Copertina
Autore Ann Gibbons
Titolo Il primo uomo
SottotitoloL'avventura della scoperta dei nostri antenati
EdizioneCodice, Torino, 2009 , pag. 258, ill., cop.fle., dim. 14x21,5x1,7 cm , Isbn 978-88-7578-126-2
OriginaleThe First Human. The Race to Discover Our Earliest Ancestors [2006]
TraduttoreLaura Appiani
LettoreRenato di Stefano, 2009
Classe evoluzione , antropologia , storia: Africa
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Indice


  IX    Mappa: la culla dell'umanità
   X    Le scoperte fossili del "primo uomo" anno per anno
 XII    Time line: la famiglia umana
XIII    I cacciatori di fossili
 XIX    Introduzione

        Parte I. Passi antichi

   5  1 Pionieri d'Africa

  27  2 Lo spartiacque continentale

  39  3 Il primo antenato

  51  4 Tracciando le discendenze

  61  5 Lucy, il tardo antenato

  71  6 Definire l'uomo

  81  7 Esilio


        Parte II. Il decennio della scoperta

101   8 La signora del lago

111   9 Una veduta di Afar

119 10 La scimmia alla radice

135 11 West Side Story

149 12 Guerre di territorio

163 13 Sulla linea di partenza

175 14 Millennium Man

189 15 Toumaï


        Parte III. La saggezza delle ossa

205 16 Ossa contese

217 17 L'habitat per l'umanità


225 Glossario
229 Note
239 Bibliografia
245 Ringraziamenti
248 Indice analitico


 

 

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Pagina XVII

Un giorno d'estate, nel luglio del 1995, Michel Brunet ebbe il presentimento d'essere sul punto di fare una grossa scoperta. Brunet, misconosciuto paleontologo francese, al tempo cinquantacinquenne, si era recato a Addis Abeba per cercare la verità nelle antiche ossa custodite nei sotterranei del Museo Nazionale d'Etiopia. Consapevole che l'accesso ai reperti non sarebbe stato affatto scontato, si presentò lì con la sua offerta: un osso mascellare di 3,5 milioni di anni che aveva trovato nelle sabbie mobili del deserto del Djurab nel Ciad. Sperava di confrontarlo con i celebri fossili rinchiusi nel museo, compresi quelli dei più antichi membri della famiglia umana allora conosciuti.

Ad accoglierlo c'era Tim White, paleoantropologo quarantaquattrenne di Berkeley, che stava emergendo come miglior cacciatore di fossili della sua generazione. Col suo spirito pungente e la sua manifesta intolleranza nei riguardi di chi non stima, White saprebbe scoraggiare chiunque voglia accedere ai fossili trovati dalla sua squadra. In effetti, aveva respinto dei ricercatori giunti fino in Etiopia per vedere i fossili ancora in fase di studio. Ma White riconobbe subito in Brunet un compagno di viaggio: entrambi condividevano una passione profonda per i fossili. Entrambi erano instancabili nel lavoro sul campo, cui ritornavano di anno in anno. Ed entrambi avevano già rischiato la vita nella ricerca dei fossili: White aveva sofferto di malaria, giardiasi, dissenteria, epatite e polmonite; Brunet era alle prese con problemi cardiaci. Insomma, Brunet non era certo l'antropologo "da salotto" che voleva avere un'anteprima dei fossili che White e suoi colleghi stavano ancora analizzando.

Non passò molto prima che White e due suoi ex studenti aprissero a Brunet le casseforti per mostrargli dei fossili che avevano la stessa età dell'osso che lui aveva portato, affinché potesse identificarlo. Mentre studiavano le ossa e confrontavano gli appunti sui letti fossili sui quali avevano lavorato, Brunet ebbe una rivelazione: la sua squadra aveva trovato nel Ciad gli stessi tipi di ossa animali che White e i suoi colleghi avevano trovato in Etiopia insieme ai fossili dei primi antenati dell'uomo.

La cosa sembrò incoraggiante per Brunet, perché White e suoi colleghi avevano scoperto il più antico membro della famiglia umana allora conosciuto: una creatura delle dimensioni di uno scimpanzé, chiamato Ardipithecus ramidus, che viveva nelle foreste della Rift Valley etiopica 4,4 milioni di anni fa. La squadra di White aveva trovato delle particolari specie estinte di maiali, colobi, e carnivori affini. Anche Brunet aveva trovato questi stessi tipi di animali in sedimenti di età analoga, e quindi cominciò a chiedersi se davvero nel Ciad non si fosse imbattuto nell'habitat dei primi uomini. Era forse sulle tracce di uno dei più antichi membri della famiglia dell'uomo?

Quando Brunet disse di aver trovato anche alcuni gerbilli estinti, White scosse la testa: «Quei piccoli roditori vivono in luoghi secchi», disse. «I primi ominidi, invece, vissero nelle foreste». Lì, dunque, non avrebbe trovato nessun ominide.

Brunet disse a White che forse aveva ragione. Ma sapeva anche che nel Ciad c'erano sedimenti ancora più antichi: letti fossili in cui le ossa animali avevano almeno sei milioni di anni, e a quel tempo l'habitat poteva essere stato boscoso. Nonostante la sua squadra dovesse ancora esplorare quei letti sabbiosi, Brunet sapeva che erano più antichi dei siti fossili del Medio Awash in cui uno studente di White, Yohannes Haile-Selassie, aveva recentemente iniziato a cercare. Brunet aveva il sentore che l'osso mascellare che aveva trovato fosse solo il preludio a scoperte ancora più antiche che sarebbero emerse dalle dune desertiche del Djurab, che aveva appena iniziato a esplorare.

Quel giorno del 1995 Brunet fece una previsione coraggiosa: scommise con White che, malgrado i gerbilli, avrebbe trovato l'ominide più antico, lo sfuggente antenato mancante. Il misconosciuto francese avrebbe avuto la meglio sull'americano ben più famoso e ben più finanziato. «Sto lavorando su sedimenti più antichi», disse in tono quasi scherzoso. «Vincerò».

