Autore Gabriella Greison
Titolo Sei donne che hanno cambiato il mondo
SottotitoloLe grandi scienzate della fisica del XX secolo
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2017, Nuova Cultura Introduzioni 318 , pag. 214, cop.fle., dim. 13x19,2x1,8 cm , Isbn 978-88-339-2867-8
LettoreGiorgia Pezzali, 2017
Classe storia della scienza , fisica , femminismo












 

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Indice


        Sei donne che hanno cambiato il mondo


 11  0.  Le attività scientifiche in campo femminile
         (ovvero: origine del sistema di riferimento;
          ovvero: asintoticamente una introduzione)


 45  1.  Marie Curie
                            My way,
                            dei Sex Pistols

 82  2.  Lise Meitner
                            I started a joke,
                            dei Bee Gees

113  3.  Emmy Noether
                            Easy going woman,
                            degli Air

133  4.  Rosalind Franklin
                            Unfinished sympathy,
                            dei Massive Attack

160  5.  Hedy Lamarr
                            Stairway to heaven,
                            dei Led Zeppelin

180  6.  Mileva Marić
                            Le poinçonneur des Lilas,
                            di Serge Gainsbourg


195      Capitolo extra —1
         (ovvero: conclusioni più o meno infinito)

208      Capitolo extra -2
         (ovvero: io e la fisica,
          ringraziamenti e altre variabili nascoste)


 

 

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Pagina 11

                           La storia delle donne nella scienza non è stata ancora
                           scritta. Perché le donne non hanno ancora imparato ad
                           apprezzare le loro lotte, non sanno festeggiare la loro
                           forza, e quindi comprendere il loro dolore. Ma senza la
                           storia delle donne nella scienza non possiamo conoscere la
                           profondità delle loro anime. Anime che possono spingersi
                           oltre. E solo loro sanno creare ciò che non è stato ancora
                           creato.
                                                                           Vera Rubin

                           L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è
                           uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i
                           giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per
                           non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare
                           l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo
                           più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e
                           apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e
                           cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare,
                           e dargli spazio.
                                                                         Italo Calvino

                           Prendi il tuo cuore ferito e trasformalo in arte.
                                                                     Principessa Leila





0.

Le attività scientifiche in campo femminile

(ovvero: origine del sistema di riferimento;

ovvero: asintoticamente una introduzione)


Da piccola sono cresciuta guardando Star Trek e Guerre Stellari. Anzi, la verità è che vanno eliminate le prime due parole della frase, e va cambiato il tempo verbale, in modo che tutto sia ancora al presente. Perché lo faccio ancora. Di crescere, intendo, e naturalmente di guardare Star Trek e Guerre Stellari. Una delle cose che mi hanno insegnato queste due magnifiche saghe fantascientifiche è che le donne combattono contro le ingiustizie al pari degli uomini e al pari di tutti gli altri (animali, extraterrestri, nuove specie viventi). Da Uhura a Rey, donne strepitose, che non si travestono certo da uomini per rivendicare la propria libertà. Che non si lagnano. Il fine ultimo è salvare il mondo, e non si perdono in distinzioni inutili tra razza, sesso, età, origini, religioni, specie. Cioè, il bello sta proprio in questo: non si fa proprio caso al fatto che ci siano queste differenze.

Poi guardo Divergent, o Hunger Games, dove le donne arrivano e salvano il mondo. Guardo anche i cartoni animati della Disney, e quelli della mia generazione si sono abituati da un pezzo al fatto che le principesse non sono più quelle di una volta: non restano in attesa del principe azzurro che le salvi con un bacio o che gli misuri la scarpetta giusta; le principesse si prendono quello che vogliono, lottando, ribellandosi. E ancora: vi assicuro che nei miei romanzi di formazione non trovo traccia di donne che se ne stanno a casa a curare i malati, a dare la vita, a occuparsi dei morti, a piangere. Come avveniva nei romanzi che leggevano le generazioni precedenti alla mia.

Una volta ho sentito dire a Rita Levi-Montalcini che il cervello dell'uomo e quello della donna sono uguali, la loro mente funziona alla stessa maniera. Il resto sono scemenze.

