Copertina
Autore Margherita Hack
Titolo Una vita tra le stelle
EdizioneDi Renzo, Roma, 2004 [2003], I Dialoghi Scienza , pag. 140, cop.fle., dim. 140x210x10 mm , Isbn 978-88-8323-107-0
LettoreFlo Bertelli, 2005
Classe biografie , astronomia , cosmologia
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Indice

Prefazione                                    7

Introduzione                                  9

Il contributo della tecnologia
al progresso dell'astrofisica                26

Sviluppi teorici e tecnologici fondamentali
dell'astronomia del Novecento                40

Stelle azzurre e nane rosse,
giganti rosse e nane bianche                 52

Le supernovae e la formazione degli elementi 60

L'origine dell'Universo e la sua evoluzione  64

Il modello standard o Big Bang e
quello dell'Universo stazionario             72

Interrogativi circa il Big Bang              76

Qual è l'età dell'Universo?                  81

L'aspetto dell'Universo oggi                 86

Alla caccia dei neutrini                     91

Materia ed antimateria                       94

I buchi neri: ma ci sono davvero?            97

Onde gravitazionali                         102

Il migliore degli Universi possibili        104

Un esempio di teoria cosmologica alternativa:
la teoria dell'ambiplasma di Alfven         110

L'esplorazione del sistema solare           114

Alla ricerca di altri sistemi solari        123

L'astronomia in Italia                      127

Come diventare astronomo                    131

Glossario                                   135

Bibliografia essenziale                     138

 

 

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Pagina 9

Introduzione


Sono un'astrofisica e studio le stelle, la fisica dei corpi celesti, ossia come e di cosa sono fatti, come nascono, evolvono e muoiono, qual è la loro temperatura, quale la loro composizione chimica, la fonte dell'energia che li fa brillare e le complesse interrelazioni fra di loro.

Non è facile far capire che cosa sia l'astronomia e, soprattutto, la differenza tra astrologia ed astronomia. Spesso mi fermano per strada e mi dicono: "Lei è la famosa astrologa...". "No, no, guardi, io sono astrofisica". Alcuni mi chiedono che tempo farà domani o se prevedo terremoti, altri l'oroscopo. Addirittura, c'è stato chi mi ha chiesto di fare le carte o di leggere la mano!

Tale confusione forse è dovuta anche al fatto che la maggioranza delle scienze ha nomi che terminano in logia (geologia, biologia, zoologia), come l'astrologia, che scienza non è, mentre l'astronomia fa eccezione.

Sono diventata astrofisica un po' per caso. Chi crede nella predestinazione deve sapere che sono nata in una strada che faceva angolo con via Cento Stelle. Quando avevo tre anni, la mia famiglia si trasferì in via Leonardo Ximenes, astronomo (nato a Trapani nel 1716 e fondatore dell'Osservatorio di S. Giovanni delle Scuole Pie a Firenze), come si legge sulla targa stradale, in una zona vicino ad Arcetri, dove aveva ed ha sede il famoso Osservatorio astrofisico. Io non credo nella predestinazione e considero ciò soltanto una buffa coincidenza.

Il babbo era interessato all'astronomia, leggeva i libri di Camille Flammarion, un notissimo astronomo e divulgatore del secolo scorso, ed io ricordo quei volumoni rilegati dalle pagine un po' ingiallite e con tanti disegni del Sole e dei pianeti. Quando ero piccola mi insegnava i nomi dei pianeti, mi spiegava la differenza tra i pianeti e le stelle: avevo quindi, rispetto ai miei coetanei, un'infarinatura di astronomia, ma mai avrei pensato di diventare astrofisica.

Leggevo molti libri, tra cui Pinocchio, Le avventure di Sussi e Biribissi, e tanti altri che parlavano di animali, che erano i miei più grandi amici; poi Tarzan delle Scimmie e I ragazzi della Via Pal. Verso i quattordici anni ho cominciato a leggere i libri d'avventura di Salgari e di Verne, e dicevo che da grande sarei andata ad esplorare i paesi selvaggi.

