Autore Lilli Gruber
Titolo Basta!
SottotitoloIl potere delle donne contro la politica del testosterone
EdizioneSolferino, Milano, 2019, i Solferini , pag. 206, cop.fle., dim. 12x19x1,8 cm , Isbn 978-88-2820-311-7
LettoreGiovanna Bacci, 2019
Classe politica , media , femminismo , sociologia , paesi: Italia: 2010









 

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Indice


Introduzione.                                 9

    Per favore rimettetevi la cravatta
    Volgarità                                14
    Violenza                                 16
    (In)Visibilità                           17
    Vedremo                                  20

1.  Troppo testosterone                      23

    La guerra alle donne                     26
    La guerra contro i deboli                30
    La guerra contro le opinioni             34
    La guerra di tutti contro tutti          35

2.  I machisti degli altri                   39

    La volgarità uccide                      42
    La misoginia al potere                   45
    Il triangolo no!                         48
    Arrivano le nostre                       51

3.  L'altra metà del campo                   57

    Numeri da professioniste...              61
    ... ma contratti da dilettanti           62
    Equal pay: una partita mondiale          65

4.  I numeri contano                         71

    Perché non vediamo il problema?          73
    Diseguaglianze da salotto                77
    Vogliamo più bene alle mamme o ai papà?  81
    Rosa è il colore dei soldi               85
    La guerra invisibile                     91

5.  Club maschili                            97

    Un mondo diviso                         101
    L'eterno conclave                       108
    L'alleanza necessaria                   112

6.  Trump go home                           117

    In corsa per la Casa Bianca             120
    Il Congresso cambia sesso               123
    Come cade un presidente                 126
    La guerra di Nancy                      128

7.  Europa: Wind of Change                  131

    Due donne forti...                      132
    ... e un (altro) maschio inutile        138
    I volti dell'Europa                     144

8.  Beni comuni                             149

    Due ragazze per il pianeta              152
    Toc toc...                              155
    Indovina chi muore per primo            158
    Ma Ippocrate era misogino?              160
    Riprendiamoci la menopausa (e il resto) 163

9.  Sex and the cinema                      169

    Jeff e Harvey contro Sheryl             174
    Hollywood Blues                         180
    Le donne sono i nuovi uomini?           185


Conclusione. Il voto alle donne             189

    Sette consigli...                       191
    ... e tre modeste proposte              195

Nota bibliografica                          199
Ringraziamenti                              201


 

 

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Pagina 9

Introduzione
Per favore, rimettetevi la cravatta



Maggio è il mese delle rose. O almeno dovrebbe.

Siamo in vista delle elezioni europee 2019 e le redazioni dei talk televisivi, Otto e mezzo incluso, sono inondate dalle richieste dei politici che vorrebbero essere invitati. Accettiamo l'autocandidatura di Matteo Salvini, all'epoca ministro dell'Interno e vicepremier. Fissiamo la sua partecipazione per mercoledì 8. Il giorno prima, dal palco di un comizio lombardo, a Giussano, lui si lamenta con il suo «popolo»: «Non ho mica voglia, ma domani devo andare dalla Lilli Gruber: simpatia portami via».

Siccome soffro di una certa allergia alla maleducazione, la mia prima reazione è disinvitarlo. Dopo una discussione con la mia squadra redazionale, decido di affidare alle agenzie una risposta semplice: «Leggo che il ministro Salvini non ha voglia di venire domani a Otto e mezzo e che ne fa una questione di simpatia. Visto che si è proposto lui, e visto che chi viene da noi lo fa volentieri, se ha un problema il senatore Salvini può restare a casa o preferibilmente al ministero».

