Copertina
Autore Stephen Jay Gould
Titolo Un riccio nella tempesta
SottotitoloSaggi su libri e idee
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1991, Saggi , Isbn 978-88-07-08103-3
OriginaleAn Urchin in the Storm. Essays about books and ideas [1987]
TraduttoreLibero Sosio
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe biologia , evoluzione , scienze naturali , filosofia , scienze della terra
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Pag. 9  Prefazione

        Parte prima
        LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE

    19  1. Come si adatta un panda?
    27  2. Darwinismo stereotipato
    52  3. Un peccato di omissione?
    62  4. Il fantasma di Protagora

        Parte seconda
        IL TEMPO E LA GEOLOGIA
...
        Parte terza
        DETERMINISMO BIOLOGICO
...
        Parte quarta
        QUATTRO BIOLOGI
...
        Parte quinta
        IN LODE DELLA RAGIONE
   195  14. Sogni piacevoli
   204  15. I pericoli della speranza
   212  16. "Utopia, Limited"
   224  17. L'integrità e il signor Rifkin
   235  18. Il rivelatore di ciarlatani

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 10 [ libri, recensori ]

Eppure i libri sono la sorgente e il centro focale della nostra vita di studiosi. I commenti su una tale sorgente dovrebbero essere, nella loro forma migliore, arricchenti e illuminanti: un segno di rispetto per un prodotto fondamentale. Il fatto che in numero tanto grande i recensori siano piccini, pedanti, parziali, pedestri (e invito il lettore ad allungare la lista con tutte le "p" a suo piacimento: pidocchi, piagnucolosi, piatti, parolai, poveri di spirito...) - tanto da avere abbassato quello che poteva essere un genere letterario onorevole alla loro contagiosa malignità - mi colpisce come una sventura che però potrebbe non essere del tutto irreversibile. Perché articoli di commento ad altri libri non dovrebbero rientrare nell'ambito della saggistica?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 12 [ coerenza, flessibilità, volpe, riccio, Cortés, Pizarro ]

Io non penso che la coerenza sia un bene incondizionato, o che sia necessariamente una virtù, nel nostro mondo complesso. Essa costringe ad assumersi la parte del riccio nell'aforisma troppo spesso usato (e fondamentalmente non interpretabile) attribuito ad Archiloco e mantenuto in vita nel corso dei secoli da vari studiosi, da Erasmo a Isaiah Berlin: "La volpe ne sa tante, una il riccio, importante." La flessibilità della volpe può essere una virtù maggiore in un mondo così vario e pericoloso. Si pensi che cosa avrebbero potuto fare con le moderne tecnologie di distruzione i veri ricci della storia, per esempio Cortés e Pizarro.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13 [ storia della vita ]

... Il riccio felice di questo volume fonda il suo atteggiamento - e l'organizzazione dei suoi saggi - in tre proposizioni tra loro collegate sulla natura e sulla conoscenza.

La prima proposizione è sulla natura: se la storia della vita non può essere letta come una scala ascendente verso l'intelligenza umana, un passo dopo l'altro, in modo prevedibile, neppure il polo opposto della vera casualità può rendere ragione del suo ordine evidente. La storia della vita è massicciamente contingente, ossia dipende in modo cruciale da particolari strani della storia, del tutto imprevedibili e irripetibili, che avviano il futuro in nuovi canali, che dapprima sono poco profondi e adiacenti a vecchie vie, ma che nel corso del tempo si approfondiscono e divergono. Possiamo spiegare le traiettorie reali dopo che si sono verificate, ma non avremmo potuto prevederne il corso. E se fosse possibile tornare indietro e far ripartire da capo il film della vita, esso seguirebbe un altro insieme di canali del tutto diversi ma altrettanto spiegabili. In questo senso cruciale, la storia della vita non funziona come lo stereotipo di un esperimento di fisica nel laboratorio di una scuola superiore. La storia irriducibile è fusa inscindibilmente con i prodotti del tempo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 14 [ riduzionismo, Cartesio, complessità, metodo scientifico, scienze storiche ]