Al liceo studiavo senza grande entusiasmo, ma nemmeno svogliatamente, un po' come un onesto impiegato che cerca di fare con coscienza il proprio lavoro, niente di più. Sapevo che i miei facevano sacrifici per consentirmi di studiare, e avevo il senso del dovere. Non amavo alcuna materia in particolare. A scuola mi annoiavo abbastanza, giocavo a battaglie navali, insomma passavo il tempo come potevo. Ricordo che in quinta ginnasio leggemmo I Promessi Sposi, ed era una gran barba. In seguito, quando lo rilessi per mio conto, molti anni dopo, mi sembrò di scoprirvi qualcosa di nuovo ad ogni pagina.

Quando mi iscrissero al liceo classico (non per una scelta ponderata, ma perché allora si riteneva fosse la scuola formativa per eccellenza), i miei genitori credevano che poi avrei scelto Lettere, anche perché avevo molta facilità nello scrivere. Così, finito il liceo mi iscrissi a Lettere. Ci restai solo un'ora, il tempo di seguire una lezione di De Robertis, che commentava un libro di Emilio Cecchi, i Pesci rossi, sufficiente per rendermi conto che quella facoltà non faceva per me. Non amavo la storia ma neppure la filosofia, il latino e il greco. Più tardi ho capito che la storia è vita vissuta, è politica, e di politica mi sono sempre interessata: ma al tempo degli studi giudicavo la storia una noiosa successione di date da ricordare, di guerre vinte e perse, di imperi che si formavano e che, successivamente, crollavano.

Sono nata nel 1922, lo stesso anno della marcia su Roma e dell'inizio della dittatura fascista. Sebbene i miei genitori fossero antifascisti, io desideravo, come i miei compagni, partecipare ai saggi ginnici, marciare in divisa, insomma giocare ai soldati. La propaganda nazionalista induceva noi ragazzi a fare il tifo per la patria, così come lo si faceva per l'Italia calcistica. Libertà e democrazia erano per noi parole vuote perché non avevamo conosciuto altro. Un ricordo mi è rimasto particolarmente impresso: era il 1928 o il 1929 e ci furono le ultime elezioni "libere"; un conoscente raccontava che esistevano due tipi di schede, una bianca per chi era contrario al regime ed una tricolore per chi era favorevole ma, poiché le schede erano semitrasparenti, anche quando erano chiuse si capiva benissimo la scelta espressa.

Divenni appassionatamente antifascista nel 1938 quando, con le leggi razziali applicate in seguito all'alleanza con la Germania, scimmiottando i nazisti, cominciò anche in Italia la persecuzione degli ebrei. Vidi allora, da un giorno all'altro, cacciare dal Liceo tutti i miei compagni di scuola ebrei ed i miei professori ebrei. Questi episodi mi aprirono gli occhi.

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Pagina 40

Sviluppi teorici e tecnologici fondamentali dell'astronomia del Novecento


Per inquadrare meglio i progressi di questi ultimi decenni è utile passare rapidamente in rassegna le più significative tappe nella conoscenza dell'Universo a partire dall'inizio del secolo, sia in campo teorico sia osservativo.

Tra i lavori teorici fondamentali che hanno dato un impulso importantissimo alla fisica, all'astronomia e alla cosmologia, ricordiamo la teoria della relatività di Einstein e le sue verifiche sperimentali; le teorie sulla struttura delle stelle dell'astronomo reale Sir Arthur Eddington e quelle dell'indiano, Premio Nobel per la fisica, S. Chandrasekhar, i quali hanno studiato fra l'altro la struttura di stelle molto dense come le nane bianche. Queste teorie sulla struttura ed evoluzione stellari hanno confermato e spiegato le relazioni fra i valori osservabili delle stelle: luminosità, raggio, temperatura superficiale, massa.

Einstein aveva ipotizzato che anche la luce fosse soggetta alla forza di gravità. Di conseguenza i raggi luminosi provenienti da una stella angolarmente vicina al Sole sarebbero deviati a causa dell'attrazione gravitazionale solare. E poiché vediamo un oggetto sul prolungamento dei raggi che ci giungono, l'effetto della deviazione gravitazionale ci fa vedere la stella in una posizione un po' diversa da quella in cui si trova.

