Autore John Gribbin
CoautoreMary Gribbin
Titolo Il capolavoro di Einstein
SottotitoloIl 1915 e la teoria generale della relatività
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2015, Saggi Scienze , pag. 170, cop.fle., dim. 14x22x1,5 cm , Isbn 978-88-339-2708-4
OriginaleEinstein's Masterwork: 1915 and the General Theory of Relativity [2015]
TraduttoreSimonetta Frediani
LettoreCorrado Leonardo, 2015
Classe biografie , fisica , storia della scienza , cosmologia












 

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Indice


  7     Introduzione


        Il capolavoro di Einstein

 11  1. L'inizio

        Infanzia e adolescenza, 12
        La liberazione, 16
        Einstein e il Poli, 20
        Il rifiuto, 29
        La salvezza, 34

 42  2. L'annus mirabilis

        La tesi di dottorato, 43
        Atomi oscillanti, 50
        Particelle di luce, 58
        La teoria speciale, 75

 89  3. Una strada lunga e tortuosa

        La geometria della relatività , 90
        Trasferimenti, 93
        All'ombra di un gigante, 96
        In movimento, 99
        Primi passi, 105
        Ciò che Einstein avrebbe dovuto sapere, 108
        Il capolavoro, 112

119  4. L'eredità

        Buchi neri e distorsioni temporali, 120
        Oltre ogni ragionevole dubbio, 124
        La formazione di onde, 129
        L'Universo in generale, 134

140  5. L'icona della scienza

        Problemi personali, 141
        Il successo, 143
        Un'ultima fatica quantistica, 147
        L'esilio, 150
        Una fantomatica azione a distanza, 152
        Gli ultimi anni, 154


159     Riferimenti bibliografici

163     Indice analitico


 

 

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Pagina 7

Introduzione


Nel 1905, Albert Einstein pubblicò quattro articoli scientifici che hanno avuto una profonda influenza sulla scienza del Novecento. Il nome di Einstein è noto a tutti e uno di quegli articoli contiene un'equazione, E = mc^2, che è la più famosa di tutta la scienza. Per un altro contributo di quell'anno, Einstein ricevette il premio Nobel. Per tutti questi motivi, il 1905 è detto l' annus mirabilis di Einstein. Se non si fosse più occupato di scienza dopo il 1905, Einstein sarebbe comunque ricordato come un genio; tuttavia nessuno di questi risultati, per quanto straordinari, rappresenta il suo lavoro più importante. Esattamente dieci anni dopo, nel 1915, Einstein presentò il suo capolavoro all'Accademia prussiana delle scienze: una teoria della gravità, della materia, dello spazio e del tempo che ci è nota come la teoria generale della relatività e che egli descrisse come la teoria più preziosa della sua vita. Questa teoria descrive l'evoluzione dell'Universo, i buchi neri, il comportamento delle stelle di neutroni orbitanti, le lenti gravitazionali e il motivo per cui sulla superficie della Terra il tempo scorre più lentamente che nello spazio, e arriva persino a suggerire la possibilità dei viaggi nel tempo. Einstein completò il suo lavoro durante la prima guerra mondiale, a Berlino, dove in seguito soffrì di malnutrizione per la scarsità di cibo dovuta all'embargo imposto dagli alleati ai danni della Germania e fu assistito dalla cugina Elsa, che diventò la sua seconda moglie. La precisione della sua teoria fu confermata dagli astronomi inglesi, in un momento in cui la Gran Bretagna e la Germania tecnicamente erano ancora in guerra. Ancora oggi, però, la teoria generale è meno celebrata dei risultati del 1905, poiché è considerata «troppo difficile» per poter essere capita dai comuni mortali. Spero di convincervi che si tratta di un giudizio sbagliato e di chiarire perché i risultati del 1915 meritino di essere celebrati almeno quanto quelli del 1905.