La seconda proposizione è sulla complessità della natura: noi abbiamo tradizionalmente associato le nostre speranze di un progresso lineare in natura con un modo di spiegazione scientifica ben adattato a sistemi semplici come il riduzionismo della tradizione cartesiana, con la sua convinzione che la complessità debba essere scomposta (mediante "analisi") negli "atomi" componenti che producono i fenomeni della nostra scala lungo catene causali lineari regolate da leggi della natura. Io non nego l'efficacia, o i grandi successi, del cartesianismo, ma ritengo esso abbia probabilmente già toccato i suoi limiti nella spiegazione di sistemi storici complessi. Quest'affermazione non va intesa come un richiamo al misticismo o come un'asserzione di intrattabilità, bensì come un argomento a sostegno della tesi che, per rompere l'egemonia di quello che, nel nostro campanilismo, chiamiamo il metodo scientifico (l'ambito ristretto della tradizione cartesiana, con i suoi temi primari dell'esperimento, del controllo di laboratorio, della ripetizione e della quantificazione), dobbiamo abbracciare tecniche altrettanto potenti (ma diverse) proprie delle scienze storiche, con i loro temi dell'interazione irriducibile, della gerarchia e della contingenza risolvibile.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 14 [ razionalismo, riduzionismo, cartesianismo, trascendenza, ineffabilità, irrazionalità ]

La terza proposizione è una perorazione generale a favore del razionalismo nella spiegazione: un appello contro il riduzionismo può attrarre strani e sgraditi compagni di letto. Molte persone avvertono giustamente i limiti del cartesianismo ma, essendo ancora gravate del bagaglio culturale e psicologico della speranza in una mente trascendente, sia dentro il nostro cranio sia nel cielo sopra di noi, condannano la razionalità stessa e operano una falsa equazione fra la straordinarietà e unicità della mente umana, che nessuno oserebbe contestare, e la necessità di spiegazioni mistiche che trascendano la meschinità della realtà materiale. Io non ho nulla contro la speranza in nuovi principi nell'esplorazione della mente, ma mi ribello alla pericolosa scivolata dell'ammissione della nostra ignoranza alla tesi dell'ineffabilità (e, peggio ancora, alla glorificazione dell'irrazionale). Complesso, contingente, interattivo, gerarchico non significa inconoscibile, ma anzi l'opposto, dato che questi sono gli strumenti di un tipo diverso di comprensione razionale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 49 [ sociobiologia, utilità attuale, origine storica, principio antropico ]

Più fondamentalmente, la visione panglossiana commette l'errore logico più grave in cui può incorrere la ricostruzione storica, lo stesso errore cui va soggetta la sociobiologia umana: l'equazione dell'utilità attuale con l'origine storica, o l'idea che noi sappiamo perchè una struttura si sia evoluta una volta che abbiamo compreso come funziona oggi. Questo errore ha estese ramificazioni, le quali vanno ben oltre i confini della teoria dell'evoluzione. Esso invalida, per esempio, il cosiddetto principio antropico oggi sostenuto da alcuni fisici e cosmologi che non comprendono la lezione della storia. La versione forte di questo principio dice, all'incirca, che poichè la vita umana è adattata in un modo così complesso in un universo governato da leggi naturali (utilità attuale), queste leggi devono essere sorte con la nostra posteriore apparizione al livello della mente (origine storica).

L'errore consistente nell'inferire un'origine storica dall'utilità attuale si evidenzia nel modo migliore notando che molte, se non tutte, le strutture biologiche sono cooptate da usi precedenti diversi, non progettati in vista di funzionamenti attuali. Gli arti erano pinne; gli ossicini dell'orecchio erano ossa della mascella, e le ossa della mascella erano ossa dell'arco branchiale; ali incipienti non potevano permettere il volo, ma potrebbero essere servite per la termoregolazione. Lo stesso errore mina la tesi centrale della sociobiologia popolare. Il cervello umano divenne grande per opera della selezione naturale (chissà perchè, ma probabilmente per una buona causa). Eppure senza dubbio la maggior parte delle "cose" che oggi fa il nostro cervello, e che sono essenziali sia per la nostra cultura sia per la nostra sopravvivenza, sono epifenomeni della capacità di elaborazione dell'informazione propria di questa macchina, e non entità darwiniane con una base genetica create specificatamente dalla selezione naturale in vista della loro funzione attuale. La sociobiologia popolare deve accampare la pretesa di svelare le origini e il significato del pensiero e del comportamento umani. Se però la maggior parte dei comportamenti sono epifenomeni cooptati, e non entità selezionate, le spiegazioni sociobiologiche nel senso dell'adattamentismo non possono riguardarli.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 63 [ cervello, neotenia ]

La flessibilità umana ha almeno tre fonti complesse e interrelate. Innanzitutto, noi possediamo un cervello molto più grosso, in proporzione alle dimensioni del nostro corpo, di quello di qualsiasi altro animale (escluso il delfino dal naso a bottiglia). Un maggior numero di circuiti dà a qualsiasi computer una capacità di dare risposte flessibili che aumenta (e in effetti esplode) a un ritmo molto maggiore rispetto alla crescita del sostrato materiale. Un computer semplice sa giocare a tris; i computer complessi potrebbero fra non molto sconfiggere i grandi maestri di scacchi. La metafora non è forse del tutto appropriata, ma è nondimeno un pensiero avvincente che il nostro cervello contenga più informazione, in senso tecnico, di tutto il DNA presente nei nostri geni.

