Copertina
Autore Stefano Gulmanelli
Titolo PopWar
SottotitoloIl NetAttivismo contro l'Ordine Costituito
EdizioneApogeo, Milano, 2003, Cultura digitale , pag. 166, cop.fle., dim. 145x215x10 mm , Isbn 978-88-503-2155-1
LettoreRiccardo Terzi, 2004
Classe informatica: politica , comunicazione , sociologia , diritto , copyright-copyleft
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Indice

 IX Introduzione

  1 Capitolo primo
    Il potere dello sciame connesso: le Smart Mob

  9 Capitolo secondo
    I guerrieri della banda: Wardriving e Warchalking

 17 Capitolo terzo
    Il "comunismo" della connessione: i Freenetwork

 25 Capitolo quarto
    Tu non puoi controllarmi: Cypherpunk, Sousveillance e
    Hacktivism(o)
 28 Cripto-anarchici e Cypherpunk
 31 La sousveillance
 37 Hacktivism(o)

 43 Capitolo quinto
    Condividi, copia, modifica: P2P/File Sharing/ModChips

 55 Capitolo sesto
    L'informazione upside-down: i Weblog e i Wiki

 69 Capitolo settimo
    "Guerrilla" video: Open Channel e Telestreet

 75 Capitolo ottavo
    Il filo che unisce: PopWar

 79 Capitolo nono
    La reazione dell'Ordine Costituito
 81 Le armate del copyright
 99 "We don't care, we don't have to, we're the phone
    company"
104 Mani sulla Rete

115 Capitolo decimo
    Le battaglie di PopWar: i tre diritti digitali
115 Diritto alla libera riproduzione di informazioni
    e contenuti
117 Diritto alle infrastrutture comunicative
118 Diritto all'anonimato dell'utente e alla privacy
    del cittadino

121 Capitolo undicesimo
    Quo vadis, Popwar?
121 Proprietà intellettuale: verso una nuova frontiera?
132 Telecomunicazioni: cocktail a ingredienti rovesciati?
137 Libertà e sicurezza: la maledizione di Franklin

143 Conclusione

145 Glossario
153 Bibliografia
157 Indice analitico

 

 

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Pagina 7

A suo tempo la diffusione di massa della Rete aveva ingenerato la speranza, in qualche caso un po' illusoria, che il suo uso coordinato avrebbe finalmente permesso azioni di pressione, se non addirittura di ribellione, da parte del mondo degli internauti (cittadini e/o utenti) su soggetti (fossero questi Governi, partiti o aziende) che avessero fatto scelte non condivisibili o intrapreso strade eticamente discutibili. Il tutto, comunque, era destinato a rimanere in gran parte confinato nell'immaterialità del mondo virtuale; certo, si possono inondare di mail i siti dell'istituzione "prepotente" o chiamare al boicottaggio dei prodotti dell'azienda fedifraga, ma la trasmissione della reazione dal cyberspazio alla realtà era, nella migliore delle ipotesi, lenta e imperfetta. Con la nascita delle smart mob non è più questo il caso: disapprovazione, protesta e opposizione possono letteralmente concretizzarsi in gruppi di persone fisiche capaci di coordinarsi e modellare in tempo reale il proprio comportamento su quello dell'avversario di turno. La capacità d'urto - non solo metaforica - di queste manifestazioni è ora aumentata esponenzialmente. Quello che per anni è stato genericamente chiamato "il popolo della Rete" - soprattutto quello più vicino alla carica utopica, idealista e libertaria dell'Internet della prima ora - è uscito dal cyberspazio ed è diventato più reale e concreto che mai. Ora anche chi non lo vedeva, perché era rimasto confinato nel Simulmondo, non può fare a meno di prendere atto della sua esistenza.