Invece lui, la sera dopo, si presenta puntuale con la faccia dell'uomo che, dopo averti fatto arrabbiare, arriva con il mazzo di rose. Manca, però, il mazzo di rose, e glielo faccio notare in diretta. Il suo imbarazzo è reale, la sua risposta gronda miele: mi vuole tantissimo bene e i fiori me li porterà di sicuro. Marco Caparrelli, il mio caporedattore, commenta ridendo: «Ai comizi spara a zero, poi quando lo attacchi alza le mani, sorride, fa un passo indietro, si scusa... pare un figlio dei fiori».

Il 23 maggio, a ridosso della domenica elettorale, ho di nuovo Salvini in collegamento. Inutile dire che le rose non sono mai arrivate e gli chiedo notizie. Le scuse sono quasi degne dell'indimenticato John Belushi: voleva consegnarmele di persona, mi comprerà anche dei cioccolatini... mancano giusto le cavallette. Taglio corto: «Se le sue promesse elettorali sono così farlocche come il mazzo di fiori per me, non sono messi tanto bene i suoi elettori». La sua risposta? «Mi scusi, ho i limiti di un maschietto.»

Se, a distanza di mesi, ripensare a questo scambio ancora mi irrita, non è certo per il mancato omaggio e, vi dirò, nemmeno per la maleducazione iniziale. È per quel: «Ho i limiti di un maschietto». Perché ne abbiamo abbastanza, di questa retorica del maschio da capire e compatire. Offende gli uomini quanto le donne. Dai dettagli più folkloristici, come questo episodio, fino a quelli più gravi: chi ha detto che la virilità abbia a che fare con l'inaffidabilità, o con la volgarità, o con le pulsioni incontrollabili?

Basta.

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Pagina 14

Volgarità


Mandiamo avanti veloce ed eccoci ad agosto. All'inizio del mese, le spiagge italiane all'improvviso si popolano di parlamentari in mutande: Matteo Salvini fa il deejay in uno stabilimento della riviera adriatica, Luigi Di Maio stringe mani su un lungomare del Cilento, Maria Elena Boschi posta la foto in bikini con le amiche a cui controbatte Mario Adinolfi con un primo piano del décolleté della moglie. Non che sia una novità, i giornali di gossip vivono da sempre di questo genere di scoop, diciamo, «rubati». Ma ora non c'è più bisogno nemmeno dei paparazzi, sono gli stessi rappresentanti dello Stato a mostrarsi orgogliosamente alla nazione in modalità selfie. Siamo come voi, è il messaggio. Ma chi vi ha detto che dovete essere come noi?

Pochi giorni e le cronache ci informano che uno dei suddetti maschi in mutande chiede pieni poteri per guidare il Paese. È sempre il gentiluomo dei fiori mancati. Tra lo sconcerto generale, quella che poteva sembrare una boutade si rivela una vera e propria crisi di governo. Il 20 agosto, assieme agli amici con cui sto passando le vacanze, ci ritroviamo davanti alla tv. E assistiamo in diretta a una seduta del Senato in cui i parlamentari urlano, ridono e applaudono come la platea di un vaudeville, mentre il governo cade. Il pubblico di Crozza, a teatro, tiene un contegno molto più istituzionale. Solo un dettaglio? No. La forma è sostanza e la forma della nostra democrazia e della nostra convivenza civile, di questi tempi, lascia a desiderare.

E a questo punto non c'è più niente da ridere. Il «siamo come voi» va rispedito al mittente.

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Pagina 23

1
Troppo testosterone



Una battaglia navale. Alla fine del giugno più caldo della storia, un duello nel Mediterraneo è il primo segnale che quest'anno non si va in vacanza. Perché è la barca della convivenza civile, quella che sta affondando.