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Le grandi donne della storia della fisica hanno volti che rimangono scolpiti nella memoria. Per questo è necessario raccontarli. È un'esigenza, un pilastro che ci sorregge nelle giornate dove tutto va storto, un solco per terra che ci fa capire da che parte stare, un mantra, un'ulteriore conferma che sì, la fatica di oggi non andrà sprecata. Ma facciamo come nei film, coi titoli di testa che scorrono: Marie Curie , Lise Meitner, Emmy Noether, Rosalind Franklin, Hedy Lamarr, Mileva Marić. E poi, facciamo come nei migliori film, e troviamo il lato umano di ciascuna di loro, e osserviamolo bene. Come prima cosa ci accorgeremo che non sono poi così lontane da noi, non sono incomprensibili, non sono dei robot e non fanno magie. Hanno anche loro, queste donne straordinarie, le loro manie, i loro segreti, le loro bugie, i loro tic, le loro fisse, le loro azioni ripetute uguali, la loro ordinarietà. Per capirle veramente è necessario volare con la fantasia, usare l'immaginazione. Sei donne, sei menti scientifiche pazzesche: e sei sono i capitoli di questo libro che le raccontano.




Le attività scientifiche in campo femminile


All'inizio del Novecento la storia delle donne nella cultura e nella vita civile era contrassegnata dall'emarginazione, anche in Occidente. Per secoli l'accesso all'istruzione era sostanzialmente limitato alle monache rinchiuse nei conventi. Solo poche fortunate, che avevano in famiglia una figura maschile disposta a condividere con loro le proprie nozioni, potevano farsi una cultura scientifica. Forse anche per questo le donne che si sono distinte in passato sono state soprattutto poetesse, pittrici, scrittrici e, molto più raramente, scienziate. Chi ha attitudini artistiche e letterarie, infatti, può emergere anche senza una preparazione specifica, mentre le scienze dure, come fisica e matematica, richiedono una rigorosa preparazione di base, senza la quale è molto difficile fare progressi. Solamente nel 1867, d'altronde, l'École Polytecnique di Zurigo aprì le sue porte alle studentesse, dopo secoli di ostracismo.

Il quadro generale è essenziale per capire qual era la condizione femminile del tempo. Tra il 1877 e il 1900 le donne laureate in Italia sono state 224. Erano tutte autrici di ricerche originali, e pubblicavano articoli. Senza tener conto di Gran Bretagna e Stati Uniti, la produzione delle italiane tra il 1800 e 1900 rappresenta il 27 per cento del totale registrato, più di Francia e Germania. In quegli anni le donne erano immerse nel clima del positivismo, che celebrava il trionfo della scienza. Erano figlie di una borghesia colta e illuminata che investiva anche nell'istruzione femminile. All'università studiavano sotto la guida di grandi maestri, ma faticavano, e non poco, a ottenere incarichi istituzionali. Tantissime erano impiegate in gabinetti e laboratori scientifici, come aiuti o assistenti volontarie o libere docenti. Studiavano tanto, ma per molte di loro non c'era alcun tipo di riconoscimento.

La prima cattedratica italiana è Rina Monti, nel 1907.

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Pagina 20

Ipazia


Inizia da Ipazia il racconto delle donne della scienza, e non potrebbe essere altrimenti. Ipazia d'Alessandria, scienziata e filosofa ellenista, è ancora oggi un simbolo della libertà di pensiero, a 1600 anni dalla sua uccisione per mano di fanatici religiosi. La storia della vita di Ipazia è la storia di una donna libera che sfida il potere fino a trovare la morte. Nella sua morte c'è l'odio per la verità, il rifiuto della scienza, la negazione della ragione. La grandezza di Ipazia sta proprio nel coraggio di perseguire i suoi intenti, senza piegarsi al cospetto di quanti avrebbero voluto forgiare e manipolare il suo pensiero. Ipazia me la sono sempre immaginata come una donna alta, snella, dai modi di fare sbrigativi, nervosi, leali, decisi, svelti. Ho sempre pensato a Ipazia come a una bella donna, con i lineamenti fini, bocca sottile, zigomi marcati, capelli lunghi, lisci e castani, che le arrivavano fino alla vita.

Era una donna di enorme cultura. Di lei non sono rimasti scritti, probabilmente a causa di uno dei tanti incendi che distrusse la biblioteca d'Alessandria. Nonostante la mancanza dei suoi lavori, sappiamo che altri filosofi del tempo parlavano di Ipazia come di una delle menti viventi più sottili. Arrivò a formulare anche ipotesi sul movimento della Terra, ed è molto probabile che cercò di superare la teoria tolemaica secondo la quale la Terra è al centro dell'universo.

Ipazia viene ricordata anche come inventrice dell'astrolabio, del planisfero e dell'idroscopio, strumento con il quale si può misurare il diverso peso specifico dei liquidi. In filosofia aderì alla scuola neoplatonica, anche se secondo le fonti storiche lo fece in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo (uno degli elementi che portarono alla sua condanna a morte). Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci (è grazie a lei e al padre se le opere di Euclide, Archimede e Diofanto presero la via dell'Oriente, tornando poi in Occidente moltissimi secoli dopo), insegnò e divulgò fra i suoi allievi le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche all'interno del Museo di Alessandria, che a quel tempo era la più importante istituzione culturale del mondo antico.

