Copertina
Autore Cesare Griffa
Titolo La città cibernetica
EdizioneMeltemi, Roma, 2008, Melusine 75 , pag. 188, ill., cop.fle., dim. 12x19x1,7 cm , Isbn 978-88-8353-639-7
LettoreLuca Vita, 2008
Classe urbanistica , architettura , citta' , informatica: sociologia
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Indice


  7 Introduzione


 11 Capitolo primo
    Città europee contemporanee

 12 Dal concetto di degrado a quello di corruzione
 20 Dalla riqualificazione alla progettazione
 24 Motori di sviluppo metropolitano
 28 Città rizomatiche
 38 Luoghi per i motori di sviluppo
 44 Da forme statiche a flussi dinamici
 48 Motori di sviluppo urbano come campi di forze
 53 Manipolazioni di energie urbane
 55 Barcellona 2004
 62 Torino 2006

 71 Capitolo secondo
    Software programmatici

 72 Software (programma)
 78 Programmi commerciali
 83 Programmi free-ware
 87 Programmi di ricerca
 93 Programmi di deframmentazione
 97 Videogame
107 Programmi di sicurezza
112 Spamming
117 Programmi tascabili
125 Programmi nascosti

137 Capitolo terzo
    Hardware architettonici

138 Hardware (forma)
146 Curvature spaziali
150 Forme morbide
155 Forme morfogenetiche
159 Forme auto-organizzative
163 Forme performanti
167 Forme parametriche
171 Forme fluidodinamiche
175 Forme personalizzate
179 Trans-forme

185 Bibliografia

187 Sitografia

 

 

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Pagina 7

Introduzione


La città cibernetica non è la città del futuro. La città cibernetica è la città del presente. È un luogo complesso, dove tanti sistemi disomogenei convivono in un equilibrio precario in continuo movimento. È il posto che nasce dalle ceneri di una civiltà industriale ormai passata. Perennemente connessa a una rete globale e immateriale, è una città alla ricerca di una sua identità. In effetti, non può trattarsi di un'identità univoca: le numerose culture si mischiano e, in assenza di una ideologia dominante, tendono a creare una moltitudine di situazioni ibride.

La parola cibernetica, spesso associata a una visione oscura di un futuro corrotto e ipertecnologico, indica lo studio dei sistemi che presentano fenomeni di autoregolazioni. La città cibernetica non è quindi un inquietante posto futuribile, ma un sistema complesso in cui le varie dinamiche in corso pongono continuamente il problema della autoregolazione come ricerca di un equilibrio in continuo movimento.

Questo libro analizza alcuni aspetti delle città contemporanee, guardandole come sistemi complessi dotati di proprietà di autoregolazione. Gli elementi che formano questi sistemi sono le architetture, intese non solo come edifici statici, ma come veri e propri organismi dinamici, che vivono in simbiosi con i loro abitanti.

Alcune parti delle città sembrano entrare in crisi per effetto del declino del sistema industriale. La domanda da porsi è allora quali siano gli elementi del pensiero capaci di agire là dove il decadimento ideologico ha lasciato il vuoto; quali siano gli spazi e le architetture che scaturiscono da tutto questo.

Questa storia si articola in tre grandi parti. La prima è una sorta di navigazione all'interno di alcuni aspetti caratteristici delle città contemporanee, la cui rotta non lineare arriva a toccare una serie di punti utili a descrivere il complesso panorama urbano del nostro tempo, suggerendo tra le righe alcuni approcci di analisi e di intervento. La seconda e la terza parte descrivono invece quali possono essere gli elementi (le architetture) che compongono questi sistemi complessi, introducendo l'idea di una metafora informatica secondo cui il programma di un'architettura può essere analizzato come software, mentre la sua forma può essere vista come hardware. La scelta della metafora informatica non è casuale. È probabilmente questo uno dei campi in cui si trovano oggi le maggiori tensioni rivolte a quello che sarà a breve.

La concezione di architettura che si va articolando torna alle origini dell'architettura moderna, rifacendosi più volte al celebre slogan form follows function, stravolgendolo, ribaltandolo e rimodellandolo, per renderlo uno strumento attuale capace di essere usato per una progettazione critica.