La Sea-Watch 3 è una nave adibita al cosiddetto «Search and Rescue», il soccorso ai vascelli che trasportano persone attraverso il Mediterraneo. Ogni missione ha il suo comandante e per quella di giugno è al timone Carola Rackete: una tedesca trentunenne, colta, ecologicamente impegnata e con i capelli rasta. Il 12 giugno, recupera da un gommone in difficoltà cinquantatré migranti partiti dalla Libia e fa rotta verso il più vicino porto sicuro, che è Lampedusa. Una decina di passeggeri vengono subito condotti a terra per ragioni sanitarie, quarantadue rimangono ammassati sul ponte, al largo dell'isola, in attesa del permesso di sbarcare. E comincia lo spettacolo. «I porti sono chiusi» tuona Salvini con il suo consueto mantra. Intima alla «figlia di papà» tedesca di portare i migranti altrove. Non è casuale l'appello alla figura paterna: stia al suo posto, sottomessa all'autorità maschile.

Lei, al suo posto, non ci sta. Passano i giorni, le condizioni degli esseri umani di cui è responsabile si aggravano, e le uniche risposte che riceve dal governo italiano sono insulti sui social. Salvini le dà della «sbruffoncella», «criminale», «pirata», «comunista ricca e viziata», e a ogni post seguono migliaia di commenti dei suoi follower con la bava alla bocca. Tra le esternazioni dell'allora ministro dell'Interno, su Facebook: «Useremo ogni mezzo legalmente lecito e necessario per fermare questa vergogna. Non darò l'autorizzazione allo sbarco a nessuno, mi sono rotto le palle!». Il linguaggio delle istituzioni, come il coraggio di don Abbondio, se uno non ce l'ha non se lo può dare. O forse potrebbe? Ma è più facile trovare uno slogan che trovare una soluzione intelligente al più vasto fenomeno migratorio dal dopoguerra.

Dopo due settimane di tira e molla, nella notte del 29 giugno Carola Rackete decide di entrare in porto con una manovra pericolosa, rischiando di speronare una motovedetta della Guardia di finanza. A Lampedusa, le persone scendono dalla nave e sono prese in carico dai servizi sanitari, mentre la capitana viene fatta sbarcare circondata da un cordone di forze dell'ordine. Sul molo, trova un comitato d'accoglienza composto da diversi giornalisti e da una folla isterica che le grida: «Vergogna!». Sui social, si intensificano le offese, le minacce, le volgarità sessiste. La più frequente è anche la meno originale: chissà con quanti di questi stalloni neri si sarà accoppiata la giovane donna bianca che non porta il reggiseno (come prontamente documentato da alcuni media). Più che di ansia per la difesa dei confini, da parte dei commentatori sembra trattarsi di ansia da prestazione. Portata fino agli eccessi più inaccettabili, nella forma e nel contenuto.

Gli italiani, almeno una parte, apprezzano lo show: la Lega sale nei sondaggi di ben 4 punti rispetto alle elezioni europee, arrivando in vista del 40 per cento. Il Paese si divide e digrigna i denti.

Il duello continua sotto i riflettori del mondo. Capitan Europa, titola il settimanale tedesco «Der Spiegel» sotto la foto di Rackete in copertina. Lo scrittore Mario Vargas Llosa la candida addirittura al Nobel per la Pace. Lo scontro intanto si sposta nei tribunali, si cerca di decidere se la capitana abbia violato le leggi italiane. Lei annuncia che querelerà Salvini per diffamazione (e infatti il 5 settembre lui sarà iscritto nel registro degli indagati): insulti e istigazioni a delinquere, dice Carola, si pagano. Ci mancava pure la denuncia della «zecca tedesca», commenta il querelato facendo la vittima. E facendomi rabbrividire, perché il paragone tra esseri umani e parassiti ha un'eco estremamente inquietante nella storia recente d'Europa: lo usavano i nazisti per riferirsi agli ebrei.