In secondo luogo, noi abbiamo sviluppato il nostro grosso cervello in gran parte attraverso il processo evolutivo della neotonia: il rallentamento dei tempi di sviluppo e la conseguente conservazione alla maturità di tratti che caratterizzavano le fasi "giovanili" dei nostri progenitori. Noi conserviamo il rapido ritmo di accrescimento fetale dei neuroni molto oltre la nascita (epoca alla quale il cervello della maggior parte dei mammiferi è quasi completo) e terminiamo il nostro accrescimento conservando il cranio rotondo e il cervello proporzionalmente grande così caratteristici dei primati giovani. La neotenia rallenta inoltre la nostra maturazione e ci dà un lungo periodo di flessibile apprendimento infantile. Io credo che l'analogia fra meraviglia infantile e creatività adulta sia buona biologia, non semplicemente metafora. In terzo luogo, in quanto primati apparteniamo a uno dei pochi gruppi di mammiferi abbastanza non specializzati nella loro forma corporea da conservare la capacità di sfruttare una grande varietà di ambienti e di modi di vita.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 69 [ uomo/animale, comportamento sociale, cultura ]

Noi dobbiamo, ovviamente, vigilare nei confronti del pregiudizio culturale più profondo di tutti: il nostro desiderio quasi disperato di fare dell'uomo un essere speciale e superiore fra gli animali che popolano il nostro pianeta. Dobbiamo perciò esaminare con la massima cura ogni affermazione dell'unicità umana. Dobbiamo riconoscere l'esistenza di elementi di continuità fra il comportamento sociale dell'uomo e quello di altri animali; e dobbiamo notare che alcuni animali presentano espressioni rudimentali di quella che noi chiameremmo cultura nell'uomo. Non possiamo nondimeno estendere la nostra scala di estrapolazione dalle amebe alle scimmie e su su fino all'uomo. Noi non siamo migliori ma siamo diversi perché nel tessuto fondamentale dei nostri sistemi sociali il mutamento si verifica, diversamente rispetto a tutti gli altri animali, attraverso una trasmissione non genetica di informazione da una generazione all'altra, in breve attraverso la cultura.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 69 [ evoluzione biologica, evoluzione culturale ]

Le teorie darwiniane - e tutte le teorie biologiche - del mutamento evolutivo sono, fondamentalmente, affermazioni su modi di modificazione genetica. E che cos'altro potrebbero essere? L'evoluzione culturale umana procede lungo vie molto diverse da quelle del mutamento genetico. I biologi credono che il mutamento genetico sia primariamente darwiniano, ossia che si verifichi attraverso la selezione naturale operante su variazioni prive di una direzione. L'evoluzione culturale umana è lamarckiana: le scoperte utili di una generazione vengono trasmesse direttamente alla prole attraverso gli scritti, l'insegnamento e via dicendo. L'evoluzione biologica è costantemente divergente: una volta che due linee evolutive si separano non possono tornare a fondersi (tranne che nella produzione di nuove specie per ibridazione: un processo che si verifica molto di rado fra gli animali).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 95 [ tettonica a zolle, Islanda, Hawaii, Permiano ]

La tettonica a zolle ci ha dato una teoria unificata per il comportamento e la storia della Terra nel suo complesso. Essa ha coordinato e portato sotto una singola rubrica fenomeni disparati, come: l'origine dell'Islanda e delle Hawaii, la coincidenza di terremoti e vulcani con dorsali e zone di subduzione, la giovinezza del fondo marino e la maggiore età delle zone centrali dei continenti; inoltre ci ha fornito uno sfondo per la grande estinzione del Permiano che spazzò via, circa 225 milioni di anni fa, fino al 90 per cento degli invertebrati marini.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 103 [ scienza, Darwin, Smith, Hutton ]

La scienza creativa è sempre un misto di fatti e di idee. I grandi pensatori non sono quelli che riescono a liberare la loro mente dalla tradizione culturale e a pensare o osservare obiettivamente (giacchè una cosa del genere è impossibile), bensì quelli che usano il loro "milieu" in modo creativo anziché come un vincolo e un limite, come fece Darwin traducendo in natura l'economia di Adam Smith nel principio della selezione naturale, e come fece Hutton usando il principio delle cause finali per costruire una visione ciclica del mondo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 108 [ Lumsden, Wilson, sociobiologia, coevoluzione ]

Il libro "Il fuoco di Prometeo" [di C. L. Lumsden e E. O. Wilson] è, essenzialmente, una lunga argomentazione la quale si propone di dimostrare che questo stile di evoluzione, per nulla eccezionale, e neppure nuovo, può spiegare quelli che potrebbero essere i tre aspetti più importanti della nostra storia e del nostro status attuale.

