Autore Pietro Greco
Titolo Pianeta acqua
EdizioneMuzzio, Roma, 2004, Il piacere della scienza 7 , pag. 212, cop.fle., dim. 140x210x14 mm , Isbn 978-88-7413-079-5
LettoreFlo Bertelli, 2004
Classe scienze della terra , ecologia , evoluzione , chimica , mare , astronomia , beni comuni












 

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Indice


Parte prima. La natura dell'acqua 7

1. Introduzione 9
    L'acqua nelle cosmologie antiche 11
    L'acqua per i Greci 13
    La chimica "scopre" l'acqua 14

2. La chimica dell'acqua 25
    Le anomalie dell'acqua 30
    La struttura dell'acqua liquida 39
    Il "legame a idrogeno" 41

3. L'origine dell'acqua 47

Parte seconda. L'acqua in natura 61

1. L'acqua nell'universo 63

2. L'origine dell'acqua sulla Terra 69
    L'origine del pianeta Acqua 69
    Il diluvio universale 78
    Sorella luna 80

3. La presenza dell'acqua sulla Terra 83

4. Gli oceani 89

5. I cicli delle acque 101

6. l'acqua e (è) la vita 111

Parte terza. L'uomo e l'acqua 117

1. Breve storia di un rapporto antico 119
    Una storia di naso 119
    Un popolo di eroi e di navigatori 121
    L'uomo irriguo 124
    Il Nilo, ovvero l'irrigazione a bacino 126
    Il Tigri e l'Eufrate, ovvero l'irrigazione perenne 128

2. L'accesso all'acqua dolce all'alba del XXI secolo 131
    Acque verdi 131
    Acque blu 136

3. L'uomo e l'acqua, la svolta del XX secolo 137

Parte quarta. L'uomo senz'acqua 143

1. Il pianeta ha sete 145

2. L'Italia ha sete? 153

3. Le guerre per l'acqua 157
    L'acqua e il fuoco 157
    L'acqua, un obiettivo strategico mondiale 158
    Confini fluidi 159
    Acqua di difesa e di offesa 162
    Le guerre per l'acqua 165
    Ultime notizie 179

4. Acque torbide 181
    Gli indicatori dell'inquinamento delle acque dolci 183
    Il sale della terra 186
    Deserti che avanzano 187
    In sintesi 188

Parte quinta. Il futuro del pianeta Acqua 189

1. È un clima che cambia 191

2. Il paradosso del pianeta Acqua 197

3. Il futuro è nelle nostre mani 201
    I Bertoldo e i rabdomanti 202
    Le mani sull'acqua 203
    E allora, che fare? 206

Bibliografia 209
 

 

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Pagina 9

1. Introduzione


L'acqua copre il 71% della superficie della Terra. E occupa un volume enorme, difficile persino da immaginare: pari a un miliardo e mezzo di chilometri cubi (Figura 1). Esistessero, nei dintorni del sistema solare, intelligenze extra terrestri chiamerebbero Acqua, e non Terra, il nostro pianeta. Perché viviamo sull'unico oggetto cosmico conosciuto dove questa bizzarra molecola chimica non è presente solo in grande massa, ma anche in tutti i tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso.

Viviamo, dunque, sull'azzurroso pianeta dell'acqua. Viviamo, dunque, su Acqua. Eppure, per noi figli di Acqua, l'acqua è di recente diventata un bene prezioso. Addirittura una risorsa strategica. Come il petrolio, come l'oro, come il dollaro. Capace, proprio come il petrolio, l'oro o il dollaro, di scatenare sanguinosi conflitti. Le blue gold wars, le guerre per l' "oro blu".

Che per noi l'acqua sia diventata una risorsa strategica, non dipende dal fatto che il 98% di questa sostanza si trova negli oceani ed è inutilizzabile, perché troppo salata (Figura 2). E non dipende neppure dal fatto che la gran parte della residua acqua dolce si trova, ghiacciata e anch'essa inutilizzabile, ai poli (Figura 3). In realtà, al netto di tutte le impossibilità di accesso, ci restano pur sempre 13.500 chilometri cubi di acqua dolce rinnovabile ogni anno (Figura 4). Più di due milioni di litri a testa. Niente male. Non fosse che...

Non fosse che tutta quest'acqua è mal distribuita da madre natura. In Islanda ce n'è tantissima. Nel Sahara davvero molto poca. Insomma, il 40% della popolazione mondiale vive in zone aride o semiaride. E da qui a vent'anni la penuria strutturale di acqua riguarderà il 65% della popolazione di Acqua. Ma qui cessano le colpe della natura, che come si sa è madre ma anche un po' matrigna. E iniziano le nostre umane colpe. Già, perché di quei 12.500 chilometri cubi disponibili, noi ne utilizziamo già 5.000: quasi il 40%. Due volte più che nel 1970. Dieci volte più che nel 1900.

Ne usiamo troppa. Ma, soprattutto, la usiamo male. Perché attingiamo in modo dissennato alle riserve strategiche: le acque di falda. E perché siamo più bravi a degradarla, questa risorsa, che attenti a rinnovarla. Detta in altro modo: siamo più bravi a inquinare (le falde, i fiumi e i laghi, i mari), che a riciclare. È per questo che nel mondo c'è già un deficit di almeno 160 chilometri cubi di acqua (104 dei quali nella sola India). Che circa 2,2 miliardi di persone hanno difficoltà di accesso all'acqua potabile e ben 1,2 miliardi di persone bevono ogni giorno acqua non potabile. Che in un paese come il Bangladesh da 30 a 80 milioni di persone sono costrette per mancanza di alternative a bere acqua con un contenuto di arsenico cento volte superiore a quello ritenuto pericoloso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Che nel 2025 la situazione sarà ancora peggiore e addirittura i 2/3 della popolazione mondiale avranno difficoltà a reperire una quantità sufficiente di acqua potabile.