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Pagina 30

La guerra contro i deboli


I diversi - per sesso, colore della pelle, religione, cultura - sono da millenni il capro espiatorio di ogni potere autoritario. A molti, nell'ultimo anno, sono tornate sinistramente alla memoria le leggi razziali fasciste del 1938: la crisi economica imperversava, la politica non dava risposte, la paura dilagava e, si disse, è colpa degli ebrei. Oggi, secondo l'identico copione, a rubarci il lavoro e a mettere in pericolo «le nostre donne e i nostri beni» sarebbero i migranti, i «clandestini», ed ecco fatta una legge per fermarli. È il contestato Decreto sicurezza bis, approvato ad agosto dal primo governo Conte con la fiducia in Senato. A metà settembre, Salvini, ormai fuori dal Viminale, invocherà le barricate e i referendum proprio su questi decreti, a cui il secondo governo Conte ha annunciato modifiche.

Il decreto, è bene ricordarlo, detta, fra le altre cose, regole più severe per il soccorso in mare, e sanzioni per i comandanti «ribelli» e per le Ong indisciplinate. Nella forma in cui è stato approvato ad agosto 2019, è solo un pugno battuto sul tavolo e uno spreco di tempo: è inutile, viola la Costituzione italiana nonché convenzioni e trattati internazionali vincolanti. Ma al di là di questo, davvero è l'immigrazione l'emergenza nazionale? Guardiamo i numeri. Secondo i dati dell'Unhcr sulle migrazioni verso i Paesi del Sud Europa, da gennaio a metà settembre 2019 sono arrivati circa 67mila migranti via mare e via terra. Chi ne accoglie di più? La Grecia: 38.600. Poi viene la Spagna con quasi 20mila e terza l'Italia, 6200. Malta, con i suoi 316 chilometri quadrati di territorio, ne ha ricevuti circa 1600. Non c'è solo l'Italia in prima linea, anche se va data una pronta risposta alle paure e ai disagi di tanti cittadini italiani, vanno governati i flussi e va gestita la cruciale integrazione.

Gli sbarchi sono diminuiti, rispetto al 2018. Grazie ai blocchi navali dell'allora ministero dell'Interno italiano? Difficile sostenerlo. Gli stessi dati dell'Unhcr ci dicono che gli arrivi complessivi (in Grecia, Spagna, Italia, Malta e Cipro) sono calati dal 2015 (anno del picco con oltre un milione) già nel 2016 con oltre 373mila, poi nel 2017 con circa 185mila, al 2018 con circa 141mila. Il fenomeno si attenua, eppure l'allarme non fa che crescere. Alimentando pregiudizi, inquietudine, arroganza, comportamenti violenti a ogni livello della convivenza sociale. Non a caso, gli attacchi a sfondo razzista sono in aumento.

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Pagina 46

È evidente, in questi tempi travagliati, che esiste un rapporto diretto tra suprematismo bianco, razzismo e machismo. Come spiega il sociologo americano Michael Kimmel, la grande maggioranza degli estremisti di destra negli Stati Uniti ha una caratteristica in comune: sono uomini. «Il nazionalismo bianco negli Usa offre all'americano una possibilità di ripristinare la propria mascolinità.» Aderisce a questa ideologia chi ritiene di essere stato derubato di qualcosa, privato dei propri diritti, castrato. Escluso, in favore di gente che non merita certo un occhio di riguardo: migranti, omosessuali, donne.

È interessante seguire il ragionamento, che ci porta dritti in Europa, dove si potrebbe dire che Salvini è il problema minore. Abbiamo Viktor Orbán in Ungheria, Boris Johnson in Inghilterra, e a due passi da casa Recep Tayyip Erdogan in Turchia. Apostoli di un nazionalismo esasperato. Sciovinisti, razzisti, machisti. Spacciatori di slogan, bugie, paure. Tre bravi ragazzi, insomma. Che insieme a Donald Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping rappresentano i cosiddetti «uomini forti». Provano per l'universo femminile paternalismo, quando non ostilità. Lo si vede bene ogni volta che abbandonano per un momento la finzione del politicamente corretto e si lasciano andare a scherzi pesanti o a frasi fatte offensive. Dal «Le donne vanno prese per la figa» di Trump al «C'è una sosia della Boldrini qui sul palco» di Salvini (indicando una bambola gonfiabile), il registro verbale è quello del pub, dopo qualche birra, o mojito, di troppo. O ben peggio, come nel caso del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che apostofò la parlamentare Maria do Rosário con un: «Non ti stuprerei mai perché non te lo meriti». Ma non si tratta di «voce dal sen fuggita», non sono «solo parole». Perché nella realtà dei fatti le femmine sono fuori dalle stanze dei bottoni, ed è una strategia precisa.

