Copertina
Autore Günter Grass
Titolo È una lunga storia
EdizioneEinaudi, Torino, 1998, Supercoralli , Isbn 978-88-06-14009-0
OriginaleEin weites Feld [1995]
TraduttoreClaudio Groff
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa tedesca
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Pagina 13

Capitolo primo

Dai picchi muraioli

Noi dell'archivio lo chiamavamo Fonty; no, molti di coloro nei quali si imbatteva dicevano: «Allora, Fonty, di nuovo posta da Friedlaender? E come sta la figliola? Dappertutto si parla delle nozze di Mete, non solo al Prenzlberg. Cosa c'è di vero, Fonty?» 1

Persino la sua Ombra Perenne esclamava: «Ma no, Fonty! È stato anni prima dei moti rivoluzionari, quando Lei, alla luce delle candele, ha offerto ai suoi compagni del Tunnel qualcosa di scozzese, una ballata...»

D'accordo: suona un po' stupido, come Honni o Gorbi, ma Fonty deve restare Fonty. Persino il suo desiderio dell'ypsilon finale dobbiamo vidimarlo con un timbro ugonotto.

Stando ai documenti, si chiamava Theo Wuttke, ma essendo nato a Neuruppin, e per di piú nel penultimo giorno dell'anno 1919, c'era materiale a sufficienza per rispecchiare il tormento di un'esistenza fallita che solo tardi era giunta alla fama, ma alla quale poi si era eretto un monumento che noi, con le parole di Fonty, chiamavamo «il bronzo seduto».

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E con ciò è chiaro in quale passato facciamo rivivere Theo Wuttke, che tutti chiamavano Fonty. Lo stesso vale per la sua Ombra Perenne. Ludwig Hoftafier, la cui vita anteriore arrivò sul mercato librario occidentale nel 1986 sotto il titolo Tallhover, entrò in attività all'inizio degli anni Quaranta del secolo scorso, senza peraltro cessare l'esercizio della professione là dove il suo biografo aveva messo la parola fine, bensí continuando a trarre vantaggi, a partire da metà anni Cinquanta del nostro secolo, dalla sua memoria fin troppo dilatata, presumibilmente a causa dei molti casi in sospeso, dei quali faceva parte il caso Fonty.

Cosí fu Hoftaller che vendette le patacche orientali alla stazione del Giardino Zoologico per poter invitare il suo Oggetto, grazie alla valuta occidentale, a festeggiare il settantesimo compleanno: «Non ci si può passare sopra cosí. Bisogna innaffiarlo».

«Sarebbe come volermi tributare il penultimo onore».

Fonty richiamò alla memoria del suo vecchio camerata una situazione che si era determinata in seguito all'invito della «Vossische Zeitung». Era arrivata a casa una lettera del capo redattore Stephany. Ma già cent'anni prima lui aveva reagito svogliatamente, a volta di corriere: «Chiunque può arrivare ai settanta, se ha uno stomaco passabile».

Solo quando Hoftaller promise che non avrebbe cercato di mettere assieme, come allora la «Vossische», i quattrocento vertici della società berlinese, ma di voler mantenere entro dimensioni ridotte la cerchia dei festeggianti, e persino, se questo era il desiderio, di restringerla radicalmente a chi quei molti anni li compiva e a se stesso, il salvatore nella difficile situazione, Fonty si dette per vinto: «Certo preferirei accucciarmi nell'angolo del mio sofà - a settanta quasi suonati sarà pur concesso -, ma se proprio non se ne può fare a meno, allora dev'essere qualcosa di speciale».

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Fonty non ne voleva sapere: «Era soltanto una messa in scena. E tutto per l'occasione sbagliata. Si sono montati la testa: vincere fa diventare stupidi! Volevano gonfiarsi di piú, e ancora di piú. Anche stavolta faranno il passo piú lungo della gamba. Sono già arrivati i Treibel! Quelli per prima cosa pensano ai loro affari. E proprio cosí ho scritto a Friedel, quando gli ho fatto balenare il romanzo come foraggio per la casa editrice appena fondata: "... questa è la tendenza dei Treíbel. La vuotaggine, la retorica, la mendacità, l'arroganza, la durezza di cuore del punto di vista borghese..." Naturalmente la mia Emilie era di nuovo agitatissima. "Passi i limiti! Il tuo impegno è indecoroso!" - "Sventato!" mi ha detto in faccia. "Testa calda! Ragazzino!" E avevo già passato i settanta...»

Hoftaller non riuscí a rispondere. Dappertutto batteva mezzanotte. All'Est e all'Ovest: mezzanotte. Alla radio, alla televisione: mezzanotte. E allo scoccare delle dodici, razzi particolarmente costosi, finora tenuti in serbo a fatica, salirono alti nel cielo e si dischiusero meravigliosamente. Con il popolo raccolto attorno alla Porta traboccavano spumante e lattine di birra. La gente saltellava, scatenata. «Incredibile! - gridava, - pazzesco!» I temerari sulla sommità piatta della Porta facevano dei gran balzi, che volevano essere piú alti, ancora piú alti.

E adesso dalle singole parole gridate si sciolse un canto a piú voci. Dapprima cose da intonare dondolandosi sottobraccio - «Un giorno cosí, cosí bello come oggi...» - ma poi quel canto composto con le migliori intenzioni dal povero Fallersleben e piú tardi elevato a inno nazionale. Contagioso, trascinante, puntò all'ínizio sulla terza strofa tutto sommato innocua: «Unità, giustizia e libertà...», dopo però fu la dannata «Germania, Germania al di sopra di tutto...», la prima strofa, proscritta dal tempo dell'ultima guerra, a dover indicare al popolo la via nel nuovo anno. E allora di unità e di giustizia e di libertà si riuscí a sentire sempre meno; andarono perduti in un esile timbro.