Contraddizioni, fluide, del pianeta Acqua.

Ma non è mio compito, in questa sede, affrontare in dettaglio i temi, complessi, della politica sociale dell'acqua. Voglio rimarcare, però, quanto sia difficile esagerare l'importanza di quella che consideriamo la sostanza naturale per eccellenza per noi uomini e per tutta la vita sul pianeta Terra. Impresa, questa dell'esagerare l'importanza dell'acqua, che non è riuscita neppure a Talete, quando affermava che tutto nasce dall'acqua, tutto è avvolto nell'acqua e tutto ritorna all'acqua.

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Pagina 25

2. La chimica dell'acqua


L'acqua è una sostanza molto diffusa sul nostro pianeta. Anzi, è il composto più diffuso sulla superficie della Terra. Viviamo circondati dall'acqua e noi stessi siamo, per lo più, acqua. È l'unico liquido inorganico presente in natura (qui sulla Terra, almeno). È l'unica sostanza presente in natura (sempre qui sulla Terra) in tutti i tre stati di aggregazione della materia: solido, liquido e gassoso. Insomma, ai nostri occhi ingenui di terrestri l'acqua appare come la sostanza stessa della normalità. È fresca, pura, semplice. O, per dirla con le parole del poeta: "...è multo utile et humile et pretiosa et casta" [Francesco d'Assisi, 2003].

Beninteso, l'acqua è considerata una sostanza di straordinaria importanza anche da un fisico o da un biologo.

Nella scala più usata per misurare la temperatura, la scala Celsius, il punto di fusione dell'acqua in condizioni standard è, per definizione, uguale a 0. E il suo punto di ebollizione è, per definizione, uguale a 100.

L'unità di misura dell'energia, la caloria, è per definizione la quantità di energia necessaria ad aumentare di un grado, da 14,5 a 15,5°C, la temperatura di un grammo di acqua pura.

Tra i principali componenti molecolari strutturali dell'unità fondamentale della vita, la cellula, i biologi annoverano una sola molecola non organica: l'acqua.

Quale condizione ambientale più importante per lo sviluppo di una civiltà umana gli storici annoverano un unico elemento fisico: la presenza di acqua.

Insomma, anche agli occhi degli uomini di scienza l'acqua non è solo una sostanza di riferimento: è la sostanza della normalità.

Tuttavia, agli occhi più smaliziati di un chimico, appare come una sostanza niente affatto normale. Anzi appare strana, fuori dal comune, singolare. Anomala. Per via di proprietà uniche. Persino un po' misteriose. Tanto che "di tutti i liquidi conosciuti è il più studiato e il meno compreso", scriveva non molto tempo fa il chimico-fisico inglese Felix Franks [Franks, 1972]. E tuttora gli esperti dicono di comprendere molto meglio il comportamento dell'elio o dell'azoto liquido che non quello dell'acqua liquida.

Costituita da un atomo di ossigeno e due di idrogeno (Figura 1), agli occhi di un chimico H2O, la molecola d'acqua, contravviene infatti a quasi tutti i criteri di "normalità". Il chimico Martin Chaplin ha enumerato ben 38 diverse "anomalie" rilevanti dell'acqua [Chaplin, 2002].

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Pagina 30

Le anomalie dell'acqua


È proprio la struttura dipolare a rendere atipico il comportamento della molecola H2O. Sia agli occhi di un chimico-fisico che agli occhi di un biochimico l'acqua appare come una sostanza di riferimento, ma anche come una sostanza sfuggente. Non sempre l'uno, il chimico-fisico, e l'altro, il biochimico, riescono infatti a capire il perché di una serie incredibile di proprietà strane o, se volete, di anomalie. Anomalie che ora, senza presunzione alcuna di completezza, proviamo a elencare.


Le anomalie agli occhi di un chimico-fisico

1. Il punto di ebollizione e il punto di fusione. L'acqua (H2O) ha un alto punto di ebollizione (100°C) e un alto punto di fusione (0°C). Tutti i composti formati dall'idrogeno (H) con gli elementi che nella tavola periodica precedono e seguono l'ossigeno (carbonio, C, azoto, N, e fluoro, F, nel medesimo livello; zolfo, S, selenio, Se, tellurio, Te, nel medesimo gruppo) hanno un punto di fusione e un punto di ebollizione molti bassi (Tabella 1).

[...]

2. Densità del ghiaccio. Una seconda anomalia riguarda il comportamento dell'acqua quando viene raffreddata. Nel passare dallo stato liquido allo stato solido, la sua densità diminuisce invece di aumentare, e il suo volume, quindi, si espande invece di contrarsi, come avviene per tutte le altre sostanze (naturalmente è anche vero il contrario: quando il ghiaccio fonde, la sua densità diminuisce). Questa anomalia fa sì che il ghiaccio sia più leggero dell'acqua liquida. Il fenomeno non determina solo lo scoppio delle bottiglie colme di acqua incautamente poste nel freezer. Determina anche la circolazione oceanica e la termoregolazione dell'intera biosfera.

[...]

3. Densità dell'acqua liquida. L'anomalo andamento della densità dell'acqua in funzione della temperatura non riguarda solo la transizione di fase da solido a liquido, ma si verifica in un intervallo abbastanza ampio. L'acqua, infatti, ha il suo massimo di densità a 4°C. In pratica, riscaldandola da 0 a 4°C il suo volume non aumenta, bensì diminuisce. Solo dopo i 4°C l'acqua si comporta come un liquido normale, e aumenta il suo volume all'aumentare della temperatura. Anche questa anomalia ha conseguenze importanti per la vita sulla Terra. Infatti, quando viene raffreddata da 4 a O°C, l'acqua più fredda si stratifica su quella più calda. E questa anomala stratificazione rallenta il processo di raffreddamento. Cosicché ghiacciare un lago o il mare risulta molto più difficile.