Dalla notte dei tempi, nessun sistema politico è mai stato particolarmente generoso con noi. Ma in questo periodo di crisi acuta del capitalismo e delle società liberali, assistiamo a un deciso peggioramento. C'è chi vuole la fine del nostro modello sociale e dei nostri diritti.




Il triangolo no!


Trump è l'espressione più caricaturale della deriva anzi-democratica. Da quando è al potere, si consulta con il Congresso il minimo indispensabile, comanda a colpi di ordini presidenziali e annuncia le proprie decisioni con raffiche di tweet. Spesso non avvisa nemmeno i suoi più stretti collaboratori. Non è accusato «solo» di stupro, ma anche di menzogna, corruzione di magistrati, collusione con oligarchi russi. In breve, è il presidente con più guai giudiziari della storia americana. Alcuni di essi riguardano contatti molto compromettenti con Vladimir Putin e il suo entourage. Un problema che affligge anche la Lega di Salvini.

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Pagina 57

3
L'altra metà del campo



Paura, eh? È l'unico commento possibile all'indecorosa cagnara scatenatasi intorno ai Mondiali di calcio femminile, all'inizio dell'estate 2019. Si sotto tenuti in Francia, non in Arabia Saudita, eppure hanno mostrato quanto è strano, anche da noi, avere delle donne in campo. Che vincono.

Il bersaglio principale della furia dei social, ma anche di alcuni commentatori, è stata Sara Gama, la capitana della nostra nazionale femminile. Trentenne, è nata in Friuli-Venezia Giulia ed è italiana quanto me, ma poiché la madre è triestina e il padre congolese ha la pelle scura. E il machismo si è subito tinto di razzismo: come può essere una nostra compatriota? Che vergogna mettere un'«africana» in prima linea nella nostra squadra nazionale! Non è italiana, non ne ha i tratti, non ha i cromosomi. Dubito che, se interrogato, chi scrive bestialità del genere saprebbe spiegare cos'è un cromosoma, men che meno cosa sia un «cromosoma italiano». Bisognerebbe però informare i cavalieri bianchi della purezza italica che, dal 1993, nel nostro Paese esiste una legge che punisce «gesti, azioni e slogan» razzisti e discriminatori, in particolare quelli che si richiamano al nazifascismo. Purtroppo è già difficile applicarla in modo rigoroso al tifo negli stadi. Figurarsi punire chi attacca sui social, nascosto dietro meschini pseudonimi.

Non sono solo commenti da bar. A quanto pare anche alcuni giornalisti si sentono sicuri che insultare gratuitamente le donne sia un buon affare. Leggo su «Il Foglio» che si tratterebbe di uno sport «contronatura»: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina? E allora perché voi maschi guardate il campionato di calcio femminile? Che poi, oltre a disgustare Cristo, mancate di rispetto verso voi stessi. [...] Non state sostenendo un gioco innocente, cari amici. In Francia non si stanno giocando i Mondiali di calcio femminile bensì i Mondiali del livellamento sessuale». Più che mai: paura, eh? Ventidue giovani donne che corrono dietro a una palla bastano a mettere a rischio la virilità di chi le guarda. Il pezzo si conclude con un angosciato appello: «State attenti, tifosi maschi, il pallone rosa è una tentazione, un'esca: invece di gonfiarlo, bucatelo». Suona un po' come i predicatori medievali itineranti che si aggiravano per le campagne, unti e sbrindellati, annunciando la fine del mondo. Ma noi, al contrario dei contadini dell'anno Mille, abbiamo gli strumenti per ribattere. Tranquillo, la specie umana non è in pericolo per questo.

