Copertina
Autore Alicia Giménez-Bartlett
Titolo Il silenzio dei chiostri
EdizioneSellerio, Palermo, 2009, La memoria 780 , pag. 530, cop.fle., dim. 12x16,6x2,8 cm , Isbn 978-88-389-2372-2
OriginaleEl silencio de los claustros
TraduttoreMaria Nicola
LettoreAngela Razzini, 2009
Classe narrativa spagnola , gialli
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Pagina 9

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La trovai sul divano. I capelli sciolti e scarmigliati le nascondevano la faccia. La testa era piegata sui cuscini in posizione innaturale. Le gambe puntavano verso il soffitto, nude e bianche, scoperte dalla gonna rovesciata intorno ai fianchi. Spalancai la bocca ed esclamai:

- Marina, cosa diavolo fai messa a quel modo?

Allora Marina, figlia del mio terzo marito e pertanto in via semiufficiale mia figliastra, ricompose la sua contorta figura per ritrovare la stazione eretta. Congestionata da quel sottosopra, rispose:

- Vedevo tutto all'incontrario.

- Mi ha fatto una gran brutta impressione trovarti così.

- Perché ti è tornata in mente la gente assassinata...

Quella bambina di otto anni, taciturna, discreta, intelligente, aveva il dono di leggermi nel pensiero con spaventosa facilità. Mi piantava addosso i suoi occhi azzurro chiaro e automaticamente sapeva qualunque cosa mi passasse per la mente. Ma quella sua virtù che mi costringeva a vivere con la guardia alzata non mi piaceva affatto. Mentii:

— Gente assassinata? Che idea! Non ho pensato proprio a niente del genere.

— E allora cos'è che ti ha fatto tanta impressione?

Improvvisai:

— Mi sei sembrata... un pollo appeso in una polleria!

Ci pensò su, cercando di trovare interessante l'idea di essere un pollo e probabilmente ci riuscì, perché con somma agilità si rimise gambe all'aria senza dire una parola.

Sospirai. Non avevo mai intrattenuto rapporti con i bambini fino al mio terzo matrimonio e dovevo ammettere che il loro comportamento aveva lati affascinanti. Erano strani, a volte incomprensibili, osservatori come i più acuti psicologi, sinceri come solo i matti sanno esserlo. In ogni caso, se con loro mi sentivo sempre sotto esame e mi vedevo costretta alla dissimulazione, potevo dare la colpa soltanto a me stessa e alla mia proverbiale capacità di complicarmi la vita. Marcos, il mio nuovo marito, non mi aveva mai chiesto di usare particolari cautele con i suoi figli riguardo alla mia attività di poliziotto. Certo, dava per scontato che non entrassi nei dettagli di un'autopsia mentre servivo la merenda, ma se c'era qualcuno che considerava poco adatte ai bambini le storie di commissariato, quella ero io. Sbagliavo, perché con tanti misteri riuscivo soltanto a eccitare ancora di più la loro curiosità e ormai le loro menti volavano come aquiloni nel vasto cielo delle più strampalate congetture. Hugo e Teo, i gemelli, erano i più inclini a concepire fantasie sul mio lavoro. Bastava che mi vedessero tirar fuori un dossier per chiedermi se avessi un nuovo caso "veramente mitico" da risolvere. Ci misi un po' a capire che per loro "mitico" significava grondante sangue, meglio se a seguito di mutilazioni spaventose e sommarissimi squartamenti. Ma il non plus ultra sarebbe stato se un giorno si fosse deciso a comparire nella mia vita un autentico serial killer. Inutile spiegare che i serial killer, specie poco diffusa a qualunque latitudine, in Spagna sono rarissimi; sordi alle mie parole, i pargoli non erano disposti a rinunciare a quel bellissimo sogno.