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Pagina XIX

Introduzione


Mentre il sole sorgeva su un accampamento nel deserto del Djurab nel Ciad, Michel Brunet si alzò dalla sua branda e vide apparire sulle dune dei nomadi coi loro cammelli, quasi un miraggio nella luce del primo mattino. Subito si irrigidì, domandandosi se questi uomini e donne arabi appartenessero alla bellicosa tribù del Nord che per trent'anni aveva guerreggiato con le tribù del Sud sul territorio desolato, cospargendolo di mine. Ma quando gli uomini dagli abiti svolazzanti e i turbanti bianco-blu gli sorrisero, e le donne gli offrirono tè e latte di cammello, capì che erano pastori di cammelli di Gorane, che vagavano in cerca d'acqua. Quando gli uomini della sua squadra si misero a conversare con loro, si sentì sollevato. Nel momento in cui Brunet si apprestava a partire, i nomadi gli rivolsero l'abituale benedizione nella loro lingua, chiedendo ad Allah di proteggerlo e di donargli la felicità.

Più tardi, quella mattina, lo stesso Brunet si sentì un po' nomade mentre camminava tra le dune sabbiose. Doveva essere una strana apparizione anche per i nomadi che erano andati a vederlo lavorare. Adesso, a sessantacinque anni, potrebbe sembrare la versione barbuta dell'attore Anthony Hopkins, coi capelli grigi tirati indietro a svelare una fronte alta e brillanti occhi blu. Ma la mattina del 23 gennaio 1995, Brunet si era fasciato la testa con un panno e aveva indossato una maschera da sci per prepararsi a un altro giorno di lavoro nel Djurab, dove la sabbia soffia incessantemente e si insinua negli occhi, nelle orecchie, nel naso e nella bocca. Le temperature possono diventare tanto alte che i contenitori di plastica delle bevande lasciati all'ombra delle macchine e delle tende — l'unica ombra disponibile — possono esplodere spontaneamente.

Appena Brunet raggiunse gli altri uomini del suo gruppo si dispersero lungo l'area, ciascuno camminando lentamente, piegato in avanti in modo che non gli sfuggisse nulla di ciò che avvistava al suolo. Stavano scrutando la superficie desertica in cerca di ossa, passando e ripassando sullo stesso terreno così da non tralasciare nemmeno i fossili più minuscoli. Stavano ben attenti a non toccare nulla di metallico, nel caso fosse una delle mine lasciate dai ribelli del Nord, letali ricordi della guerra civile intrapresa con le forze governative in questa regione desolata. Era un lavoro tedioso che si sarebbe concluso non appena il sole fosse salito più in alto, e con il sole anche la temperatura. Brunet tentava di rimanere concentrato sul cumulo davanti a sé, quando scorse un osso che spuntava dalla sabbia. Si lasciò sfuggire un urlo. Ma era solo il fossile di un maiale.

L'autista del Ciad, Mamelbaye Tomalta, chiamò Brunet perché lo raggiungesse. Aveva trovato un osso dentato conficcato in terra. Brunet non dimenticherà mai cosa vide quando spazzò via la sabbia. Sembrava la mascella di una scimmia antica, ma la forma dei denti lo sorprese. Presentavano una somiglianza più stretta con quelli di un uomo. Presto comprese che stava guardando l'osso mascellare di uno dei primi antenati dell'uomo, che aveva vissuto sull'antica riva del lago Ciad circa 3,5 milioni di anni prima.

Più tardi, quella notte, Brunet non riuscì a dormire. Mentre giaceva sveglio sul suo letto da campo, ricordò la benedizione dei nomadi e si chiese se davvero questa scoperta gli avrebbe portato la felicità. Si alzò due volte solo per illuminare la mascella con la torcia, mentre gli uomini della sua squadra dormivano nella tenda alle sue spalle. Voleva assicurarsi che non stesse sognando, che l'osso fosse vero. Una sola ombra offuscò quel momento: non avrebbe potuto mostrare il fossile al suo collaboratore di sempre, il geologo Abel Brillanceau, morto sei anni prima di una forma di malaria resistente ai farmaci, mentre cercavano fossili nella foresta del Camerun. Brunet quella notte promise di chiamare la mascella fossile "Abel". Qualche giorno dopo, trovato un telefono a N'Djamena, chiamò un altro amico e collega di vecchia data, il paleontologo dell'Università di Harvard David Pilbeam, che aveva fatto parte della stessa missione in Camerun. Era mattina presto a Cambrige (Massachussets), e Brunet svegliò Pilbeam. Disse solo: «David, l'ho trovato». Pilbeam capì immediatamente cosa intendeva, e fu enormemente felice per Brunet. Se qualcuno meritava di fare una scoperta del genere, questo era lui.

L'osso mascellare fu per Brunet, che mai prima di allora aveva trovato un fossile di un uomo delle origini, un premio a lungo ricercato. Certamente ci aveva provato. Prima del 1995, Brunet si era fatto una reputazione come "paleontologo al servizio dei paleontologi", ed era stimato per la sua abilità nel trovare fossili animali in alcuni dei territori più remoti e ostili del mondo. Le sue avventure sul campo erano leggendarie: fu attaccato da un caccia in Afghanistan, arrestato in Iraq, minacciato con una pistola nel Ciad. Eppure, anche nella sfortuna e senza fondi per il suo lavoro, insistette. Col passare degli anni lasciò il suo laboratorio all'Università di Poitiers, nella Francia centrale, per ritornare sul campo, esplorando perfino nuovi siti nel deserto del Djurab a bordo di una jeep presa a noleggio e con scorte d'acqua sufficienti a malapena per lavarsi i denti. La perseveranza pagò: la sua squadra trovò centinaia di fossili di scimmie minori, elefanti, giraffe, rinoceronti, ippopotami e maiali estinti. Ma c'era un tipo di mammifero che gli sfuggiva: l'ominide. Fino a quel giorno di gennaio, Brunet non aveva neppure mai tenuto in mano un vero fossile umano antico, solo calchi di fossili trovati da altri. Dunque, quando finalmente cullò nella sua mano una mascella di ominide, fu uno di quei momenti che cambiano la vita. Diciannove anni di ricerca di fossili ominidi erano «un sacco di tempo nella vita di una piccola scimmia bipede», dirà Brunet, riferendosi a se stesso.

