Copertina
Autore Jacqueline Harpman
Titolo Orlanda
EdizioneVoland, Roma, 2010, Amazzoni 56 , pag. 250, cop.fle., dim. 14,2x20,5x1,7 cm , Isbn 978-88-6243-050-0
OriginaleOrlanda [1996]
TraduttoreChiara Manfrinato
LettoreAngela Razzini, 2010
Classe narrativa francese
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Pagina 11

PRIMO GIORNO: VENERDÌ



La scena inaugurale si svolge a Parigi, di fronte alla Gare du Nord, nel bar che si è dato il nome pretenzioso di Brasserie de l'Europe. L'arredamento, in cromo, plastica e similpelle, deprimerebbe chiunque commettesse l'imprudenza di guardarlo. È da poco passata l'una. Alcuni clienti mangiano uova alla russa, altri dei tramezzini. Aline Berger, trentacinque anni, legge, seduta davanti a un'acqua minerale che sorseggia con regolarità. Il binario di partenza del treno viene annunciato con soli venti minuti di anticipo e ad Aline non piace aspettare nel grande atrio sproporzionato e chiassoso dove non è mai sicura di trovare posto a sedere.

La signora Berger mi sembra poco concentrata sulla lettura. Di tanto in tanto lascia vagare lo sguardo intorno a sé, per poi ricondurlo all'orologio da polso. Il tempo non passa. Non avrebbe dovuto avviarsi così presto, ma è di indole ansiosa e teme sempre di essere in ritardo. E poi, terminate le ricerche, cosa altro poteva fare in città? Ha trascorso un'ora all'Orangerie, mezz'ora alla libreria Smith, non le restava che tuffarsi nella metropolitana. Sospira. Si consacra al testo che non la avvince del tutto. È almeno la decima volta che legge il brano cruciale di Orlando, quello in cui si compie la trasformazione, nel tentativo di coglierne il senso profondo, ha sempre l'impressione di rimanere in superficie e si rifiuta di credere che possa non esserci niente sotto. Si concentra: First, comes our Lady of Purity; whose brows are bound with fillets of the whitest lamb's wool; whose hair is an avalanche of the driven snow... eccetera. Sbadiglia. Oltre le parole sulle quali si accanisce serpeggia un altro flusso di pensieri che fa emergere i meandri nascosti dei fiumi detti intermittenti perché talvolta scorrono a cielo aperto per poi sparire sottoterra, si crede che si fermino lì, ma ricompaiono all'improvviso a qualche chilometro di distanza. In virtù del privilegio di romanziere di cui mi reputo dotata, e non l'ho mai nascosto, ecco cosa sento a un tratto, con mia estrema sorpresa:

– E se cambiassimo sesso? Se ti lasciassi in custodia, anima timida, questo corpo di donna e andassi ad alloggiare in un ragazzo? Magari proprio quello che mi sta di fronte: è biondo, un po' irsuto, ha lo sguardo furtivo, ma la bocca ampia e ferma rivela caparbietà. Una volta salda – o saldo? – nella sua testa, come mi appariresti? Credo che presto perderei interesse per te, perché senza il mio vigore, senza la mia rabbia e la mia forza, che talvolta ti fanno paura al punto da chiamarle violenza, saresti scialba, presto vinta, di sconfitta in sconfitta ti avvieresti a vivere un'esistenza gretta. Ti do fastidio da sempre e mi nascondi come puoi, con il rossetto, con i capelli lunghi e le gonne di seta che svolazzano al minimo movimento, gli altri ti trovano affascinante e femminile, certo, ma io abito la tua paura, e mi sta stretta. Se fossi un uomo non cercherei le donne, le conosco troppo bene, mi parerei con baldanza dinanzi agli altri uomini, farei quello che, da donna, non ho osato fare, li sfiderei! Forse non ho mai amato gli uomini se non da omosessuale ma, senza alcun dubbio, da omosessuale vergognoso che non osa ammettere la propria inclinazione, e mi sono mascherato – mascherata? – indossando questo corpo bizzarro nel quale non mi sono mai sentito a casa. Ho suscitato il desiderio a volte ma, visto che io non mi desideravo, non capivo. Ah, essere un ragazzo! Mi basta allentare la briglia ai pensieri che affollano la mia mente, la briglia che tu tieni sempre tanto stretta, per immaginare quell'altro corpo, più sodo, con un ampio torace piatto dove i pettorali guizzano in tutta libertà, i fianchi si restringono e presagisco, nel basso ventre, un turgore simile a quello delle aste della vittoria che, nelle sere di battaglia, vengono agitate lentamente sui campi disseminati di morti. Tu hai paura, ti contrai, mi dai noia. Io procederei con passo tranquillo, fisserei gli uomini, cosa che ti atterrirebbe, ne sarebbero un po' intimoriti, ma alcuni si volterebbero per seguirmi con lo sguardo e forse ne sceglierei uno da sedurre e trascinare in abissi che non immaginerebbe neanche. Li conosco bene, so cosa vogliono. Sento che sarei un abile amante, perché nulla mi farebbe paura, è alle ragazze che si insegnano il pudore e il ritegno, come ragazzo non ho imparato niente dato che nessuno ha mai sospettato la mia esistenza. Candido, partirei alla volta di terre sconosciute. Dio, che viaggio! Mi viene da ridere se penso all'America, a Cristoforo Colombo, all'Amazzonia e al Circolo Polare, perfino alla Luna e a Marte! L'ignoto è di fronte a me, cento volte sono stata tra le sue braccia senza entrare. L'altro sesso è più distante di quanto non sia Vega dal Centauro, picchio la fronte contro le menti ristrette e non valico la soglia, dico: a cosa pensi?, sorridono e io resto fuori, smarrita, solitaria, rinchiusa in questo corpo di donna che si è sempre sottomesso alle paure mediocri che non hai il coraggio di abbandonare. Ma non ce l'ho con loro, perché non ne hanno colpa, né io ne ho colpa, siamo ugualmente asserviti a questa identità irriducibile che ci tiene lontani, come lontane sono le galassie, e che ci fa avventare gli uni sulle altre, nel tentativo di eludere la curiosità con il piacere. Mai una donna è stata uomo, mai un uomo è stato donna. Ogni sesso possiede un sapere che non può condividere e le stupide operazioni che si praticano sono solo illusioni, simulazioni che non sfiorano lo spirito, travestono il corpo e uccidono il desiderio. Ma incarnarsi in un corpo intatto! Cambiare mondo facendo tre passi! Io è un altro? Io è mille altri e giacché quest' io mi stanca, perché non posso abbandonarlo?

Il ragazzo biondo ha appena ordinato il secondo caffè. Ha l'aria un po' stanca, per quale ragione beve tanto caffè quando è di una bella dormita che ha bisogno? Ai suoi piedi vedo un borsone da viaggio, prende anche lui il treno? Mi tenta! Ha mani lunghe e le unghie piuttosto trascurate, ma il volto è netto, modellato, pare fatto apposta per esprimere fermezza. A vederlo lì, seduto su una sedia scomoda, ha una certa grazia, se ne potrebbe cavare qualcosa. Indossa un giubbotto nero di finta pelle, di quelli che andavano di moda qualche anno fa, con cerniere lampo dappertutto, su un paio di jeans scoloriti ma non stracciati. Probabilmente non guadagna abbastanza. Pure se io non fossi imprigionato nel personaggio di donna razionale per il quale tu hai optato da tanto di quel tempo che hai finito col crederlo la tua autentica natura, non baderei a lui perché è insignificante e banale, gli importa solo di essere un ragazzo, giovane, robusto e non brutto. E se andassi? Lo abiterei, lo renderei bello perché essere un ragazzo è uno stato talmente meraviglioso, per me, che nessun cruccio potrebbe alterarlo. Sotto la mia influenza sboccerebbe, darei luce a quegli occhi cupi, rinvigorirei la sua postura. Non è una ragazza, può tutto, perché mai ha quell'aria spenta? Sprecare in questo modo i tesori che possiede! Ah, se potessi introdurmi in lui! Forse basta volerlo, ma non lo sappiamo dato che nessuno ha mai tentato un'impresa così folle. Ti lasci sempre frenare dal buonsenso, anche quando giochi con i pensieri, è questo che ti rende talmente noiosa. È deciso, cambio.ù

Cambio?