Come il lettore avrà modo di scoprire, le fonti usate nella costruzione del testo sono piuttosto spregiudicate. Lo strumento principale di informazioni è internet (anche se più di una volta è stato necessario coadiuvarlo da testi teorici più canonici). Nella fattispecie i due siti di maggiore utilizzo sono stati Google e Wikipedia. Google, il noto motore di ricerca, è stato usato come un moderno oracolo digitale capace di indicare quanto un termine o un concetto sia popolare tra gli utilizzatori della rete. Wikipedia, l'enciclopedia on line più completa a oggi (e in continuo aggiornamento tramite le migliaia di nuove voci che i suoi stessi utilizzatori aggiungono ogni giorno), è servita come spunto per fornire le instabili basi di alcuni ragionamenti.

Si tratta di due fonti spregiudicate non tanto per via del loro facile accesso, ma piuttosto per la loro natura estremamente volatile. In effetti, sia Google che Wikipedia, essendo due strumenti in continua evoluzione, sono sì in grado di dare innumerevoli risposte, ma non si può essere certi che le risposte siano quelle scientificamente più corrette, come non si può essere sicuri che le risposte fornite durino nel tempo. In effetti, è successo, durante i tre anni in cui sono stati elaborati questi testi, di rifare le stesse ricerche a mesi di distanza con risultati completamente diversi. A dire il vero la cosa non è sorprendente in quanto Google aggiorna quotidianamente i suoi database, mentre Wikipedia è aggiornato quotidianamente dai suoi utenti.

È proprio questo aspetto di incertezza a rendere interessante l'utilizzo di un metodo poco ortodosso come quello proposto: nella società contemporanea, caratterizzata da carenza di ideologie, da un movimento frenetico e da una sovrabbondanza di informazioni in continua mutazione, è improponibile pensare di fondare un ragionamento teorico su delle basi troppo fisse, in quanto queste stesse basi sono in balia degli eventi. Tanto vale allora cercare di costruire un ragionamento direttamente sulle sabbie mobili, rendendo sufficientemente stabile la sua struttura attraverso dei processi elastici in grado di assorbire, ove necessario, gli smottamenti del terreno, riconfigurando il sistema verso nuove situazioni di equilibrio.

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Pagina 16

Si può provare a trasformare il concetto di degrado dell'ambiente urbano in quello di corruzione fisica e sociale. Occuparsi di corruzione invece che di degrado significa allargare la portata del discorso. Cosa è corruzione? Quali sono i suoi aspetti? Lo spazio corrotto è veramente completamente negativo o se ne possono trarre anche aspetti positivi?

Una ricerca Google sulla parola corruzione produce 590.000 risultati. Nessuno tra i primi è particolarmente rilevante e fanno tutti riferimento a corruzione politica e giudiziaria. Secondo Wikipedia, la parola corruption assume significati diversi riportabili a quattro famiglie principali:

1. corruzione fisica: decomposizione, deterioramento, putrefazione, disfacimento;

2. corruzione morale: depravazione, degenerazione, degrado morale, immoralità, dissolutezza, pervertimento;

3. corruzione biologica: contaminazione, ammorbamento, inquinamento;

4. corruzione temporale: alterazione, decadimento.

I suoi contrari sono invece: austerità, onestà, probità, purezza, redenzione, rettitudine, serietà, virtù, frugalità, moderazione, morigeratezza, temperanza, timoratezza, moralità, correttezza, dignità, ineccepibilità, irreprensibilità, cristallinità, innocenza, espiazione, recupero, riabilitazione, riscatto, dirittura, pulizia.

Si provi allora a pensare a quali tipi di intervento si possano individuare in risposta ai diversi tipi di corruzione. Il tipo di corruzione 1, la corruzione fisica, è senza dubbio la più facile da trattare in ambito urbano: si dà la famosa mano di bianco, facendo attenzione a usare un pennello più grande per le pareti più grandi: è ciò che comunemente viene chiamato manutenzione (magari straordinaria in casi eccezionali). Trattamento simile si può adottare anche per il tipo di corruzione 4, la corruzione temporale. Generalmente la soluzione 4 presuppone una pulizia un po' più profonda, che si è usi chiamare ristrutturazione (restauro se si trattano oggetti di particolare pregio). Appaiono decisamente più problematici i tipi di corruzione 2 e 3. La corruzione di tipo morale richiede in effetti un intervento sociale più radicato e mirato sugli individui. È una situazione che fuoriesce dagli ambiti urbanistici e architettonici. Il tipo di intervento sulla corruzione morale e legato al concetto di giustizia e ad azioni di tipo poliziesco. La corruzione di tipo biologico presuppone invece interventi mirati al contenimento e all'assorbimento del danno ambientale provocato da un agente specifico (che si tratti di contaminazione come di inquinamento). Il tipo di azione è estremamente tecnico e viene generalmente coordinato dalle organizzazioni di protezione civile.

