Copertina
Autore Françoise E. Goddard
Titolo La voce
SottotitoloTecnica, storia e consapevolezza del canto
EdizioneEmmebi, Firenze, 2011, di musica , pag. 232, cop.fle., dim. 14x21x2 cm , Isbn 978-88-89999-56-1
LettoreSara Allodi, 2011
Classe musica
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Indice

Introduzione 11

1.     Cantare oggi 17

1.1    Acquistare visibilità 21
1.1.1  La via del web: intervista ad Alvin 22
1.1.2  Costruire un percorso: chiacchierata con Marcello 28


2.     Molteplicità delle forme di canto 35

2.1    Le scelte possibili 35
2.2    Il canto gregoriano 36
2.3    Trovatori e trovieri 39
2.4    La polifonia 46
2.5    La vocalità del Rinascimento 54
2.6    Il Seicento 58
2.7    Il Settecento 69
2.8    L'Ottocento 73
2.9    Lieder, liriche e chansons 82
2.10   Il secolo ventesimo 84
2.10.1 Spiritual, blues e jazz 85
2.10.2 Lo spiritual 86
2.10.3 Il blues 87
2.10.4 Il jazz 91
2.10.5 In Europa 93


3.     Classificazione delle voci, convenzioni e tecnica 95

3.1    Le voci maschili 96
3.2    Le voci femminili 103
3.3    La vocalità moderna 112
3.4    Droghe e voce 116
3.5    Osservazione delle corde vocali 118
3.6    La respirazione 119
3.7    La sorgente del suono 123
3.8    I risonatori 125
3.9    I registri nella voce e le note di passaggio 128
3.9.1  I cambi di registro del basso 131
3.9.2  I cambi di registro del baritono 132
3.9.3  I cambi di registro del tenore 133
3.9.4  I cambi di registro del contralto 134
3.9.5  I cambi di registro del mezzosoprano 135
3.9.6  I cambi di registro del soprano 136
3.10   Il vibrato 137
3.11   Simbologia dell'interazione fra le corde vocali e il respiro 139


4.     L'elettronica al servizio della voce 141

4.1    In sala di registrazione 142
4.2    Davanti al microfono 143
4.2.1  Il cantante operistico o classico 144
4.2.2  Il cantante pop 147
4.3    Dall'altra parte del vetro 151
4.3.1  Il cantante operistico o classico 151
4.3.2  Il cantante pop 152
4.4    Manipolare la voce 154
4.5    Dal vivo 159
4.5.1  Quello che succede giù da un palco 161


5.     Mettere un'anima nella voce 163

5.1    Dal giudizio al cuore 166
5.2    Dal caos alla visione 170
5.3    L'alto e il basso 172
5.4    Gestire le emozioni e le sensazioni 175
5.5    Il potere dell'espressione 178
5.6    I centri energetici specifici del cantante 182
5.7    Esercizi che stimolano la voce 183
5.7.1  La sillaba RO 184
5.7.2  La sillaba LEH 185
5.7.3  La sillaba SWEET 185
5.8    Esercizi preparatori fisici e mentali 186


6.     A spasso con le voci più belle 191

6.1    Sixties & Seventies: da Carnaby Street volando verso ovest 192
6.2    Eighties & Nineties: new wave o soul 203
6.3    Alcuni dvd per passare una bella serata 217
6.4    Spunti d'ascolto: la musica del diavolo
       (a cura di Amanda Tosoni) 220
6.5    Il jazz: dai bordelli di New Orleans
       ai grandi festival internazionali
       (a cura di Eva Simontacchi) 223


Conclusioni 229

Bibliografia 231

 

 

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Pagina 11

Introduzione


La prima edizione di questo libro uscì quasi un quarto di secolo fa. Personalmente ho l'impressione che siano passati solo pochi anni ma in realtà è successo di tutto e di più. In quei giorni usavo una vecchia macchina da scrivere polverosa ereditata da mio nonno, ascoltavo i miei trentatre giri sul giradischi o li passavo su un nastro a cassetta per poterli sentire anche sul walkman. Per registrare le canzoni che componevo avevo da poco abbandonato il Revox multitraccia per passare a un registratore a quattro piste (a cassetta) che dopo poco si sarebbe evoluto in un otto piste (sempre a cassetta). Usavo un microfono Shure per la voce e, per la chitarra, un antico microfono quadrato panoramico (di cui non ricordo la marca) originariamente usato per la cassa di una batteria.