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Pagina 17

Capitolo terzo

Il "comunismo" della connessione: i Freenetwork


"Vedete, il telegrafo è una specie di gatto molto, molto lungo. Gli tiri la coda a New York e la testa comincia a miagolare a Los Angeles. Questo è chiaro, vero? Ebbene, la radio opera esattamente nello stesso modo: tu invii dei segnali qui, loro li ricevono là. La sola differenza è che non c'è il gatto!" Fu con queste parole di geniale semplicità che Albert Einstein rispose quando gli chiesero di dare una sua descrizione della radio e del suo funzionamento. E sono queste le parole che ora campeggiano sulla testata della homepage di NoCat (per l'appunto "non c'è il gatto"), una delle tante community-based wireless Lan cresciute sulla spinta dell'avvento del Wi-fi, con il dichiarato scopo di creare dei "free" wireless network. È infatti la tecnologia radio (la 802.11, o Wi-fi, nella sostanza è trasmissione di onde radio) la leva in mano a questi gruppi di libertari dell'etere, il cui sogno è la creazione di network di comunicazione e connessione paralleli e alternativi a quello tradizionale costituito dalla rete telefonica e dai grandi provider. In particolare, il "freenetworking" - non a caso definito il matrimonio fra il Web e le cosiddette radio pirata - prevede che un certo numero di nodi, opportunamente sparsi sul territorio, grazie alla tecnologia Wi-fi si aggreghino in un network in cui chiunque si trovi nel raggio di copertura di uno dei nodi abbia libera disponibilità di banda e connessione. Per poter così eventualmente inviare una mail, accedere a un file parcheggiato su uno dei server del network fruire di "streaming" di musica e video o magari usare il voice-over-IP (facendo una telefonata davvero gratuita). Nel caso poi il gestore del nodo cui ci si appoggia in quel momento, grazie a un suo personale abbonamento con un Isp, abbia un accesso a Internet, l'utente "volante" potrà anche entrare e surfare sulla Rete. Il tutto senza dover pagare nulla a qualsivoglia carrier commerciale.

L'idea della connessione "by the people for the people" aveva cominciato a farsi strada, ancora una volta negli Stati Uniti, circa un paio d'anni fa, per certi aspetti in coincidenza con l'emergere del wardriving. In effetti entrambi i fenomeni si configurano come reazioni indotte dalla fame crescente di banda e connessione instillata dal boom del wireless e del broadband. Una fame che una certa parte dell'utenza - in nome del fatto che "la comunicazione è nel diritto di tutti" - non vuole però placare finendo nelle spire degli operatori commerciali e delle loro tariffe più o meno a consumo - di tempo o di Mb - o più o meno "flat", pre-pagate e altre varianti sul tema. E se la risposta del wardriver nella sostanza era stata "mi prendo la banda dove la trovo", un numero sempre maggiore di idealisti volontari, recuperando lo spirito originario dei Bulletin Boards (Bbs) precursori della Rete, intraprendeva la ricerca di strade verso la costituzione di network digitali autogestiti, la creazione di infrastrutture che non dipendessero dalle telco, la messa in opera di reti immuni da regolamentazioni e controlli imposti da qualcuno esterno al gruppo degli utilizzatori. Strade che, in altre parole, potessero preparare l'avvento del "comunismo della connessione".

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Pagina 48

Per quanto comprensibile possa essere il riflesso quasi pavloviano da parte del business istituzionalizzato a fermare o quantomeno resistere al fenomeno "sharing" - che di per sé non è illegale se riguarda contenuti di pubblica disponibilità - appare ormai chiaro che quella in corso sta sempre più prendendo le sembianze di una battaglia contro un'evoluzione culturale, si potrebbe quasi dire antropologica, che sembra invece inarrestabile, tanto quanto lo diventa la valanga una volta che il primo blocco di neve si stacca dal pendio montuoso. In questo caso il primo blocco a essersi staccato dalla granitica montagna dello status qua è stato rappresentato dalle opportunità che il cosiddetto popolo della Rete ha avuto di comunicare secondo costi (bassi) e modalità (ampie), fino ad allora impensabili e di fruire, ma anche di produrre, liberamente contenuti in quantità e qualità mai prima sperimentate. Opportunità indotte, oltre che dal continuo presentarsi di nuove soluzioni tecno-sociologiche, anche dal boom di Internet, che fu peraltro visto con favore dal business establishment durante gli anni della sbronza delle dotcom: si diceva che andava bene così, che la Rete cresceva, raggiungeva la massa critica e maturava, così da divenire il nuovo tempio del business.