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I secoli più recenti


Le donne della fisica che hanno lasciato un segno nella storia sono sparse su tutto il globo terrestre. E a seconda di dove hanno studiato, a seconda anche degli anni in cui hanno vissuto, è possibile immaginare le loro vite, le loro vicende umane, sempre così ricche di incredibili avventure. A parte le sei donne di cui racconto i dettagli nei capitoli successivi, ce ne sono alcune, forse altrettanto importanti, su cui è necessario soffermarsi, anche solo per ricordarne il nome. Nel Settecento, Maria Gaetana Agnesi (1718-1799) fu la prima donna in Italia a essere chiamata a ricoprire una cattedra, all'Università di Bologna, e Sophie Germain (1776-1831) fu un'esperta riconosciuta di teoria dei numeri e di fisica.

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Pagina 33

Per capire la situazione di oggi sono interessanti le parole di una delle grandi donne della scienza, Elizabeth Blackburn. La Blackburn era ancora al liceo quando un professore le chiese: «Perché una ragazza carina come te studia materie scientifiche?». Lei rispose con un mezzo sorriso, non sapeva cosa dire. Oggi, ricorda così quell'incontro: «Come tante, avevo poca fiducia in me stessa e non sono riuscita a rispondere con una battuta». La sua rivincita sui pregiudizi è stata conquistata nel 2009 con il premio Nobel per la Medicina, grazie alla scoperta del meccanismo di protezione molecolare dei cromosomi. «Eppure è passato mezzo secolo da quando il professore mi fece quella battuta sessista e i pregiudizi sono ancora molti», ha commentato recentemente («OpinionWay»). Blackburn sa di appartenere a una piccolissima minoranza: il 97 per cento dei premi Nobel scientifici sono stati finora assegnati a uomini. E in Occidente, tra il 2000 e il 2010, la proporzione di donne con incarichi di ricerca scientifica è rimasta bassa, meno di un terzo dei posti, aumentando di soli tre punti: dal 26 al 29 per cento. Il caso di Blackburn, che ha diretto per anni il dipartimento di microbiologia e immunologia dell'Università della California, non è così diffuso. Solo l'11 per cento degli alti incarichi accademici in Occidente è occupato da scienziate.

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Pagina 39

Tutto questo serve a dire anche un'altra cosa: man mano che ho studiato le vite di queste grandi scienziate, e le ho rielaborate, ho ascoltato in loop alcune canzoni. Quando non ne potevo più di riascoltare per la centesima volta una canzone, allargavo l'orizzonte ascoltando l'intero album di cui faceva parte. In loop pure quello. Le canzoni che ho associato a ogni donna si sono scelte da sole; alcune andavano bene più di altre, e spiegherò i motivi di queste scelte: in questa maniera è nata l'idea di aggiungere una colonna sonora a ogni storia raccontata in queste pagine. L'idea è di invogliare il lettore a cercare su YouTube esattamente l'album che ho dato a ciascuna scienziata, prima, durante o dopo la lettura della storia. Ma se non lo fa, non succede niente. Tranne che la catastrofe ultravioletta farà il suo corso, l'entropia andrà aumentando, due rette parallele continueranno a non toccarsi mai se non all'infinito e dal Big Bang si arriverà al Big Crunch senza nemmeno un ritornello da canticchiare insieme. E comunque le contaminazioni tra musica, fisica e teatro sono bellissime.

Racconterò di Marie Curie. Racconterò di quando l'Università di Varsavia era vietata alle donne. Racconterò del suo secondo premio Nobel e delle vicende stucchevoli nelle quali dovette muoversi per andarlo a ritirare. Racconterò del suo periodo più nero, di quando la stampa si accanì contro di lei gettandole addosso una vera e propria macchina del fango. Racconterò di quando Albert Einstein la definì «la più grande scienziata di tutti i tempi». Racconterò dei suoi studi, delle sue ricerche e delle sue conquiste scientifiche. Per lei la canzone è My way, in un primo momento ascoltata nella versione classica, di Frank Sinatra, ma poi riascoltata nella versione dei Sex Pistols. Un passaggio fondamentale del testo è questo: «But through it all, when there was doubt, I shot it up, or kicked it out, I faced the wall, and the wall... and did it my way».