Oggi, la mia macchina da scrivere è stata rimpiazzata da un bellissimo e leggerissimo laptop bianco, giro con un iPod grande quanto un pacchetto di sigarette (che contiene tutta la mia biblioteca musicale) e registro le mie sgangherate composizioni sul computer grazie a un programmino semplicissimo. Ho inoltre a disposizione tutti gli effetti e le equalizzazioni che desidero. Tutto questo, nella mia visione del mondo, è pura magia, specialmente quando mi ricordo che per avere un piccolo effetto di eco sulla voce dovevo trasferirmi a registrare in bagno e usare il riverbero naturale delle piastrelle...


Venticinque anni non sono passati impunemente neanche sulla mia visione del mondo. Mentre scrivevo questo libro ero vicina al diploma e, in qualche modo, decisa a intraprendere la carriera di cantante di musica classica. Malgrado tutte le mie carenze qualcosa poteva saltar fuori. Dalla mia avevo un timbro che veniva definito interessante e mi ero massacrata per imparare a leggere la musica in maniera decente, cosa non ovvia fra i cantanti. Difatti, feci qualche concerto come solista ma mi resi conto di una cosa: dov'era finito tutto il mio piacere di cantare? "L'esibizione" era diventata negli anni in cui studiavo una sorta di mostro enorme da superare, una scalata disumana verso l'olimpo degli dei musicali. Anni di ipercriticismo verso la mia voce facevano sì che ogni volta che mi veniva proposto qualcosa entravo in un incubo nevrotico da prestazione. Così mi diplomai (dignitosamente) e mollai il colpo.

Mentre mi disintossicavo lentamente da questa overdose di studio, avevo cominciato a insegnare. Da questo punto di vista, sembravo più fortunata. Studiando avevo acquisito un orecchio molto attento alle problematiche vocali che assillano il cantante e riadattare queste capacità al mondo della musica leggera non mi ha mai creato troppi problemi. Oggi esistono tanti insegnanti (o vocal coach) che non sono passati dalla musica classica. Questo può essere sia un vantaggio che uno svantaggio. Da un lato, si può osare di più, ma dall'altro si rischia di massacrare una voce se non se ne riconoscono i limiti fisiologici. La metodologia classica si basa su una classificazione molto precisa e attenta delle categorie vocali. Sapere per esempio quali sono i punti di passaggio di una tessitura, i limiti e le qualità di una data voce a volte può essere molto utile. E dunque integrare queste conoscenze nel proprio bagaglio è un arricchimento sia per il cantante che per l'insegnante di canto.


Quando mi è stata proposta la riedizione di questo libro ero comunque molto dubbiosa. Sicuramente, escluso il capitolo dedicato alla storia della voce, quasi tutto il resto andava rivisto (cioè riscritto...): i rapporti con le case discografiche sono molto cambiati e gli artisti hanno oggi maggiori possibilità di farsi conoscere mentre le opzioni legate alla registrazione sono notevolmente aumentate. Inoltre, molti dei cantanti che portavo come esempio allora sono ormai dispersi nell'universo. Per quanto riguarda me stessa, sono oggi più distaccata e meno coinvolta e, rispetto ad allora, anche un po' meno interessata a ciò che succede nel mondo vocale di oggi. La mia percezione del canto ci ha comunque guadagnato perché, per farla sopravvivere dentro di me, l'ho dovuta far crescere riconoscendole un significato più profondo, e la voce è diventata il simbolo esteriore di una visione del mondo interna. Non che ascoltare o cantare un'aria di Verdi (piuttosto che fare lo stesso con una canzone di Sting) non permetta di raggiungere delle raffinate sensazioni paradisiache, ma questo mi sembra comunque un limite. Vi è molto di più da scoprire e negli anni ho elaborato una serie di considerazioni nate dalla pratica della meditazione.

Ho già espresso questo punto di vista nel libro L'anima nella voce dove la mia crescita personale veniva messa in parallelo con la mia crescita vocale. Qui invece la voce viene trattata in modo più "tecnico" per cui queste considerazioni, allora astratte, sono semplicemente diventate una parte fondamentale dello studio del canto. Per me è oggi inconcepibile avvicinarsi al canto senza far evolvere la propria coscienza. Mi sono quindi permessa di aggiungere un capitolo che introduce in maniera semplice degli elementi che inducano una maggior consapevolezza. Lo scopo rimane sempre e comunque quello di cantare meglio e, dunque, perché negarsi questa possibilità?