La teoria ristretta della relatività, uno dei risultati del 1905, è ristretta nel senso che descrive «soltanto» il comportamento di oggetti che si muovono in linea retta a velocità costante. Anche se il nome stesso indica che la teoria generale è qualcosa di più grande, a causa dell'opinione diffusa (e sbagliata) che sia troppo difficile per i profani, gli eventi del 1915 sono stati meno celebrati di quelli del 1905. In realtà, capire i punti fondamentali della teoria generale è facile, anche se le equazioni vanno accettate sulla fiducia, e questa comprensione dovrebbe convincervi - correggendo l'idea sbagliata che la teoria ristretta sia il risultato più importante di Einstein - che il suo anno grandioso fu proprio il 1915 e non il 1905. Intendo però dimostrarlo inserendo la scienza di Einstein nel contesto della sua vita e del suo lavoro prima e dopo il 1915, quindi anche nell' annus mirabilis.

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Pagina 42

2.

L'annus mirabilis


Nel marzo 1905 Albert Einstein compì ventisei anni; due mesi dopo, suo figlio Hans Albert festeggiò il primo compleanno. Einstein ora aveva una famiglia regolare, un lavoro fisso, il caro amico Besso con cui parlare di questioni scientifiche e una routine prestabilita per lavorare senza scadenze ai propri progetti scientifici. Non gli restava molto tempo per la famiglia e pur essendo un padre amorevole oggi non sarebbe certamente considerato un modello di comportamento. Il «problema» di Lieserl era stato risolto, bene o male, e a quanto pare, una volta risolto, Einstein bandì la figlia dai suoi pensieri. Mileva, nonostante tutte le aspirazioni scientifiche di un tempo, era fondamentalmente una donna di casa tradizionale, che si prendeva cura del marito in modo che lui si potesse concentrare su cose più importanti. Quanto alla paternità, Einstein, invece di sopportare le distrazioni di cui fa esperienza la maggior parte dei neopadri, le ignorava bellamente, così come per tutta la vita ignorò qualunque cosa minacciasse di disturbare il suo lavoro scientifico. Diversi testimoni hanno raccontato come nelle occasioni in cui si sarebbe dovuto occupare del bambino fosse facile trovarlo con la pipa in bocca, mentre con una mano faceva dondolare la culla e con l'altra scriveva calcoli sul suo onnipresente taccuino. Questa capacità di isolarsi dalle distrazioni del mondo intorno a lui e di concentrarsi sui problemi che lo interessavano fu una delle ragioni principali per cui riuscì a scrivere una tale profusione di articoli nel 1905 e a mantenere un livello elevato di produzione scientifica per molti anni.

Il primo accenno a ciò di cui si era occupato nei primi mesi del 1905 compare in una lettera che scrisse alla fine di maggio all'amico Conrad Habicht:

Ti prometto ... quattro articoli. Il primo ... ha per oggetto la radiazione e le proprietà energetiche della luce ed è decisamente rivoluzionario, come vedrai ... Il secondo articolo è una determinazione delle dimensioni effettive degli atomi a partire dalla diffusione e dall'attrito interno di soluzioni liquide diluite di sostanze neutre. Il terzo dimostra che, sulla base della teoria molecolare del calore, già particelle dell'ordine di grandezza di un millesimo di millimetro, in sospensione in un liquido, devono compiere movimenti casuali osservabili, causati dall'agitazione termica. Il movimento dei corpi in sospensione è stato effettivamente osservato dai fisiologi, che lo chiamano moto molecolare browniano. Il quarto articolo è soltanto un abbozzo iniziale ed è un'elettrodinamica dei corpi in movimento, che fa ricorso a una modificazione della teoria dello spazio e del tempo; la parte puramente cinematica di questo articolo ti interesserà certamente.

Questa è una delle lettere più straordinarie della storia della scienza. Il primo articolo citato da Einstein stabiliva la realtà dei quanti di luce (che oggi chiamiamo «fotoni») ed era così rivoluzionario che gli fece ottenere il premio Nobel - anche se proprio perché era così rivoluzionario il resto della comunità scientifica impiegò sedici anni per raggiungerlo e conferirgli quel premio. Il secondo articolo fu la base della sua tesi di dottorato. Il terzo dimostrava la realtà degli atomi. E il quarto presentò a un mondo perplesso la teoria ristretta della relatività.