Per fortuna quelli non erano i miei principali problemi. I figli di Marcos trascorrevano con noi solo qualche fine settimana, e devo dire che mi divertiva abbastanza far crollare i loro truculenti castelli in aria. Per il resto mi ero abituata senza particolari difficoltà alla mia nuova vita da donna sposata. Nei primi mesi ero vissuta con il sistema d'allarme perennemente inserito. Più che altro temevo che un riaffiorare delle mie manie da lupa della steppa mandasse in frantumi l'armonia coniugale. Le mie amiche non facevano che ricordare con accanimento degno di miglior causa i più banali scontri della loro vita di coppia. Quei resoconti di liti coniugali scoppiate per futili motivi avrebbero dovuto mettermi in guardia contro le insidie della convivenza. C'era chi, trovando ogni mattina il tubetto del dentifricio lasciato aperto sul lavandino, arrivava a concepire pensieri omicidi. Ma a me non succedeva niente del genere, dal momento che avevo seriamente deciso di lasciare i piccoli egoismi fuori dalla porta e far sì che il mio terzo tentativo matrimoniale fosse finalmente quello giusto. Né Marcos né io eravamo novellini, ma veterani carichi d'esperienza, e a qualcosa dovevano pur servire le vecchie ferite se, sposati da quasi un anno, non avevamo ancora nulla di cui lamentarci.

Quel venerdì pomeriggio Marina si trovava con me in via del tutto eccezionale. Dietro incarico di sua madre, un tassista era andato a prelevarla a scuola e l'aveva recapitata a casa nostra, dove sarebbe rimasta un paio d'ore finché suo padre non fosse passato a prenderla per portarla dal dentista. La lasciai lì dov'era e andai a fare una doccia. Avevo lavorato tutto il giorno e sentivo il bisogno di rinfrescarmi le idee.

Venti minuti dopo tornai di là e la ritrovai in quella scomoda posizione.

- Smettila, Marina, non credo ti faccia bene startene tanto tempo a testa in giù.

Lei obbedì e si sedette. Mi osservò con un certo distacco e poi mi disse:

- La madre superiora del catechismo vuole parlare con te.

Come? esclamai fra me e me. Una cosa simile esulava dalle mie mansioni di matrigna a tempo parziale. Ma non volevo essere brusca con la bambina.

- E come fa a sapere di me?

- Gliene ho parlato io. Le ho detto che fai il poliziotto e tutto il resto.

- Però lei sa che sono tuo padre e tua madre a occuparsi della tua educazione, vero?

- Credo di sì.

- E che cosa pensi possa volere da me?

- Non lo so, ma ha detto che è urgente. Devi chiamarla subito. Ho scritto il numero su quel foglietto.

- Cosa vuoi dire? Che ha appena chiamato?

- Sì, mentre eri nel bagno.

- Ma perché non me l'hai detto prima?

- Tu non me l'hai chiesto.

Era seccante riconoscerlo, ma come al solito aveva ragione. Allarmata, più che incuriosita, anche se non era facile capire cosa potesse volere da me una suora, feci il numero annotato da Marina. Lei, saggiamente, mi bisbigliò il nome che avevo dimenticato di chiederle.

- Si chiama Guillermina. Madre Guillermina.

Quella creatura si dimostrava meno distratta di me. Mi rispose una voce cantilenante:

- Sorelle del Cuore Immacolato. In cosa posso servirla?

- Vorrei parlare con madre Guillermina. Sono Petra Delicado. So che poco fa mi ha cercata.

- Certo, attenda un attimo per favore.

Marina non mi toglieva gli occhi di dosso. Il suo volto imperturbabile nascondeva abbastanza bene la curiosità.

- Ispettore Delicado? - Qualcuno mi interpellava con voce grave all'altro capo della linea.

- Sì, sono io.

- Grazie al cielo, ha telefonato!

- Qualcosa non va, madre Guillermina?

- Una vera tragedia, ispettore. La prego di venire qui al più presto.

- Mi scusi...

— Per telefono non posso dirle nulla, ispettore. Cerchi di capire. È meglio che venga personalmente.

- D'accordo. Ma, mi dica, si tratta di un reato?

- Temo di sì, purtroppo.

- Vengo subito, mi dia l'indirizzo.

Non avevo ancora finito di prendere nota che Marina già mi domandava che cosa fosse successo. Era stoica, ma non di pietra. Le sorrisi.

— Non lo so, cara. E così tu hai detto alle suore che tuo padre aveva sposato un ispettore di polizia?

- Ci sono rimaste secche quando l'hanno saputo.

- Me lo immagino. Ma quella non è la tua scuola, vero, Marina?

- No, lì ci vado solo una volta alla settimana perché mia madre vuole che faccia religione, e siccome papà non voleva mandarmi a scuola dalle suore... Sai, loro mi insegnano a fare la carità, cose del genere.

