Copertina
Autore Nadine Gordimer
Titolo La figlia di Burger
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1995 [1992], UE 1305 , Isbn 978-88-07-81305-4
OriginaleBurger's Daughter [1979]
TraduttoreEttore Capriolo
LettoreRenato di Stefano, 1996
Classe narrativa sudafricana
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Pagina 11

Nel gruppo di persone in attesa davanti alla fortezza c'era una ragazzina nell'uniforme gialla e marrone della scuola. Aveva in mano un piumino verde e una borsa rossa per l'acqua calda, che teneva per l'anello. A quel tempo certi autobus facevano ancora quella strada, e i passeggeri, guardando fuori avranno notato una ragazzina. Questa poi, una ragazzina: deve avere qualcuno là dentro. Chi è tutta quella gente, a proposito? Persino dal piano superiore di un autobus che passa sobbalzando allo scattare del verde, il gruppo non sarà sembrato composto dalle solite persone in visita che, passive, senza attirare l'attenzione, stavano sparse sul declivio erboso del terreno demaniale.

La ragazzina non era in prima fila davanti al portone del penitenziario, ma neanche ai margini del gruppo. C'erano parecchi giovani in maglione a collo alto e veldskoen, uomini in completo portato distrattamente come una seconda pelle, un vecchio con una massa di capelli bianchi pettinati all'indietro, donne infagottate in pantaloni e montgomery, una in gonna lunga e scialle all'uncinetto, due in eleganti taineur di tweed, con gioielli d'oro e occhiali da sole portati non per nascondersi ma per affermare la propria indifferenza alla curiosità altrui. Erano schierati davanti al portone, più come invasori che come supplici. Avevano tutti pacchi e sacchetti. Le voci delle donne erano chiare e forti in quel luogo pubblico, l'uomo dai capelli bianchi aveva posato le braccia sulle spalle di due giovani e i tre erano intenti a discutere tra loro, una donna alta e bionda si spostava all'interno del gruppo con molesta determinazione. Fu lei a farsi prestare dal vecchio il bastone col pomo di corno per bussare al portone, quando, alle tre passate, erano ancora lì in attesa.

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Pagina 124

"E' esattamente quello che dice tuo padre... Ma le cose che fai hanno un senso per te?"

La sua espressione era quella che dovevo avere io ai tuoi occhi quando mi raccontavi di aver visto tua madre e il suo amante scopare nella caniera per gli ospiti. Avrebbe affrontato ciò che le si presentava senza permettersi di vederlo, proprio come facevo io. "E' parte della strategia della lotta. Nella fase attuale... per il momento. Non c'è altro da fare. Ma tu lo sai.»

Certo che lo so. Avrei potuto citare la definizione del generale Giap, secondo cui l'arte dell'insurrezione consiste nel saper trovare forme di lotta appropriata a ogni fase della situazione politica. Gli scioperi degli operai neri del Natal, nei quali sua madre finirà per essere coinvolta, anche se all'inizio erano spontanei, sono un esempio di quell'osservazíone di Lenin secondo cui il popolo intuisce prima dei capi il mutamento delle condizioni oggettive della lotta. E' vero. Rimane però la necessità della propaganda politica. Qualcuno deve fotocopiare la lettera aperta a Vorster. A rischio di incoraggiare l'avventurismo, è ancora necessario assegnare una funzione ai pochi rivoluzionari bianchi. E' documentato che già nel 1962 mio padre era uno di quelli, finalmente in gran parte neri, che al sesto congresso clandestino del Partito comunista sudafricano formularono la prospettiva finale, l'integrazione ideologica, la sintesi di vent'anni di dialettica: è impossibile concepire l'ascesa al potere dei lavoratori separata dalla liberazione nazionale, così come è impossibile concepire una vera liberazione nazionale separata dalla distruzione dei capitalismo. Il Futuro per il quale lui visse sino al giorno della sua morte può essere raggiunto soltanto dal popolo nero con la partecipazione del piccolo gruppo di rivoluzionari bianchi che hanno risolto la contraddizione tra coscienza nera e coscienza di classe e sono in grado di fare incondizionatamente causa comune con la lotta per la piena liberazione, vale a dire la rivoluzione nazionale e sociale. E' necessario che questi pochi entrino segretamente nel paese o vengano reclutati all'interno tra persone potenzialmente poco sicure, giornalisti e studenti romantici, e tra persone quasi totalmente fidate, come i figli, gli amanti e gli amici di quelli della vecchia guardia, e che costoro vengano pizzicati l'uno dopo l'altro dalla sezione speciale, in flagrante possesso di inchiostro invisibile, fondi clandestini, chiavi (fornite da elementi poco sicuri di altro genere) con cui introdursi negli uffici di eminenti finanzieri provvisti di fotocopiatrice. Queste sono cose ridicole (come il 'rozzo disegno' del mistero primordiale dell'accoppiamento fatto da un bambino) - lei non riusciva quasi a credere alla mia stupida provocazione, alle mie spalle sollevate per trattenere una risata vergognosa che cercava di farsi strada sul mio viso nonostante gli sforzi per trattenerla - solo se ci si stacca dal proprio ruolo storicamente determinato e se ne perde di vista il senso. Sono questi - siamo noi - gli strumenti di lotta appropriati alla fase attuale. La guardai, cercando di provocare entrambe. "Che conforimisti: figli dei nostri genitori."

"Dick e Ivy conformisti!" Si voltò verso di me con una smorfia.