4. Fusione e pressione. Altra anomalia rilevante agli occhi, peculiari, di un chimico-fisico è che il punto di fusione dell'acqua diminuisce all'aumentare della pressione, invece di aumentare come succede per tutte le altre sostanze. Tra le conseguenze verifica bili a occhio, c'è il fatto che in alta montagna, dove la pressione è minore, l'acqua fonde meno facilmente: resta ghiaccio anche a temperature superiori allo zero.

5. Calore specifico. L'acqua ha un calore specifico molto più alto della "norma" (che significa, molto più alto di altre sostanze). Anzi, questo calore specifico (un termine che sta a indicare l'energia necessaria a elevare di un grado di temperatura un grammo di sostanza) è eccezionalmente elevato per una molecola piccola, com'è quella dell'acqua. Inoltre, altra stranezza, esso è maggiore nell'acqua liquida che nel ghiaccio.

[...]

6. la costante dielettrica. L'acqua, abbiamo detto, è un dipolo elettrico: le due cariche opposte e stabili sono tenute separate da una sorta di bacchetta rigida. Questo dipolo funziona come una specie di trapano quando viene a contatto con altre sostanze, perché riesce a scardinare i legami elettrici che tengono uniti insieme i loro atomi. Per indicare questo concetto i chimici dicono che l'acqua ha un'elevata "costante dielettrica". Pensate che essa è 86 volte più elevata di quella dell'aria. Ed è per questo che un grumo di sale si scioglie appena viene messo in acqua, mentre è solido e duro all'aria.

[...]

7. La tensione superficiale. Un'altra anomalia o, se volete, caratteristica specifica dell'acqua è la sua "tensione superficiale": la più alta di ogni altro liquido conosciuto. La tensione superficiale indica il lavoro necessario per formare una superficie unitaria (si misura in erg/cm2). Il fatto che la tensione superficiale dell'acqua sia molto elevata, favorisce la sua capacità di muoversi in capillari sottili e in materiali porosi. E cosa sono le minuscole vene che giungono fino alle pieghe più riposte del nostro corpo se non capillari sottili (li chiamiamo infatti capillari sanguigni)? E cosa sono le membrane cellulari se non setti porosi in grado di far passare certe sostanza e non altre? È grazie a questa alta "tensione superficiale" che l'acqua, oltre a essere il solvente universale della vita, è anche il suo mezzo di trasporto preferito.

8. L'acqua è acido e base (di Brønsted). L'acqua è un composto anfiprotico, capace sia di vendere che di acquistare allo speciale mercato dei protoni o, se volete, degli ioni idrogeno (H+). In pratica può agire sia come un acido che come una base, secondo la definizione di Brønsted.

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Pagina 37

Le stranezze agli occhi di un biochimico

Tutte le capacità chimiche e fisiche dell'acqua hanno effetti biologici spesso decisivi. Basti dire che le infinite reazioni della cellula avvengono "in mezzo acquoso". Cioè in acqua, sfruttandone le anomale capacità solventi. La biochimica non è altro che chimica dell'acqua.

Per un biochimico è dunque difficile sopravvalutare il ruolo dell'acqua per un organismo vivente. L'acqua, infatti, costituisce l'ambiente in cui si dipana il divenire biologico. Partecipa direttamente a quasi tutte le reazioni del metabolismo. È il solvente in cui avvengono quasi tutte le reazioni biochimiche. È infine il mezzo di trasporto preferito dalle molecole biologiche per muoversi dentro e fuori la cellula [Lehninger, 1979]. Insomma, la vita, così come noi la conosciamo, non potrebbe esistere, neppure per un limitato periodo di tempo, senza acqua [Franks, 1972]. E senza le sue anomalie.

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2. L'origine dell'acqua sulla Terra


L'origine del pianeta Acqua

Mercurio è un pianeta caldo e secco. Venere è un pianeta un po' torrido, ma è anch'esso privo di acqua. Con ogni probabilità Marte, in passato, era ricoperto di oceani, laghi e fiumi. Ma è certo che oggi sulla superficie marziana l'acqua non scorre più.

C'è un unico pianeta, in prossimità della stella Sole, in un'orbita mediana tra quella di Venere e quella di Marte, dove l'acqua gorgoglia abbondante: la Terra. Lo 0,2% della massa del nostro pianeta è costituita di acqua. Ciò è sufficiente a riempire un volume di proporzioni persino difficili da immaginare 1,4 x 10^9 km^3, un miliardo e quattrocento milioni di chilometri cubici) e a occupare il 71 % della superficie terrestre.

È grazie a questa enorme massa di acqua che il nostro pianeta, visto da lontano, somiglia a un'arancia blu (gli oceani), punteggiata da soffici batuffoli bianchi (le nuvole). È per tale originale caratteristica che un alieno chiamerebbe Acqua e non Terra il nostro pianeta.

Già, ma dove Acqua ha preso la sua acqua? Perché è così differente dagli altri pianeti solidi del sistema solare? Perché è l'unico corpo umido dell'intero sistema solare, eccezion fatta, forse, per Europa e Ganimede, le due lune ghiacciate di Giove? Perché è l'unico oggetto del sistema solare ove l'acqua è presente sia in forma solida che liquida e gassosa?

Per cercare di rispondere a queste domande non ci resta che risalire indietro nel tempo di circa 5 miliardi di anni. Fino al momento in cui troviamo, nella periferia di uno dei bracci della grande galassia a spirale nota come Via Lattea, una nebulosa, fredda, che promette qualcosa di buono [Greco, 1999]. È costituita di polveri e gas. Ciò che resta dell'esplosione di una supernova.

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In breve, per collocazione e dimensioni la Terra è uno dei luoghi cosmici che ogni chimico sceglierebbe per sperimentare l'evoluzione - la più ricca, rapida e variegata - di un qualche significativo sistema materiale.