Ma che cosa rende così allettante un pezzo di osso grigio con denti marcescenti? Perché valeva la pena di rischiare la vita per trovarlo? Brunet allarga le braccia, sospirando in modo tipicamente francese. È un uomo determinato, facilmente irascibile, che si descrive come «matto, francese, povero, un socialista», seppure un socialista che guida una Mercedes. Come se fosse ovvio, dichiara di voler sapere da dove proviene l'uomo. Il problema lo ossessiona da quando lesse L'origine dell'uomo di Darwin, scritto nel 1871. Darwin suggerì che l'essere umano avesse origine in Africa, dal momento che gli scimpanzé e i gorilla africani sono le grandi scimmie più strettamente imparentate all'uomo, e che facciamo tutti parte dell'ordine dei primati. Da allora, gli esploratori hanno cercato "l'anello mancante", un concetto che proviene dall'antica idea della "grande catena dell'essere", per la quale le creature della Terra sono legate le une alle altre, dalla più semplice alla più complessa. Da allora gli scienziati hanno cominciato a cercare fossili che mostrassero come si colloca l'uomo nella natura e quale sia il suo posto nel regno animale.

A partire dalla scoperta dell'Uomo di Giava in Indonesia, nel 1891, da parte dell'anatomista olandese Eugène Dubois, molti fossili sono stati proposti per il ruolo di "anello mancante", per essere poi privati della qualifica nel momento in cui veniva ritrovato un fossile ancora più antico e primitivo.

Il fossile che ha mantenuto più a lungo il posto di primo antenato dell'uomo è stato Lucy, un esemplare femminile delle dimensioni di uno scimpanzé il cui scheletro parziale fu scoperto in Etiopia nel 1974 dal giovane paleoantropologo americano Donald Johanson. Lucy apparteneva alla specie Australopithecus afarensis, che visse nella Rift Valley dell'Africa orientale tra i tre e i 3,6 milioni di anni fa. Per vent'anni i libri di testo hanno individuato nella specie di Lucy la progenitrice del genere umano, che avrebbe originato gli esseri umani di là a venire, nonché alcune discendenze estinte di uomini-scimmia che vissero in Africa. Era una linea di discendenza pulita, gradevole nel suo ordinato dipanarsi di una specie in un'altra.

Attorno alla metà degli anni Novanta, quando Brunet iniziò l'esplorazione dei siti nel Ciad, indizi eloquenti mostravano che questa visione era troppo semplicistica. La storia umana iniziava a sembrare complessa quanto un romanzo di Tolstoj, con nuovi personaggi che apparivano inaspettatamente, mentre il libro della vita man mano si schiudeva. Malgrado la maggior parte dei ricercatori pensasse che ad aver generato la linea di discendenza che ha condotto al moderno essere umano fosse la specie di Lucy, molti suggerivano che questa non rappresentasse l'unica specie umana primitiva presente sul pianeta tra i tre e i quattro milioni di anni fa. Nuovi fossili aggiungevano nuovi rami all'albero genealogico della famiglia umana. Alcuni di essi rappresentavano linee di discendenze estinte. Altre linee di discendenza, che apparentemente coesistettero nel periodo compreso tra uno e tre milioni di anni fa, hanno suscitato il dibattito su quali ominidi appartenessero alla linea che conduce fino alla specie umana moderna. Per qualche tempo è stato anche ovvio che, nel corso della storia dell'uomo, tra questi e l'antenato delle scimmie non ci fosse un solo anello mancante: c'erano molti anelli mancanti sull'unica vera linea di discendenza che in milioni di anni ha condotto all'uomo. E non poteva trattarsi certo di una perfetta via di mezzo che avesse sembianze per metà di scimmia e per metà d'uomo. L'espressione "anello mancante", dunque, perse credito.

Nello stesso momento, mentre facevano la loro apparizione i nuovi fossili, ci fu una rivoluzione nel campo della biologia molecolare. Negli armi Sessanta gli evoluzionisti molecolari suggerirono che i primi protagonisti della storia dovessero ancora essere trovati. La maggior parte degli antropologi non credette a queste conclusioni. Attorno alla metà degli anni Novanta le prove molecolari erano così solide che fu chiaro che il primo capitolo - la genesi del genere umano - era completamente da scrivere. I biochimici avevano identificato lo scimpanzé come il parente vivente più prossimo dell'uomo, sulla base del confronto tra il DNA umano e quello delle altre scimmie.

Quando si allinearono porzioni equivalenti di DNA umano e di DNA di scimpanzé, fu riscontrato costantemente che erano troppe le differenze (o mutazioni) che avrebbero dovuto accumularsi entro il momento in cui nacque la specie di Lucy, circa 3,8 milioni di anni fa. Dal momento che le mutazioni si accumulano su lunghi tratti di DNA a un tasso relativamente stabile nel corso di milioni di anni, ì genetisti possono contare le differenze nel DNA e usarle come un orologio per datare approssimativamente la differenziazione di una specie da un'altra. L'orologio molecolare, impostato con le date provenienti dalla documentazione fossile, ha fissato la differenziazione della specie umana dall'antenato dello scimpanzé molto tempo prima: pressappoco tra i cinque e i sette milioni di anni fa. Eppure, di più antico di Lucy, i cacciatori di fossili avevano trovato solo qualche dente e frammenti mal datati di ossa. Il più grande problema irrisolto nel campo dell'origine dell'uomo era: cosa c'era prima di Lucy? Chi era stato il primo membro della famiglia dell'uomo? E dov'era quella scimmia ancora più antica, quell'ultimo antenato che l'uomo aveva condiviso con gli scimpanzé prima che le due specie si separassero per proseguire nei loro diversi percorsi evolutivi?