"Non loro... noi. Ci hai mai pensato? Ci sono altri che rompono completamente. Che vivono in maniera del tutto diversa. Genitori e figli che non si capiscono... non hanno niente da dirsi. E' una specie di assicurazione naturale contro la ripetizione... Ma noi no. Noi viviamo come hanno vissuto loro."

"Oh, le libertà borghesi. Per noi non è possibile. Noi vogliamo qualcos'altro. Cristo, per questo non devo certo battermi contro il povero vecchio Dick e contro Ivy... anche se per molti versi mi scocciano, soprattutto mia madre. Vogliono la stessa cosa anche loro."

"Ma ti è stata data la possibilità di scelta? Pensaci."

"Sì... se vuoi vederla così... E invece no! Rosa! Quale scelta? Rosa? in questo paese, sotto questo regime, vedendo come vivono i neri... cosa c'entra la scelta con i genitori? Cos'altro potresti scegliere?" Adesso era eccitata, aveva il fervore di chi sente che sta acquistando influenza, tirava fastidiosamente su col naso per ricacciare indietro le lacrime che non aveva versato. Per assioma, i difetti che vedi negli altri sono spesso i tuoi; chi critica gli altri disprezza se stesso. Ma in questo caso è diverso. Non c'è pagliuzza nei suoi occhi. La ragazza di cui avevo compassione, che guardavo incuriosita, tanto differente da me negli aspetti 'non importanti' - la guardavo come se fosse stata me. Volevo qualcosa dalla vittima che era in lei e forse l'ottenni.

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Pagina 344

Il tipo di educazione al quale i figli si sono ribellati è abbastanza evidente: non possono scrivere né formulare il loro entusiasmo e la loro angoscia. Ma sanno perché muoiono. Avevi ragione tu. Voltano la testa e chiudono gli occhi gridando: "Ahi!' quando gli fanno un'iniezione, ma hanno continuato ad avanzare incontro alla polizia e ai fucili. Tu sai come loro ciò che vogliono. Tu sai esprimerlo. Diritti, non concessioni. Il loro paese, non ghetti all'interno del loro paese o homeland tribali in cui viene spartita la loro terra. La ricchezza creata dalle fatiche dei loro padri e delle loro madri e trasformata in dividendi per l'uomo bianco. Il potere sulla propria vita in luogo di un destino inventato, decretato e imposto da governi bianchi - Ebbene, tra tutti quelli che non amavano il tuo vocabolario e i tuoi metodi, chi ha espresso questo in maniera altrettanto onesta? Chi sono loro per renderti responsabile di Stalin e negarti Cristo?

C'è qualcosa di sublime in te - non potrei dirlo a nessun altro. Non nella tua biografia. Avresti affrontato di persona ciò che è accaduto ai neri a Bambata, a Bulhoek, a Bondelswart, a Sharpeville. Ma stavolta loro sono uniti come non lo sono mai stati, mai, neanche nelle disastrose guerre «cafre», neanche a Bambata, Bulboek, Bondelswart, Sharpeville. Si tratta di qualcosa che è esclusivamente loro? Tu mi usavi per andare a trovare i detenuti in carcere, come corriere, come qualsiasi cosa a cui potevo servire, e sei andato in prigione con una condanna a vita e ci sei morto, ma cos'avresti detto nel vedere Tony e me accostarci ai fucili tenendoci per mano? Non me lo dirai mai. Non lo saprai mai. Non ci è dato (non preoccuparti, alludo alla preveggenza del cervello, non a un Dio spilorcio; non sono diventata religiosa, non sono diventata niente, sono quella che sono sempre stata) sapere che cosa ci fa paura o no. Tu qualche volta devi aver avuto paura, sennò non avresti potuto avere la tua dolce lucidità. Ma eri un po' come i ragazzi neri: avevi l'entusiasmo.

Sono scappata. Baasie mi ripugnava; ho lasciato che la ripugnanza mi entrasse dentro; lo scontro tra diverticolite, cancro alla mammella, stitichezza, impotenza, magrezza e obesità. Ero spaventata. Tu avresti riso. Tu hai sempre saputo queste cose: quando una persona è morta la si ritiene onnipotente. Io ero spaventata. Forse mi crederai. Nessun altro lo potrebbe. Se cercassi di raccontarlo, come non farò. E la conseguenza non è quella tradizionale: che io non mi "difendo" contro chiunque pensi male di me; al contrario, mi vedo attribuire un merito che non mi è dovuto. Quando l'ho raggiunto in strada, Dick ha detto: sapevo che eri tu. Tua figlia era attesa. L'uomo in Francia era il solo col quale potevo parlare; e quando si venne al punto, questo fu l'unico argomento sul quale mi era impossibile essere franca con lui. Non che gli manchi la capacità d'imnmaginare - che cosa? Questo posto, tutti noi che siamo qui. Ha letto molto su di noi. Il nostro destino aleatorio, lo chiama. Sapeva fare piani. Aveva molta immaginazione: è una specie di scrittore, in effetti, oltre che un professore (ma ride delle pretese accademiche di questo titolo). Una volta, mentre mi stavo asciugando dopo la doccia, tirò fuori all'improvviso un'idea per un libro di fantascienza con cui avrebbe fatto i soldi. Supponiamo che, a causa delle sostanze chimiche usate per uccidere i parassiti, aumentare i raccolti eccetera, ci accadesse di perdere quel rivestimento di oli naturali sulla pelle che ci rende impermeabili, come l'olio sulle penne delle anatre... cominceremmo ad assorbire acqua... ce ne impregneremmo, marciremmo... Su un altro piano, poteva anche essere considerata un'allegoria dello sfruttamento capitalistico attraverso l'abuso delle risorse naturali... a me non sarebbe mai venuto in mente.

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