La formazione spontanea di questo luogo ideale della chimica è un evento abbastanza eccezionale e nient'affatto scontato. Certo, non contraddice alcuna legge fisica. Ma neppure è una necessità inderogabile. È il frutto, storico, della dinamica evolutiva di una nube planetaria. L'evoluzione, fisica, di una nube planetaria può essere molto sensibile alle condizioni iniziali. Se riavvolgiamo il film della storia cosmica e lo riproiettiamo, avremo qualche difficoltà a rintracciare un pianeta che orbita con le "giuste" dimensioni e alla "giusta" distanza intorno a una stella media alla periferia della Via Lattea. Se riavvolgiamo il film e lo riproiettiamo, il cambiamento di un dettaglio insignificante a livello cosmico e persino galattico renderà difficile, anche se non del tutto improbabile, la formazione di un pianeta adatto allo sviluppo della vita.

Oggi, che ne abbiamo scoperto cento e più mentre orbitano intorno a stelle diverse dal nostro Sole, sappiamo che l'oggetto pianeta non è una rarità del bestiario astronomico. Tuttavia resta probabilmente valido quanto affermava Mario Ageno prima che queste scoperte venissero effettuate: "Le condizioni necessarie perché si realizzi uno scenario compatibile con la comparsa della vita appaiono essere piuttosto critiche: forse, le idee correnti sulla probabile frequenza delle manifestazioni di vita nell'Universo sono almeno in parte da rivedere" [Ageno, 1991].

Ringraziamo, dunque, la nostra buona stella e continuiamo a guardare il film della nostra storia planetaria. Vediamo che la Terra impiega appena 100 milioni di anni o giù di lì per passare, con un processo che gli astrofisici chiamano accrezione, da oggetto cosmico con un diametro di una decina di chilometri - il nucleo originario - alle dimensioni di un vero e proprio pianeta, con un raggio di 6.400 chilometri [Allégre, 1994b]. Ma al termine di questo processo di cattura, talvolta violento, di materia cosmica, che conferisce alla giovane Terra le dimensioni attuali, il pianeta è ancora un geoide eterogeneo, composto da un insieme di planetesimali di origine e natura diversa, molti ricchi di acqua, che si stanno ancora ridistribuendo e omogeneizzando. Una serie di violente trasformazioni rimescola la materia di diversa origine e conferisce alla Terra la sua unità e la sua struttura, a sfere omogenee concentriche.

La rapida formazione della Terra per accrezione ha conseguenze termiche decisive per l'evoluzione geologica del pianeta. L'incontro, lo scontro e la reciproca cattura tra grandi corpi provoca nella giovane Terra in sviluppo la dissipazione di enormi quantità di calore e la fusione continua del materiale solido di cui è costituita. Una "fornace", un oceano di magma, si insedia tra 200 e 400 chilometri di profondità, restando attiva per milioni di anni e producendo immani eruzioni vulcaniche.

Il calore provocato dagli impatti cosmici e la forza di gravità danno origine alla peculiare evoluzione geologica del nostro pianeta. Un'evoluzione che non è mai terminata. E che impone un continuo cambiamento. La Terra è un sistema geologicamente, oltre che termodinamicamente, lontano dall'equilibrio.

Quello che ne viene fuori è una sorta di pianeta-cipolla, a strati concentrici. La sfera più interna, il nocciolo, è costituita da un nucleo di ferro - ferro-nichel, per la precisione - che si estende per 3.500 chilometri, liquido in superficie e solido in profondità. Sopra il nocciolo c'è uno spesso strato chiamato mantello, che si estende per 2800 chilometri e costituisce il 70% del volume della Terra. La parte solida della Terra termina con la sottile crosta, oceanica e continentale, che si estende al massimo per un centinaio di chilometri. La crosta è fratturata in più parti, chiamate zolle. E poiché galleggiano sulle rocce semifuse - quindi fluide, sebbene dense e viscose - del mantello, le zolle urtano le une contro le altre, come zatteroni assiepati in un porto.

Mentre il film della storia del nostro pianeta va avanti, vediamo finalmente che gran parte della Terra solida viene ricoperta dalla sottile striscia di acqua allo stato liquido, l' idrosfera, concentrata soprattutto negli oceani, che oggi la caratterizza. Un' atmosfera, infine, di gas abbastanza rarefatti, compreso il vapore acqueo, si estende per alcune centinaia di chilometri sopra le terre e le acque di questo strano pianeta.

Un pianeta dotato di una sua peculiare specificità chimica, frutto della storia della nube primordiale da cui si è formato e della lontananza dal Sole. La Terra, infatti, non ha quell'atmosfera ricca di idrogeno e di elio tipica di Giove e dei pianeti più lontani. Gli atomi e le molecole leggere sono stati spazzati via subito dal vento solare che soffia ancora robusto alla sua altezza. Inoltre la Terra ha una composizione che somiglia molto ai meteoriti carbonati. Povera com'è non solo di idrogeno ed elio, ma di tutti gli elementi volatili a temperature medie. Elementi leggeri, come il neon e lo zolfo, o pesanti, come il piombo o il cesio. Il pianeta, come abbiamo visto, ha perso gli elementi più volatili nel suo stato embrionale.

A pensarci bene, anche questo processo si è rivelato, a posteriori, una fortunata coincidenza. Se la fuoriuscita di sostanze volatili per riscaldamento a opera del Sole fosse avvenuta nella fase della polvere, la perdita sarebbe stata totale. Ma avviene nella fase dei planetesimali, quando la dimensione dei vari oggetti che formeranno la Terra è già tale da poter intrappolare all'interno una parte, non banale, di sostanze gassose sottraendole al vento solare.