Molto agitato anche un signore che fa le telecronache su una rete locale: «Il calcio femminile è un covo di lesbiche. È così. L'altro giorno ho visto una partita di under 13 femminile ed erano tutti maschietti, non si vedono che sono femmine. Almeno l'80, il 90 per cento delle donne che giocano sono lesbiche». E se anche il 100 per cento fossero lesbiche e il 100 per cento dei calciatori fossero gay? È con i piedi che giocano, e con la testa e con il cuore, non con gli organi riproduttivi.

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Pagina 66

E un'altra paladina di questa causa è la trionfatrice del Mondiale femminile 2019, Megan Rapinoe, la capitana della nazionale statunitense. È stata protagonista, nell'estate calda del machismo, di un altro duello tra un «uomo forte» e la donna che alla fine si è dimostrata più forte di lui.

Il 25 giugno, viene diffuso un video di Megan girato qualche settimana prima dell'inizio dei Mondiali. L'americana ha già portato una volta la sua squadra alla vittoria, nel 2015, e alla vigilia della partenza per la Francia spiega che è ben decisa a conservare il titolo. Lo sguardo è serio e diretto sotto il ciuffo di capelli tinti di bianco e rosa. Va in Europa per vincere, non per turismo. Il giornalista le chiede se, in caso di trionfo, conta di essere invitata alla Casa Bianca: è la tradizione, negli Stati Uniti come da noi. La risposta: «I am not going to the fucking White House». Non se ne parla di andare in quella Casa Bianca di merda. E aggiunge: «In ogni modo, non saremo invitate». Un po' forte? Si, e sarebbe sempre meglio non scendere al livello dei propri interlocutori. Ma Rapinoe, che non è alle prime armi né nel calcio né nello scontro politico, voleva tirare una cannonata contro Trump e l'ha fatto.

La risposta arriva nel giro di poche ore. Alle 7.42 del 26 giugno, il presidente si esprime con tweet furibondi. «Prima di parlare deve vincere. Finisca il suo lavoro!» Poi: «Non abbiamo ancora invitato Megan o la squadra. Ma inviterò la squadra, che vinca o meno. Megan non deve mancare di rispetto al nostro Paese, alla Casa Bianca o alla nostra bandiera!». La collera è ancora maggiore perché, da quando Trump è al potere, le visite di sportivi alla Casa Bianca si sono diradate. Su una ventina di squadre che dal gennaio 2017 hanno vinto medaglie o coppe, solo la metà ha accettato di incontrarlo. Gli atleti di colore non vogliono farsi fotografare con un leader che ritengono razzista. Ci sono campioni, come Rapinoe, che rifiutano persino di cantare l'inno nazionale con la mano destra sul petto, e preferiscono appoggiare un ginocchio a terra e restare in silenzio. È un gesto diventato il simbolo della contestazione a un presidente che si esprime sempre con veemenza, tranne quando si tratta di condannare la violenza dei suprematisti bianchi e della polizia verso la comunità di colore.

Serve ben altro che i rabbiosi tweet di Trump per impressionare la capitana coraggiosa. Giovedì 27 giugno, in una conferenza stampa, ha una nuova occasione di sfida. «Non ritiro nulla del mio rifiuto di andare alla Casa Bianca. Salvo la volgarità» dichiara.

Megan è omosessuale. Vive con una giocatrice di pallacanestro, Sue Bird. Non ne fa mistero, al contrario, è un'attivista per i diritti delle donne, della comunità LGBTQ+ e delle persone di colore. È chiaro che non può esserci dialogo con chi si vanta di poter fare di ogni donna ciò che vuole.