Fu questo mistero che nel corso degli anni Ottanta e Novanta condusse Brunet e un manipolo di altri cacciatori di fossili in nuovi siti africani. Brunet e Pilbeam andarono verso ovest; altri, tra cui Tim White, si diressero a est. Tutti si sentivano sul punto di trovare i primi membri della famiglia umana o, quanto meno, i contemporanei strettamente connessi ai nostri più antichi antenati, anche perché le possibilità di trovare proprio gli individui che erano i nostri diretti antenati sì facevano sempre più evanescenti. Con l'aiuto della genetica moderna a supportarli nel decidere quale orizzonte temporale esplorare, e grazie ai nuovi metodi di datazione, i cacciatori di fossili sapevano che stavano per mettere le mani su fossili abbastanza antichi da aver vissuto subito dopo la differenziazione dell'antenato dell'uomo dall'antenato delle scimmie africane. La pista fossile condusse la maggior parte dei cacciatori nell'Africa orientale, a lungo considerata la culla dell'umanità, visto che i riscontri fossili al di fuori dell'Africa orientale e meridionale non riuscivano a infrangere la barriera dei due milioni di anni. La strategia di Brunet di cercare nell'Africa occidentale e centrale era un azzardo, poiché nessun antenato umano più vecchio di un milione di anni era mai stato trovato nel Ciad.

Così, quando si seppe che Brunet si era imbattuto nella mascella di Abel quella mattina del gennaio 1995, la notizia risuonò nel mondo della paleontologia. Si aprì una terza finestra nelle prime fasi dell'evoluzione umana, che aggiunse l'Africa centrale alla teoria che fino ad allora aveva circoscritto l'orizzonte solo all'Africa orientale e meridionale. La scoperta rese Brunet una sorta di celebrità in Francia, dove seguire le tracce delle origini dell'uomo è un passatempo nazionale. Con un'età compresa tra i tre e i 3,5 milioni di anni, la mascella era il più antico fossile ominide mai trovato al di fuori dell'Africa orientale e meridionale. Ciò significa che i primi ominidi dovevano essere molto più antichi e che potevano essere nati fuori dai confini dell'Africa orientale.

Per un piccolo lavoratore del settore poco noto al di fuori della cerchia dei paleontologi, trovarsi al centro dell'attenzione fu seducente. Brunet chiaramente si compiacque dell'"effetto ominide", ma sapeva che questo breve flirt con la celebrità non era nulla in confronto all'immortalità che sarebbe derivata dalla scoperta del primo ominide. Agli antropologi o ai paleontologi non viene assegnato nessun premio Nobel, ma lo scopritore del primo antenato dell'uomo sarebbe diventato tanto famoso quanto il fossile stesso. Nel campo della ricerca sull'origine dell'uomo, i nomi degli scopritori sono legati per sempre ai fossili famosi che hanno trovato: Eugène Dubois e l'Uomo di Giava, Raymond Dart e il Bambino di Taung, Louis e Mary Leakey con Zinj, Donald Johanson e Lucy. Brunet, d'altra parte, diffidava dell'insidiosa influenza della celebrità. Anni dopo, osservò che molti paleoantropologi scopritori dei fossili più famosi nel corso degli anni si erano distaccati dalla scienza. Alcuni furono demoralizzati dalle critiche mosse ai loro fossili, ai quali erano legati quanto alla loro stessa progenie. Altri, che erano andati rapidamente incontro alla celebrità, passarono sempre più tempo in conferenze e davanti alle telecamere, costruendo documentari sulle proprie scoperte, pubblicando le proprie memorie, o procurando finanziamenti alle proprie squadre. Nel 1995 Brunet era un uomo di mezza età, aveva problemi cardiaci, e sapeva di avere ancora molto lavoro da fare. Pertanto prese la decisione consapevole di restare concentrato sulla scienza. Tuttavia era anche pragmatico, e riuscì a trarre vantaggio dalla sua nuova celebrità sfruttandola per convincere i politici francesi a costruire un museo per i fossili a N'Djamena, la capitale del Ciad, e a comprare alla sua squadra un piccolo aereo leggero per le missioni sul campo in Ciad.

La sua ricerca del primo ominide era appena cominciata. Anche quando faceva il giro dei laboratori dei suoi colleghi con il calco del suo fossile, già aveva la sensazione che quell'osso mascellare fosse l'apripista di fossili migliori che sarebbero emersi dalle dune sabbiose del Ciad. Sapeva di essere ben posizionato per trovare qualcosa di ancora più antico e più vicino alle origini della specie umana, perché nel deserto del Djurab aveva trovato fossili di altri mammiferi che erano vissuti più di sei milioni di anni fa. Non poteva datare direttamente questi fossili, ma sapeva che erano specie animali che si erano estinte più di sei milioni di anni fa sulla base della scoperta delle stesse specie presso altri siti africani datati con affidabilità. Questi mammiferi erano fari che guidavano Brunet, indicandogli la strada per i letti fossili che aprirono una finestra sul tardo Miocene, un'epoca compresa tra i 5,3 e gli undici milioni di anni fa, molto prima che Lucy vivesse, in un'era misteriosa di cui praticamente nessun fossile di scimmia è mai stato trovato in Africa. Dopo la scoperta della mascella di Abel, Brunet, a partire dal 1997, concentrò la sua osservazione su questi letti fossili. La sua squadra trascorse settimane e settimane a perlustrare la superficie delle dune e a passare al setaccio fossili che andavano dai denti di roditore della dimensione di cristalli di sale ai musi allungati degli ippopotami. Ben presto si imbatterono in un antico crocevia per le diverse specie di animali che si muovevano lungo la sponda alberata dell'antico lago Ciad.

Le condizioni erano proibitive, anche per gli standard di Brunet. Diverse volte le tempeste di vento seppellirono le loro tende, intrappolandoli all'interno per molti giorni, durante i quali sopravvissero con pasta e tonno, riso e sardine. Quando furono finalmente in grado di avventurarsi al di fuori, dovettero scavare nella sabbia come se fosse neve e tenersi d'occhio l'un l'altro così da non perdere l'orientamento nella tempesta di vento.