Vediamo così l'idrogeno, l'elio, l'acqua, l'anidride carbonica trattenuti all'interno dell'embrione di Terra. E fuoriscire dalle parti solide del mantello inferiore e da quelle quasi fuse, plastiche e semiliquide - qual è ancora lo strato superiore del mantello - solo quando la Terra si è ormai formata, e un'intensa attività vulcanica inizia a "spurgarne" l'interno. Nel medesimo tempo meteoriti carbonate, chimicamente gemelle della Terra, continuano a portare sul pianeta acqua e altre sostanze leggere. È grazie a questa intensa attività vulcanica e al continuo bombardamento di meteoriti carbonate che si formano gli oceani e l'atmosfera primordiali.

Oggi il ritmo dell'attività vulcanica è drasticamente diminuito, ma, sostiene l'astrofisico americano Louis Frank, il bombardamento meteorico no. Frank è convinto che in giro per il sistema solare vi siano sciami di piccole comete ricche di acqua ghiacciata e polvere di massa compresa tra 10 e 100 tonnellate. Ogni minuto, secondo i rilievi indiretti di Louis Frank, almeno venti dirty snowballs impattano l'atmosfera terrestre e irrorano il pianeta di acqua. Sarebbe grazie a questo bombardamento continuo che la Terra si è assicurata, nel corso di oltre 4,5 miliardi di anni, il privilegio di ospitare acqua in abbondanza. Louis Frank ha scritto queste cose in una serie di articoli e in un bel libro [Frank, 1991]. Tuttavia nessuno mai ha potuto rilevare direttamente l'arrivo della intensa pioggia di piccole comete. Né sulla Terra, né sulla vicina Luna, né su Marte e neppure sui grandi pianeti. La controversia sul rabbocco continuo di acqua sulla Terra a opera delle comete resta aperta.

È comunque abbastanza certo che l'acqua presente sulla superficie del nostro pianeta ha avuto una doppia origine, oltre 4 miliardi di anni fa. Una esterna, in seguito al bombardamento meteorico. L'altra interna, in seguito alla "degassificazione" del sottosuolo.

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6. L'acqua e (è) la vita


Impossibile, in poco spazio, parlare del rapporto tra l'acqua e la vita. Per il semplice fatto che l'acqua "è" la vita. Ed "è" la vita in ogni dimensione, da quella molecolare a quella globale. Perché, come nota il biochimico Albert L. Lehninger, tra il 70 e il 90% in peso delle maggiori forme di vita conosciute è costituito di acqua. Perché l'acqua è la "fase continua" di tutti gli organismi viventi e delle cellule di cui sono costituiti [Lehninger, 1979]. Perché partecipa da protagonista alla maggioranza delle reazioni all'interno di ciascuna cellula. Ma anche perché rappresenta l'habitat naturale o uno degli elementi fondamentali dell'habitat di gran parte degli organismi viventi. Eugene P. Odum, nei sui Principi di ecologia, individua quattro tipi di ambienti ecologici primari. Tre sono acquatici (mare, acqua dolce, estuari) e uno è terrestre. Ma anche l'ambiente terrestre, a sua volta, è permeato di acqua [Odum, 1973]. Persino nel deserto l'acqua è indispensabile alla vita. D'altra parte tutti, dai biologi molecolari agli ecologi, fanno fatica a immaginare organismi sulla Terra e fuori dalla Terra in grado di vivere completamente senz'acqua.

Se è per tutti difficile immaginare la vita senz'acqua, per molti è difficile immaginare l'acqua senza vita. E, con un determinismo forse un po' imprudente, costoro sostengono che dove c'è acqua liquida (sufficiente) lì deve esserci vita. Tanto che alcuni fanno coincidere la ricerca della vita extra terrestre nello spazio semplicemente con la ricerca di acqua extraterrestre, sia pure liquida e abbondante.

Non sappiamo se il rapporto tra l'acqua (liquida) e la vita sia davvero biunivoco. Sappiamo, però, che l'unico tipo di vita che conosciamo, quello terrestre, ha un rapporto simbiotico con l'acqua. Da sempre.

In realtà non sappiamo neppure come sia nata la vita sulla Terra. Sappiamo però che da almeno 3,5 miliardi di anni, forse da 3,85 miliardi di anni, la Terra è abitata da organismi viventi [Schopf, 2003]. Il primo organismo vivente fu un procariota, ovvero un organismo formato da una sola piccola cellula priva di nucleo. Simili ai moderni batteri e agli antichi archea. Ebbene, i procarioti ancestrali erano costituiti, come quelli attuali, per lo più di acqua. E vivevano nell'acqua. L'acqua è stata l'ambiente amniotico in cui si è sviluppata la vita appena generata, poco meno di 4 miliardi di anni fa.

Ma, probabilmente, l'acqua è l'ambiente in cui la vita è stata generata. Come abbiamo detto, non esiste una teoria unica e consolidata sull'origine della vita sulla Terra. Le grandi ipotesi sono tre: la creazione, l'origine extraterrestre, l'origine terrestre. La prima ipotesi, l'atto creativo di un dio, è per definizione non scientifica: richiede un puro atto di fede. La seconda ipotesi, l'origine extraterrestre, è interessante, ma contiene in sé tutti i problemi che contiene l'origine terrestre. Per un sano principio di economia, pertanto, conviene pensare che l'origine più probabile della vita che informa di sé la Terra sia la Terra stessa. Anche perché non c'è il minimo indizio che la vita, fuori dalla Terra, esista o sia esistita.

Nell'ambito della grande ipotesi dell'origine tutta terrestre della vita a partire da componenti non biotiche, le subordinate sono molte. Tanto che è possibile dividerle in almeno sei grandi classi [Greco, 1999]. Ma ciascuna ipotesi di quei sei diversi insiemi attribuisce all'acqua un ruolo determinante nella "transizione dal non vivente al vivente". A puro titolo di esempio, vi proponiamo l'ipotesi schematica sull'origine della vita avanzata da Mario Ageno [Ageno, 1991]. Il biofisico italiano, come tanti altri, propone che la gran parte delle molecole prebiotiche, ovvero le molecole fondamentali per la "transizione dal non vivente al vivente", si siano originate in atmosfera. A eccezione, naturalmente, dell'acqua.