Nel 1919 Sir Arthur Eddington confermò la deviazione prevista da Einstein durante un'eclisse di Sole, osservata dall'Isola Principe, nell'Africa Equatoriale (infatti, in assenza di eclisse totale sarebbe impossibile osservare contemporaneamente Sole e stelle). Oggi sono state fatte numerose misure anche fuori eclisse utilizzando osservazioni radioastronomiche di due quasar, 3C 273 e 3C 279, che l'8 ottobre di ogni anno si trovano molto vicine, angolarmente alla posizione in cui si trova il Sole. Infatti le radio sorgenti sono osservabili sia di giorno che di notte, poiché le radio onde non vengono diffuse dall'atmosfera terrestre e, di conseguenza, lo sfondo del cielo radio è buio anche di giorno. Con questa tecnica gli errori di misura sono molto più piccoli e l'accordo fra teoria ed osservazione è eccellente.

Altre conferme alla teoria della relatività provengono dalle osservazioni astronomiche della precessione del perielio di Mercurio. È ben noto dalle leggi di Keplero che i pianeti descrivono orbite ellittiche. Si chiama perielio il punto dell'orbita, situato sull'asse maggiore dell'ellisse, nel quale il pianeta ha la minima distanza dal Sole. Se il pianeta non fosse soggetto a perturbazioni dovute alla presenza degli altri corpi del sistema solare, l'asse maggiore manterrebbe immutata la sua posizione nello spazio. Invece le perturbazioni fanno ruotare l'ellisse nel suo piano, per cui il perielio descrive un giro completo in un tempo che dipende dall'entità delle perturbazioni. Nel caso della Terra è di quasi 26.000 anni, corrispondenti ad uno spostamento del perielio di circa 50 secondi d'arco all'anno. Per quanto concerne Mercurio, già Le Verrier aveva spiegato l'avanzamento del suo perielio, che è pari a 574 secondi d'arco per secolo, utilizzando le leggi newtoniane e trovando un valore teorico di circa 531 secondi, inferiore a quello osservato di ben 43 secondi.

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Pagina 76

Interrogativi circa il Big Bang


Sebbene la teoria del Big Bang abbia tre importanti prove osservative a suo favore (l'espansione dell'Universo, la radiazione fossile e l'abbondanza cosmica di deuterio e di elio), non è esente da problemi.

Uno di questi è il cosiddetto problema dell' orizzonte cosmico. Ammesso che l'età dell'Universo sia circa 15 miliardi di anni (un valore anche questo tutt'altro che definitivo, come vedremo) possiamo ricevere radiazione da oggetti posti a 15 miliardi di anni luce da noi in tutte le direzioni. Si chiama orizzonte cosmico la superficie di una sfera di cui noi occupiamo il centro, con raggio di 15 miliardi di anni luce. Col passare del tempo il nostro orizzonte si allarga. Fra altri 10 miliardi di anni ci potrà arrivare radiazione da una distanza di 25 miliardi di anni luce e questo sarà allora il raggio del nostro orizzonte. Il problema è il seguente: come mai l'Universo a grande scala è uniforme in tutte le direzioni, se oggetti diametralmente opposti rispetto a noi distano 30 miliardi di anni luce e quindi non hanno avuto il tempo di ricevere alcuna informazione l'uno dell'altro?

