 2007, erano diventati "incompetente" e "arrogante".

Gli atteggiamenti acritici e le convinzioni dogmatiche che ho descritto in apertura si sono imposti soltanto negli ultimi trent'anni. Come è potuto accadere e perché? Si è trattato di un percorso naturale e spontaneo, oppure di un cambiamento di tendenza indotto da condizionamenti espliciti o più occulti? Questo capitolo affronta la questione in ambito politico, economico e civile. Ci occuperemo in seguito degli sviluppi della destra religiosa, che pure sono significativamente connessi. In questa sede consideriamo invece quelle forze che si sono coalizzate per mettere a punto un'ideologia comune e la loro progressiva conquista, ancora in atto e non del tutto compiuta, ma strategicamente vincente, di una "egemonia culturale". Antonio Gramsci si avvale di questa definizione per descrivere il modo con cui la classe dominante riesce a imporre la propria ideologia. Le élite neoliberiste sono riuscite a introdursi progressivamente in tutte le nostre istituzioni pubbliche e private. Questo accade anche in Europa e in altri continenti, ma negli Stati Uniti il controllo dell'opinione pubblica e di conseguenza del potere politico è pressoché totale.

L'ascesa della destra è frutto di una strategia a lungo termine di cui i progressisti si sono accorti a malapena, e che non hanno mai saputo contrastare. Una facoltosa minoranza di neoliberisti l'ha messa in atto, avvalendosi sapientemente di quanto era stato seminato negli anni quaranta e cinquanta. All'inizio del Ventunesimo secolo, i semi si sono trasformati in piante vigorose. Nelle pagine che seguono, esamineremo gli sviluppi di questa operazione dalle sue radici filosofiche alla sua piena affermazione ai giorni nostri, identificandone i principali ideatori, i loro scopi e le strategie messe in atto.

Alcuni sostengono che "non c'è ragione di preoccuparsi. Tutto tornerà a posto con l'uscita di scena di Bush e della sua cricca". Ritengo che questo ottimismo sia decisamente fuori luogo. Se ci sono voluti anni per costruire l'attuale egemonia culturale, ce ne vorranno altrettanti anche per smantellarla, sempre che sia possibile.


Il New Labour: "Siamo tutti thatcheriani"

Peter Mandelson, amico intimo e consigliere di Tony Blair, è stato insieme a Anthony Giddens l'ideatore della "terza via" laburista. Mandelson è tuttora un membro influente del Partito laburista e dal 2004 fa parte della commissione europea per il Commercio. Stupisce dunque che nel giugno del 2002, di fronte a una platea che includeva i vertici dei laburisti britannici e alcuni visitatori illustri come Bill Clinton, Mandelson abbia dichiarato: "Oggi siamo tutti thatcheriani".

Si trattava forse di un riferimento intenzionale al celebre servizio di copertina di "Time Magazine", che alla fine del 1965 aveva proclamato: "Oggi siamo tutti keynesiani"? L'influente settimanale americano spiegava ai suoi lettori che "a vent'anni di distanza dalla sua morte, le teorie economiche di John Maynard Keynes esercitano un influsso fondamentale sulle libere economie del mondo e in particolare su quella americana, che è quella più ricca e in maggiore espansione... [Le sue idee ci hanno permesso di raggiungere] un livello di benessere che non è mai stato così alto, diffuso e durevole". Il "Time" aveva visto giusto. Nel 1965, quasi tutti gli esponenti di spicco della società americana si professavano keynesiani o seguaci di una qualche altra tendenza socialdemocratica. L'idea di essere dei thatcheriani, ovvero dei neoliberisti, sarebbe apparsa ridicola. Eppure, quindici anni dopo l'uscita di quell'articolo di copertina del "Time", la presidenza degli Stati Uniti è passata a Ronald Reagan, un alter ego più affabile di Margaret Thatcher.

A prescindere dai possibili riferimenti, bisogna riconoscere a Mandelson la sua schiettezza. Nemmeno quant'anni dopo la celebrazione di Keynes da parte del "Time", la sinistra si accingeva a seppellire ufficialmente il poveretto una seconda volta e a relegarlo nel limbo. La sorprendente dichiarazione di Mandelson si basava su queste premesse: nell'aprile del 2002, il candidato socialista alla presidenza in Francia Lionel Jospin aveva subito una sconfitta umiliante, collocandosi al terzo posto e riducendo il ballottaggio a una scelta tra la destra di Jacques Chirac e l'estrema destra di Jean-Marie Le Pen. In quello stesso anno, molti altri esponenti della socialdemocrazia europea erano stati battuti in maniera analoga. George Bush aveva già sconfitto il successore naturale di Clinton, Al Gore, o quantomeno era riuscito a manipolare i voti della Florida con l'aiuto del fratello, governatore di quello stato, e a farsi attribuire la vittoria dalla Corte suprema.