È assurdo, è incredibile, eppure lo faccio. Ti abbandono senza voltarmi e attraverso l'impossibile. Non sento niente, so solo che valico la soglia, fluttuo nell'indefinibile, tra il prima e il dopo, in un punto che, ovviamente, non ha né durata né spazio, è lo zero assoluto del tempo e si estende all'infinito, esisto in una eternità che non è in nessun luogo e di cui non ho memoria nemmeno mentre ci sono perché mentre non ha più senso, non ho altra realtà se non quell' io indissolubile di cui non comprendo l'essenza ma la cui evidenza prodigiosa mi illumina, è, in seno all'innominabile, il nucleo della certezza, la garanzia, l'ancoraggio immateriale che mi permette questa navigazione impossibile alla quale mi lascio andare con fiducia, quando non c'è più né alto né basso, né davanti né dietro, e ciò nonostante so dove vado, e non parto neanche che già arrivo, ho attraversato l'eternità, il tempo non è trascorso, niente è stato percorso, mi incarno, giungo, e di nuovo l'universo prende forma attorno a me, possiedo uno sguardo, ascolto, sento, sono!

L'ho fatto!

Aline è là e io sono qui, la separazione si è compiuta. Guardo con stupore me che legge, sì, il verbo va ormai coniugato alla terza persona singolare, assorta, davanti a una mezza bottiglia di Badoit quasi finita, una diuresi regolare è condizione imprescindibile per una buona salute, come mi ha sempre detto mio padre, me è di fronte, un po' di sguincio, io sono nel giovane biondo, ho fatto irruzione nella sua testa. Non avverte niente. Ci si può lasciare sfrattare tanto agevolmente? Non doveva tenerci molto a sé dato che è scomparso senza fiatare. La casa è mia. Tremo per l'emozione, mi trattengo, ho voglia di alzarmi, di danzare lanciando grida di gioia, ma occorre mantenere la calma, ho appena compiuto l'impossibile e se lo proclamassi ai quattro venti mi troverei presto con una camicia di forza, bloccato da tre infermieri. Esaminiamo il nuovo regno. Le unghie trascurate? Peggio, le mangia! Deve essere stupido per sciupare mani così belle! Mi tasto la spalla: solida, muscolosa, e il torace, ah, com'è piacevole non sentire l'eterna rotondità dei seni. Ho il ventre perfettamente piatto e le cosce meravigliosamente sode. Questo corpo mi aggrada al punto da eccitarmi. È certo che gli uomini mi sono sempre piaciuti più di quanto non abbia mai osato ammettere e fremo al pensiero di avere proprio questo a mia disposizione, ma devo trattenermi perché sono in un luogo pubblico e non comincerò la mia nuova vita commettendo sciocchezze. Perciò rimetto le mani sul tavolo e rivolgo l'attenzione alle sensazioni interiori: avverto subito di avere una leggera emicrania. Ecco perché sembrava a disagio! Che seccatura, non ho cambiato corpo per stare peggio di prima, cosa ha fatto? Deve aver bevuto troppo ieri sera, io ho questo genere di fastidio solo quando bevo vino di cattiva qualità, probabilmente non regge l'alcol. Ehi, e se non avessi carattere? Se fossi un debole? No, niente panico, qualunque cosa sia questo giovane, non sono lui, lo occupo, ne dispongo, ma sono sempre io, e non sono mai stata una donna dedita agli eccessi nel bere e nel mangiare. Mi serve un'aspirina. Qualche traccia di lui deve essere rimasta, dato che apprendo all'istante che al mio anfitrione non piacciono i farmaci, non ne prende perché pensa che siano tossici! Tossici! È ridicolo, ha paura dell'acido acetilsalicilico però si ubriaca! Le avevo in borsa, ne porto sempre con me, vado a chiedermene una.

Mi alzo. Avviene qualcosa di strano, tanto che sono sul punto di arrestare il movimento: è che sono decisamente più alto di Aline, le gambe sono più lunghe, per un pelo non urto contro il tavolo. Ho appena dispiegato dieci centimetri ai quali non ero abituato! La prospettiva è totalmente diversa, o sono salito io o sono scesi gli oggetti, è estremamente sconcertante e, per un istante, ho un capogiro. Un istante appena, visto che non ho intenzione di lasciare che nulla smorzi il piacere della trasformazione.

Vado verso di me immersa in un libro.

– Signora?

Solleva la testa. Ha l'aria un po' smarrita. I miei pensieri di poco fa devono averla turbata, conoscendola, so che deve aver fatto un grosso sforzo di concentrazione per scacciarli. Mi viene da ridere, non sa fino a che punto c'è riuscita!

– Si?

– Per caso ha un'aspirina? Ho mal di testa.

Non sembra interdetta quanto dovrebbe, ma ansiosa di rendersi utile. Mi ci riconosco. Dicono di me che sono una persona cortese e attenta, ma è solo apparenza, la verità è che farebbe qualsiasi cosa – nei limiti della decenza! – per sentirsi amata. È un istinto contro il quale lotta come può, raramente con successo.