L'altra grande rivoluzione è stata indubbiamente la nascita di internet. Fino agli anni Novanta, per farsi conoscere, un musicista poteva fare ben poco senza passare attraverso le grinfie di una casa discografica o di un avido produttore. Oggi, avere una home page, apparire su MySpace o su Facebook può veramente fare la differenza. Usato con qualche accorgimento, il sistema è uno straordinario mezzo di comunicazione che scavalca impietosamente le restrizioni imposte dalle majors. Una forte visibilità sul web è quasi automaticamente sinonimo di maggiore contrattualità (sempre che si voglia entrare in contatto con una casa discografica) ma negli Stati Uniti non è raro che degli artisti evitino di legarsi a un'etichetta preferendo invece fare tutto da soli.

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Pagina 17

1. Cantare oggi


Quando scrivevo per la prima volta questo libro ponendomi la domanda "cosa significa cantare oggi", il mio desiderio maggiore era quello di riuscire a dare una visione più ampia del canto. Allora, e specialmente in Italia, il canto operistico si trovava agli antipodi della musica leggera, anzi... di qualsiasi espressione musicale. I libri che trattavano l'argomento si occupavano esclusivamente di bel canto che, solo e unico, aveva il diritto di essere teorizzato, amato e riverito, come se il resto non esistesse. Da queste letture si deduceva che avremmo tutti dovuto impostare la voce come Luciano Pavarotti o Maria Callas, cantare arie antiche (se avevamo una voce "piccola") o arie d'opera (se la nostra natura era "generosa"). Se eravamo un po' più colti della media generale avremmo potuto permetterci qualche Lied o impegnarci in un esperimento di musica contemporanea. Persino la musica antica (che richiede una vocalità molto particolare) veniva disdegnata. Il canto si cristallizzava intorno a un frammento d'epoca estremamente ridotto che riguardava esclusivamente il canto operistico.

Poi di colpo, accendendo la radio, venivo proiettata in un mondo completamente diverso, dai suoni aspri, volgari e ripetitivi, dove i cantanti si esprimevano con voci spesso dure, ingoiate, sussurrate o demenziali. Eppure, quando le ascoltavo, rimanevo colpita dalla loro freschezza e dai contenuti inconsci che sapevano esprimere malgrado i tremendi filtri commerciali che l'industria discografica riusciva a imporre. Qua e là emergevano personaggi che, pur non avendo niente a che fare con un'impostazione tradizionale, erano capaci di cantare, esprimevano emozioni e possedevano arte e musicalità in abbondanza. E, soprattutto, dotati di un carisma fuori dal comune, non avevano niente da invidiare ai loro colleghi più seri.

Allora, il mondo canoro ufficiale si fermava sul palcoscenico della Scala e, benché studiassi per diplomarmi, mi sentivo molto isolata in questo bisogno di trovare un filo che unisse le diverse vocalità. Probabilmente si trattava del disperato tentativo di giustificare il mio amore per le ballads della West coast e del Brit pop di fronte ai miei insegnanti che storcevano il naso. Non venivo d'altronde molto aiutata neanche da ciò che andava di moda in quel periodo: eravamo sulla coda del movimento punk che, sin dai suoi esordi (intorno alla metà degli anni Settanta), si era posto in maniera completamente antagonista a ciò che il mondo pop aveva prodotto fino ad allora. Gruppi come i Sex Pistols, Clash, Jam e personaggi come Johnny Rotten o Sid Vicious — che sembravano aver reso obsolete icone straordinarie come Queen, Led Zeppelin o Pink Floyd — stavano già tramontando a favore di una new wave britannica molto commerciale che promuoveva una vocalità ancora poco definita. Anche se stavano emergendo cantanti che avrebbero sviluppato più avanti un'espressività straordinaria, nessuno di loro mi sembrava in quel momento adatto a giustificare un'alzata di scudi a favore di una vocalità più moderna.