Mandelson non sembra aver preso in considerazione l'ipotesi che queste sconfitte fossero causate da un voto di protesta contro la svolta a destra di molti governi cosiddetti "progressisti". Piuttosto ha preferito concludere che l'elettorato si fosse espresso a favore di una "riforma" antikeynesiana analoga a quella che Margaret Thatcher aveva in precedenza imposto a un'Inghilterra riluttante, con la privatizzazione massiccia dei servizi pubblici e un'enfasi sulla "flessibilità" dei mercati per quanto riguarda le merci, i servizi, il capitale, e soprattutto la forza lavoro. Negli Stati Uniti, Bill Clinton aveva già messo in atto una simile svolta con successo, conseguendo una significativa riduzione della spesa sociale e un notevole aumento dei detenuti nelle carceri.

La "terza via" si fonda sul presupposto che è inutile combattere contro le forze del libero mercato, e che non è nemmeno auspicabile provarci. La globalizzazione attuata dal capitalismo viene considerata come un dato di fatto, non più come un problema da risolvere o come uno stato di cose da criticare né tantomeno da cambiare. Se il mercato non può essere contrastato perché è destino che prevalga, gli osservatori intelligenti e i politici socialdemocratici devono limitarsi a prendere atto della realtà e a ripetere il grido di battaglia di Margaret Thatcher: "Non ci sono alternative".


Le radici filosofiche del neoliberismo

Qual è dunque il pensiero di Margaret Thatcher e dei suoi sostenitori, inclusi i seguaci di Bush e Reagan e i neoconvertiti come Peter Mandelson? In che consiste e cosa sottende la loro dottrina? Come è riuscita a imporsi e a diventare dominante, non soltanto tra le fila dei conservatori e dell'estrema destra ma anche all'interno del Partito democratico americano e di molte formazioni socialdemocratiche europee? Un cambiamento tanto radicale impone una spiegazione.

La risposta al primo interrogativo è nota. Il thatcherismo è una dottrina che predica il libero mercato, un'economia monetarista, l'incremento delle spese per la difesa, la privatizzazione degli enti pubblici e una riduzione delle tasse per i redditi più elevati. Prescrive anche una linea dura contro i sindacati, un'opposizione su tutti i fronti allo stato sociale e un atteggiamento di apertura amichevole nei confronti delle grandi imprese.

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Pagina 126

4.
L'assalto all'Illuminismo:
i condizionamenti imposti all'istruzione
pubblica e alla ricerca scientifica



Con solide e immutevoli leggi immortali / Impresse sulla Natura dalla possente Causa Prima / Racconta, Musa! / Di come emersero dalla lotta degli elementi / Le forme organiche, e presero vita... Così, per nascita spontanea e senza genitore / Sorgono i primi minuscoli frammenti di terra animata / Dal grembo della natura sciamano piante e insetti / E boccioli o respiri, di proporzioni microscopiche...

Erasmus Darwin, 1731-1802, Il tempio della natura


Se l'universo è frutto della sapienza, dell'abilità e dell'astuzia di un progettatore intelligente, il fatto che quasi tutte le sue creature si estinguano solleva un interrogativo inquietante. Se il loro creatore è così intelligente, perché non durano?

Kenneth Miller, docente di biologia alla Brown University di Providence, Rhode Island


Negli ultimi vent'anni, l'espressione "dumbing down" è entrata a far parte dell'inglese standard, soprattutto angloamericano, per indicare un impoverimento del livello culturale ed è ormai riconosciuta e accreditata a tutti gli effetti, anche se il mio computer si ostina a sottolineare in rosso la parola "dumbing". Non sono riuscita a individuarne l'origine — ho scritto perfino a William Safire, esperto linguistico del "New York Times", senza ottenere risposta – ma sicuramente era già d'uso comune prima del 1996, quando la neoconservatrice Phyllis Schlafly se ne servì per lanciare un attacco denigratorio ai danni della pubblica istruzione americana. In buona parte, l'espressione si limita a riproporre le lamentele che si susseguono dai tempi di Platone, "denota una semplificazione della cultura, del pensiero e dell'istruzione, un declino della creatività e dell'innovazione, un degrado degli standard artistici, culturali e intellettuali, o anche un rifiuto del concetto stesso di standard e una banalizzazione delle creazioni culturali, artistiche e accademiche".