Ma il vento era anche loro alleato. Ogni anno, le tempeste di vento erodono quasi tre centimetri di arenaria, facendo ondeggiare lentamente le dune lungo il piatto deserto come le onde nel mare, ed esponendo fossili rimasti sepolti per milioni di anni. La dote di fossili che lasciavano sulla propria scia diede a Brunet la fiducia per rinnovare la sua ricerca. Non voleva niente di meno che trovare il primo antenato dell'uomo. E sapeva di non avere tempo da perdere: altre due squadre erano già davanti a lui, compresa quella di White. Ed erano già ben instradate, sulle tracce del cammino degli antenati più antichi: quelli che vissero più di quattro milioni di anni fa. Chi ce l'avrebbe fatta?


Nel gennaio del 1995, stesso mese in cui Brunet scoprì la sua mascella nel Ciad, Tim White si trovava duecentocinquanta chilometri più a est, a sudare su un pendio brullo nelle zone desertiche dell'Etiopia occidentale, mentre era sul punto di procedere all'estrazione di uno scheletro. Giorno dopo giorno, White si alzava prima dell'alba, faceva colazione, e si dirigeva con la sua squadra di scienziati internazionali verso i celebri giacimenti di fossili del Medio Awash, circa settantacinque chilometri a sud del posto in cui era stata trovata Lucy ventuno anni prima. Armato di siringhe ipodermiche, White iniettava lentamente gocce di colla in un fossile friabile. Aspettava che l'osso si stabilizzasse e poi, con l'aiuto dei suoi colleghi, liberava meticolosamente il blocco di sedimento vulcanico che rivestiva il fossile, in modo da poterlo trasportare con la jeep, al termine della stagione di attività sul campo, in un laboratorio presso il Museo Nazionale d'Etiopia di Addis Abeba per l'estrazione finale. A volte gli occorsero tre giorni all'interno del laboratorio del museo per rimuovere un singolo osso dal sedimento basaltico. In questo caso, ne valse la pena: questo scheletro parziale fu definito la scoperta del decennio.

«I fossili non vengono trovati secondo la mitologia di "National Geographic": gente abbronzata sul cammello che di tanto in tanto si piega per pescare un bel fossile di ominide», dice. White non fa pensare tanto a un tipo alla Stanley e Livingstone in cerca della sorgente del Nilo, quanto piuttosto a un ribelle senza causa che cerca un significato nei fossili. È intollerante verso gli stereotipi romantici alla Indiana Jones (il tipico cacciatore di fossili che si scopre fortunato e inciampa sulle ossa). Con il suo carattere complesso e il suo humor nero, potrebbe essere saltato fuori da un romanzo di Hemingway. Celibe fino a cinquantatre anni, possiede la determinazione di chi ha dedicato la vita al lavoro. Non consente a niente — e a nessuno — di mettersi tra lui e il suo obiettivo. Con la sua figura snella e un'energica determinazione, è un pensatore strategico e disciplinato, particolarmente bravo nel riconoscere il talento (e i limiti) dei suoi studenti e dei membri della sua squadra. È meticoloso e intransigente in fatto di rigore scientifico. E non va per il sottile quando dissente dai colleghi sul loro comportamento o sulla loro ricerca. Una volta pubblicò una lista di raccomandazioni per gli studenti di paleontologia, che divenne nota come "i comandamenti di Tim" e comprendeva regole come: «Non comprare fossili», «Non corrompere ufficiali», «Non rubare il sito di un'altra persona», e «Non lasciare che l'ambizione distorca la tua etica: se l'obiettivo della tua carriera è fare soldi, allora vai alla scuola di medicina, diventa un chirurgo delle ginocchia, e fai pratica sui calciatori di periferia».

È particolarmente feroce nella sua critica agli antropologi arrivisti che assecondano la stampa e raccontano "storie proprio così", come quelle dell'ultimo Kipling, sulla nascita del genere umano. Eppure White è pratico del lavoro con i media, sebbene resista alla tentazione di dare vita ai fossili con descrizioni di come potrebbero essersi comportati nei loro mondi perduti, almeno finché non li ha analizzati nel dettaglio. Per esempio, quando alla National Public Radio gli chiesero se l'uomo di Neanderthal possedesse la facoltà del linguaggio, tracciò una linea di demarcazione tra la scienza e la fantascienza. «Jean Auel ha venduto un sacco di libri con storie come queste», disse riferendosi all'autrice del best-seller Ayla - figlia della Terra e di altri romanzi sull'uomo di Neanderthal. Istintivamente cerca di sminuire qualsiasi aspetto glamour connesso alla sua ricerca degli antenati dell'uomo. In veste di relatore ospite presso un college del Minnesota, a una domanda dal pubblico su come si sentiva mentre camminava là dove l'uomo camminò per la prima volta rispose: «Accaldato».

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Capitolo 15

Toumaï


Per la maggior parte di noi la mezzanotte non è come l'Africa centrale? Non siamo tentati di esplorarla, per penetrare le sponde del suo Lago Ciad, e scoprire la sorgente del suo Nilo, forse sulle Montagne della Luna? Chi sa quali fertilità e bellezza, morali e naturali, si possono trovare? Nelle Montagne della Luna, nell'Africa centrale della notte, lì tutti i fiumi Nilo hanno le loro sorgenti nascoste. Henry David Thoreau , Night and Moonlight


Quando nel gennaio del 1999 uno studente universitario ciadiano di nome Ahounta Djimdoumalbaye partecipava alla sua prima missione in cerca di fossili nel deserto del Djurab, Michel Brunet fece un previsione. Disse, in francese: «Ahounta, sarai tu quello che lo troverà. Se qui c'è un primate, sono sicuro che lo scoprirai tu». Djimdoumalbaye, che studiava scienze naturali all'Università di N'Djamena, era un novizio del lavoro sul campo. Pensò che Brunet stesse scherzando, non lo prese sul serio. Ma quando Brunet dovette essere trasferito a N'Djamena a causa della dissenteria, ribadì quanto aveva detto a Djimdoumalbaye: «Sarai tu quello che lo troverà».