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Il miglior esempio di quanto la sua concezione del mondo fosse diversa persino da quelle di Lorentz e di Poincaré è dato dal fatto che Einstein comprese l'importanza della simmetria in quelle che ancora oggi chiamiamo «trasformazioni di Lorentz». Poincaré aveva notato che le trasformazioni sono simmetriche. Se un osservatore vede un oggetto in movimento contrarsi nella direzione del moto, la simmetria implica che un osservatore posto sull'oggetto in movimento vede il proprio sistema di riferimento perfettamente normale, ma vede contrarsi il primo osservatore e qualunque altra cosa in quel sistema di riferimento. Poincaré la archiviò come una singolare proprietà delle equazioni, senza un significato fisico — non aveva senso per lui ribaltare la sua concezione del mondo e pensare che l'etere sorpassandoci «si contraesse». Invece Einstein, che non aveva bisogno dell'etere, nella simmetria delle trasformazioni vide una verità fondamentale dotata di un profondo significato fisico.

Einstein dimostrò che un osservatore in un dato sistema inerziale percepirebbe gli oggetti in un sistema inerziale diverso contrarsi nella direzione del loro movimento rispetto a se stesso e vedrebbe gli orologi nell'altro sistema inerziale camminare più lentamente degli orologi nel proprio sistema. Un osservatore nell'altro sistema inerziale vedrebbe un'immagine speculare — vedrebbe gli orologi del primo osservatore camminare più lentamente e i regoli e tutti gli altri strumenti del primo osservatore (e di fatto anche l'osservatore stesso) contrarsi. Tutto ciò ora è stato confermato sperimentalmente. Gli effetti sono minimi, a meno che le velocità relative in questione non siano molto vicine alla velocità della luce (è per questo motivo che non li notiamo nella vita di tutti i giorni e il buon senso non ci aiuta a immaginarli), però le particelle vengono regolarmente osservate mentre viaggiano a velocità simili nelle macchine per «frantumare gli atomi», come quelle del CERN di Ginevra e del Fermilab di Chicago. La teoria ristretta è stata dimostrata e confermata moltissime volte. Dalla teoria discende anche un'altra previsione, di cui Einstein non si rese conto nel giugno 1905, ma che capì subito dopo e di cui scrisse in un altro articolo, che era una specie di postilla a quello sulla teoria ristretta. L'aver compreso quella previsione portò Einstein a formulare l'equazione più famosa di tutta la scienza — anche se nell'articolo, purtroppo, non compare nella forma che ci è familiare.

Nell'estate del 1905, in una lettera a Conrad Habicht, Einstein scrisse:

Mi è venuta in mente anche un'altra conseguenza dell'articolo sull'elettrodinamica. Il principio di relatività, unito alle equazioni di Maxwell, prescrive che la massa sia una misura diretta dell'energia contenuta in un corpo; la luce è portatrice di massa. Nel caso del radio, dovrebbe verificarsi un'apprezzabile riduzione della massa. L'idea è divertente e seducente, ma per quanto ne so il buon Dio potrebbe avermi messo su una strada sbagliata ed essere lì che ride di tutta la faccenda.

Einstein cita il radio perché questo classico elemento radioattivo emette continuamente energia sotto forma di radiazione e calore. L'origine di tale energia era stata un enigma per la scienza sin dalla scoperta del radio da parte di Marie e Pierre Curie negli ultimi anni dell'Ottocento; la scoperta di Einstein implicava che la materia di cui è composto il radio si convertisse lentamente in energia, quindi che il radio perdesse gradualmente massa. In precedenza si era ipotizzato che l'energia elettromagnetica potesse essere associata alla massa e anche che la massa dell'elettrone potesse essere attribuita completamente al suo campo elettromagnetico. Einstein, però, proponeva qualcosa di diverso, ovvero che tutta la materia avesse un suo equivalente di energia, un'energia che in linea di principio avrebbe potuto essere liberata, e ne calcolò un valore preciso.