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3. L'uomo e l'acqua, la svolta del XX secolo


Forse John R. McNeill, storico americano in forze alla Georgetown University, ha ragione. Forse il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle, il XX dell'era cristiana, nel futuro più o meno remoto non sarà ricordato tanto come il secolo delle grandi guerre mondiali, dell'ascesa e della caduta del comunismo, dell'orrore nazista, della leadership americana, della decolonizzazione e delle lotte per l'emancipazione della donna, dell'alfabetizzazione di massa, della televisione, del computer e della conquista dello spazio. Ma sarà ricordato soprattutto come il secolo in cui l'uomo è diventato un attore ecologico globale. Capace di influire sui grandi sistemi biogeochimici della biosfera. Capace di trasformare la crosta terrestre. Di modificare (un poco) la composizione chimica dell'atmosfera e i grandi cicli del carbonio, del metano, degli ossidi d'azoto. Di intervenire persino nel grande ciclo dell'acqua [McNeill, 2002].

Forse John R. McNeill ha ragione. Le grandi utopie, le grandi conquiste e i grandi lutti del Novecento avranno molta meno influenza sulle vicende umane dei prossimi secoli e dei prossimi millenni dell'impronta che, sempre nel Novecento, l'uomo è riuscito a imprimere sull'ambiente che lo circonda.

Nel Novecento il rapporto tra l'uomo e l'acqua (dolce) cambia. La svolta è di tipo quantitativo. Ma la quantità è tale che diventa qualità. Alla fine del XX secolo l'umanità ha prelevato dall'idrosfera una quantità di acqua dolce 47 volte maggiore che all'inizio del XVIII secolo. In trecento anni i prelievi mondiali di acqua sono passati da 110 km3/anno a oltre 5.000 km3/anno (Tabella 1). E questo ha modificato qualitativamente il rapporto tra l'uomo e l'acqua (dolce).

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Parte quarta L'uomo senz'acqua

1. Il pianeta ha sete


450 milioni di persone, in 29 diversi paesi, oggi soffrono per una grave carenza di acqua potabile. 1,1 miliardi di persone, il 18% della popolazione mondiale, non hanno accesso regolare all'acqua potabile. E 2,4 miliardi di persone, più di un terzo della popolazione mondiale, vivono in paesi considerati water stressed, sotto stress idrico, perché i consumi eccedono il 10% dell'offerta totale [UNEP, 2003]. Senza interventi correttivi, nel 2025 a vivere in queste condizioni saranno due persone su tre.

La maggior parte di esse si trova e si troverà in Asia e in Africa. Nel continente nero ben 25 diversi paesi stanno andando incontro a una condizione di water stress, ovvero a una disponibilità annua di acqua pro capite inferiore a 1.700 m^3. È vero che questa quantità, pari a circa 4.660 litri al giorno, sembra enorme, visto che un uomo ha bisogno, ogni dì, per bere di soli 2 litri di acqua, e per lavare e cucinare di non più di 100 litri. Ma per produrre i beni industriali, per produrre energia e, soprattutto, per irrigare i campi ne ha bisogno di altri 500 o, talvolta, 2.000 litri al giorno. È per questo che si parla di stress idrico per paesi i cui abitanti consumano più del 10% delle risorse totali di acqua disponibile (pari a 1.700 m^3/anno): non è una condizione di disagio, è l'indicazione che si è raggiunta una soglia oltre la quale bisogna stare attenti. La condizione passa dall'allerta alla scarsità quando la disponibilità di acqua scende sotto i 1.000 m^3 pro capite annui (scarsità cronica), e alla vera e propria crisi (scarsità assoluta) quando la disponibilità di acqua scende sotto i 500 m^3 pro capite annui.

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2. l'Italia ha sete?


Ogni anno la popolazione italiana ha una disponibilità stimata di acqua compresa tra 155 e 163 km^3 di acqua, pari a circa 2700-2900 m^3 a persona. Ciò pone l'Italia tra i paesi fortunati, con una certa abbondanza di acqua dolce. Ad assicurare al nostro paese queste risorse idriche concorre la buona piovosità: 1.000 millimetri l'anno, contro una media europea di 650 millimetri, per un totale di 300 km^3. La gran parte dell'acqua piovana evapora subito. Ma in Italia una parte notevole finisce in 234 corsi d'acqua principali, 56 laghi naturali e 194 laghi artificiali, 30 zone umide costiere e 127 foci di fiume considerati di I ordine (bacino maggiore di 200 km^2), che assicurano al paese un'ottima rete idrica [ANPA, 2000].

Eppure, come nota Legambiente, "un terzo degli italiani non ha un accesso regolare e sufficiente all'acqua potabile" [Legambiente, 2003]. Perché? Dove nasce la cattiva gestione di una risorsa accessibile?

Una prima risposta risiede, certamente, nella scarsa equanimità con cui la natura distribuisce l'oro blu: in alcune zone dell'Italia del Nord le precipitazioni medie superano i 3.000 mm/anno, in alcune zone del Sud non arrivano a 600 millimetri l'anno. Ma anche 600 mm di pioggia l'anno non sono pochissimi: in fondo sono poco meno della media europea. Il guaio è che la natura li distribuisce in modo irregolare: pochi tra marzo e settembre e troppi, talvolta, in autunno e in primavera. Non è nella natura, tuttavia, che dobbiamo cercare la causa del fatto che poco meno di 20 milioni di italiani hanno una qualche difficoltà (nulla di paragonabile a quelle del Terzo mondo) ad accedere in modo sufficiente e continuativo all'acqua potabile.

[...]