Racconterò di Lise Meitner. Racconterò della sua vita in Germania e della sua fuga in Svezia per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste. Racconterò dell'importanza del suo contributo alla nascita dell'era atomica. Racconterò di quelle ingiustizie che così spesso colpiscono le donne. Racconterò del premio Nobel per la chimica, per la scoperta della fissione nucleare, e del fatto che fu attribuito nel 1944 soltanto a Otto Hahn, mentre lei non ebbe mai quel riconoscimento che le sarebbe ben spettato. Per lei la canzone che ho scelto è dei Bee Gees, I started a joke, che finisce così: «I looked at the skies running my hands over my eyes, and I fell out of bed hurting my head from things that I said... ». L'intero testo è una metafora della sua vita.


Racconterò di Emmy Noether. Racconterò di quando Albert Einstein ne pubblicò un apprezzamento sul «New York Times» poche settimane dopo la sua morte. Racconterò di quando alcuni membri della Facoltà di Filosofia in Germania si opposero al suo inquadramento, sostenendo che il titolo di Privatdozent non potesse essere attribuito alle donne, e lei trascorse quattro anni tenendo lezione a nome di David Hilbert. Racconterò della sua fuga negli Stati Uniti d'America, dove ottenne un posto al Bryn Mawr College in Pennsylvania. Racconterò dei suoi studi e delle sue ricerche. La sua canzone è Easy going woman, degli Air. Gli Air sono un duo, composto da Nicolas Godin e Jean-Benoit Duckel, e quest'ultimo è professore di matematica. La copertina di questo disco (Talkie Walkie) mostra i due artisti in primo piano e alle spalle una lavagna piena di formule matematiche. Questa canzone in particolare è tra quelle che più mi fa pensare alla Noether, e inizia così: «Don't let the routine kill our life... ».


Racconterò di Rosalind Franklin. Racconterò di quando nel 1951 tornò a Londra per costituire una unità di cristallografia a raggi X nel laboratorio di J. T. Randall, al King's College e venne osteggiata in quanto donna. Racconterò di quando riuscì a identificare la forma B del DNA. Racconterò di quando divenne per tutti un'icona femminista. Racconterò delle lotte che una donna intelligente deve affrontare per essere accettata nel mondo della scienza, che spesso considera le donne nulla più che un piacevole diversivo al lavoro serio. Racconterò dei suoi studi e delle sue ricerche. La sua canzone è Unfinished sympathy dei Massive Attack, una delle mie preferite in assoluto, che utilizzo spesso come sottofondo musicale, in particolare per via di questo passaggio: «You're the book that I bave opened and now l've got to know much more... ». Ma non è tanto il testo di questa canzone che mi fa pensare a lei (se fosse stato questo il motivo avrei dovuto scegliere Biological degli Air, per dire), quanto l'intero percorso che i Massive Attack hanno fatto.


Racconterò di Hedy Lamarr. Racconterò della sua carriera di attrice famosa e di diva hollywoodiana. Racconterò della sua mentalità scientifica, delle sue scoperte e dei suoi brevetti. Racconterò del sistema che aveva ideato per criptare le comunicazioni via radio. Racconterò della sua vita e dei suoi tanti matrimoni. Racconterò della sua Hollywood. Racconterò di quando ideò un sistema per criptare i messaggi radio tra i centri di controllo e i siluri, in modo che non potessero essere intercettati, e delle altre sue invenzioni. Per lei c'è una sola canzone, nella mia testa, che la rappresenta: Starway to heaven, dei Led Zeppelin. Questo il passaggio più bello, compreso il ritornello: «When she gets there she knows, If the stores are all closed, With a word she can get what she carne far. Ooh ooh and she's buying a stairway to heaven».


Racconterò di Mileva Marić. Racconterò dei suoi studi nella Serbia del XX secolo. Racconterò che fu una delle prime donne a studiare fisica al Politecnico di Zurigo. Racconterò del suo compagno di studi, Albert Einstein, nonché suo marito e del contributo che diede ai suoi lavori. Racconterò delle sue passioni: la musica, il canto, la danza. Racconterò delle diverse interpretazioni che circolano sul ruolo che ha avuto nella vita di Einstein. Racconterò dei suoi ingegnosi successi in ambito scientifico. Per lei la canzone è Le poinçonneur des Lilas, di Serge Gainsbourg. Lui è il mio cantante preferito, e questa canzone mi fa pensare a lei perché la immagino sempre nelle sue piccole azioni quotidiane, che avrebbero portato a qualcosa di grande, esattamente come racconta il testo della canzone, che parla di un uomo che fa i timbri sui biglietti dei treni e sogna altro. Inizia così: «Je suis le poinçonneur des Lilas, le gars qu'on croise et qu'on n' regarde pas... ».

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