Il suo breve articolo (in forma stampata era di sole tre pagine) che metteva in rilievo questo punto arrivò agli «Annalen der Physik» il 27 settembre. Fu pubblicato prima della fine dell'anno, ma nel volume successivo a quello contenente i tre grandi articoli sul moto browniano, sui quanti di luce e sulla teoria ristretta (che era il volume XVII, oggi un prezioso oggetto da collezione). Usando ancora la lettera V per indicare la velocità della luce, Einstein concludeva:

se un corpo emette un'energia L sotto forma di radiazione, la sua massa diminuisce di L/V^2. Il fatto che l'energia sottratta al corpo divenga energia di radiazione non è essenziale, e la conclusione che se ne trae è di portata più generale: la massa di un corpo è una misura del suo contenuto di energia; variando l'energia di una quantità L, la massa varia, nello stesso senso, di L/9x10^20, se l'energia si misura in erg e la massa in grammi.

In quelle unità di misura, la velocità della luce è 3x10^10 centimetri al secondo (e 9x10^20 centimetri al secondo è il suo quadrato). Indicando l'energia con E e non con L, la velocità della luce con c e non con V, la massa con m e riscrivendo l'equazione in modo da avere al membro sinistro l'energia e non la massa, l'equazione scoperta da Einstein diventa:

E = m c^2

L'unica equazione che tutti conoscono.

Come tutti i risultati degli articoli scritti da Einstein nell' annus mirabilis, questa previsione in seguito è stata ampiamente confermata dagli esperimenti — non da ultimo dal terrificante «esperimento» della bomba atomica. Oggi è chiaro che la conversione della massa in energia fornisce la fonte di energia che fa brillare il Sole e le stelle ed è quindi la fonte ultima dell'energia da cui dipende la vita sulla Terra. Ciò fa di questo articoletto forse la più importante «postilla» nella storia della scienza.

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Primi passi


Dopo aver compreso che «se una persona è in caduta libera, non avverte il proprio peso», per quattro anni Einstein non si sforzò realmente di sviluppare le sue idee sul moto non uniforme e la gravità, anche se era convinto che quell'intuizione gli avrebbe permesso di «estendere o generalizzare il principio di relatività in modo che valesse per sistemi accelerati» e nel farlo si aspettava di «riuscire a risolvere contemporaneamente il problema della gravitazione». I problemi della teoria dei quanti sembravano più urgenti e richiedevano tutta la sua attenzione. Nel 1911, ciononostante, disse all'amico Michele Besso che era stanco della fisica quantistica e intendeva concentrarsi sullo sviluppo della teoria generale del movimento e della gravità. Prima di esaminare come procedette, però, è opportuno spiegare per quale motivo una teoria degli oggetti accelerati è anche una teoria della gravità. La spiegazione è di una semplicità disarmante, anche se nessuno prima di Einstein se n'era mai reso conto.

Einstein era solito descrivere questo scenario per mezzo di un ascensore in caduta libera, adeguato alla tecnologia dell'epoca. Oggi è più sensato parlare del comportamento degli oggetti all'interno di un'astronave senza finestrini. Se i razzi vengono spenti e l'astronave viaggia nello spazio a velocità costante, ogni oggetto all'interno della cabina fluttua, privo di peso. In queste condizioni, un fascio di luce che venga diretto da una parete all'altra della cabina viaggerà in linea retta raggiungendo la parete opposta alla stessa altezza dal pavimento rispetto alla fonte di luce. La scelta più ovvia della fonte di luce da usare sarebbe un laser ed è opportuno ricordare che la fisica dei laser fu un altro degli argomenti che Einstein elaborò, appena completata la teoria generale.