- Capisco.

Il solo problema era che Jacinta, la donna delle pulizie, aveva il pomeriggio libero proprio di venerdì. Marina sarebbe rimasta sola per almeno un'ora se fossi uscita subito. La guardai. Si era rimessa a testa in giù, esibendo con ostinazione le sue calzette rosa. Come potevo stare tranquilla? Una bambina capace di starsene mezzo pomeriggio in posizione da fachiro poteva farsi venire in mente idee ancora più balzane. Non me la sentivo di assumermi quella responsabilità. Perciò telefonai a Marcos. E lui mi rassicurò.

— Marina può rimanere sola senza problemi. È abbastanza giudiziosa. Che cosa sta facendo adesso? - mi domandò.

- La verticale sul sofà.

Ci fu un attimo di silenzio. Di certo non si aspettava che sua figlia si dedicasse a occupazioni così insolite.

- Va' pure tranquilla, Petra. Esco fra poco dall'ufficio. Non tarderò.

Impermeabile e borsetta in mano, mi piantai di fronte alla bambina.

- Marina, potresti farmi il favore di vedere per un attimo il mondo dal diritto?

Lei si tirò su e mi fissò spalancando gli occhi, con la faccia rossa e i capelli per aria.

- Tuo padre arriva subito, ma io devo uscire di corsa.

- Hanno assassinato una suora?

Sospirai.

- La vita normale non assomiglia ai film. E un assassinio non è normale, lo capisci?

- Sì.

- Credi che te la caverai da sola per un'oretta?

- Si.

Cominciavo ad abituarmi ai suoi monosillabi e così non insistei con le domande.

- Non aprire a nessuno. Non accendere il fornello in cucina. Non sporgerti dalle finestre. Non toccare le prese della luce.

- In un'ora non avrò il tempo di fare tutte queste cose.

- Bene. Quel che puoi fare è leggere un libro, ascoltare un disco e, se non hai paura di rincretinirti, guardare la televisione.

- Posso mangiare una mela?

- Sì, ma non a testa in giù, che ti strozzi.

Lei rimase immobile, a considerare i rischi connessi con l'ingestione di mele in posizione capovolta, e alla fine annuì. La lasciai sul divano e mi tirai la porta dietro, sforzandomi di allontanare dalla mia mente ogni ansia da incidente domestico.

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Coronas non era un cattivo diavolo, in fin dei conti. Bastava che gli dessi i rapporti che voleva e mi avrebbe lasciata in pace. La catena del comando non è diversa dalla catena alimentare: si tratta sempre di nutrirsi a spese di chi sta sotto per dare modo di nutrirsi a chi sta sopra. Avrei steso il mio bravo rapporto per accontentare il commissario e perché a sua volta lui potesse accontentare il questore. Ma io, da dove l'avrei tirato fuori il mio pane? Dai miei sottoposti, che già mi aspettavano in ufficio. Eppure anche in un sistema così semplice allignano strani parassiti che richiedono un mangime speciale in nome dell'interesse pubblico, dei media, dell'informazione e, in definitiva, del popolo bue. Ebbi modo di constatarlo non appena Enrique Villamagna intercettò i miei furtivi passi lungo il corridoio. Rosso di capelli come Giuda e interessato quanto lui, il nuovo addetto stampa della questura di Barcellona era riuscito a laurearsi in giornalismo mentre studiava all'accademia di polizia. Per questo, e per la sua continua smania di far bene passava per un giovane brillantissimo e a soli trent'anni era stato promosso ispettore. Ma la caratteristica che più lo distingueva, con mio gran divertimento, era la sua incredibile doppia personalità: Villamagna era un vero Dr Jekyll e Mr Hyde. Alle conferenze stampa si presentava come un bravo ragazzo, compito e intelligente, sempre pronto a rispondere con perfetta proprietà e cortesia alle domande dei giornalisti. In quelle occasioni vestiva abiti impeccabili che lo apparentavano a un'intera generazione di giovani manager di successo. Quando invece si aggirava per i commissariati al riparo dagli sguardi del pubblico, il suo aspetto era quello di un hooligan dopo la partita. Jeans con il cavallo al ginocchio, T-shirt con scritte indecenti, scarpe da ginnastica. E il suo lessico non contraddiceva il look. Mai avevo assistito a un caso così perfetto e spontaneo di sdoppiamento.