Sappiamo come è andata per il nuovo Eldorado, svanito con lo stesso clamore con cui era stato annunciato, ma la grande libertà infusa dalla Rete e la sensazione inebriante del suo uso è rimasta. E la libertà crea rapidamente assuefazione, se ne vuole sempre di più e, quel che è decisivo, si considera naturale averla, e averne sempre di più. A quel punto chi osa mettersi di traverso è un nemico. "Quando una dinamica sociale - fatta di comportamenti quotidiani sempre più vissuti come 'naturali' - è matura, determina un cambiamento nel costume e non c'è repressione né 'prevenzione' che tenga", ammonisce WuMing (il "soggetto collettivo" nato dal "fu" Luther Blissett) dal sito di Indymedia, commentando la nuova normativa UE sul copyright (Eucd), "Certo, è una guerra, e la stiamo ancora combattendo, ma è il nemico a essere in affanno, non noi. Quella che chiamano 'pirateria' è ormai non soltanto un fenomeno 'endemico' (inestirpabile, e lo ammettono), ma anche un nuovo sostrato antropologico". Una novità antro-pologica cui non pensa certo Amy Weiss, senior vice-president of communication della Recording Industry Association of America (Riaa), quando, per giustificare uno degli ultimi attacchi legali a un sito di file sharing gestito da uno studente di un college, dice, scandalizzata: "Con un solo clic del mouse potevi avere musica, potevi avere tutto quello che volevi". Su quale base, se non per un diverso senso del lecito, a una generazione nata davanti al computer è possibile dire che, pur potendo ottenere ciò che si cerca con un clic, quel clic non può essere fatto o addirittura quella stessa possibilità non deve essere data?

E così, lentamente, lo scontro sembra lasciare il campo del "copyright sì, copyright no", per trasferirsi sul terreno della lotta per la libertà sulla Rete, in cui P2P e file sharing diventano armi fondamentali: "File sharing is music to our ears" ("La condivisione di file è musica per le nostre orecchie") recitava un recente annuncio pubblicato su una serie di testate giornalistiche dalla Electronic Frontier Foundation (Eff).

Un approccio per molti versi comune a quello degli info-anarchici, per i quali la modalità P2P e il conseguente file sharing altro non sono che la giusta ribellione contro un copyright che si configura come una vera e propria censura. L'argomentazione, svolta rigorosamente nella dichiarazione d'intenti, è che fino a quando l'informazione circolava su base one-to-many (l'oratore o il prete nelle omelie) o few-to-many (i media di tipo "broadcast": radio, tv, stampa), ne poteva essere controllato il flusso ed essa stessa poteva essere trattata come "proprietà" ed erogata come risorsa scarsa. Ma con l'avvento della comunicazione many-to-many (tipica della Rete) l'informazione non è più né controllabile né scarsa. Agire come se lo fosse, "significa voler portare indietro l'orologio. Questo è ciò che l'industria sta facendo. Mettendo fuorilegge il 'deep linking' e il software peer-to-peer/file sharing, stanno cercando di riportarci dal many-to-many al few-to-many. Vorrebbero che Internet fosse nient'altro che la Tv con qualche possibilità in più". E se il copyright diviene strumento per raggiungere questo obiettivo, allora il file sharing ne diviene il legittimo antidoto. Il che, insiste Erik Möller, iniziatore del progetto infoanarchy, non significa disconoscere il valore della produzione intellettuale: "Nel nuovo futuro cui pensiamo, devono esserci nuovi modi per compensare i produttori di informazione. Forse la necessità di una remunerazione monetaria sarà solo un passo transitorio prima che si entri definitivamente nella nuova economia dell'informazione, ma in ogni caso, è un passo necessario".

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Pagina 62

Naturalmente non c'è solo questo dietro il risentimento che l'Informazione istituzionalizzata mostra nei confronti dei blogger. C'è anche il malessere verso uno strumento che riesce a mettere a nudo - rendendole immediatamente pubbliche, evidenti e condivise - la pochezza, la superficialità e, in alcuni casi, la malafede con cui vengono spesso servite le notizie.

Proprio grazie al loro sistema di inter-connessione, i weblog potrebbero infatti diventare un potentissimo strumento di controllo della qualità dell'informazione, "ora che diventa sempre più evidente che il megafono funziona in entrambe le direzioni e che c'è molta gente pronta a rimarcare le manchevolezze nel modo in cui vengono riportate le notizie dai Big Media", fa notare il professor Reynolds. Sostanzialmente la comunità dei lettori/ascoltatori/telespettatori raccolta attorno ai weblog è in grado di agire come un sistema editoriale collettivo, come spiega Howard Rheingold: "Più attentamente vagliamo, analizziamo e condividiamo ciò che scopriamo, più gli autori di weblog (o le loro future evoluzioni) possono far crescere un'intelligenza sociale. In questo modo il blogging potrebbe (e questa sarebbe la sua più importante promessa) aiutare a rivivificare la moribonda sfera pubblica, essenziale alla democrazia quanto il voto. Così, la mente collettiva della 'blogosfera' edita le notizie (ne controlla la veridicità e le fonti) e porta in superficie non solo storie ma anche argomenti d'interesse".