Che cosa succede se i razzi vengono riaccesi e l'astronave accelera? Tutti gli oggetti cadono sul pavimento e gli occupanti hanno esattamente la sensazione di avere un peso. Ma che cosa succede al fascio di luce? Nell'intervallo di tempo che il fascio impiega per attraversare la cabina la velocità dell'astronave aumenta, spostando il veicolo un poco più in alto rispetto al fascio di luce, che quindi colpisce la parete opposta un poco più in basso rispetto al caso senza accelerazione. Agli astronauti sembrerà che la luce sia stata deviata. Il punto di cui si rese conto Einstein (senza aver mai visto un'astronave) è che affinché gravità e accelerazione siano equivalenti — come aveva intuito ai tempi dell'Ufficio brevetti — deve accadere la stessa identica cosa se l'astronave è ferma sulla rampa di lancio sulla Terra. In mancanza di finestrini, i membri dell'equipaggio non sarebbero in grado di dire se il loro peso è causato dall'accelerazione o dalla gravità. Però saprebbero dire se il fascio di luce ha attraversato la cabina in linea retta. Ragionando sul caso dell'ascensore e non dell'astronave, Einstein capì che la gravità deve far deviare la luce solo tanto da rendere esattamente equivalenti gravità e accelerazione. Questo fu il suo punto di partenza quando tornò a concentrarsi intensamente sulla ricerca di una teoria generale nel 1911, durante il periodo trascorso a Praga.

I primi frutti di questo impegno furono presentati in un articolo pubblicato negli «Annalen der Physik» nel 1911, in cui Einstein calcolò che «un raggio di luce che passasse nelle vicinanze del Sole subirebbe ... una deviazione di 0,83 secondi d'arco». Questo calcolo offriva l'eccitante prospettiva di verificare la teoria. Di solito non possiamo vedere la luce che passa vicino al Sole, perché la luce solare, più intensa, non lo permette. Durante un'eclissi solare, quando la luce del Sole è bloccata dalla Luna, possiamo invece vedere stelle distanti, molto più lontane del Sole, grazie alla luce che sfiora il bordo del Sole mentre viaggia verso di noi (sfiora anche il bordo della Luna, ma la Luna è troppo piccola per produrre un effetto misurabile sulla luce — la massa del Sole è 27 milioni di volte maggiore della massa della Luna). Se i raggi di luce avessero presentato la deviazione prevista da Einstein, sulle lastre fotografiche ottenute durante un'eclissi le stelle in questione sarebbero comparse in posizioni lievemente diverse rispetto a fotografie scattate con il Sole non allineato. A questo proposito, Einstein commentò: «Sarebbe quanto mai auspicabile che del problema si occupassero gli astronomi».

L'invito fu raccolto da Erwin Freundlich, un astronomo dell'Osservatorio universitario di Berlino, che sapeva che il 21 agosto 1914 Si sarebbe verificata un'eclissi solare visibile dalla Crimea. Einstein era così entusiasta che si offrì di contribuire a finanziare una spedizione che realizzasse le osservazioni necessarie, anche se alla fine il denaro arrivò dalla Fondazione Krupp. Il momento scelto per la spedizione, tuttavia, si rivelò disastroso. Freundlich e due colleghi partirono per la Crimea il 19 luglio 1914. Il 1° agosto, con una mossa che faceva parte della complicata trama politica che portò alla prima guerra mondiale, la Germania dichiarò guerra alla Russia. I russi fecero prigionieri Freundlich e i suoi colleghi e confiscarono le loro apparecchiature. Naturalmente, in quanto tedeschi dotati di macchine fotografiche e apparecchiature per rilevamenti, furono sospettati di essere spie, ma qualche settimana più tardi ebbero la fortuna di essere rimandati in Germania nell'ambito di uno scambio di prigionieri. Il fallimento della spedizione ebbe però anche una conseguenza positiva, quanto meno in relazione alla teoria generale. Il calcolo di Einstein del 1911 era sbagliato. Se la spedizione avesse avuto successo, avrebbe misurato una deviazione della luce diversa, inferendo un duro colpo al prestigio di Einstein (anche se lui non se ne sarebbe curato) e forse screditando la teoria. Nell'estate del 1914, tuttavia, tra lo scompiglio del suo trasferimento a Berlino, il fallimento del suo matrimonio e lo scoppio della guerra, Einstein nelle sue riflessioni seguiva già altre direttrici.