Vedendomi si avvicinò con un sorriso a trentadue denti.

- Ecco qui il mitico ispettore Petra Delicado! Quando mi hanno detto che avevo un gancio con te mi son detto: che culo, la femmina più scafata di tutta la sbirraglia barcellonese...

- Infatti. Sono abbastanza scafata da diffidare dei complimenti.

- Cazzate. Senti un po': ti andrebbe di presentarlo tu il caso della setta satanica, così glielo facciamo vedere noi a quegli stronzi di giornalisti che cos'è un bel pezzo di donna?

- Setta satanica? Non so di cosa tu mi stia parlando.

- Su, Petra, non pigliare per i fondelli anche me. Da quando si è saputo del frate morto ammazzato e della mummia rubata la vogliono tutti la storiaccia della setta satanica.

- Ma chi è il deficiente che ha messo in giro una voce simile? Ti assicuro che i fatti sono ben diversi.

Senza battere ciglio, lui sfoderò biro e taccuino.

- Spara, ispettore. Sono tutt'orecchi.

- Fermo lì, Villamagna! Al massimo puoi dire per quale motivo un monaco di Poblet si trovava al convento, così avrai modo di parlare d'arte e di storia sacra. Su questo ti passo tutte le informazioni. Poi puoi dire che sono misteriosamente scomparse le sacre spoglie del beato Asercio de Montcada, così ti puoi dilungare sui corpi incorrotti, sulla conservazione delle salme e altre amenità... Alla fine concludi dicendo che i due fatti sono da ritenersi collegati, che si esclude il furto a scopo di lucro e che abbiamo un testimone. E ti fermi lì, d'accordo?

- Ma cazzo, Petra, non scherzare! Quelli mi aprono il culo. Ti rendi conto di cosa scatena un delitto simile nella testa della gente? Mummie scomparse, monaci assassinati, maledizioni, vendette... Come vuoi che gli imbrattacarte si accontentino di una pallosissima lezione di storia?

- Perché non aggiungi qualche notizia sulla vita monastica, su san Benedetto, sull' ora et labora?

- Sì, certo, e poi proietto un DVD dei Dieci comandamenti. Guarda che non funziona mica così.

- Il tuo dovere non è tenere a bada la stampa?

- Niente affatto. Il mio dovere è cavarti fuori tutto quello che posso, rivenderlo alla stampa come se fosse molto di più e fare in modo che la polizia ne esca il meglio possibile.

- Dagli il comunicato stampa e che si aggiustino.

- Ma quel comunicato è più insipido di un tè di beneficenza. Se gli smollo solo quello si inventeranno chissà cosa. E le fughe di notizie ci saranno, perché quei disgraziati andranno a spaccare i coglioni anche al più sfigato dei piedipiatti di Barcellona. Vedrai che casino sono capaci di mettere in piedi!

- Be', allora di' la verità, che non abbiamo la minima idea di chi sia stato, che brancoliamo nel buio e che se va avanti così finiremo tutti come la mummia prima di aver risolto qualcosa.

Lo sentii imprecare mentre mi allontanavo. Una setta satanica! Ancora una volta la stampa dimostrava ben poca immaginazione. Se non fossimo corsi ai ripari invenzioni di questo tipo sarebbero finite su tutti i giornali. Villamagna voleva qualche boccone succoso da gettare alle belve e noi dovevamo darglielo.

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A casa trovai un silenzio assoluto. Quando vivevo sola, e rientravo dal lavoro dopo una giornata stressante, avevo l'abitudine di versarmi un whisky e di ripercorrere mentalmente tutto quel che era successo. Ora avevo solo voglia di andarmene a letto per sentire il corpo caldo di Marcos accanto a me. Ma sapevo che se fossi andata a dormire con la testa piena di interrogativi appena abbozzati di sicuro non sarei riuscita a prendere sonno prima di un paio d'ore. Decisi di andare in cucina, di prepararmi un latte caldo e di accendere il computer per collegarmi a Internet. E così feci. Seduta di fronte al servizievole schermo, digitai le parole: «incendi conventi spagna». Mi stupii della quantità di siti dedicati all'argomento. Navigai senza una meta precisa. C'erano pagine di compendio storico, dispense e tesi universitarie, articoli di riviste... e stranamente un gran numero di forum di discussione. Forum di discussione su episodi avvenuti tanto tempo fa? Provai a entrar e la mia sorpresa crebbe. Interventi fortemente ideologici scatenavano repliche e controrepliche sempre più accese. Si leggevano frasi come:

«Durante la Settimana Tragica orde di lavoratori scamiciati commisero soprusi e delitti orrendi ai danni delle comunità religiose. I facinorosi, istigati da anarchici e comunisti, non si limitarono ad appiccare il fuoco agli edifici sacri, distruggendo tesori di inestimabile valore storico, trafugando oggetti preziosi e profanando reliquie. No, è noto che in alcuni conventi i monaci furono sottoposti a sevizie d'ogni genere prima di essere assassinati. All'oratorio di Sant Felip Neri, un frate fu percosso con un crocifisso fino alla morte. Al convento delle Clarisse una monaca fu sodomizzata in pubblico con un enorme cero. Presso i gesuiti di Sarrià, a un innocente novizio vennero amputati i genitali, che gli vennero introdotti in bocca insieme con le ostie consacrate trovate nel tabernacolo».

Che orrore! pensai. Solo il marchese De Sade poteva vantare un'immaginazione così perversa e tempestosa. Ma l'altra campana suonava altrettanto pittoresca:

«La Settimana Tragica fu un moto rivoluzionario e le rappresaglie contro la Chiesa furono atti di giustizia popolare. Con la connivenza del padronato e delle forze reazionarie, nei conventi si praticava un vero e proprio sfruttamento del sottoproletariato. Non si contavano i laboratori retti da ordini religiosi dove gli operai erano sottoposti a orari estenuanti in cambio di niente, un magro sostentamento costituito da un tozzo di pane e un pezzo di lardo. Nei conventi di suore, orfane ancora bambine erano soggette a ogni genere di abusi, anche sessuali. Non deve stupire che il popolo si sollevasse contro una simile vergogna. Va detto inoltre che il numero dei conventi danneggiati nel corso della Settimana Tragica e durante la Guerra Civile fu ingigantito allo scopo di demonizzare la rivolta».

Mio Dio, sembrava di sentire Radio Tirana ai tempi d'oro. Quei forum erano pieni di insulti. Epiteti come «Fasci!», «Maledetti comunisti!», «Infami!» erano moneta corrente negli scambi virtuali fra gli iscritti. Non credevo ai miei occhi. Quella era internet, la più moderna rete di comunicazione mondiale? Eravamo nel XXI secolo, in piena era digitale, opppure nel Medioevo? Da dove uscivano quei trogloditi, impegnati a discutere di storia con un linguaggio da caserma, come se si trattasse di un derby della settimana prima? Eravamo ancora a quel punto, l'un contro l'altro armati? Che ne era stato della transizione, dell'avvento della democrazia, della nuova Spagna moderna e multiculturale? Forse non era così fuori luogo seguire una pista storica. In Spagna si può ancora uccidere per certe cose. La storia è pericolosamente viva e saremmo capaci di prenderci a fucilate in nome del Cid Campeador o di san Giacomo Apostolo.

Sentii la voce di Marcos alle mie spalle:

- Stai ancora lavorando? Te lo proibisco! Vieni subito a letto, dovrai pur riposare.

Lui crollava dal sonno, in pigiama, ma io ero così agitata che non potei fare a meno di raccontargli tutto.

Mi ascoltò in silenzio strofinandosi gli occhi.

- Diamine, Petra! Come vuoi che mi preoccupi per le sorti della Spagna a quest'ora di notte?

- Ma io sono veramente preoccupata! Mi fa orrore che in questo paese le cose non cambino mai.

- Le guerre civili lasciano strascichi interminabili. Ma io non mi preoccuperei così tanto. A rimanere ancorati a questo tipo di problemi sono quattro emarginati a cui nessuno dà ascolto.

- Ma se in internet ci sono migliaia di pagine su questi argomenti!

- In internet c'è di tutto, anche tanti fuori di testa che entrano nelle chat solo per dire le loro bestialità.

- E tu non credi che il nostro assassino possa essere uno di questi fuori di testa?

- Può darsi.

Ci guardammo in silenzio. Sorrisi. Ero esausta. Allora Marcos mi prese per mano e mi trascinò via.