Alla luce di questa breve analisi, semplici azioni mirate a estinguere gli effetti del degrado delle città senza maggiori approfondimenti appaiono quantomeno riduttive. È infatti chiaro come la presenza di un tipo di corruzione sia imprescindibilmente legata a quella di altri. Una volta acquisito il concetto di complessità per descrivere queste situazioni, appare verosimile ipotizzare che all'interno di un fenomeno intricato non ci siano soltanto valori negativi. In altre parole, è possibile trovare qualche inaspettato valore positivo all'interno di sistemi corrotti.


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Matrix: il grande inganno

Matrix è un film di fantascienza del 1999, scritto e diretto dai fratelli Wachowsky (...).

Il termine matrix deriva dal latino matrix, matricis e può essere tradotto in italiano con "madre" o "nutrice", "matrice", "utero", "stipite" e, in senso lato, anche con "canale".

In un indeterminato futuro la razza umana è controllata e sfruttata dalle macchine, che fanno credere loro di vivere liberamente nel mondo del XX secolo mentre in realtà la tengono imprigionata, coltivando uomini e donne per trarne l'energia necessaria alla loro sopravvivenza meccanica.

Poche migliaia di umani sono liberi dal controllo delle macchine. Matrix è il nome del sistema di controllo cerebrale che imprigiona i loro simili: un sistema di impulsi elettrici inviati al cervello umano che lo convincono di vivere in un mondo che, ormai, non esiste più da centinaia di anni.

All'interno di Matrix la gente vive senza accorgersi minimamente della sua vera condizione; soltanto pochissime persone si rendono conto che qualcosa non va, percependo una stranezza che non riescono a descrivere. Una di queste persone è Thomas Anderson, conosciuto nell'ambiente degli hacker come Neo. Convinti che Neo sia l'eletto (in grado di restituire la libertà alla razza umana), un gruppo di umani (...) lo contatta, convincendolo ad uscire da Matrix ed essere riportato (dopo una sorta di risveglio dalla condizione di larva in cui la realtà era solamente proiettata nella sua mente) nella vera realtà. Qui Neo scopre che in realtà l'uomo è uno schiavo delle macchine.

Neo dimostrerà doti eccezionali, cioè sarà sempre più in grado di contravvenire alle regole di Matrix, acquistando poteri pari a quelli di un programma, ma non è facile per lui capire se sia l'eletto o meno.

Attraverso una morte virtuale (...) e la sua resurrezione per merito dell'amore sbocciato con Trinity (...) Neo prende finalmente coscienza di essere stato scelto per liberare l'umanità dal giogo delle macchine.

(voce "Matrix", http://www.wikipedia.it)

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Nella trilogia del film Matrix, si racconta di un mondo futuro in cui le macchine hanno preso il sopravvento e producono l'energia necessaria alla loro esistenza succhiandola dagli esseri umani, che vivono in una sorta di coma farmacologico all'interno di bozzoli iper-tecnologici. Le loro menti sono tutte collegate in una rete gestita da un software che crea il mondo intorno a loro. Quando, dopo innumerevoli avventure, il protagonista, Neo, riesce finalmente a incontrare l' architetto della rete, egli racconta che, agli inizi, quello virtuale era un mondo perfetto in cui tutti si volevano bene, nessuno doveva lavorare e non c'erano problemi di sorta. Questo mondo meraviglioso sarebbe poi stato successivamente rimodellato ricreando una copia del mondo della fine del XX secolo, con tutti i problemi e le difficoltà che lo caratterizzano, perché gli esseri umani si lasciavano deperire nel mondo perfetto e non producevano l'energia necessaria alle macchine.

Si considerino ora i contrari di corruzione. Parole come serietà, virtù, morigeratezza, timoratezza, moralità, correttezza ecc. suggeriscono che il migliore dei mondi di Pangloss, il mondo in cui la corruzione non esiste, sia anche il più noioso dei mondi. Mantenere viva la possibilità di esistenza di una mentalità corrotta, o politicamente non corretta, equivale a mantenere viva la possibilità di essere stupiti da emergenze inaspettate. Questa capacità di essere stupiti è una grande ricchezza, che è doveroso tenere in considerazione ogni qualvolta ci si trovi a operare in una zona cosiddetta degradata.