Djimdoumalbaye ricorderà la profezia di Brunet un anno e mezzo dopo, l'ultima mattina di una spedizione di dieci giorni per la perlustrazione di un bacino di arenaria a ovest del deserto del Djurab, nel Ciad settentrionale; una cava fossile chiamata Toros-Menalla, che era stata scoperta da Yves Coppens negli anni Sessanta. Qui, a partire dal gennaio del 1997, Brunet e la sua squadra avevano trovato molti fossili di animali. Era l'estremità occidentale dei letti fossili di Koro-Toro, nei quali qualche anno prima Brunet aveva trovato la mascella di 3,5 milioni di anni di Abel. Djimdoumalbaye era uno dei soli quattro uomini di questa spedizione, insieme ad altri due ciadiani e al geografo francese Alain Beauvilain, che inizialmente aveva invitato Brunet nel Ciad per una conferenza a N'Djamena. Facevano tutti parte della Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (MPFT), il sodalizio di sessanta ricercatori provenienti da dieci nazioni costituito da Brunet nel 1994. In qualsiasi missione paleoantropologica a lungo termine di queste dimensioni e finalità, il leader scientifico non prende parte a tutte le perlustrazioni. Questa volta Beauvilain conduceva le operazioni senza Brunet.

Quella mattina — il 19 luglio del 2001 — la piccola squadra si svegliò alle sette, prese il caffè e parcheggiò i suoi due furgoni in cima a una duna sabbiosa, così da poterla ritrovare facilmente se fosse stato il caso di allontanarsi rapidamente. Sentivano che una tempesta di sabbia era vicina e sapevano che in pochi istanti la visibilità sarebbe potuta diminuire al punto che si sarebbero a malapena visti uno con l'altro. Come di consueto, i quattro si divisero in due coppie e andarono a raccogliere i fossili disseminati lungo il pavimento del bacino. Si sentivano stanchi e un po' scontenti perché erano alla fine della spedizione. Una foschia stava già scendendo su di loro attorno alle otto, quando Djimdoumalbaye vide a terra, a circa dieci passi dal bordo di una duna, una sfera parzialmente coperta di manganese nero. Camminò verso di essa e, mentre si avvicinava, notò due file di denti. Si chiese se fosse la mascella di un maiale estinto. La rimosse delicatamente dal terreno, dove aveva aderito a uno strato di arenaria. La girò e fu sorpreso di vedere una faccia scimmiesca, con due orbite vuote, un'apertura nasale e dei denti. La sommità era parzialmente coperta dalla crosta nera che sembrava una calotta di capelli. La faccia era asimmetrica, inclinata dalla parte sinistra, come se fosse rimasta schiacciata da un grosso peso. Mancava la mascella inferiore (ma, incredibilmente, successivamente ne verrà trovata una in due pezzi appartenente a un altro esemplare). Altrimenti, sarebbe stata sorprendentemente completa, con la quasi totalità dei denti e ben conservata, a parte uno strano alone rosso causato dai sali del ferro che aveva assorbito. Djimdoumalbaye aveva il presentimento che si trattasse di un cranio di ominide rimasto a lungo nascosto sulle antiche sponde del Mega-Ciad, ma decise di resistere all'entusiasmo finché un paleontonologo non avesse visto e identificato il fossile come antenato dell'uomo. «Ero, quindi, solo con il cranio», scrisse in seguito. Lo studiò, perso nei pensieri su cosa potesse essere. «Poi tornai alla realtà, con i piedi sulla terra, e gridai al mio collega ciadiano Fanoné Gongdibé: abbiamo quello che cerchiamo! Abbiamo vinto!».

Fanoné Gongdibé, che aveva studiato da Brunet a Poitiers i metodi per la realizzazione dei calchi dei fossili, diede un'occhiata al cranio e inizialmente pensò che appartenesse a una grossa scimmia. Ma quando vide i molari, capì che poteva essere più un uomo che una scimmia. Lui e Djimdoumalbaye chiamarono a gesti Beauvilain, dicendogli di portare la macchina fotografica perché avevano trovato il cranio completo di una grande scimmia, forse un progenitore dell'uomo. Beauvilain pensò che fosse uno scherzo. Ma quando vide il cranio, fu chiaro che si trattava di una scoperta di grande importanza. Scattò le foto e fece un filmato. Si servì di un dispositivo GPS portatile per registrare la posizione esatta. I quattro passarono la mattina a raccogliere fossili di animali attorno al cranio e li portarono nei loro furgoni.

Ben presto si accorsero che alcune delle ossa che tenevano tra le braccia erano specie estinte di animali molto antichi. Alcuni avevano vissuto in Africa circa sei milioni di anni fa, compresa una specie estinta di elefante e un antracotero, un mammifero estinto simile all'ippopotamo. Arrivati a raccogliere centoquarantuno fossili vicino al cranio, capirono che se il cranio fosse realmente appartenuto a un ominide che aveva vissuto sei milioni di anni fa, sarebbe stato probabilmente il reperto più eccezionale mai trovato.

Gli uomini della squadra iniziavano a sentire il peso della scoperta. Sapevano che il cranio era troppo importante per rimanere nelle loro mani e presto l'avrebbero spedito a Brunet per farlo studiare in Francia. Beauvilain usò un telefono satellitare per mettere al corrente Baba El-hadj Mallah, direttore der Centre National d'Appui à Recherche (CNAR) — l'agenzia governativa ciadiana responsabile della promozione della ricerca nel Ciad — nonché la persona che aveva disposto questa particolare missione e firmato il permesso di ricerca. Dopo qualche secondo di conversazione, Mallah capì l'importanza della scoperta. Disse a Beauvilain che avrebbe avvertito le autorità competenti, compresi i funzionari governativi che avrebbero voluto vedere il fossile prima del suo trasferimento per l'analisi scientifica. Ma né Beauvilain né Mallah chiamarono Brunet, cosa che sarebbe stata la prassi ordinaria in altre grandi squadre. Beauvilain ricordò in seguito che uno dei ciadiani della squadra disse: «È troppo grande per noi! Ci creerà problemi».