È innegabile che il problema ci sia, ma in questa sede non ho la pretesa di discutere nei dettagli il declino della cultura americana e delle istituzioni coinvolte (le scuole, i media e via dicendo). Del resto, esistono esperti ben più qualificati di me che se ne occupano da diversi decenni. Intendo invece soffermarmi sull'attacco che le truppe d'assalto della destra hanno sferrato alla ricerca scientifica, alla pubblica istruzione e in generale alle fragili conquiste che la mente umana ha acquisito negli ultimi quattro secoli. Il loro obiettivo è quello di affossare qualsiasi conoscenza che contraddica i loro dogmi.


Scienza e religione: due mondi lontani

Al pari della scienza, la destra religiosa si interroga sulle questioni fondamentali che riguardano la vita, in particolare sulle origini e sul destino degli esseri umani, ma le somiglianze finiscono qui. La ricerca scientifica sottende una visione dell'universo e dell'uomo che è incompatibile con quella religiosa. Se chiedessimo a uno scienziato di descrivere il ruolo della Terra e della specie umana all'interno del cosmo, otterremmo una risposta di questo tipo: "Eccoci qua, confinati su un pianeta minuscolo e imperfetto che sfreccia a circa trenta chilometri al secondo intorno a una stella insignificante che chiamiamo sole. La Terra è un puntino infinitesimale in una qualsiasi galassia tra centinaia di miliardi, in qualche angolo periferico di un universo di cui non riusciamo nemmeno a individuare la fine, e che per quanto ne sappiamo potrebbe essere soltanto uno dei molti universi esistenti".

Proviamo a introdurre un confronto con un'immagine più familiare. Se l'universo, quello su cui abbiamo qualche limitata conoscenza, avesse le dimensioni minuscole del nostro pianeta, la Terra potrebbe essere l'unica cellula di un batterio che si trova sul manico di un attrezzo riposto nell'ultimo cassetto del banco da lavoro di un'officina meccanica, in un imprecisato sobborgo di Kansas City o di Swindon. Ovviamente, questo non impedisce alla religione di interrogarsi, al pari e a volte anche più della scienza, su temi fondamentali quali le origini della vita e del nostro o di qualsiasi altro universo, il significato dei concetti di tempo, luce e gravità, la presenza di un ordine nel cosmo, la prevedibilità dei fenomeni naturali, il fatto che la mente umana sia in grado di decifrare le leggi della natura e perfino di inventare delle formule matematiche che trovano un'applicazione scientifica soltanto a posteriori. La scienza non si contrappone alla religione, si limita a proporre una descrizione il più possibile oggettiva della nostra realtà e di ciò che ci circonda.

Sentirsi dire che si è irrilevanti, a livello cosmico o locale, è comunque sgradevole. Le autorità religiose si oppongono da sempre all'idea che gli esseri umani e la Terra abbiano relativamente poca importanza nell'universo. Ci sono voluti secoli perché la chiesa cattolica romana accettasse la visione copernicana secondo cui la Terra gira intorno al sole, e non viceversa. Il celebre "Eppur si muove" mormorato da Galileo al momento della sua sofferta resa all'inquisizione risuona ancora in difesa della ragione. Pur essendo credente, Galileo scriveva che "la Bibbia ci indica la via per andare in cielo, non il modo con cui i cieli funzionano". Ma i suoi libri vennero bruciati ed egli fu costretto a trascorrere il resto della vita confinato nella sua dimora. Per la riabilitazione di Galileo, "Le due verità non possono mai contrariarsi", si sono dovuti attendere i tempi di Giovanni Paolo II.

Pertanto la dottrina del creazionismo che si è diffusa negli Stati Uniti e che rimanda a un'interpretazione letterale della Genesi - compresi i sei giorni della creazione, Adamo ed Eva, il serpente, la mela e via dicendo - non introduce niente di nuovo. Fa parte di quel tentativo di tramandare, difendere e se possibile imporre come verità oggettiva una visione mitica e poetica della realtà che caratterizza da secoli la pratica religiosa. Poiché di solito i credenti si interessano soprattutto della loro sorte, di ciò che Dio ha disposto per loro, è comprensibile che si sentano attratti da un racconto che comincia proprio spiegando le ragioni della loro esistenza su questo specifico pianeta.