1. La coevoluzione di geni e cultura fu la molla che diede l'avvio all'origine storica della mente nell'evoluzione umana. Essa provocò un'evoluzione nella crescita e sviluppo del cervello umano la cui rapidità è forse senza precedenti in altri eventi della storia della vita.

2. Molti importanti aspetti universali del comportamento umano hanno una base genetica e fissano le regole epigenetiche che svincolano la cultura.

3. Le differenze fra varie culture umane, benchè di origine recente e spesso giudicate superficiali, non sono libere da influenze genetiche e vengono di solito plasmate, o almeno fortemente influenzate, dall'efficiente processo della coevoluzione di geni e cultura.

Putroppo per le alte speranze nutrite da Lumsden e Wilson, il primo punto, pur essendo senza dubbio giusto, non è molto originale e ha formato il nucleo centrale della speculazione sull'origine della mente nell'evoluzione da Darwin in poi; il secondo punto, anch'esso, incontrovertibile, è banale, almeno in relazione agli esempi oggi disponibili; mentre il terzo, che è controverso e sarebbe persino rivoluzionario se potesse essere dimostrato, è quasi sicuramente falso nella sua generalità, o addirittura anche come fenomeno comune.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 111 [ storia ]

Coloro che ignorano la storia, dopo tutto, la ripetono, specialmente quando non c'è praticamente nessun'altra via da seguire.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 112 [ comportamento umano, sociobiologia ]

Io dovrei schierarmi dalla parte dei sostenitori dell'ambiente nella grande controversia "eredità-ambiente", ma non trovo nulla di sconvolgente in questa nozione di un'influenza biologica sul comportamento umano. Penso che dovrei sottolineare ancora una volta, e per l'ennesima volta, che le categorie sono assurde e che non esiste una controversia "eredità-ambiente". Ogni scienziato, e in effetti ogni persona intelligente, sa che il comportamento sociale è un miscuglio complesso e inscindibile di influenze biologiche e sociali. Il problema non è se sia l'eredità o l'ambiente a determinare il comportamento umano, poiché questi fattori sono effettivamente inestricabili, ma il grado, l'intensità e la natura della costrizione esercitata dalla biologia sulle possibili forme di organizzazione sociale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 117 [ biologia/storia, riduzionismo, Lumdsen, Wilson, gerarchia delle scienze ]

La sostituzione della biologia alla storia in assenza di prove richiede una fede "a priori" che le spiegazioni genetiche siano, in un qualche senso ultimo, preferibili. Una tale posizione emerge dall'antiquato riduzionismo abbracciato con tanta forza da Lumsden e Wilson. Una gerarchia delle scienze va da «hard» a «soft», da quantitative a qualitative, da solide a mollicce, dalla fisica all'ambito incoerente delle scienze sociali passando per la biologia. Noi dovremmo rallegrarci ogni volta che riusciamo a far scendere una spiegazione dall'ambito di una scienza «soft» a un ambito più «hard». Come spiegazione scientifica la genetica è senza dubbio meglio della storia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 122 [ Lumdsen, Wilson, sociobiologia, riduzionismo, biologia molecolare ]

Io penso che Lumdsen e Wilson si siano lasciati sfuggire la differenza cruciale che esiste fra la biologia molecolare e la sociobiologia umana. Per la biologia molecolare il programma di ricerca riduzionistico funzionò davvero, conseguendo risultati trionfali (anche se oggi ha raggiunto i suoi limiti nella considerazione della coesione di interi genomi). Dopo tutto la biologia molecolare è, in grande misura, chimica. Ma la stessa strategia riduzionistica non funzionerà per la cultura umana. Quando parliamo dell'amore come una sorta di processo chimico, parliamo solo metaforicamente, e questa è una differenza profonda, sia per i poeti sia per gli scienzati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 150 [ Lewontin, Rose, Kamin, interazionismo, determinismo biologico, geni/cultura, riduzionismo, Descartes, biologia/cultura, individui/collettività, dialettica ]

Ma, come sottolineano Lewontin, Rose e Kamin nel tema principale del loro libro [«Il gene e la sua mente»], anche l'interazionismo si fonda su profonde fallacie e su distorsioni culturali che fanno il gioco del determismo biologico. Questo tipo meccanico di interazionismo separa ancora biologia e cultura; esso considera i geni primari, profondi e reali, e la cultura superficiale e sovrapposta. I geni sono la nostra essenza ereditata, e la cultura una mera sovrapposizione epifenomenica.