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Capitolo 16

Ossa contese


Sistema qualsiasi pezzo che venga dalla tua parte. Virginia Woolf


Da quando fu fondata nella cella di un monaco gesuita nel 1666, l'Accademia delle Scienze francese è stato il luogo di molti dibattiti appassionati, addirittura pericolosi. I membri fondatori vi si incontravano per discutere le idee radicali di Galileo e Descartes. Un secolo dopo, nel 1793, durante il regime del terrore, l'elitaria accademia fu giudicata antidemocratica e abolita. Il celebre chimico Antoine Lavoisier fu decapitato per il ruolo importante che rivestiva. Ma dopo due anni l'accademia si radunò di nuovo e si trasferì nella sua sede attuale, il sontuoso edificio barocco dell'Institut de France sulla riva sinistra della Senna. I membri dell'accademia venivano ancora considerati una minaccia politica e Napoleone si lamentava del "salotto politico degli intellettuali liberali". Per meglio riformare a suo piacimento le accademie, Napoleone si autonominò presidente dell'Istituto nel 1801. L'Accademia delle Scienze sopravvisse e, sul finire del XIX secolo, la confraternita degli studiosi di sesso maschile si sarebbe mossa per proteggersi da una nuova minaccia: nel 1911 respinse la domanda d'ammissione di Marie Curie, qualche mese prima che vincesse il suo secondo premio Nobel. Perfino la Sacra Sindone è stata portata all'Accademia delle Scienze, e gli scienziati discussero intensamente per due giorni se fosse legittima e degna di studio.

Si trattava dunque dello scenario perfetto per ospitare un dibattito appassionato tra i tre scienziati i cui fossili rappresentavano il trio dei principali contendenti al ruolo di primo ominide conosciuto. In un lunedì grigio e piovoso del settembre 2004, Michel Brunet, Brigitte Senut e Tim White si incontrarono per un dibattito faccia a faccia, accompagnati dal paleoantropologo francese Yves Coppens, membro dell'accademia. La notizia di questo confronto senza precedenti ebbe molta risonanza e i paleontologi, gli archeologi e gli antropologi di tutta Europa si accalcarono nella sfarzosa Grande Salle des Séances, dove gli oratori erano pronti a riferire degli antenati più antichi dell'uomo.

Gli interpreti presero posto all'interno di cabine di vetro insonorizzate e furono distribuite le cuffie ai membri dell'accademia, in modo che potessero ascoltare gli ospiti che discutevano l'argomento "i primi ominidi" in inglese o in francese. Le troupe televisive erano in attesa e il calore delle loro luci rendeva ancora più soffocante la sala scura e rivestita di legno, con le finestre chiuse e le tende abbassate per le presentazioni in PowerPoint. Mentre Brunet, la Senut e White prendevano posto l'uno dopo l'altro sul palco per parlare, le luci delle telecamere illuminavano i ritratti e i busti marmorei di Voltaire, del filosofo Jean-Jacques Rousseau, del matematico Pierre de Fermat e del fisico Charles-Augustin de Coulomb. Significativamente, una cornice dorata vuota ricordava agli scienziati francesi che anche uno di loro alla fine avrebbe potuto vedere il proprio viso incorniciato.

Il primo a parlare fu Michel Brunet. Vestito con una giacca alla marinara e la maglietta a strisce, i capelli grigi pettinati all'indietro, era pronto per affrontare le questioni importanti. Sbrigò velocemente i convenevoli per andare dritto all'«osso della faccenda», per dirla con le sue parole. Sollevò un fossile di mascella e disse: «Il mese scorso questa mascella è entrata nella storia». L'osso che teneva in mano era una mascella inferiore parziale della specie di Toumaï, il Sahelanthropus tchadensis. Era stata oggetto di un articolo uscito di recente sul "South African Journal of Science". In quell'articolo il geografo francese Beauvilain, che aveva fatto parte della squadra che trovò la mascella, accusò Brunet e la sua squadra di aver incollato un molare isolato — un dente del giudizio — sul lato sbagliato della mascella inferiore. Beauvilain e Yves Le Guellec, ortodontista francese e coautore dell'articolo, dissero che il molare isolato era stato incollato sul lato destro della mascella, invece che sul sinistro, dove ritenevano che andasse collocato. Era una denuncia curiosa. Nessuno dei due era un paleontologo o un anatomista che avesse familiarità con i denti fossili, e la loro critica non metteva assolutamente in discussione il fatto che il fossile appartenesse a un nuovo tipo di antenato dell'uomo. Tuttavia gettava un'ombra sui metodi di Brunet, suggerendo che la sua squadra fosse poco accurata nelle analisi e nei metodi di valutazione. Lo spettacolo degli scienziati che combattevano in modo agguerrito per un dente del giudizio ebbe ampio spazio sui media francesi.

Brunet chiamò in causa l'articolo all'inizio del suo intervento all'accademia, lamentandosi di aver appreso della sua esistenza dopo la sua pubblicazione, mentre faceva visita a White a Berkeley. La rivista non gli aveva dato modo di rispondere prima della pubblicazione e pertanto lo avrebbe fatto al meeting. Sollevò la mascella e spiegò che il dente del giudizio fu trovato a dieci centimetri di distanza, fu pulito e incollato in quello che definì «un incastro inequivocabile» tra il molare e le radici, sul lato destro della mascella, come risultava evidente dalle scansioni TC. Dopo aver lanciato uno sguardo cattivo alla Senut, disse che un certo paleontologo, che non aveva visto la mascella, riteneva che il dente fosse incollato sul lato sbagliato, come era stato riportato sulla stampa francese. «Devo ammetterlo, mi chiedo che intenzioni abbia», disse Brunet. Poi affermò che questo paleontologo ancora anonimo — si pensa che fosse il partner della Senut, Martin Pickford — era uno dei co-scopritori dell' Orrorin. Pickford, in effetti, aveva tradotto l'articolo di Beauvilain in inglese per la rivista. L'idea di Brunet era chiara: era convinto che Pickford stesse alimentando una campagna contro l'identificazione del Sahelanthropus come ominide e contro la sua capacità di analizzare i fossili, perché questo minacciava la posizione dell' Orrorin come primo membro della famiglia dell'uomo (un'accusa che Pickford riterrà «assurda»). Brunet passò poi a descrivere i tratti che rendevano Toumaï un ominide e disse: «Fino a prova contraria, il Sahelanthropus tchadensis è il più antico ominide conosciuto».