Fonty tentò ancora di contrapporsi con «il pegno della felicità», ma Hoftaller, stretto accanto a lui, aveva piú voce. Il suo «sopra ogni cosa al mondo» era dalla parte del vincitore. Come dopo un riserbo troppo lungo, vinse ogni remora cantando a gola spiegata.

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Piú volte venne nominata la città natale di Neuruppin. Dei due padri, al farmacista egli dedicò solo poche parole, soppesandole con indulgenza riguardo ai suoi eterni debiti di gioco. Poi, con papà Wuttke, che aveva imparato l'arte della litografia, si dilungò all'eccesso sulle famose stampe di Neuruppin, le cui ininterrotte raffigurazioni a colori avevano reso popolare per un secolo qualsiasi evento militare, ma anche avvenimenti attuali come grandi incendi e inondazioni. Fonty assicurava che questa variopinta abbondanza illustrata aveva arricchito l'una e l'altra giovinezza, che la litografia lo aveva segnato durevolmente. Tinse alcune delle storie rappresentate nelle stampe con tanto di quel sangue grondante e tanto nero di polvere da sparo come se avesse ancora davanti agli occhi la morte del guardaboschi per mano del bracconiere, come se la carneficina di Mars-la-Tour si svolgesse in quel momento. E mentre infondeva vita ad altre litografie dell'officina di Gustav Kühn, si lamentava del fatto che tra gli attuali avvenimenti della storica svolta niente volesse evidenziarsi in modo indimenticabile: «Immagini un po' i fatti di ottobre. Lo Stato Operaio e Contadino sta appunto festeggiando il suo quarantesimo anniversario. Gran stamburamenti! L'esercito popolare in parata. Le masse lavoratrici sfilano davanti alla tribuna sulla Marx-Engels-Platz. In colorata sequenza vediamo compagni che salutano, naturalmente anche quello col cappelluccio, che risponde ai saluti: sorridente dopo malattia e operazione. E accanto al nostro Honni vediamo Gorbi, che non vuol sorridere. Perché? Poi ecco altre immagini, gli avvenimenti di Lipsia. I cortei del lunedí. Le molte candele pacifiche. Le forze dell'ordine, la polizia con i cani, e tutto meravigliosamente icastico! Motivi su motivi. Con collare e talare vediamo cento e piú parroci impadronirsi delle parole di Lutero, turgide di immagini. Vediamo il pastore Christian Führer predicare per metafore la non-violenza giú dal pulpito della Nikolaikirche. Vediamo la Lipsia che si sgretola, la città eroica! Poi di nuovo Berlino. Deluso dal popolo, Honni si dimette. Il suo successore mostra i denti in un sorriso. Dimissioni e attacchi di cuore sempre piú frequenti. Poi in una sequenza di immagini a fumetti: compagni contriti a colloquio con uomini barbuti del Neues Forum. Ancora dimissioni, richieste. Tavole rotonde, dappertutto! E dappertutto pastori; avrebbe dovuto esserci il mio Lorenzen. Naturalmente non può mancare il 4 novembre, il giorno dei mille striscioni e dei tanti, troppi oratori, che in fumetti sempre piú grandi infondono un filo di speranza. Heym deplora con amarezza. La Wolf cerca il contatto con il popolo. Müller ammonisce: "Parliamoci chiaro..." L'attrice Spira recita una poesia. E poi, dopo che un autore piú giovane di nome Hein ha smorzato con le sue parole qualsiasi euforia, vengo chiamato sul podio: "Fate parlare Fonty! Vogliamo Fonty!" Sí, io parlai ai cinquecentomila sull'Alexanderplatz. "Sono gli imponderabili a governare il mondo!", gridai attraverso il microfono. E poi evocai la rivoluzione del '48: "Molto fumo e poco arrosto!" Qualcuno avrà capito le mie grida di allarme? E già arrivava quel 9 di novembre cosí connaturato in noi tedeschi, ma stavolta motivo di liete conseguenze. Dopo tutti gli orrori di quella data, finalmente è la gioia a dare il tono: il Muro spalancato, cade il baluardo protettivo, i picchi muraioli sono all'opera, banane a volontà... Insomma verrebbe fuori una sequenza di immagini paragonabile alle litografie di Neuruppin che hanno illustrato la vittoria di Sedan, la proclamazione dell'impero nel castello di Versailles, persino i giorni della Comune parigina, ma poi anche la sfilata dei reggimenti vittoriosi attraverso la Porta di Brandeburgo; come del resto anche a me, pieno di speranze com'ero, l'intera vicenda bellica ha fornito materiale per duemila pagine. Ma nessuno ha voluto leggere il mio libro di guerra, tutti si prendevano le stampe colorate. Già, Kühn si chiamava l'uomo che ha diffuso tra il popolo la grande carneficina cosí satura di tinte. Oggi ci manca un Kühn del genere. Perché questo affermo senz'altro: certo, abbattiamo interi boschi perché diventino carta da giornale, certo, la radio strepita giorno e notte, e c'è tanta di quella televisione che si vorrebbe diventare ciechi, eppure quello che manca, Hoftaller, ciò di cui sentiamo il bisogno, come un tempo ai bambini dei tessitori di Hauptmann mancava "un pezzetto di pane", è un Gustav Kühn da Neuruppin!»

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