Poco dopo la pubblicazione del libro, tirai un sospiro di sollievo scoprendo che stavano venendo alla luce cantanti soul straordinari come Anita Baker, Peabo Bryson o Sade che riuscivano a combinare una vocalità eccellente con un tipo di musica molto raffinata. In quel periodo scoprii anche George Benson, Al Jarreau e gli Incognito. Forse sarei riuscita a trovare in loro i validi difensori del genere "leggero". Tempo perduto: nessuno sembrava interessato a confrontarsi con una vócalità diversa dalla propria. Tutti, a differenza di quello che provavo io, erano assolutamente sicuri delle proprie scelte estetiche e vocali e non si ponevano alcun problema. I miei compagni di studi classici rimanevano fissi sulle loro arie d'opera, i miei insegnanti non erano interessati e i cantanti pop che conoscevo tiravano dritto per la propria strada.

Oggi sicuramente le cose sono molto cambiate. Anche la vocalità moderna ha sviluppato una tecnica e un'estetica che possiedono forza e qualità, benché questo sviluppo si basi su premesse completamente diverse da quelle della musica classica: il volume della voce per esempio — un problema fondamentale per chi affronta un'impostazione convenzionale — è passato in secondo piano a favore di un'esternazione più naturale del suono permettendo così di ampliare le opzioni espressive mentre il passaggio dalla lingua italiana a quella inglese ha svelato moduli ritmici che hanno ulteriormente arricchito la linea del canto. Tecnicamente, un vocal coach moderno ha poco o niente da invidiare al suo collega operistico: respirazione e appoggio delle note dovrebbero essere concetti comuni a entrambi malgrado le ovvie differenze stilistiche e tutti sembrano aver ben capito che cantare "di gola" è pericoloso. Il gap esistente fra la vocalità classica e quella moderna si è dunque accorciato e, almeno in termini tecnici, è possibile ragionare di comune accordo. Chi decide di affrontare un percorso di studi può oggi scegliere un insegnante adatto alle proprie esigenze e la diffusione musicale è tale da permettere a chiunque di potersi ispirare a modelli vocali di ottima (o di infima) qualità il cui modo di cantare viene prontamente codificato e reso accessibile.

Il problema, però, sembra essersi spostato su binari differenti. Questa stessa diffusione musicale difficilmente avviene seguendo canoni interessanti. Anzi, si può a ragione dire che l'individuazione di nuovi cantanti che poggiano la propria vocalità su un reale contenuto artistico è diventata ancora più difficoltosa. Qua e là appare qualcuno che farebbe ben sperare ma subito viene riinghiottito dalla massa sonora che ci colpisce quotidianamente. Se la musica classica mantiene una fisionomia precisa grazie a standard di qualità comunque alti, il mondo della musica leggera sembra essersi perso in rivoli inconsistenti di mode fugaci sostenute da meccanismi esclusivamente commerciali. L'aspetto visivo fornito dal videoclip prodotto per pubblicizzare un brano distoglie ulteriormente l'attenzione dal reale valore della canzone o dal percorso artistico di chi la interpreta. Sicuramente i cantanti sono tecnicamente più consapevoli del valore della propria voce e nessuno può negare che Beyoncé – tanto per citarne una – sia una professionista irreprensibile, ma le sue canzoni mi sembrano decisamente poco interessanti. E soprattutto, dove sono finiti quei personaggi mitici che apparivano fulminando il cielo della musica pop?


Ormai è da molto tempo che non seguo più ciò che propone il mercato e mi dedico invece a recuperare brani del mio passato prossimo che appaiono nei meandri di Amazon. Fortunatamente, le mie icone personali sono tuttora viventi e continuano a produrre dell'ottima musica. Meno fortunati mi sembrano invece molti ragazzi che, alla domanda "che musica ascolti?" oppure "a quale cantante ti ispiri?", il più delle volte non sanno cosa rispondere. Il loro sguardo si fa vacuo mentre balbettano qualche nome a casaccio. Eppure hanno deciso di venire a studiare canto...

Per ovviare a questo ho inserito in fondo al libro un elenco di interpreti, autori e/o gruppi che considero fondamentali nel percorso di un cantante pop. Sono gli stessi che tengo sul mio iPod. Le mie scelte possono essere opinabili ma almeno danno qualche indicazione per costruire una buona mediateca musicale pop. L'elenco è stato arricchito da due liste ulteriori: una dedicata al blues stilata da Amanda Tosoni e una riguardante il jazz preparata da Eva Simontacchi.

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Pagina 95

3. Classificazione delle voci, convenzioni e tecnica


Chi di voci conosce poco o niente si accontenta di definirle in quattro soli modi: maschile o femminile, acuta (se riesce ad andare molto in alto) o bassa (se rimane nelle note medie o basse). Colore, registro, timbro, note di passaggio o capacità espressive vengono raramente compresi dai non addetti al lavoro (e spesso anche dagli addetti stessi) mentre la voce rimane impregnata di quell'alone irrazionale e assolutistico che ne limita le possibilità espansive e ne riduce la valenza a una sorta di megafono che riproduce delle banalità emotive.