- A letto, adesso.

- Tanto non riuscirò a dormire.

- Ma certo che dormirai! Hai bisogno di riposare e di smettere di pensare per qualche ora. Per fortuna domani è sabato.

- È vero, me ne ero scordata.

- E abbiamo la cena a casa di Garzón con i bambini.

- Come?

- Neanche di questo ti ricordavi. Ha chiamato Beatriz, ci aspettano per le nove.

- Adesso sì che non riuscirò a dormire.

- Meglio, so io come farti passare la notte.

E invece mi addormentai all'istante, stretta contro il suo petto. È difficile pensare alle guerre fratricide quando ti avvolge il calore di un altro corpo.

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Il giorno dopo, mentre correvamo sull'autostrada, telefonammo ai nostri rispettivi coniugi per avvertire che anche quella sera avremmo fatto tardi. Erano già le cinque e la luce cominciava a declinare. Garzón accese il lettore e le soavi note di un CD di Saint-Saëns inondarono l'abitacolo. Di solito, quando era alla guida, il mio collega non era mai a corto di motivi per imprecare. Ce l'aveva soprattutto con i camion: occupavano la corsia di sorpasso, erano troppo veloci o troppo lenti, non mettevano la freccia... Per lui, come del resto per la maggior parte degli uomini, la strada si trasformava automaticamente in un circuito da corsa e la sua auto nella quadriga di Ben Hur lanciata verso la vittoria. Ma quella sera l'armonia della sonata, unita alla magnifica luce del tramonto invernale, che ci avvolgeva in un'atmosfera magica, lo resero tranquillo e taciturno. All'improvviso mi venne voglia di piangere, e non riuscendo a capire il motivo di quell'inspiegabile sconforto, decisi di attribuirlo alla situazione disastrosa del paese. Che orrore, pensavo, questa Spagna così triste e così insopportabile. Patria di santi suppliziati, di corpi incorrotti, di chiese costruite col sudore della fronte, e incendiate, e poi ricostruite, e poi incendiate di nuovo. In che posto ci era toccato nascere! Con il peso delle colpe dei nostri padri sempre sulle nostre spalle, spagnoli contro spagnoli, il progresso contro la reazione, la religione contro il libero pensiero... La Santa Inquisizione, i roghi in piazza, le ostie consacrate, il pulpito, e la Madonna e i santi e Gesù Cristo in croce. Come mi sarebbe piaciuto essere francese, comprarmi la baguette appena sfornata, mettermela sotto il braccio e sentire di avere alle spalle un'epica rivoluzione! E invece no. Mi era toccato vedere il piede rinsecchito di un santo col sandalo da frate. Ma aveva senso una cosa simile? Aveva senso indagare nel silenzio di un convento sotto la guida di due religiosi in sottana che non facevano che parlare di settimane tragiche, di tumulti, di cappelle profanate? Guardai Garzón. Lui certe cose poteva trovarle più o meno normali. Era cresciuto quando ancora non si erano spenti gli echi della Guerra Civile, non le aveva lette soltanto sui libri. Ma tanto per lui quanto per me era inverosimile che un odio covato per quasi un secolo potesse spingere qualcuno a commettere un delitto. Se davvero era così, allora la Spagna poteva ben dirsi il paese più disgraziato del mondo.

- Ispettore, dorme? Guardi che siamo arrivati.

Aprii gli occhi. Ormai era buio pesto e si vedevano solo le mura illuminate dell'abbazia. Garzón spense il motore. Giunsero al nostro orecchio i rintocchi di una campana a morto.

- Andiamo, la cerimonia dev'essere già cominciata.

Entrammo nella chiesa. Tutto era in penombra, tranne l'altar maggiore che rifulgeva di luce. Tre sacerdoti officiavano la messa e le prime file di banchi erano occupate dai monaci con i loro vistosi sai bianchi e neri. Dietro sedevano i parenti di frate Cristóbal. Piangevano tutti. Anche se era morto da parecchi giorni, solo ora il loro congiunto abbandonava per sempre il mondo dei vivi. Contribuivano alla solennità dell'atmosfera le note dell'organo e il canto del possente coro maschile.

- Che meraviglia! - sussurrai a Garzón.

- Ci metto la firma per un funerale così - rispose lui, a voce un po' troppo alta per i miei gusti.