Per i cristiani, la Bibbia rivela - in termini più o meno metaforici, a seconda dell'interpretazione e del grado di istruzione del lettore - l'importanza che Dio attribuisce alla creazione, al mondo e in particolare all'uomo, che viene posto al vertice dell'ordine del creato. La narrazione del serpente che convince Eva a disubbidire a Dio e a nutrirsi del frutto dell'albero della conoscenza rende conto della comparsa del male e del peccato. L'uomo - inteso come individuo, ovvero con un'estensione di significato che, come spiega in maniera involontariamente ironica un dizionario di francese, "abbraccia la donna" - è soggetto al peccato perché il "peccato originale" è una macchia che si tramanda di generazione in generazione, e alla quale nessuno può sottrarsi. Secondo la Bibbia, Dio decide in seguito di sacrificare il sangue del suo "unico figlio concepito" per lavare i peccati del mondo e redimere l'uomo dal peccato originale - ma soltanto a patto che si converta al cristianesimo e riconosca in Gesù Cristo il figlio di Dio.

La successione degli eventi è significativa: se Eva non avesse disubbidito alla legge divina non esisterebbe il peccato originale, senza il peccato e la conseguente colpa dell'umanità non ci sarebbe bisogno di un redentore e senza questa esigenza non potrebbe esserci l'avvento di Gesù Cristo in soccorso all'anima umana destituita. Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono complementari: i profeti indicano il cammino e tutti gli eventi risultano concatenati e prescritti dalla volontà divina. Per questo molti credenti ritengono che il Vecchio Testamento debba essere interpretato in senso letterale. In caso contrario anche il Nuovo Testamento, il racconto della vita di Cristo, della morte sulla croce e della resurrezione potrebbero essere messi in dubbio o diventare perfino irrilevanti per la condizione umana.

Secondo la Bibbia, anche le caratteristiche fisiche della Terra e di tutte le creature viventi sono frutto della volontà di Dio. La divina provvidenza ha sempre provveduto e sempre provvederà a soddisfare i nostri bisogni materiali. Dio assegna anche un destino specifico a ogni singolo essere umano. Come ricorda un vecchio inno revivalista, "il mondo intero è nelle sue mani". Dio si preoccupa della salvezza ultima dell'umanità e la Bibbia è come una guida che indica la giusta strada. Se la si segue si vivrà per sempre, altrimenti è finita.

Per chi è in grado di interpretare i testi sacri, ogni essere vivente e ogni evento terreno passato o presente diventa espressione della volontà divina. Il progetto originario è contenuto nella Bibbia, ma la volontà divina continua a manifestarsi attraverso la storia dell'umanità. La parola di Dio e i suoi atti sono una cosa sola, come ricorda il celebre inizio del vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo". È sufficiente che Dio pronunci una parola perché questa diventi realtà, come nel versetto biblico: "E Dio disse: 'Sia fatta la Luce' e la Luce fu". Anche le nostre preghiere possono incidere sulla sua volontà. Questo è molto importante per l'umanità che soffre: le cose accadono per ragioni che non sempre è dato conoscere, ma talvolta possiamo cambiare il nostro destino rivolgendo umilmente le nostre suppliche a Dio.

Per arrivare al nodo cruciale di questo rapido confronto tra scienza e religione, possiamo dire che il metodo scientifico, che si basa sullo studio delle cause naturali nonché su ipotesi confermate sperimentalmente e di cui è possibile dimostrare la falsità, non ha niente in comune con la fede religiosa, a eccezione di una sensazione di stupore e bellezza che talvolta entrambi possono comunicare.

Pertanto c'è poco da stupirsi se scienza e religione sembrano destinate a contrapporsi in uno scontro senza fine. Se si considerano le vittorie riportate bisogna ammettere che nella maggior parte dei casi, almeno nella storia del nostro piccolo pianeta, la religione ha avuto la meglio. Per essere precisi, la religione monoteistica ha avuto la meglio nell'ambito della civiltà occidentale giudaico-cristiana, che è quella che più ci interessa in questa sede.

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Un avvertimento conclusivo

L'assalto contro l'Illuminismo viene sferrato contemporaneamente dal basso - dai creazionisti della giovane Terra e da genitori poco istruiti con dei figli destinati a saperne ancora di meno - e dall'alto - da abili avvocati con tanto di dottorato che diffondono la loro propaganda antiscientifica grazie alla compiacenza di alcuni media. Tra questi due estremi, il pensiero razionale e ispirato ai principi della tradizione democratica è ancora in grado di suscitare vasti consensi. Pertanto non illudiamoci di riuscire a stabilire un dialogo con gli estremisti, siano essi i più scaltri o i più ignoranti. Queste persone non sono interessate a discutere, vogliono convertire o imporre le loro ragioni e basta. In attesa di conquistare il potere, inventano qualsiasi astuzia per eludere il dissenso. E non appena è possibile, non esitano a ricorrere alla coercizione.