A ben guardare, le cifre assolute dimostrano che il buco nero dell'acqua in Italia non è nelle nostre case o nelle nostre fabbriche. È altrove. È nei campi: è lì che vengono dispersi circa 25,5 km^3 di acqua ogni anno, pari a circa 1'87% dei consumi totali dell'acqua blu. Secondo Giuliano Cannata, esperto di problemi idrici, nel mese di luglio, quando i morsi della siccità diventano più poderosi, in Italia il 75% dei prelievi e il 96% dei consumi di acqua avvengono in agricoltura e solo il 2% degli sprechi viene perpetrato negli acquedotti [Cannata, 2003]. Cosicché gran parte degli inviti al risparmio rivolti ai cittadini utenti della rete idrica hanno un'impronta demagogica. Se l'Italia, durante i periodi di siccità, ha sete, ciò non è dovuto certo al rubinetto lasciato aperto mentre ci laviamo i denti o a una doccia un po' più prolungata del solito.

Se l'Italia ha sete è all'uso dell'acqua in agricoltura che bisogna guardare.

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1. È un clima che cambia


Infine l'aumento della salinità dei campi e l'espansione dei terreni aridi creano problemi su scala globale che sono tanto urgenti quanto difficili da affrontare.

Il clima del nostro pianeta sta cambiando. Nulla di strano. È da oltre 4,5 miliardi di anni che si modifica. Il clima del pianeta Terra è infatti un sistema dinamico, cambia in continuazione. Ed è un sistema complesso. Una serie vasta, anche se non ancora ben conosciuta, di fattori contribuisce al mutamento [Navarra, 2000]. Nell'ultimo secolo, tuttavia, il cambiamento è stato piuttosto netto, veloce e fortemente direzionato. La temperatura media del pianeta è cresciuta di un valore compreso tra 0,3 e 0,6°C: l'aumento maggiore registrato nell'ultimo millennio. Il livello medio dei mari è aumentato di un valore compreso tra 10 e 20 centimetri. La copertura nevosa e l'estensione dei ghiacciai si sono ridotte. L'insieme di queste osservazioni, sostengono gli esperti chiamati dalle Nazioni Unite per dar vita all'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), "fornisce l'immagine di un mondo che si riscalda e in cui si verificano alterazioni nel sistema climatico" [Houghton, 2001].

L'accelerazione del cambiamento del clima globale - che non ha precedenti, almeno nell'ultimo millennio - avviene in concomitanza con la modifica della microcomposizione chimica dell'atmosfera. Dal 1750 a oggi la concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera è aumentata del 31%. L'incremento si è verificato soprattutto nell'ultimo mezzo secolo. L'attuale concentrazione in atmosfera di CO2 è la più alta degli ultimi 420.000 anni e, probabilmente, degli ultimi 20 milioni di anni. Anche la concentrazione di altri gas serra in atmosfera sta aumentando.

Gli esperti ritengono, ormai, altamente probabile che l'aumento della temperatura media del pianeta registrato nell'ultimo secolo e, in particolare, negli ultimi 50 anni sia correlato con l'aumento della concentrazione atmosferica di CO2 e di altri gas serra.

La modificazione della microcomposizione chimica dell'atmosfera è, almeno in parte, di origine antropica. Sono gli uomini che, bruciando soprattutto combustibili fossili ma anche attualissime foreste, sversano in atmosfera enormi quantità di CO2 e di altri gas serra, modificando il loro ciclo e determinando un aumento della loro concentrazione atmosferica. Per questi motivi l'IPCC sostiene che "il riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è per lo più attribuibile alle attività umane" [IPCC, 2001]. La gran parte degli esperti di tutto il mondo concorda: è (anche) l'uomo ad accelerare il cambiamento del clima globale.

Sulla base di queste constatazioni e dei modelli, ancora imperfetti, di previsione, l'IPCC calcola che, se le emissioni antropiche di gas serra continueranno a crescere, la concentrazione atmosferica di CO2 raggiungerà entro questo secolo un valore compreso tra 540 e 970 parti per milione (ppm), determinando un ulteriore aumento della temperatura media planetaria compreso tra 1,4 e 5,8°C (con un ulteriore aumento del livello dei mari compreso tra 9 e 88 centimetri): un cambiamento senza precedenti negli ultimi 10.000 anni. Se entro questo secolo il cambiamento del clima accelerato dall'uomo procederà nei modi descritti dagli esperti dell'IPCC, il paesaggio del pianeta Acqua ne risulterà profondamente modificato. E già, perché l'acqua è il convitato di pietra nel cambiamento del clima globale.

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L'acqua è un bene indispensabile per la vita dell'uomo e per la ricchezza delle nazioni. Cosicché molti sostengono che deve essere considerata un patrimonio comune dell'umanità. Gestito, in armonia, dalla comunità internazionale, che ne regola l'uso attraverso leggi e regolamenti. Vandana Shiva, interpretando sentimenti diffusi, ha proposto una sorta di carta costituzionale della "democrazia dell'acqua", fondata su nove principi [Shiva, 2003]:

    * L'acqua è un dono della natura
    * L'acqua è essenziale alla vita
    * La vita è interconnessa mediante l'acqua
    * L'acqua deve essere gratuita per le esigenze di sostentamento
    * L'acqua è limitata ed è soggetta a esaurimento
    * L'acqua deve essere conservata
    * L'acqua è un bene comune
    * Nessuno ha il diritto di distruggerla
    * L'acqua non è sostituibile

Quello di Vandana Shiva non è un approccio estremista ed è tutt'altro che minoritario. Ha un grande pregio: indicare l'unica strada possibile per l'equa gestione della risorsa acqua nell'era della sua scarsità: la gestione pubblica e democratica, frutto di un consenso tra le nazioni. Ma ha un difetto. Non contiene (né potrebbe) le indicazioni necessarie per raccogliere e investire i 100 miliardi annui di dollari nuovi e aggiuntivi che servono per realizzare il grande obiettivo delle Nazioni Unite: dimezzare entro il 2015 la quota della popolazione che non ha accesso all'acqua potabile e a servizi igienici sufficienti. Il punto è sostanziale. Le Nazioni Unite, infatti, hanno più volte affermato - dalla Conferenza di Stoccolma del 1972, alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, alla Conferenza di Johannesburg del 2002 - il diritto di tutti ad avere accesso all'acqua necessaria al proprio sostentamento e alla propria salute. Hanno anche affermato un principio di solidarietà, in base al quale chi ha le risorse economiche deve aiutare chi non le ha a raggiungere l'accesso libero e totale all'acqua di sostentamento. Ma non sono mai riuscite a trovare un sistema che, concretamente, trovasse le risorse economiche necessarie e le impiegasse [Greco, 2003]. Siamo, anzi, ancora lontani dall'avere una legislazione sulle acque che assicuri quel diritto e regoli i conflitti.