Tutti sanno che la luce viaggia in linea retta: com'era allora possibile che un raggio di luce cambiasse direzione? Una soluzione si poteva ottenere utilizzando per il problema un tipo diverso di geometria, in cui le rette non sono rette nel senso comune del termine, le parallele possono incontrarsi o divergere e la somma degli angoli di un triangolo non è uguale a 180°. La geometria nota a tutti in cui le linee parallele non si incontrano mai né divergono, la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180° e così via, è la geometria euclidea — così chiamata dal nome dal matematico greco che ne elencò gli assiomi —, che descrive una superficie piana, nel senso comune del termine. È il tipo di geometria che usò Minkowski per la geometrizzazione della teoria ristretta. Le geometrie alternative, chiamate pertanto «geometrie non euclidee», furono molto studiate nell'Ottocento, per lo più come esercizio matematico astratto (anche se la geometria della superficie curva della Terra è proprio una geometria non euclidea). Einstein non ne sapeva granché, sebbene in precedenza si fosse occupato in maniera dilettantesca del lavoro di Poincaré, e ancor meno sapeva come utilizzare le relative equazioni. In effetti, ancora oggi sorprende che Einstein, pur avendo grandi intuizioni sulla natura fisica del mondo, sia sempre stato, come fisico di altissimo livello, piuttosto debole in matematica. Aveva però un vecchio amico che era un mago della matematica, Marcel Grossmann. Una delle prime mosse di Einstein al suo ritorno a Zurigo nel 1912 fu chiedere a Grossmann che lo aiutasse a sviluppare un insieme di equazioni matematiche — ciò che i fisici chiamano una «teoria dei campi» — che gli permettesse di elaborare le leggi che descrivono il funzionamento della gravità, il campo gravitazionale, così come le equazioni di Maxwell descrivono il funzionamento del campo elettromagnetico. Grossmann, che in effetti conosceva la storia della geometria non euclidea, fu ben felice di aiutarlo.

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Pagina 134

L'Universo in generale


L'espressione «teoria generale della relatività» in realtà ha un duplice significato. È generale perché si applica al moto accelerato e alla gravità, non solo a oggetti che si muovono in linea retta a velocità costante (ed è in questo senso che Einstein usò questa espressione in origine), ma è generale anche nel senso che si applica a ogni cosa: all'intero Universo e a tutto ciò che contiene, tutto lo spazio e tutto il tempo. Per la verità, in senso stretto la teoria generale si applica soltanto a un intero universo. Quando la usiamo per descrivere l'orbita di Mercurio o il comportamento di una stella di neutroni, ciò che facciamo in realtà è usare un'approssimazione in cui la metrica locale è appiccicata sulla metrica del circostante spaziotempo piatto, che si presume estendersi all'infinito. Le influenze di altre parti dell'Universo vengono ignorate, perché sono molto piccole. Tuttavia Einstein - come vedremo nel capitolo seguente, in cui ritorneremo alla storia della sua vita - si rese immediatamente conto che ciò che aveva scoperto era una descrizione dell'intero Universo e nel 1917 pubblicò alcune soluzioni della sua equazione, i primi «modelli cosmologici» (così sono chiamate queste descrizioni dello spaziotempo), derivati dalla teoria generale. Notate il plurale. Non esiste un'unica soluzione cosmologica delle equazioni, ma ne esistono diverse, che descrivono differenti tipi di universo. Quando si parla di questi modelli, si usa l'iniziale minuscola (universo), mentre si usa l'iniziale maiuscola quando si discute dell'Universo in cui viviamo.

Per Einstein fu una vera sorpresa: nel 1917 era alla ricerca di una soluzione delle sue equazioni, di una descrizione dell'Universo. All'epoca si riteneva che quella che oggi sappiamo essere la nostra galassia, la Via Lattea, fosse l'intero Universo e la Via Lattea sembrava un insieme essenzialmente statico di stelle, eterno e immutabile alla scala più grande, a parte i movimenti casuali. La soluzione che Einstein trovò era grosso modo in accordo con quell'aspettativa, però aveva un difetto irritante: il suo modello non stava fermo. A seconda di come lo si considerava, era in continua espansione o in continua contrazione. Einstein risolse il problema aggiungendo un altro termine all'equazione, oggi noto come «costante cosmologica», che aveva l'unico scopo di rendere statico il modello, come pensava che fosse l'Universo. Secondo il fisico George Gamow, più tardi Einstein lo descrisse come il «più grande errore» della sua carriera, per ragioni che saranno chiarite in seguito.