Ma con l'omelia l'incanto si ruppe. La musica esalta i nostri pensieri, la parola esprime quelli degli altri. Tutta quella retorica sul Regno dei Cieli, sull'anima immortale, sull'amore divino e la resurrezione della carne era così anacronistica da farmi venir voglia di gridare. E tuttavia quando l'abate disse che fratello Cristóbal era stato un uomo semplice e umile, vissuto sempre lontano dalle vanità del mondo, mi commossi. In effetti, bisognava essere delle bestie per ammazzarlo con una mazzata alla nuca. Sentii rinascere dentro di me tutta la furia investigativa dei primi giorni e il resto della messa mi parve interminabile. Basta con la spiritualità! Il nostro era il regno di questo mondo e dovevamo scovare l'assassino. Un assassino disgustoso che aveva tolto la vita a due esseri innocenti: un monaco e una povera mendicante, entrambi senza un soldo, senza passioni, senza potere. Quello era forse l'aspetto più stravagante di quel caso: i moventi tradizionali sembravano escludere due figure come quelle dal novero delle possibili vittime.

Quando la cerimonia finì rimanemmo ad aspettare che tutti i monaci sfilassero davanti a noi. Poi furono i genitori e i fratelli del defunto ad avviarsi compunti verso l'uscita, chiusi nel loro dolore e nella loro solitudine. Pur essendo i congiunti, erano rimasti in secondo piano, dietro la famiglia ecclesiastica. Abbassai gli occhi per non doverli salutare: non avrei saputo cosa dire. Alla fine Garzón ed io ci ritrovammo soli nella chiesa deserta.

- E adesso? - domandò lui.

- Adesso torniamo in portineria e chiediamo il permesso per parlare con frate Magí.

- Non mi abituerò mai a questa storia dei permessi. Non avere la libertà di entrare e uscire o di parlare con chi mi pare e quando mi pare mi dà sui nervi.

- È chiaro che lei non prenderà mai i voti, Fermín.

- No di certo! La vita è troppo bella per perderla in questo modo.

- Non è mai chiaro in che modo si perde la vita.

- Lasciamo stare la filosofia e andiamo a chiamare il monaco. Se quelli cominciano con le loro preghiere del cavolo non potremo interromperli e ci toccherà rimanere qui tutta la notte.

Fermín Garzón era realismo allo stato puro. Se mai fossi caduta nel dormiveglia dell'irragionevolezza, la medicina sicura per uscirne sarebbe stato uno scambio di idee con lui.

Frate Magí si fece attendere quasi un'ora. Si scusò:

- Perdonatemi, ma mi sono concesso un momento di meditazione.

- Certo, certo - gli rispose Garzón, come se per lui le pratiche meditative fossero pane di tutti i giorni.

- Fratello, è al corrente degli ultimi fatti?

- Vediamo tutti il telegiornale all'ora di cena.

- In questo caso saprà della mutilazione del beato.

- Purtroppo sì. La notizia è stata data in un modo che non posso che disapprovare. Sembrava parlassero di una caccia al tesoro.

- È sempre così. La gente chiede spettacolo, non informazione.

- E adesso staranno tutti aspettando che salti fuori l'altra zampa - disse il viceispettore.

Temetti la reazione del monaco. Eppure mi parve di cogliere sul suo volto un lievissimo sorriso.

- Non le sarà sfuggito che il ritrovamento è avvenuto in uno dei luoghi da lei elencati nella sua lista sulla Settimana Tragica.

— Sì, certo. Proprio davanti all'antico oratorio dei Filippini. Le mura esterne sono rimaste le stesse, ma ora l'edificio è adibito ad altro uso.

- Comprenderà che ci è più che mai indispensabile il suo aiuto, e quello di suor Domitila. Forse fra tutti e due saprete trovare nuove informazioni che gettino luce sulla vicenda.

- Ispettore, ci proverò. Quando pensate che potremmo incontrarci?

- Domani stesso. L'ideale sarebbe che veniste in commissariato, se la madre superiora acconsentirà a far uscire suor Domitila dal convento.

- D'accordo, allora. Cercherò di procurarmi dati più precisi sull'oratorio scomparso.

- Alle undici andrebbe bene per lei?

- Chiederò all'abate, ma non penso ci siano problemi.

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