Abbiamo terminato il capitolo precedente constatando che il secolo ventesimo fa approdare la voce a un non-canto. Questo però non significa che tutto quello che c'è stato prima – e cioè almeno cinquecento anni di storia della vocalità – sia da buttare via. Le classificazioni meticolose elaborate in base all'estensione, al colore, al volume e alla flessibilità di una voce a cui approdarono gli insegnanti e gli studiosi dell'Ottocento valgono tuttora come punto di riferimento, anche per chi non si sognerà mai di cantare un brano d'opera. Bisogna sempre ricordare che la vocalità operistica sviluppò delle caratteristiche estreme sia in termini di volume (non esisteva il microfono) che di tessitura: ogni voce, per piccola che fosse, era obbligata a sviluppare al massimo grado le proprie capacità secondo un codice prestabilito e una straordinaria tradizione, in modo particolare quella italiana.

I parametri che furono stabiliti erano molto precisi e, benché variassero leggermente da paese a paese, a causa delle diversità linguistiche e della struttura fisica dei cantanti, permisero di elaborare dei punti di riferimento molto preziosi che possono essere tuttora usati, foss'anche solo per superarne i limiti. Sto pensando in questo caso alla vocalità pop e rock e, in modo specifico, alla voce femminile che maggiormente si è discostata dalla vocalità classica. L'apporto afroamericano ne ha fatto abbassare la tessitura e spostare il punto di passaggio (quelle note particolari in cui ci si accorge che per continuare a salire o a scendere nell'estensione bisogna adattare la propria laringe), un fatto che può portare a volte a conseguenze disastrose. Una conoscenza approfondita dei tipi vocali può fare la differenza e aiutare il cantante a evitare appoggi che deformerebbero la sua voce.

Cosa significa dunque essere un "basso" piuttosto che un "tenore", un "soprano " piuttosto che un "contralto"? Quali sono le caratteristiche che rendono queste voci diverse l'una dall'altra? e come utilizzare questi termini in contesti che non siano solamente quelli classici?


3.1 Le voci maschili

La voce maschile più profonda in assoluto è quella del controbasso, una voce particolarmente rara riscontrabile soprattutto nelle province russe e la cui nota più bassa può arrivare all'incredibile si posto due ottave sotto il do centrale del pianoforte. La sopravvivenza di questa voce è stata strettamente legata a quella della chiesa russa nonché alla sua pratica liturgica e purtroppo, per quanto straordinaria, ha poco senso in qualunque altro contesto la si voglia inserire. L'uso enfatizzato delle note basse preclude infatti la possibilità di una tessitura che si estenda verso l'alto e allo stesso tempo la rende ingovernabile.

Subito dopo troviamo il basso profondo, la cui pesantezza e mancanza di agilità ne consentono una presenza molto limitata all'interno della tradizione operistica. Il basso profondo può esibire la maestà delle sue note solo in qualche rara occasione come per esempio nelle due bellissime arie riservate a Sarastro nel Flauto magico di Mozart. Il basso profondo – come in generale tutte le voci basse – possiede comunque una qualità magica che lo rende più adatto di altri a ruoli extraterreni come il Convitato di Pietra nel Don Giovanni o Fafner, il Drago custode dell'oro nel Sigfrido di Wagner.

Al basso profondo seguono il basso drammatico e il basso cantante. Esiste qui una distinzione abbastanza legittima fra un basso a cui viene richiesta una certa drammaticità e quello a cui viene richiesta una vocalità più "cantante". Il timbro di quest'ultimo sarà dunque leggermente più chiaro e malleabile. È la differenza che passa, per esempio fra i due ruoli per basso che troviamo nel Don Carlo di Giuseppe Verdi: quello di Filippo, più adatto a un basso cantante, che rappresenta la ragion di stato, e quello invece del grande inquisitore, ovvero la ragione della chiesa, che meglio viene reso se interpretato da un basso drammatico.