A questa domanda ha cercato di rispondere la teoria dell'inflazione, proposta da Alan H. Guth nel 1979. L'Universo oggi è governato dalle quattro forze fondamentali: la gravitazione, che mantiene i pianeti in orbita attorno al Sole, il Sole attorno al centro galattico e così via; l' interazione debole, che spiega la radioattivita; l' interazione forte, che mantiene più protoni incollati entro un nucleo atomico, mentre particelle libere con carica dello stesso segno si respingono; l' elettromagnetismo, che spiega l'emissione di radiazione da parte della materia. Queste forze variano al variare della temperatura, tanto che l'elettromagnetismo e l'interazione debole assumono gli stessi valori ad energie corrispondenti a temperature di un milione di miliardi di gradi. In altre parole, elettromagnetismo e interazione debole sarebbero due aspetti della stessa forza che si unificano a temperature sufficientemente alte. La forza unificata è stata chiamata elettrodebole. Questa situazione doveva essersi verificata nell'Universo all'età di un millesimo di miliardesimo di secondo. Essa è stata predetta teoricamente da Abdus Salam e Steven Weinberg e verificata sperimentalmente da Carlo Rubbia e dai suoi collaboratori al CERN di Ginevra. Si suppone che a temperature ancora più alte anche l'interazione forte venga ad identificarsi con l'elettrodebole. Possiamo pensare che anche la gravitazione varia. Guth suppone che nei primissimi istanti, ossia ad un'età compresa tra 10^-43 e 10^-35 secondi, la gravità fosse repulsiva e avesse prodotto, in un tempo che si stima fra 10^-35 e 10^-32 secondi, un'espansione dello spazio di un fattore 10^50 volte. In altre parole, l'Universo avrebbe attraversato una fase inflattiva, durata pochissimo, che ne avrebbe aumentato enormemente le dimensioni. È bene chiarire che una simile espansione non è soggetta al limite relativistico della velocità della luce, poiché non c'è trasporto di alcuna informazione. Terminato il periodo inflattivo, è continuata l'espansione dell'Universo, circa come la osserviamo oggi e cioè 60 km/sec per ogni 3,27 milioni di anni luce. Si prevedeva che la velocità d'espansione andasse rallentando a causa dell'effetto gravitazionale esercitato dalla stessa materia presente nell'Universo. A questo punto ci si chiedeva se esso continuerà ad espandere all'infinito o se la forza di gravità che ne frena l'espansione lo fermera ed avra inizio una fase di contrazione. In quest'ultimo caso, l'Universo potrebbe collassare in un punto (il cosiddetto Big Crunch) ed eventualmente riprendere ad espandere (Universo oscillante).

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Pagina 88

Un'altra inaspettata caratteristica dell'Universo odierno ci è fornita dall'analisi delle curve di rotazione delle galassie. Stelle e nubi di gas ruotano attorno al baricentro della propria galassia con una velocità tanto più alta quanto maggiore è la massa della galassia stessa. In altre parole l'attrazione gravitazionale viene equilibrata dalla forza centrifuga. È quello che avviene anche nel sistema solare: i pianeti orbitano attorno al Sole a velocità tanto maggiore quanto più gli sono vicini, quindi quanto maggiore è la forza gravitazionale cui sono soggetti.

Poiché si riteneva che la maggior parte della massa di una galassia fosse concentrata nelle parti centrali, ci si aspettava che la velocità orbitale delle stelle e delle nubi di gas diminuisse al crescere della distanza dal centro galattico, come avviene nel sistema solare. Grazie alla radio astronomia è stato possibile osservare nubi molto deboli all'estremo confine della Via Lattea e si è scoperto, con sorpresa, che invece la loro velocità è maggiore di quanto ci si aspettava, ovvero che non diminuisce. Ciò indica che la maggior parte della massa non è concentrata soltanto nelle regioni centrali, ma deve essere anche distribuita abbondantemente nell'alone galattico. Si ricava così una massa della nostra galassia superiore di circa cinque volte a quella indicata dalla massa visibile, cioè quella che si ottiene andando a contare le singole stelle. Lo stesso risultato si trova anche per molte altre galassie.