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Pagina 75

Capitolo ottavo

Il filo che unisce: PopWar


Quello che abbiamo fatto nelle pagine precedenti è stato, a suo modo, un viaggio. Un viaggio nella galassia del NetAttivismo, visitando quella che - per restare nella metafora astronomica - ci è apparsa come una serie di pianeti a sé stanti, ciascuno con una propria atmosfera (l'ambiente tecnologico che ha stimolato la nascita di "quel" fenomeno), una propria traiettoria (lo sviluppo e l'evoluzione del fenomeno), le proprie lune e i propri satelliti (i movimenti e i gruppi che con quel fenomeno si sono formati e che vi gravitano attorno).

Eppure, al di là delle specificità che ciascuno di questi mondi rivela, c'è un filo comune che li lega e li unisce e che prefigura la loro appartenenza a un "sistema solare" condiviso. Tutti questi fenomeni hanno infatti in comune alcune caratteristiche costituenti, verrebbe quasi da dire geo-morfologiche, ben precise: sono stati tutti generati dal Big Bang - violento, pervasivo e tutt'ora in atto - delle nuove tecnologie di comunicazione e, per tutti, il campo di forze che li ha plasmati e definiti risponde allo stesso set di leggi della "fisica sociale": forte spinta dal basso, esplicita insofferenza alle regole per le regole, irrefrenabile pulsione libertaria, spesso con venature anarcoidi.

Quindi, accantonando le sfumature e le specificità viste in precedenza e zoomando all'indietro lo scenario, lo sforzo che dobbiamo e vogliamo fare è quello di guardare e pensare al NetAttivismo effettivamente come a un "sistema". Ovvero come a un unicum maggiore della somma delle parti che lo compongono e soprattutto il cui impatto, efficacia e capacità di lasciare il segno è ben superiore all'insieme degli effetti che le singole parti possono produrre. Un sistema che (si pensi alle smart mob, ai network P2P ma anche alle comunità di blogger) tende ad assumere quello che i teorici della complessità chiamerebbero un comportamento "emergente": altamente interconnesso e basato su intricate interazioni che si auto-organizzano e che sono, a livello micro, semplici, ma che, a livello macro, possono creare effetti complessi e imprevedibili. Un sistema cioè che, più o meno consapevolmente, porta all'emersione di modelli di condotta complessa e coordinata e, di conseguenza, al raggiungimento di obiettivi apparentemente al di fuori della loro portata. In questo senso il NetAttivismo, per quanto all'osservatore distaccato possa apparire velleitario e senza speranza nei suoi obiettivi e per quanto le sue varie manifestazioni possano spesso assumere le sembianze di battaglie contro i mulini a vento, potrebbe avere nelle sue "corde" la potenzialità per innescare processi e cambiamenti dagli esiti imprevedibili e, allo stato attuale delle cose, incredibili. Quali, per esempio, lo scuotimento - fino alla messa in crisi? - dello status quo politico, economico e sociale o quantomeno di una certa parte di esso.