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Pagina 71

Capitolo secondo

Software programmatici


Questo capitolo è la prima parte di una menzogna. La menzogna è il considerare l'architettura come un oggetto informatico dotato di hardware (la parte fisica, cioè la forma) e software (il contenuto immateriale, cioè il programma). Dopo avere analizzato alcuni aspetti della città cibernetica, ci si addentra ora in un'esplorazione di quelli che sono gli elementi che la compongono, cioè le architetture.

Certo parlare di architettura nei termini di una dicotomia tra forma e contenuto riporta indietro agli eroici periodi in cui fu coniato lo slogan form follows function. Era un'epoca fortemente idealista, in cui i maestri del movimento moderno, in un atteggiamento avanguardistico, erano alla ricerca di un'architettura nuova, che potesse rappresentare quel momento di crisi profonda che era stato il passaggio al XX secolo. L'avvento dell'era industriale, la fascinazione delle macchine come incarnazione di un pensiero nuovo, il declino ormai avanzato dell'era precedente, incarnato a sua volta in un'architettura accademica basata su vecchi principi incapaci di adattarsi alle nuove pulsioni socio-spaziali, erano fatti dirompenti da cui non si poteva prescindere. I manifesti futuristi – così come alcuni testi chiave, come Verso una Architettura di Le Corbusier (1922) – ponevano, in modo anche violento, la necessità di un cambiamento profondo nel discorso architettonico.

Da allora, è passato quasi un secolo, e la società industriale ha ceduto il passo alla società della comunicazione. Oggi si è di nuovo in un momento di crisi o quanto meno di rottura. E la carica dell'ideologia non esiste più.

Considerare le architetture come dei computer equivale un po' a quello che facevano i maestri degli inizi del XX secolo considerando le architetture come delle macchine, alla ricerca di nuovi stimoli per uscire dall'impasse di una disciplina stanca. L'approccio è però necessariamente diverso. Sarebbe molto ingenuo acclamare l'avvento delle nuove tecnologie come momento propulsivo verso un futuro certamente migliore. È però utile proporre un'investigazione di alcuni loro aspetti. E così, questo capitolo propone un'esplorazione di dieci temi programmatici legati ai modi di pensare impliciti nei software più diffusi, cercando di trarre qualche spunto utile per le architetture a venire.

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Pagina 137

Capitolo terzo

Hardware architettonici


Questo capitolo è la continuazione della menzogna postulata nel capitolo sui software, in cui si sono esplorati alcuni contenuti possibili per nuove architetture. Ora invece, si parlerà di forma.

L'hardware è materia fisica, tattile e visiva. È il luogo in cui possono materializzarsi gli immateriali contenuti programmatici, e pone un problema nuovo, quello dell'interfaccia. L'interfaccia è quel particolare meccanismo che mette in relazione l'essere umano con la macchina che usa. Ha una componente hardware, cioè che può essere manipolata, e una software, che organizza gli effetti delle operazioni di manipolazione. Il momento dell'interfacciamento è quel particolare attimo in cui materiale e immateriale convivono e danno un significato alle azioni che si compiono.

Questa è una delle grosse differenze rispetto al naturale fondersi di uso e funzione postulato dal movimento moderno. In quel caso, l'approccio ideologico giustificava il fatto che un oggetto caratterizzato da una determinata forma racchiudesse in modo universale un determinato modo di utilizzo. L'idea di interfaccia è in questo senso più disillusa e meno incantata. Non esiste una legge a priori che incarna un determinato uso in una determinata forma, in quanto uso e forma acquisiscono significato soltanto nel momento in cui vengono, per così dire, "attivati" da uno o più individui. Questo fatto di per sé è sconcertante, perché l'impossibilità di legare in modo univoco una certa forma a una certa funzione rivela il fatto che ogni progetto è una storia a sé, e ogni programma può materializzarsi in un'infinità di modi diversi, esattamente come ogni forma può ospitare un'infinità di programmi diversi.

L'esplorazione prosegue quindi nei meandri degli universi formali possibili. I dieci sottocapitoli che seguono partono da alcune considerazioni di carattere generale sul concetto di hardware per inoltrarsi verso l'analisi di alcune tecniche e caratteristiche di modellazione dello spazio, occupandosi anche di investigare quali possono essere le proprietà di determinati sistemi di composizione formale.


Hardware (forma)

Riconducendo le funzioni architettoniche al concetto di evento e quindi a quello di programma (software), si può ipotizzare che per parlare delle sue forme si possa parlare di hardware. La parola hardware è molto comune per Google, che offre ben 477.000.000 di risposte.