Dalle velocità delle galassie negli ammassi arriviamo alla stessa conclusione: la massa che si deduce dai moti (massa gravitazionale) è maggiore di quella indicata dal conteggio delle galassie appartenenti all'ammasso (massa visibile). La conclusione è che esiste della materia oscura che non sappiamo identificare. Supponiamo si tratti di materia normale, cioè di aggregazioni di atomi composti di protoni e neutroni, come quella che conosciamo sulla Terra e di cui siamo fatti anche noi (detta anche barionica). Potrebbe darsi che esista un grandissimo numero di stelle molto deboli che contribuisca alla massa totale, ma senza irraggiare apprezzabilmente. In tal caso però sorge un altro problema. Se la densità barionica fosse superiore a quella della materia visibile (per visibile intendo materia che emette un qualsiasi tipo di radiazione elettromagnetica, dai raggi gamma alle onde radio), le reazioni nucleari avvenute nei primi minuti di età dell'Universo ne avrebbero risentito drasticamente: il deuterio sarebbe stato immediatamente distrutto nella reazione idrogeno-elio mentre l'abbondanza dell'elio non ne sarebbe stata influenzata. Invece, il fatto che si osservi nell'Universo un'abbondanza di deuterio in ottimo accordo con quella prevista dalla teoria nel caso che la densità sia quella della materia visibile, rende difficile accettare che la materia oscura sia tutta materia barionica. Un'ipotesi è che gran parte della materia oscura sia materia speciale, cioè particelle che non interagiscono con la radiazione elettromagnetica. Di questo tipo di particelle noi ne conosciamo solo una, il neutrino, che viene prodotto continuamente nelle reazioni nucleari che avvengono all'interno delle stelle. Esso ha massa praticamente nulla, non ha carica e quasi non interagisce con la materia. I neutrini, quindi, potrebbero spiegare la materia oscura, purché abbiano una massa abbastanza grande. Purtroppo, non conosciamo la loro massa, sappiamo solo che è minore di un cento millesimo della massa dell'elettrone. Se fosse vicina a questo limite i neutrini potrebbero spiegare la materia oscura negli spazi intergalattici e nei grandi superammassi poiché i neutrini sono molto numerosi nell'Universo, sia perché sono stati prodotti in grande quantità nell'Universo primordiale sia perchè sono continuamente prodotti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle stelle. Però difficilmente possono spiegare la materia oscura presente nelle galassie. Infatti a causa della loro piccola massa hanno velocità prossime a quelle della luce e quindi sfuggirebbero all'attrazione gravitaziona1e delle singole galassie. Resta dunque la domanda: qual è la natura della materia oscura nelle galassie?

È quindi sorprendente che il 95% della materia nell'Universo sia costituita di una materia oscura che non sappiamo definire. Comunque, a me sembra poco accettabile che per supportare ipotesi teoriche si postuli che la materia oscura non sia barionica e che consista non solo di neutrini, ma anche di altre ipotetiche particelle formatesi nei primi istanti dell'Universo che però nessuno ha mai osservato.

Io propongo un'altra possibilità: che si tratti di materia barionica (un gran numero di stelle molto deboli) e che il deuterio non sia di origine primordiale ma che, come la maggior parte del litio, tutto il berillio ed il boro che osserviamo possa essersi formato per frammentazione. Per puro caso la sua abbondanza sarebbe proprio quella che ci si aspetterebbe come risultato delle reazioni primordiali. Certo che questa materia, barionica o non barionica, dovrebbe essere diffusa in tutto l'alone delle galassie, come si può dedurre dalle loro curve di rotazlOne.

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Pagina 123

Alla ricerca di altri sistemi solari


L'idea che non siamo soli nell'Universo risale addirittura al IV secolo a.C., quando il filosofo greco Epicuro si diceva convinto dell'esistenza di infiniti mondi. Questa idea venne ripresa da Tito Lucrezio Caro nel I secolo a.C. nel De rerum natura e poi da Plutarco nel I secolo d.C. che pensava che la Luna fosse abitata. Nel 1584 Giordano Bruno sosteneva l'esistenza di molti altri mondi abitati nel suo libro De l'infinito Universo e mondi, una credenza ritenuta eretica dalla Chiesa che per questo lo condannò e mandò al rogo il 17 febbraio 1600. Nel 1610 Galileo Galilei applicò il cannocchiale allo studio del cielo e scoprì che la Luna era un corpo simile alla Terra con una superficie formata da pianure e montagne: questo aprì una nuova era nella concezione dell'Universo. L'astronomo francese Camille Flammarion nel suo libro La pluralité des mondes habités dava per scontato che i pianeti fossero stati creati apposta per ospitare la vita. Infine ricordiamo le osservazioni di Matte da parte di Schiaparelli e poi dell'americano Lowell e la scoperta di quelle configurazioni che Schiaparelli chiamò canali e che Lowell interpretò come opere artificiali, costruite da una civiltà molto avanzata per convogliare le scarse acque polari a tutto il pianeta. Oggi sappiamo che si trattava solo di illusioni ottiche.