Considerare i vari "pezzi" di NetAttivismo separatamente e al di fuori di una logica "di sistema" può facilmente e comprensibilmente portare a sottovalutarne la potenzialità d'impatto. E nel campo opposto, quello del Covernment, sembra accadere proprio questo: la risposta e la reazione a questi fenomeni da parte dell'Ordine Costituito (o perlomeno di quegli strati di istituzioni governative e corporation che almeno ne avvertono l'esistenza) è, nella sostanza, rabbiosa e repressiva. È la risposta che tipicamente viene data al comportamento deviante, che va ricondotto nell'alveo della "normalità", quella per la quale "è sempre stato così e non si capisce perché non dovrebbe esserlo ancora". Non c'è quindi il riconoscimento di essere dinanzi a un possibile "shift" culturale di base, a uno spostamento tettonico nella percezione dei diritti e dei doveri, a una mutazione strutturale e non solo contingente del modo di intendere comportamenti e ruoli sociali. Tutt'al più il Covernment avverte fastidio e disagio nei confronti di questi fenomeni - di solito intesi in modo asistemico - per il loro manifestarsi in azioni fortemente asimmetriche. Asimmetrica è infatti la dotazione usata nello scontro: da un lato, qualche pezzo, solitamente non impegnativo, di hardware (sia esso un laptop, un access point, un Pda, un'antenna direzionale o una telecamera digitale) e il tipo giusto di software, spesso facilmente reperibile in Rete (Netstumbler, un programma P2P o uno di encryption), dall'altro grandi e sofisticate infrastrutture e apparecchiature IT. Asimmetrica è la tipologia e la consistenza delle forze in campo coinvolte nelle singole attività di resistenza: di qua il singolo hacker, un manipolo di maghi della programmazione, un gruppo di adolescenti dediti al file sharing, qualche surfer a banda larga che decide di "upgradarsi" a nodo wireless, di là i potenti apparati istituzionali e aziendali. Asimmetrica è infine la portata delle azioni (e la relativa risonanza politica), con i NetAttivisti che pongono in essere una serie di comportamenti "micro", singoli e fra loro isolati per controbattere i quali l'Ordine Costituito finisce per dover intraprendere azioni "macro", ricorrendo alle ingiunzioni dei tribunali, emanando leggi a carattere restrittivo quando non censorio, legando la fruizione di prodotti e servizi al rispetto di condizioni e termini vessatorio

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Pagina 100

Queste nuove opportunità, che oggi si presentano a minare alla base le fondamenta stesse delle telco prendono il nome - Wi-fi a parte (cfr. il Capitolo terzo) - di Open spectrum, mesh network e Voice-over-IP.

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Le opportunità

Mesh network - Mesh è una modalità di configurazione di network in cui gli apparecchi sono collegati in modo ridondante con diversi nodi del network. [...]

Open spectrum - Il termine indica il progetto di deregulation dell'etere di cui sta discutendo negli Usa la Federal Communication Commission (Fcc). Portato come bandiera da ampi strati del NetAttivismo ma non solo, il progetto parte dall'assunto che le nuove tecnologie oggi consentono emissioni e ricezioni delle onde radio enormemente più efficienti che in passato. Ciò grazie alla cosiddetta "real time negotiation of spectrum", ovvero alla capacità di un apparecchio trasmittente di scegliere e posizionarsi sulla lunghezza d'onda ottimale senza generare interferenze sulle trasmissioni vicine. [...]

Voice-over-IP (Volp) - È la trasmissione di servizi telefonici voce su protocollo Internet. [...]

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Opzioni, queste ultime, che le componenti più tecnologicamente coscienti del NetAttivismo considerano vere e proprie teste di ariete da lanciare contro le porte della cittadella del monopolio, quella in cui si sono arroccate le conglomerate della telefonia e sul cui torrione hanno rinchiuso il diritto alla comunicazione della società del Terzo millennio. Se quelle porte dovessero cedere le prospettive di chi vi si è asserragliato dietro sarebbero subito buie: l'evenienza di dover lasciar finire il traffico di voce sui "data network" e in più vedere svilupparsi in maniera incontrollata la trasmissione wireless sarebbe esiziale per le compagnie telefoniche. Il primo caso infatti sarebbe la fine del costo di connessione calcolato su base di tempo e distanza, il secondo significherebbe addirittura l'uscita del traffico dalla loro rete. È per questo che non possono accogliere l'ironico invito di Weinberger: "Le varie telecom potrebbero accettare il fatto che la stupida rete Internet inghiottirà presto le loro reti intelligenti. Potrebbero arrendersi adesso, prima di spendere centinaia di miliardi per combattere l'inevitabile..." e invece seguono, alla lettera, la profezia lanciata da Isenberg: "Cercheranno protezione, useranno tutta la loro capacità nel manipolare l'azione dei governi a loro vantaggio - rendendo illegale o, estremamente difficile, il progredire dell'end-to-end networking".