Mefistofele di Arrigo Boito, Boris Godunov di Mussorgsky, Alvise Badoero nella Gioconda di Ponchielli, Figaro nelle Nozze di Figaro di Mozart e qualche volta Don Giovanni stesso sono fra i grandi ruoli annoverabili nel repertorio del basso. Altri ruoli importanti, ma questa volta più specificatamente tedeschi (e con questo si intende un tipo di vocalità più scura e con effetti di tipo declamatorio) sono quelli legati alle parti wagneriane come i due giganti Fafner e Fasolt nell' Oro del Reno, Hunding nella Valchiria o Dalando nel Vascello Fantasma.

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Pagina 100

Siamo finalmente arrivati al tenore. Questa è la voce più amata in assoluto in Italia benché fino al Settecento abbia mantenuto un ruolo secondario e subordinato a quello dell'evirato. Fortunatamente, con l'avvento del romanticismo e grazie a una nuova ricerca di realismo nel colore delle voci, il tenore riuscì a emergere con ruoli di protagonista. Come tutte le altre, anche questa voce è soggetta a classificazioni molto accurate, con l'ulteriore aggiunta di un certo grado di esasperazione visti i fenomeni di divismo che l'accompagna.

Fra le voci tenorili più gravi, una categoria che non viene generalmente contemplata in Italia è quella dell' Heldentenor, o tenore di forza. Dotato di una qualità vocale più pesante di quella dei tenori che si dedicano al repertorio francese o italiano, questa voce è particolarmente adatta al repertorio tedesco e in special modo a quello wagneriano. Sicuramente anche qualche tenore della scuola italiana avrebbe le qualità per affrontare questo tipo di ruolo ma, sia per temperamento che per un'educazione musicale assolutamente differente, è ben difficile trovare qualcuno disposto ad affrontarlo. Così, il vero tenore teutonico rimane una rarità.


Ma eccoci di fronte ai veri divi dell'opera: il tenore drammatico e il tenore lirico, gli unici che sembrano possedere il dono dell'eros e che lo possono usare a piacere, così come era successo agli evirati qualche secolo prima. Al tenore tutto è permesso, dal non saper leggere la musica alle bizze di primadonna, basta che la sua voce abbia quello "squillo" particolare, il famoso "do di petto" e una potenza tale da riempire tutto il teatro.

Su questa stessa estensione si muovono i due tipi di tenori, il lirico e il drammatico, distinzione abbastanza difficile da fissare visto che è abbastanza frequente il caso di un tenore lirico che si sposta verso un repertorio più pesante o, sia pure meno spesso, che succeda il contrario. Il tenore lirico si differenzia generalmente da quello drammatico per una maggior cantabilità mentre quest'ultimo possiede e usa colori più baritonali.

Ciò che però colpisce del tenore "all'italiana" è la capacità di darsi a piene mani, generosamente e in maniera quasi ingenua, con l'intima e profonda convinzione che il messaggio da inviare sia sempre e comunque legato allo smalto e alla potenza della sua voce. E la cosa funziona: non si può non provare simpatia per questa figura tradizionalmente un po' tracagnotta e forzuta, anche se ultimamente si sono visti tenori alti più di un metro e ottanta e a volte molto prestanti. Enrico Caruso, Mario Lanza, Placido Domingo, José Carreras, Luciano Pavarotti sono solo alcuni fra quelli che hanno contribuito al grande mito di questa voce.

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Pagina 112

3.3 La vocalità moderna

Quando cominciai a studiare io non esistevano (o quasi) insegnanti di canto che si occupavano della vocalità "leggera". Il pop, il rhythm & blues e persino il jazz erano lasciati alla personale inventiva e capacità del cantante stesso. Non esisteva il concetto di un qualsiasi controllo sul timbro o sulla respirazione, e non si riusciva persino a immaginare che la voce potesse essere educata e sviluppata. Esistevano delle voci belle, ma con il termine "bello" spesso, noi ignoranti, intendavamo delle caratteristiche diametralmente opposte a quelle in uso nella vocalità classica. "Belle" potevano essere considerate le voci di Aretha Franklin o di Tina Turner, di Joe Cocker o persino di Bob Dylan...

Il pop inglese e la west coast americana erano nel mio cuore e, benché la mia insegnante storcesse il naso con aria afflitta, non riuscivo a togliermi dalla testa che mi sarebbe tanto piaciuto cantare come alcuni di loro. Cantare andava di pari passo allo scrivere canzoni e, malgrado mi impegnassi a studiare il pianoforte e il solfeggio, continuavo a strimpellare la mia chitarra e a sfornare delle ballads in puro stile californiano.