Lo slogan form follows function incarna la classica dicotomia tra contenitore e contenuto. Nella metafora del computer, il software è il contenuto e l'hardware il contenitore. Il primo è il programma che permette agli eventi di accadere, mentre il secondo è il luogo fisico dove questo processo avviene. Rispetto alle architetture moderne, forme e funzioni dell'architettura contemporanea sembrano necessitare di maggiore elasticità. Maggiore elasticità è sinonimo di maggiore possibilità di adattamento se non addirittura di cambiamento in funzione delle attività che hanno luogo.


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Archigram

Archigram fu un gruppo di architetti all'avanguardia formatosi negli anni '60 - con sede nella Architectural Association di Londra - futurista, anti-eroico e pro-consumismo, ispirato dalla tecnologia allo scopo di creare una nuova realtà espressa unicamente attraverso progetti ipotetici. I principali membri del gruppo furono Peter Cook, Warren Chalk, Ron Herron, Dennis Crompton, Michael Webb e David Greene. il manifesto Archigram I fu pubblicato nel 1961 allo scopo di diffondere le loro idee. Impegnati in un approccio high tech, leggero e infra-strutturale che confluì nella tecnologia della sopravvivenza, il gruppo sperimentò la tecnologia modulare, la mobilità nell'ambiente, le capsule spaziali e l'immaginario della massa. Le loro opere hanno offerto una visione seduttiva di un'affascinante epoca meccanica del futuro.

Archigram si è battuto per evitare che i suoi adepti riducessero il modernismo ad una sterile ed innocua ortodossia. Al contrario dell'effimeralizzazione di Buckminster Fuller che presume che il più debba essere fatto con meno materiale (perché il materiale è finito), Archigram crede nelle infinite risorse del futuro.

Le opere di Archigram assunsero un'angolazione futurista, grazie all'influenza dei lavori di Antonio Sant'Elia. Anche Buckminster Futier e Yona Friedman furono importanti fonti di ispirazione. Successivamente, le opere di Archigram ispirarono progetti come l'altamente tecnologico Centro Pompidou di Renzo Piano nel 1971, i primi lavori di Norman Foster, Rkhard Rogers, Gianfranco Franchini e dei Future Systems.

(voce "Archigram", http://www.wikipedia.org)

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Hardware può essere la struttura dell'edificio, come anche i suoi accessori (o arredi) o gli accessori di cui sono dotati gli individui che popolano un'architettura al fine di poter svolgere le loro attività. Da questo punto di vista si può considerare hardware di un ufficio l'edificio stesso, le scrivanie, i mobili e i computer che lo compongono, ma anche i vestiti dei suoi utilizzatori.

Negli anni Sessanta, gli Archigram facevano architetture utopiche ed erano per questo considerati rivoluzionari, idealisti e provocatori. I loro progetti non avevano in effetti nessuna presunzione di essere costruibili, in quanto sfidavano il concetto stesso di architettura. Il loro mondo culturale di riferimento era quello delle comunità hippy degli anni Sessanta, con le quali condividevano una volontà di sfida rispetto alle regole della società borghese del tempo. Osservando il lavoro di Archigram con in mente le parole software e hardware, emergono due progetti, elaborati tra il 1962 e il 1964: Walking City e Living Pod.

Walking City rappresenta un momento di rottura importante rispetto all'architettura tradizionale perché, forse per la prima volta, un insieme di edifici è visto come una macchina in movimento. Il Living Pod è invece una sorta di prototipo creativo di una capsula spaziale che anticipa di pochissimi anni la famosa missione Apollo 11 (primo allunaggio con equipaggio umano), avvenuta il 20 luglio 1969.

A ben guardare, l'architettura di questi progetti è la materializzazione di quello spirito moderno, tanto propagandato da Le Corbusier in Vers une Architetture (1922), in cui la macchina industriale è la massima espressione del saper fare umano. Il paradigma è strettamente idealista e non è un caso che la missione Apollo, insieme alle missioni Ranger e Surveyor, incarnazioni della corsa americana alla conquista della Luna, fosse considerata parte di una versione spaziale (e anche un po' fantascientifica) della guerra fredda.

Guardando i due progetti da un'ottica post-idealista, così come ipotizzata da Eisenman in numerosi saggi (Eisenman 1999), emergono alcuni aspetti inattesi. Lo spostamento dell'attenzione dal fatto meccanico, che può essere considerato alla base dell'architettura high-tech anni Ottanta, rivela come le astronavi (così come le città che camminano) possano essere paragonabili a enormi computer.

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