Subito dopo che Einstein ebbe scoperto quella che ai suoi occhi era la soluzione cosmologica delle equazioni della teoria generale, l'astronomo olandese Willem de Sitter trovò un'altra soluzione, un altro modello cosmologico. Non era una descrizione realistica dell'Universo, perché non conteneva materia; descriveva uno spaziotempo stazionario, matematicamente vuoto. I matematici però, facendo una mossa equivalente a spargere pezzettini di materia nell'universo di de Sitter per vedere che cosa sarebbe successo, scoprirono qualcosa di curioso: esso si espandeva, stirando lo spazio che aumentava le distanze tra le particelle di materia. Immaginando un osservatore su una di queste «particelle di prova» che monitora la luce proveniente dalle altre particelle di prova, le equazioni indicavano che la luce sarebbe stata stirata dall'espansione, passando dall'estremità blu dello spettro a quella rossa: un redshift. Nel 1917, nessuno considerò la questione come qualcosa di diverso da una curiosità matematica.

Il passo avanti successivo fu compiuto da un matematico russo, Alexander Friedman, nel 1922. Friedman fu il primo a rendersi conto che era inutile cercare un'unica soluzione cosmologica delle equazioni di Einstein, che stava affrontando una famiglia di soluzioni, un'intera varietà di modelli cosmologici. Invece di forzare i modelli per tenerli fermi aggiungendo una costante cosmologica, lasciò che seguissero la propria inclinazione, espandendosi o contraendosi come volevano. Per completezza, però, considerò anche modelli con varie costanti cosmologiche.

Tre tipi di modelli scoperti da Friedman sono particolarmente importanti. In una delle variazioni sul tema, i modelli descrivono un universo che si espande in eterno, rallentando a causa dell'influenza gravitazionale di tutta la materia che contiene, ma senza mai fermarsi. Questi sono i modelli «aperti». In un altro insieme di modelli, l'universo inizia espandendosi, ma rallenta fino a fermarsi e poi collassa su se stesso. Questi sono i modelli «chiusi». Tra queste due varietà vi è un tipo speciale di universo che si espande sempre più lentamente e a poco a poco arriva quasi a fermarsi, ma non ricollassa mai. Questi sono i modelli «piatti», poiché lo spaziotempo complessivo di un tale universo è piatto, fatta eccezione per gli avvallamenti causati da oggetti come le stelle.

All'epoca il lavoro di Friedman non suscitò grande attenzione, in parte perché Friedman era russo e quindi isolato dagli altri scienziati in quei tempi difficili, e in parte perché morì nel 1925 e non poté più promuoverlo. Tuttavia nel 1927 Georges Lemaître, un astronomo belga (che era anche sacerdote cattolico), ignaro del lavoro di Friedman, pubblicò un'analisi simile delle equazioni. Allora si era appena stabilito che la Via Lattea è soltanto una galassia in un vasto mare di oggetti simili e si erano effettuate alcune misurazioni di redshift della luce proveniente da qualcuna di queste altre galassie. Lemaître ipotizzò che ciò provasse che l'Universo è in espansione ed elaborò l'idea che quindi in passato dovesse essere stato più piccolo, con le galassie e le stelle stipate in quello che chiamava l'«uovo cosmico».

Tutto ciò non attirò molta attenzione fino a quando l'astronomo americano Edwin Hubble (l'uomo che aveva dimostrato l'esistenza di altre galassie oltre alla Via Lattea), continuando il lavoro di Vesto Slipher e assistito dalle eccellenti osservazioni realizzate dal collega Milton Humason, tra la fine degli anni venti e gli anni trenta misurò il redshift e la distanza di molte altre galassie e formulò la legge di Hubble, secondo la quale il redshift di una galassia è proporzionale alla sua distanza. Questa legge è valida da qualunque galassia si effettui l'osservazione e non significa che noi siamo al centro dell'Universo. In realtà, significa che non esiste un centro dell'Universo! Con l'idea dell'uovo cosmico di Lemaître e il lavoro di molti astronomi e fisici (tra cui Gamow) nei quarant'anni successivi, il modello del Big Bang si affermò come una buona descrizione del nostro Universo, corrispondente al modello piatto in espansione di Friedman-Lemaître senza costante cosmologica. Se Einstein avesse creduto a ciò che dicevano le equazioni, avrebbe potuto prevederlo nel 1917.