Naturalmente il primo passo per rispondere alla domanda, Siamo soli nell'Universo? è di scoprire se esistano dei pianeti extrasolari. Questo sembrava fino a pochi anni fa un problema insolubile. Ma oggi, attraverso nuovi mezzi strumentali, abbiamo la possibilità di scoprire altri sistemi planetari, almeno attorno alle stelle più vicine.

Infatti, sia il telescopio spaziale Hubble che il grande telescopio dell'Osservatorio europeo per l'emisfero australe, costituito dall'accoppiamento di quattro telescopi da 8 metri ciascuno, sono in grado di misurare le perturbazioni al moto di stelle abbastanza vicine (entro una trentina di anni luce) prodotte dall'attrazione gravitazionale di pianeti simili a Giove e di misurare la diminuzione di luce della stella prodotta dal passaggio davanti ad essa di un pianeta simile alla Terra. Si tratta di misure estremamente difficili, proprio al limite delle capacità strumentali, ma comunque possibili.

Nel settembre 1995 è stata data la notizia che due astronomi svizzeri, Michel Major e Didier Queloz, hanno scoperto il primo pianeta extrasolare. È stato scoperto in modo indiretto: la stella 51 Pegasi presenta delle piccole oscillazioni periodiche nel suo moto che hanno messo in evidenza la presenza di un altro oggetto che ne perturba gravitazionalmente il moto. È una delle tante stelle doppie? Sembra proprio di no, perché dall'entità delle perturbazioni si ricava che il corpo perturbante ha una massa pari al massimo a soli 2 millesimi della massa del Sole. Non può dunque essere una stella, ma solo un pianeta, sia pure due volte più massiccio di Giove. Inoltre questo grosso pianeta orbita attorno al suo sole con un periodo di soli 4 giorni. Se ne deduce che il pianeta deve essere molto vicino alla stella, circa 7 o 8 milioni di chilometri, una distanza 8 volte più piccola di quella di Mercurio dal Sole.

In meno di sette anni il numero di pianeti extrasolari è passato da uno ad un centinaio, e in qualche caso si sono trovati anche due o tre pianeti in orbita attorno a stelle di tipo solare. Si tratta in tutti i casi di pianeti grossi come Giove o Saturno e in maggior parte orbitanti molto vicini alla propria stella. Ma ciò dipende solo dal fatto che le perturbazioni gravitazionali al moto della stella sono tanto maggiori quanto più grosso è il pianeta e quanto è più vicino alla stella. I prossimi grandi telescopi del futuro permetteranno di scoprire anche la presenza di pianeti terrestri e a distanze maggiori dal loro sole.

Infine, se nello spettro infrarosso e radio di una stella, che mostra evidenza di essere accompagnata da un pianeta, apparissero degli assorbimenti dovuti alle molecole di ossigeno e di ozono dell'atmosfera planetaria, potremmo dedurre che vi hanno luogo processi di foto sintesi e quindi di vita vegetale. Ben più difficile e probabilmente senza speranza è trovare segni di vita intelligente. Se nell'Ottocento molti astronomi pensavano alla possibilità che altri pianeti del sistema solare fossero abitati, oggi le nostre conoscenze lo escludono completamente.

Come mettersi in contatto con gli eventuali abitanti di pianeti extrasolari? I primi a porsi questo problema su basi scientifiche furono Giuseppe Cocconi e Philip Morrison nel 1959. Essi proposero un programma di ricerche di intelligenze extraterrestri chiamato SETI (acronimo di Search for Extra Terrestrial Intelligences) e l'astronomo americano Frank Drake dette inizio alle osservazioni, dirigendo il radiotelescopio dell'Osservatorio di Green Bank in West Virginia verso le stelle più vicine di tipo simile al Sole. Egli osservava alla lunghezza d'onda di 21 cm, emissione caratteristica dell'idrogeno interstellare, pensando che eventuali civiltà tecnologicamente avanzate come e più della nostra, se avessero voluto far sentire la loro presenza, avrebbero usato la lunghezza d'onda più interessante per gli studi astronomici, cioè quella dell'idrogeno, l'elemento più abbondante nell'Universo. Per far capire che si trattava di un segnale artificiale e non della naturale emissione dell'idrogeno galattico, avrebbero inviato segnali modulati, una specie di alfabeto Morse interstellare.

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