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I nuovi fossili hanno chiaramente aperto nuove finestre sul passato, nel tempo e nello spazio, offrendo per la prima volta uno sguardo sulle prime fasi dell'evoluzione dell'uomo in Africa centrale, orientale e Sudafrica. Ma i diversi paleoantropologi che guardano attraverso queste finestre non vedono le stesse cose. Da una parte, Tim White e Brunet vedono Toumaï come un parente stretto dell' Ardipithecus, che a sua volta avrebbe dato origine alle australopitecine e ai primi Homo. Secondo White e Haile-Selassie, anche l' Orrorin può appartenere al genere Ardipithecus. Pickford e la Senut hanno respinto questa ipotesi e nominato invece l' Orrorin come antenato degli uomini; l' Ardipithecus come antenato degli scimpanzé, e il Sahelanthropus come antenato dei gorilla o di qualche scimmia estinta.

D'altra parte, diversi ricercatori guarderebbero a questi fossili chiedendosi ciò che manca sul tavolo: gli ominidi che possono essersi esistiti ma che non sono ancora stati individuati. Bernard Wood e altri hanno suggerito che i paleontologi hanno appena scalfito la superficie della documentazione fossile africana risalente al periodo che va dai cinque ai sette milioni di anni fa. L'aspetto umano di Toumaï suggerisce a Wood che si tratti solo di una tra le tante specie diversificate di ominidi vissute in Africa, alcune delle quali presenterebbero un'incredibile somiglianza con gli ominidi venuti dopo, ma dei quali non necessariamente sarebbero diretti antenati.

Questo modello vedrebbe l'evoluzione dell'uomo come una serie di ramificazioni che partono dalle scimmie terricole fossili che, nel corso dell'adattamento ad habitat differenti, combinavano tratti come l'andatura eretta e i canini ridotti. Il paleoantropologo Ian Tattersall dell'American Museum of Natural History considera i fossili dei Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus come la dimostrazione di una progressione per tentativi, e non di un «cammino in linea retta» dal primitivo all'uomo moderno.

Questa seconda teoria, se corretta, abbatterebbe l'albero della vita dell'uomo con i suoi pochi rami saldi. Chi la sostiene pianterebbe al suo posto un cespuglio, pieno di rami che finiscono nel nulla, con molte specie di ominidi in competizione per il primato e l'opportunità di trasmettere i propri geni alle generazioni successive. Questo renderebbe Toumaï, l' Ardipithecus e l' Orrorin non degli antenati diretti, come fossero dei bis-bis-bis-bis-nonni, ma i cugini di quei nonni le cui discendenze si estinsero molto tempo fa. White e altri, compreso Alan Walker, sottolineano che si conosce solo una specie e un genere di ominide risalente a un periodo compreso tra i sei e i sette milioni di anni fa. «Da quando questo proverebbe la diversità delle specie?», ha protestato White.

I paleoantropologi non sarebbero mai in grado di stabilire quanti diversi tipi di antenati umani fossero sulla scena in Africa agli albori dell'umanità, né quanto gli uni fossero connessi agli altri. «Si tratta di una prospettiva del tutto deprimente?», scrisse Henry Gee su "Nature". «Forse no. I dati che si accumulano sui paleo-ambienti dovrebbero almeno migliorare la nostra comprensione delle vita e del tempo in cui vissero i primi ominidi (e forse i primi scimpanzé)».

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Glossario


Adattamento: processo attraverso il quale un organismo si adatta al suo ambiente, come risposta alle sollecitazioni ambientali a lungo termine, attraverso cambiamenti genetici permanenti, cioè selezione o evoluzione naturale.


Andatura sulle nocche: tipo di locomozione su quattro zampe utilizzata da scimpanzé e gorilla, nella quale il peso del corpo viene poggiato sulla parte posteriore delle nocche.


Antropoide: membro del subordine dei primati Anthropoidea. Le scimmie minori, le grandi scimmie e gli uomini sono antropoidi.


Archeologia: lo studio dei resti materiali di culture e persone del passato, come utensili di pietra e manufatti.


Australopitecine: sottofamiglia (Australopithecinae) consistente di un solo genere (Australopithecus) di ominidi estinti vissuti da circa 4,1 milioni di anni fa fino a circa un milione di anni fa. Le Australopitecine erano caratterizzati dall'andatura eretta, dentatura e mascelle robuste, cervello delle dimensioni di una scimmia. La maggior parte dei tassonomisti riconoscono sei specie: A. anamensis, A. afarensis, A. africanus, A. aethiopicus, A. robustus e A. boisei.


Bipedismo: andatura sugli arti inferiori, in particolare quando è eretta come nell'uomo.


Carattere derivato: un nuovo tratto sviluppato in un antenato più recente e conservato dai discendenti, ma assente nel più vecchio corredo ancestrale, che mostra una versione primitiva dello stesso tratto (carattere primitivo).


Carattere primitivo: tratto ereditato dall'antenato comune di un gruppo di specie, anche noto come tratto ancestrale. I caratteri primitivi sono contrapposti ai caratteri derivati.


Convergenza: sviluppo parallelo delle stesse caratteristiche in organismi non correlati, sia casuale sia in ragione di adattamenti indipendenti ad ambienti o modi di vita, come le ali negli uccelli e nei pipistrelli. Anche chiamata evoluzione convergente, in opposizione all'evoluzione divergente.


Darwinismo, neo-darwinismo: evoluzione attraverso la selezione naturale. Il neodarwinismo è una combinazione della teoria darwiniana dell'evoluzione con il meccanismo genetico dell'ereditarietà, in altre parole, la variazione nasce dalle mutazioni a livello genetico che, se vantaggiose, possono essere conservate e rafforzate (per selezione naturale) nei caratteri derivati delle generazioni future.


Datazione argon-argon: metodo di datazione radiometrica basato sulla variazione del rapporto argon 40/argon 39 nelle rocce e ceneri vulcaniche con il passare del tempo. Questa tecnica deriva dalla datazione potassio-argon. Il metodo argon-argon è generalmente più preciso della datazione potassio-argon e non richiede campioni altrettanto grandi.

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