Il braccio di ferro tra Rapinoe e Trump finisce in gloria per la capitana. Il 28 giugno, la sua squadra batte la Francia 2 a 1, poi l'Inghilterra, di nuovo 2 a 1, e infine l'Olanda, 2 a 0, e porta a casa il Mondiale. È Megan a segnare, al 61° minuto. Trump è obbligato a salutare il risultato con un laconico: «L'America è fiera di voi».

È più di una vittoria politica. È una lezione per l'aggressore sessuale in capo. E un punto segnato per tutte.

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Pagina 78

In Europa, il lavoro femminile non retribuito è ovunque una realtà: va dalle sei alle otto ore settimanali nei Paesi del Nord e arriva a quindici in quelli del Sud come Italia, Grecia, Malta. Questo crea un reale problema economico con conseguenze di lungo periodo.

Innanzitutto, se hai troppo da fare a casa (molti figli, genitori anziani, disabili da accudire e così via), potresti decidere che non ce la fai ad andare anche in ufficio. Infatti, secondo i dati Istat 2019, in Italia risultano occupati il 66,8 per cento degli uomini e il 49,6 delle donne. È chiaro che questi dati non possono computare il lavoro nero e sommerso.

Se riesci a tenere l'impiego, ma sommando il lavoro in ufficio a quello di casa il risultato è una giornata di 27 ore, una soluzione è prendere il part-time: lo fa per l'8,2 per cento lui, per il 32,5 per cento lei.

Per quelle ore passate ad accudire qualcuno (ricordiamoci che l'accudimento è un mestiere), non essendo remunerate, non vengono versati contributi. Infatti il gap delle pensioni tra i generi è del 32,1 per cento.

Risultato: le donne sono più povere, meno libere (senza soldi è molto più difficile lasciare un compagno, magari violento) e rischiano di passare una vecchiaia assai meno comoda rispetto ai loro coetanei. Se consideriamo che hanno anche, non solo in Italia ma in tutta Europa, maggiori possibilità di vedersi offrire contratti a tempo determinato, quindi di andare incontro a discontinuità di carriera, la situazione è davvero grama.

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Pagina 146

Siamo un'esperienza unica nella storia del mondo. Un patto di Stati e di popoli che hanno deciso di proteggere insieme le libertà individuali, e di costruire un benessere comune. Non occorre ricordare le guerre o gli orrori del passato per giustificare l'Europa di oggi. Basta misurare i progressi fatti in ogni campo: la sanità pubblica, le nuove tecnologie, la giustizia, la qualità dell'insegnamento, i diritti delle minoranze. Certo, ci sono difetti, ritardi, problemi. Ma nessun Paese, da solo, avrebbe saputo affrontare con sufficiente forza la difficile ricostruzione materiale e morale dell'immediato dopoguerra; misurarsi con le gravi tensioni della Guerra Fredda e le sfide della globalizzazione nel commercio e nella finanza.

E l'Europa, uno spazio di libertà e di opportunità, mette le donne al centro del suo progetto. Da quando è stata fondata, difende la parità di genere, in principio e in pratica. È una storia di successo, un successo che fa paura a molti.

Trump, Putin e Xi Jinping vedrebbero volentieri il nostro continente disgregato. Non per niente l'Ue è sempre impegnata a difendersi dai giganti americani dell'online, dalle manipolazioni russe dell'informazione e dalla minaccia di un dominio tecnologico cinese. Difende noi, non solo se stessa. E chi diffonde slogan anti-europei senza nemmeno sapere di cosa parla, solo per convenienza elettorale, è nel migliore dei casi uno stolto e nel peggiore connivente con il nemico.

Contro questa gente non si può abbassare la guardia e tanto per cambiare in prima linea ci sono, devono esserci, le donne. Che sanno benissimo cosa significano la guerra e la pace, cos'hanno conquistato e cos'hanno da perdere.

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