I miei coetanei e io abbiamo in qualche modo dovuto metabolizzare il passaggio da una vocalità classica a una più moderna e anche se questo non è successo (almeno per me) senza traumi, oggi esiste una scuola di canto che si avvale di parametri più attuali. In questo senso, chi canta oggi è decisamente avvantaggiato. Con un buon insegnante di canto capirà presto cosa significa la respirazione diaframmatica, il punto di passaggio (break in inglese) della sua voce nonché un buon timbro, mentre potrà avvalersi anche di un minimo di igiene vocale. Dagli anni Settanta in poi sono inoltre diventati famosi cantanti con voci straordinarie come Whitney Houston, Freddie Mercury (Queen), Annie Lennox, Tony Hadley (Spandau Ballet) o George Michael. Questo ha contribuito non poco a elevare lo standard vocale della musica leggera, persino di quella più commerciale. Oggi è dunque possibile relazionarsi, sempre che lo si desideri, con modelli vocali che poco hanno da invidiare alle grandi voci operistiche.


Le voci femminili molto leggere. Benché la tessitura femminile si sia complessivamente molto abbassata e anche le voci più leggere sviluppino e usino molto il "primo" registro spingendo in alto le note di passaggio, rimangono comunque riconoscibili per una qualità argentina nel loro suono. Il microfono è fondamentale per queste voci e serve per enfatizzare le loro note più basse. Possiedono inoltre dei falsetti trasparenti molto accattivanti. Spesso spingono nel registro centrale portando troppo in alto il passaggio e col tempo si crea una frattura nella tessitura. Il loro asso nella manica rimane comunque la possibilità di esibire dei sovracuti (come quelli che Mariah Carey usava in Emotions agli inizi della sua carriera) e una notevole facilità nelle agilità.

Kate Bush, Mariah Carey, Tamia, Brandy, Janet Jackson, Madonna (sì, anche lei, anche se non lo vuole ammettere) e la più nostrana Antonella Ruggiero fanno parte di questa categoria.


Le voci femmnili medio-alte. Sono quelle che hanno fatto fortuna nella musica leggera commerciale d'oltre oceano. Il loro goal è di mantenere la voce nello stesso registro. Le note che prendono, man mano che salgono nella tessitura, non sono più di petto ma vengono appoggiate dietro il naso e tenute chiuse come farebbe un tenorino leggero. Possiedono un notevole temperamento musicale e, proprio per questa continuità di colore nel timbro, sono molto facilitate nell'interpretazione dei brani che eseguono.

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Pagina 118

3.5 Osservazione delle corde vocali

Pretendere di spiegare la tecnica vocale in un libro è del tutto impossibile e tanto più lo è descrivere ciò che succede in gola a un cantante. Un pianista può almeno controllare la posizione delle proprie mani e un flautista si guarda allo specchio, ma al cantante viene negata questa possibilità a meno di non usare degli accorgimenti speciali.

Gli strumenti che possediamo oggi per controllare ciò che succede a un cantante mentre emette dei suoni sono tantissimi ma non vengono certo usati durante una lezione di canto. Delle corde vocali, che vengono definite come "formazioni muscolari allungate all'interno della laringe, piuttosto spesse nel complesso – spessore costituito dal muscolo vocale – e sottili nei due orli che vengono a toccarsi", sappiamo che furono osservate per la prima volta da Manuel Garcia II, fratello di Maria Malibran, intorno alla metà del diciannovesimo secolo a Parigi. Garcia, spinto dal desiderio di osservare quello che succedeva nella propria gola, fece uso di un particolare tipo di specchietto dentistico appena apparso in quel periodo. Garcia se ne appropriò e, grazie a un complicato sistema di specchietti a luce riflessa, potè finalmente osservare le proprie corde vocali, o almeno la loro parte superiore. Era nato il laringoscopio. Da allora la foniatria ha compiuto progressi notevoli e oggi si può avvalere di strumenti molto raffinati.

Con la foniatria, che è quel ramo particolare della medicina che studia le alterazioni della voce sia parlata che cantata, si è arrivati a poter osservare la laringe con un microscopio (microlaringoscopia) o con uno stroboscopio, un apparecchio dalla cui lampada a lampo elettronico comandata da un oscillatore elettrico a frequenza variabile vengono emessi lampi di luce molto brevi. L'oscillatore entra automaticamente in sintonia con la frequenza della voce presa in esame. Diventa allora possibile studiare il movimento delle corde vocali, movimento quasi nullo quando la loro vibrazione è simmetrica, ma che diventa subito irregolare quando appaiono variazioni anche piccolissime nell'attività vibratoria. Altri metodi sono l'ecografia, tecnica basata sugli ultrasuoni, e la tac (tomografia assiale computerizzata).