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Pagina 104

Mani sulla Rete


Gli europei di fine XIX secolo che stavano per dar vita a quello che la Storia avrebbe chiamato "scramble for Africa", cioè la corsa alla colonizzazione dell'Africa, avevano del Continente nero una percezione netta e, per loro, indiscutibile: erano quelli territori pericolosi e infidi, abitati da razze inferiori e senza legge, di cui diffidare per la poca disciplina di cui erano capaci e la totale ignoranza e incomprensione che avevano delle Leggi e dei Principi fondanti di una Civiltà, quali la proprietà privata, il rispetto dei contratti, la necessità di un governo stabile e i vari altri Comandamenti di una società moderna.

Oggi, all'inizio del Terzo millennio, il Covernment guarda al mondo che in senso lato chiamiamo cyberspazio proprio come quegli Europei guardavano all'Africa pre-coloniale. Un mondo di frontiera - di cui la Rete è l'asse di rotazione - dove regole e percezioni sono diverse, dove si praticano abitudini nuove e ambiti finora inesplorati, resi possibili dall'evoluzione tecnologica, dove non trovano spazio i modelli sedimentati e legittimati dal solo fatto che "si è sempre fatto così". Un mondo che non manca costantemente di rimarcare la propria peculiarità e differenza: "We reject: kings, presidents and voting. We believe in: rough consensus and running code" è la famosa frase con cui Dave Clark, uno dei "vecchi" della Rete, volle descrivere il potere dentro Internet: Né re, presidenti o elezioni quindi, solo - oltre al "codice", tanto codice - un generico consenso, riconosciuto su basi strettamente meritocratiche, secondo quello che Lawrence Lessig chiama "Universal Standing". Un mondo, se guardato dal punto di vista dell'Ordine Costituito, di selvaggi e, proprio come quell'Africa, pericoloso, incontrollabile, ingestibile e incomprensibile. E allora - è l'ovvia conclusione del Covernment - educhiamoli un po' questi selvaggi e insegniamo loro come si sta al mondo, regoliamola e controlliamola un po' questa Internet; mettiamoci dentro un po' di sano mondo reale, con i suoi bravi principi, le sue giuste norme e le relative procedure. E facciamolo in fretta - si convincono i reggitori del destino politico ed economico della civiltà moderna - visto, tra l'altro, che la crescente minaccia alla nostra sicurezza viene portata proprio utilizzando gli spazi di libertà che la tecnologia ha messo a disposizione di un sempre maggior numero di persone.

Calano così "le mani sulla Rete". Certo, per controllarla in modo sempre più pervasivo, ma anche per farla diventare essa stessa strumento di controllo al servizio del Covernment.

Una delle prime cose da fare per portare un po' di disciplina in questo mondo sregolato è certamente quello di prendere possesso dei meccanismi che ne governano il mantenimento e l'evoluzione della struttura. Che è precisamente quanto accaduto con l'Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), nella sostanza l'ente di supervisione dei domini Internet, che ha mutuato le funzioni dalla Internet Assigned Numbers Authority (Iana). Da organismo ragionevolmente indipendente e in cui utenti della Rete e Isp, quindi gli utilizzatori primi di Internet, avevano un ruolo decisivo nella conduzione, Icann è infatti lentamente scivolato verso una situazione che lo ha fatto divenire un consesso nelle mani dei Governi.

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Pagina 115

Capitolo decimo

Le battaglie di PopWar: i tre diritti digitali


Le pagine precedenti hanno evidenziato come i punti di massima frizione nella faglia che sta progressivamente dividendo NetAttivismo e Ordine Costituito siano nella sostanza tre: l'ambito di giustificazione del copyright, la possibilità di comunicare in modo libero e non condizionato nei tempi e nei modi e il controllo delle informazioni che riguardano la propria persona. Sono i tre campi in cui i contendenti stanno ridefinendo, scontrandosi, le regole sociali che l'irrompere delle tecnologie ha reso inadeguate. Sono i tre campi in cui il NetAttivismo rivendica nuovi spazi e l'Ordine Costituito glieli nega. Spazi che i cyber-libertari fanno ruotare attorno ai "diritti digitali fondamentali": il diritto di riprodurre e condividere informazioni e contenuti, il diritto di disporre delle infrastrutture di comunicazione e il diritto di scegliere quali informazioni di sé rendere pubbliche. Diritti fondamentali perché propedeutici e preliminari a ogni nuova possibile configurazione sociale; ma fondamentali anche perché il modo in cui questi diritti usciranno dallo scontro in atto sarà determinante per l'esito finale di quella che abbiamo chiamato Popwar.

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