L'erroe principale, sostengono (secondo me correttamente), è il riduzionismo: lo stile di pensiero associato a Descartes e alla rivoluzione borghese, col suo accento sull'individualità e sull'analisi di totalità nei termini delle proprietà sottostanti delle loro parti.

Essi sostengono che dobbiamo andare al di là del riduzionismo, a un riconoscimento olistico del fatto che biologia e cultura si interpenetrano in un modo inestricabile. Non è che una sia data e l'altra costruita attorno ad essa. Benché i mastodontici dinosauri non potessere certamente fare andare i continenti alla deriva, gli organismi creano e plasmano il loro ambiente; essi non sono come palle da biliardo spostate passivamente dalle stecche della selezione naturale. Gli individui non sono entità reali e primarie, con collettività (comprendendo in esse società e culture) costruite meramente sulla base del cumulo delle proprietà degli individui. E neppure sono le culture a costruire gli individui; né gli uni né le altre vengono prima, né sono più basilari. Non si possono sommare gli attributi di induvidui e derivarne una cultura.

Così, non possiamo scomporre una situazione sociale complessa in tanta biologia da un lato e tanta cultura dall'altro. Dobbiamo cercare di capire le proprietà emergenti e irriducibili derivanti da un'interpenetrazione inestricabile di geni e ambiente. In breve, dobbiamo usare quello che un così gran numero di garndi pensatori chiamano approccio dialettico, anche se in America è diffusa l'abitudine di respingerlo come retorica politica di sinistra.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 151 [ dialettica ]

Le tre leggi classiche della dialettica, quando vengano presentate come linee guida per la filosofia del mutamento, e non come precetti dogmatici validi in conseguenza di un fiat, incarnano una visione olistica che considera il mutamento un'interazione fra componenti di sistemi completi, e vede nei componenti stessi non entità a priori, ma sia prodotti del sistema sia input al sistema. Così la legge degli "opposti interpenetrantisi" registra l'interdipendenza indissolubile dei componenti; la "trasformazione della quantità in qualità" difende una concezione del mutamento fondata su sistemi che traduce il sommarsi di dati incrementali in ingresso in alterazioni di stato; e la "negazione della negazione" descrive la direzione data alla storia dal fatto che i sistemi complessi non possono più tornare esattamente a stati precedenti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 216 [ Capra, Bertalanffy, Bateson, Koestler ]

In assenza di un'alternativa ben formulata al pensiero cartesiano, Capra [in «Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente»] si riduce a citazioni scelte dagli erori e annunziatori del suo nuovo ordine. Ma parole vuote e una difesa vaga trapassano facilmente nella noia. Nella migliore delle ipotesi, riceviamo accenni e indizi da persone che hanno sviluppato sistemi olistici solo a metà (von Bertalanffy), o in un modo oracolare (Gregory Bateson) o alla maniera pop (Arthur Koestler). Nella peggiore delle ipotesi abbiamo citazioni parziali da guru che, a quanto riesco a vedere, non miravano a qualcosa di particolarmente anticartesiano, ma che Capra desidera chiaramente facciano parte del suo pantheon.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 221 [ Capra, olismo, razionalità ]

Ma perché «tutti» gli esempi di Capra devono essere così apertamente nel regno del non razionale? ...

Mi dispiace dire questo perché le mie parole rivelano una faziosità ingiustificata da parte mia. Io pensavo che Capra e io avessimo delle affinità dato che siamo entrambi a favore di una prospettiva olistica e gerarchica. Eppure durante la lettura del suo libro [«Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente»] la mia irritazione è andata crescendo sempre più a causa delle sue facili analogie, della sua diffidenza nei confronti della ragione, del suo ricorso a nozioni di moda. Sotto qualche aspetto mi sento più vicino ai cartesiani razionali (almeno abbiamo una base comune di disaccordo) che al tipo californiano di ecologia di Capra. Probabilmente io sono solo un olista newyorkese.

| << |  <  |