Questo è anche il parere di Joe Bageant, uno scrittore di talento che li conosce bene perché è cresciuto in quell'ambiente e suo fratello è un predicatore fondamentalista. Bageant torna spesso a visitare la sua famiglia - brava gente che gli è affezionata, anche se non riescono a intendersi - e conviene prestare ascolto alla sua descrizione della realtà in cui vivono: "I fondamentalisti religiosi si abbandonano a stati mentali di origine arcaica, a una dimensione liminare della coscienza che nell'individuo moderno è scomparsa o si è atrofizzata da lungo tempo. Sono in grado di esperire degli stati di estasi, come l'adorazione e il rapimento... inaccessibili alla maggior parte di noi: stati mentali che non hanno nulla a che vedere con la ragione e la logica, e che anzi si configurano come antitetici".

Bageant torna a trovare la sua famiglia e gli amici fondamentalisti ma si guarda bene dall'accompagnarli in chiesa, perché sarebbe troppo pericoloso. È consapevole di poter ricadere in uno stato estatico e teme di scoppiare a piangere, di pronunciare parole senza senso, di soccombere a quella dimensione irrazionale che sopravvive a dispetto della sua nuova identità laica di progressista impegnato. "È come una pulsione collettiva che ti trascina verso l'arcaico, un impulso che può rivelarsi molto più potente del previsto." Una specie di psicosi di gruppo in cui l'individuo si abbandona alla beatitudine e all'appagamento emotivo, a "una gioia colma di trepidazione e bellezza, a una sensazione di benessere e di amore".

Se il rito viene praticato regolarmente, questa droga miracolosa continua a fare effetto, altrimenti svanisce nel tempo. Molti rimangono affascinati dall'esperienza e decidono di entrare a far parte della comunità, anche a costo di trovarsi senza lavoro e di dover accettare qualsiasi impiego di fortuna, faticoso e malpagato. Portare il figlio dal dottore anche solo per una visita può costare un'intera giornata di stipendio, le loro carte di credito sono perennemente in rosso e i creditori li perseguitano senza tregua. Ma non è mia intenzione giudicarli, non sarò io a scagliare la prima pietra. Questa esperienza mistica può essere molto più gratificante della tetra realtà in cui vivono le classi lavoratrici e perfino i ceti medi negli Stati Uniti. E può offrire un sentimento di appartenenza che niente e nessuno riuscirà ad affossare.

In confronto all'intenso piacere di abbandonarsi al calore del gregge, la fredda ragione riserva poche attrazioni. Gli adepti al culto si stringono assieme e dimenticano l'ostilità di un mondo esterno che non condivide la loro fede. Se la situazione politica peggiora, non cercano di difendere una democrazia conquistata a duro prezzo, perché da tempo hanno smesso di fruire dei suoi benefici. I governi democratici e repubblicani si equivalgono, perché entrambi possono offrire soltanto un duro lavoro, sempre a patto che si riesca a trovarlo, o l'insicurezza totale. È comprensibile che questi soggetti preferiscano uno stato teocratico, in cui i non credenti verrebbero privati di ogni diritto. In questo sono molto simili ai fondamentalisti islamici, che vivono in condizioni analoghe e condividono le loro vedute.

Non si tratta soltanto di una diatriba sulla ragione, né di una specie di concorso per eleggere la "religione migliore". La posta è molto più alta, perché implica una scelta tra il modello di società e il concetto di progresso umano affermatisi con l'Illuminismo e la dottrina fondamentalista della legge biblica, oscurantista e rassicurante. Negli Stati Uniti, il numero di persone indigenti che ha al massimo un diploma di studi secondari è di circa tre volte superiore a quello dei laureati benestanti della classe media.

Il fanatismo e l'indottrinamento si presentano sempre con le stesse dinamiche. Ricordo ancora l'impressione che mi fece, anni fa, la rappresentazione di Rinoceronti di Eugène Ionesco. Ionesco descrive una pressione sociale talmente forte da trasformare dei normali cittadini in rinoceronti. Gli esseri umani non riescono a sottrarsi alla metamorfosi, nonostante i loro tentativi di resistenza. L'autore voleva proporre una parabola sugli effetti della propaganda fascista o comunista, ma il fondamentalismo religioso non è poi così diverso.

Per questo è tempo di prestare ascolto all'invito che Joe Bageant rivolge a noi democratici della classe media, agli individui tolleranti, intelligenti, bene istruiti e sempre aperti al dialogo: "Svegliatevi. I vostri nemici sono peggiori di quello che pensate".

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