Come trovare, dunque, le risorse per ridistribuire l'acqua in modo democratico nell'era della sua scarsità? C'è, in campo, un'altra proposta sistemica per rispondere a questa domanda. Ed è quella di chi propone di considerare l'acqua un bene di mercato e lasciare che sia il mercato, il più grande produttore di ricchezza che si conosca, a trovare le risorse che le nazioni non hanno.

A questo approccio, sostanzialmente, aderiscono molti paesi ricchi, dagli Stati Uniti alla Francia. E persino le istituzioni delle Nazioni Unite che detengono i cordoni della borsa. È con questa filosofia che la Banca Mondiale ha finanziato progetti di incremento idrico nei paesi in via di sviluppo per oltre 20 miliardi di dollari. È con questa filosofia che nel 1999 la Banca Mondiale ha "convinto" le autorità boliviane di Cochabamba a dare in gestione a privati la rete idrica cittadina.

E già, perché lasciar fare al mercato significa, in pratica, dimenticare che l'acqua è un bene di tutti, e riconoscere, in via sostanziale, che privati controllino il "dono della natura" traendone vantaggi. Nella convinzione che il meccanismo assicura la migliore allocazione della risorsa.

In realtà gli economisti sanno che il mercato è uno straordinario produttore ma un pessimo distributore di ricchezza. Cosicché quello che già sta accadendo è che pochissime aziende al mondo controllano il "ricco mercato dell'acqua": dagli acquedotti alle fognature. Le aziende, manco a dirlo, appartengono ai paesi ricchi e hanno una spiccata propensione a controllare le acque anche dei paesi poveri: il 40% del mercato mondiale dell'acqua è controllato da due multinazionali francesi, la Vivendi (ex General des Eaux) e l'Ondeo (ex Lyonnaise des Eaux - Suez), e offrono servizi a 110 milioni di persone in tutto il mondo [Legambiente, 2003]. Insieme a poche altre aziende, europee e nordamericane, queste due società hanno formato una sorta di "monopolio dell'acqua blu". Con risultati, economici e di servizio, spesso poco incoraggianti: a Sibic Bay, nelle Filippine, la Biwater ha aumentato le tariffe idriche del 400%; in Francia la privatizzazione ha portato a un aumento delle tariffe del 150% ma a un peggioramento della qualità delle acque fornite; in Gran Bretagna con la privatizzazione le tariffe sono aumentate del 450% e i casi di dissenteria del 600% [Shiva, 2003]. A Cochabamba, come abbiamo visto, i cittadini, in gran parte contadini, sono scesi in piazza per protestare contro l'aumento dei prezzi e l'arroganza monopolista del "gestore privato" voluto dalla Banca Mondiale.

Il conflitto tra le due impostazioni, quella "pubblica" e quella "di mercato", non è ancora risolto. Anzi, è il tema sul tappeto in sede di negoziati WTO (l'organizzazione che regola il commercio mondiale). C'è chi chiede che l'acqua, coma la sanità e l'istruzione, diventi definitivamente un servizio regolato unicamente dal mercato. E c'è chi teme che l'approccio di mercato al problema dell'acqua blu finisca per arricchire pochi e assetare molti.

Timore, quest'ultimo, tutt'altro che infondato. Soprattutto se la linea dell'approccio di mercato viene interpretata alla luce di quel pensiero neoliberista oggi in voga in molti paesi occidentali che non tollera alcuna forma di lenimento e di controllo.


E allora, che fare?

A questo punto siamo in un vicolo cieco. L'approccio privatistico al problema dell'acqua blu nell'era della sua scarsità rischia di aumentare la sete del mondo e di moltiplicare le disuguaglianze.

Ma l'approccio pubblico non riesce a trovare le risorse per "dar da bere agli assetati" e consentire a 2,4 miliardi di persone, in procinto di diventare 5,5, un sistema igienico-sanitario che lo preservi dal ritorno del quinto cavaliere e del contagio che esso pericolosamente diffonde per il mondo, anche attraverso le acque contaminate.

Che fare?

Le scelte tecniche per ridistribuire l'acqua blu nell'era della sua scarsità sono molte. E altre ne vanno ricercate. Ma le opzioni politiche non sono tante. Anzi, a ben vedere, ce n'è una sola, se si vogliono evitare conflitti sociali ed enormi sperequazioni: la via del negoziato internazionale multilaterale. Che porti alla definizione di un'organica legge quadro sulle acque, in particolare sull'acqua blu, pur non ponendo vincoli dirigistici e, quindi, lasciando a tutti i popoli, le nazioni e le componenti sociali la possibilità di proporre la loro via all'acqua blu. Ma che porti anche a una profonda revisione dei meccanismi (e delle filosofie) di finanziamento dello sviluppo, con vincoli, questi sì più stringenti, per chi ha l'obbligo morale, ma non ancora fattuale, di tirar fuori i quattrini per dare un corpo e un'anima al concetto di sviluppo sostenibile.

L'acqua resterà, come diceva Talete, "la migliore di tutte le cose" solo se sapremo darle il giusto valore ecologico, economico e sociale.

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