È inoltre possibile oggi osservare le corde in movimento grazie a un sottilissimo filamento endoscopico a base di fibre ottiche che, infilato nel naso, scende fino alla laringe e riproietta su video quanto succede alle corde vocali. Un altro sistema ancora è l'elettrolaringografia che, segnando un tracciato delle contrazioni delle corde vocali, rivela alterazioni e irregolarità vibratorie.

Più che a educare, la foniatria serve a correggere o a curare ma sarà sempre una buona idea fare qualche controllo parallelo all'andamento dello studio, soprattutto in caso di disfonie, afonie o raucedini persistenti che potrebbero essere causate da noduli, polipi, stati nevrotici o disfunzioni ormonali.


3.6 La respirazione

Vi sono comunque alcuni punti fermi ormai assodati che, in linea di massima, prevengono ed esorcizzano i pericoli connessi all'emissione del suono. Uno di questi è una corretta respirazione.

Parte fondamentale della fonazione, la respirazione ne rappresenta il motore portante. L'espiro, sul quale corrono i suoni che noi desideriamo emettere, rappresenta l'esternazione fisica della nostra energia vitale. Convenzionalmente si riconoscono tre tipi di respirazione o combinazioni di questi tre tipi.

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6. A spasso con le voci più belle


Questo è stato forse il capitolo in cui mi sono divertita di più: ripassare tra le centinaia di dischi, cassette e cd che hanno fatto da colonna sonora alla mia vita è stato una gioia e mi ha fatto capire la fortuna che ho avuto di poter ascoltare così tanta musica straordinaria. Solo ora mi rendo conto del continuo sostegno che ho avuto a disposizione, soprattutto nei momenti più tristi. Bastava mettersi le cuffiette del walkman in testa, uscire a farsi un giro e il gioco era fatto: in pochi minuti le nuvole sparivano all'orizzonte e ricominciavo a cantare.

Sono anche felice di vedere tanta gente della mia età (e anche più anziana) in giro oggi con il proprio lettore. In quel momento sono segretamente solidale con il loro mondo interiore.

Oggi è effettivamente molto più facile di una volta trovare la musica che si desidera e il web è uno strumento straordinario anche in questo: con pochi "clic" è possibile raggiungere qualsiasi cantante si desideri e inserire nell'iPod i suoi brani. La difficoltà sta però nel saper circoscrivere la vastità dell'offerta e muoversi secondo una mappa capace di far emergere isole musicali qualitativamente migliori rispetto all'enorme e indistinta massa sonora a disposizione. Questa lista deve quindi servire a dei cantanti giovani per permettere loro di entrare in contatto con interpreti che (forse) non hanno ancora sentito e stimolarli a crearsi un percorso. Ho anche deciso di non introdurre alcun cantante o autore italiano perché sono fondamentalmente convinta che, per quanto riguarda il pop, i popoli anglofoni siano imbattibili e che nessuno regga il loro confronto: è la loro tradizione e il loro modo di fare musica. (Comunque, per par condicio, sono altrettanto convinta che il Bel Canto sia esclusivamente italiano e di nessun altro.) Non ho neanche elencato alcun interprete operistico o classico — benché molti di essi siano presenti nella mia libreria – perché esistono già pubblicazioni molto esaustive a riguardo.


Fare questo elenco non è però stato molto facile. Anche se ho fatto una divisione fra il ventennio degli anni Sessanta/Settanta e quello Ottanta/Novanta, alcuni artisti sono talmente longevi da averli cavalcati entrambi (e spesso da essere tuttora attivi), per cui la loro collocazione poteva essere un po' complicata. Ho risolto il problema situandoli nel momento in cui la loro produzione musicale mi è sembrata più interessante, o comunque mi aveva colpito di più. Ogni volta che ho citato un album o una raccolta ho segnalato due o tre pezzi da ascoltare. Così, se non conoscete l'interprete potete farvene un'idea andando direttamente a sentire quelle canzoni e decidere poi se approfondirne la vostra conoscenza.

Questa libreria virtuale è stata estesa anche al blues e al jazz.

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