Fino alla fine degli anni novanta, osservazioni più accurate condotte con telescopi migliori (ottici e radio) e strumenti nello spazio sembrarono corrispondere in modo sempre più preciso all'«universo einsteiniano» più semplice. Particolarmente significativa fu la scoperta della radiazione cosmica di fondo, un debole sibilo di rumore radio proveniente da tutte le direzioni dello spazio e interpretato come residuo della radiazione del Big Bang. Il quadro che si determinò era quello di un Universo nato da uno stato superdenso (forse una singolarità) con una fase iniziale di rapida espansione detta «inflazione», seguita da un'espansione in graduale rallentamento corrispondente ai modelli piatti di Friedman. Una caratteristica affascinante è che, per rendere piatto lo spaziotempo, e per rendere conto del movimento delle galassie negli ammassi di galassie, deve esistere molta più materia di quanta ne possiamo vedere nelle stelle e nelle galassie. Per essere in accordo con l'interpretazione della fisica del Big Bang, questa non può essere la fredda materia ordinaria, ma deve essere una materia diversa da quella che si trova sulla Terra o nelle stelle. La ricerca di questa materia, detta «materia oscura», è in corso. Poi, alla fine del Novecento, arrivò una scoperta ancora più emozionante.

Con i migliori telescopi mai realizzati fu possibile misurare redshift e distanze di galassie molto lontane nell'Universo, e si scoprì che queste galassie si stanno allontanando da noi, a causa dello stiramento dello spazio, a una velocità leggermente superiore a quella che «dovrebbero» avere, secondo la versione più semplice della legge di Hubble. La spiegazione non tardò ad arrivare. I conti tornano se c'è, dopo tutto, una piccola costante cosmologica, una specie di elasticità dello spazio, che influenza l'espansione dell'Universo. Quando l'Universo era più giovane e più compatto, la gravità dominava l'espansione, rallentandola in accordo con la legge di Hubble; quando le galassie si sono distanziate e la materia si è diradata, tuttavia, l'influenza della gravità si è indebolita, mentre la costante cosmologica è rimasta invariata, tanto che sta soltanto iniziando a vincere la gravità e a far espandere l'Universo più velocemente. Se andrà avanti così, il destino finale dell'Universo è l'espansione eterna a un ritmo sempre più veloce. Il «più grande errore» di Einstein risulta essere una chiave per comprendere l'Universo.

C'è dell'altro. La costante cosmologica è una forma di energia, detta a volte «energia oscura». L'elasticità dello spazio contiene energia, proprio come una normale molla compressa. Poiché, come ci ha insegnato Einstein, l'energia è equivalente alla massa, questa energia oscura contribuisce a rendere lo spaziotempo piatto. Di fatto, è la forma di massa dominante nell'Universo. Utilizzando i dati del satellite Planck, così chiamato in onore del padre fondatore della fisica quantistica, nel 2013 gli astronomi hanno potuto annunciare un'analisi magnificamente dettagliata del contenuto materiale dell'Universo. Solo il 4,9 per cento della massa dell'Universo (meno di un ventesimo) è sotto forma di quella che per noi è la materia ordinaria, quella che costituisce noi, le stelle e i pianeti. Esattamente il 26,8 per cento della massa dell'Universo, più di cinque volte la quantità di materia ordinaria, è sotto forma dell'ancora misteriosa materia oscura. Più di due terzi, il 68,3 per cento, è sotto forma della costante cosmologica, ovvero energia oscura. E l'Universo ha 13,8 miliardi di anni. Questa descrizione straordinariamente precisa dell'intero Universo ha come solida base la teoria generale della relatività: un'eredità che Einstein non avrebbe mai potuto immaginare quando era alle prese con le equazioni cosmologiche a Berlino, in condizioni di estrema privazione, nella seconda metà della Grande Guerra.

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