Apre la borsa, non deve rovistare perché sa esattamente dove si trova ogni cosa, le ripugna il presunto disordine delle borse delle donne. Ora che l'ho abbandonata sarà ancora così metodica? Estrae il blister.

– Ne occorrono due, è un dosaggio piuttosto blando.

Le prendo. La ringrazio con un sorriso smagliante. È estasiata, mi restituisce il sorriso e sprofonda nuovamente nel libro.

Torno a sedere, con prudenza, perché non ho intenzione di arrivare alla sedia allo stesso modo di prima! Sollevo la tazza e sono di nuovo colto alla sprovvista: credo sia all'altezza delle labbra, che sporgo per posarle sull'orlo, ma mancano tre centimetri. Mi viene da ridere. Ingoio le compresse con gli avanzi del caffè, che è amaro e mi dà il voltastomaco. In effetti, noto che il mal di testa si è già attenuato: d'altronde io reggo molto bene l'alcol, anche se ne bevo poco perché non mi piace il gusto. Il ragazzo e io abbiamo decisamente poche cose in comune! Ma, ora che ci penso, come si chiama? Anzi, come mi chiamo? Dovrò pur avere un portafoglio. Se è destrimano, sarà nella tasca sinistra del giubbotto. Mi chiamo Lucien Lefrène e abito al numero 19 di rue Malibran, a Bruxelles. Stupendo! Scelgo a caso e mi imbatto in un concittadino. Certo, siamo in un bar di fronte alla Gare du Nord, a mezz'ora dal prossimo treno, che dovevo prendere con lei e che quindi prenderò. Me ne rallegro, non perderò contatto con le mie abitudini. Ho il biglietto? Non è nel portafoglio, tastiamo le altre tasche: puah, viaggio in seconda classe.

Lei legge. Orlando di Virginia Woolf, me lo ricordo perfettamente, per via di un corso che deve tenere a breve. Avrebbe preferito il Barbey d'Aurevilly che ha in borsa, autore che adora e che narra cose abominevoli – lei è talmente perbene, deve trovarvi delle compensazioni – ma la sua coscienza professionale non le lascia scampo. Non sembra sentire la mia mancanza. Che non si sia accorta di niente? La sua metà la abbandona e lei non lo nota? Signore, che donna sono stata! Ho fatto bene a separarmi da lei. La verità, lo so, è che mi detestava, le causavo continuo imbarazzo desiderando cose che la facevano arrossire. Proverà sollievo nel sentirsi finalmente alleggerita e considererà un vantaggio l'aver perso la parte più viva di sé. Orlando la innervosisce, ma ovviamente è lì che ho trovato la sublime idea di cambiare, non parlerò mai più male di Virginia Woolf! Ecco, raccoglie la sua roba! Ha ragione, l'orrendo orologio da quattro soldi di Lucien Lefrène segna l'una e venti, il tempo di attraversare la strada e sul tabellone sarà indicato il binario. Nella mia tasca destra, trovo un portamonete pieno di spiccioli, il ragazzo è decisamente meticoloso! Lascio venti franchi sul tavolo e la seguo. La guardo avanzare: procede a passo svelto, è proprio ben vestita! Gli stivali di pelle chiara, la gonna di seta e la giacca Laura Ashley sono una sinfonia di beige dove i materiali creano un contrasto impercettibile, dovrebbe piacere e tuttava so che la si nota di rado. Procede diritta, non guarda la gente e in tal modo non vede le persone che conosce, certuni la trovano altezzosa, e non si accorge dell'uomo elegante che le viene incontro, quarantacinque anni ben portati, cappotto in cachemire un po' troppo pesante per la stagione e valigetta in vera pelle, lui l'avvolge con un rapido sguardo valutativo, cerca i suoi occhi per un attimo e passa oltre dimenticandola all'istante. Che sprecona! Io invece mi fermo, attratto dal suo portamento, gli sorrido. Mi vede, non aggrotta le sopracciglia, ma la sua bella fronte abbronzata si adombra e storna lo sguardo. Non mi muovo, lascio che mi incroci, lo ammiro senza dissimulare, mi diverto. Si volterà? Ne sono certo, conosco gli uomini, adorano le provocazioni. Aspetto. Fa dieci metri, è sul marciapiede, non resiste e getta un'occhiata all'indietro dove può vedermi ricevere l'involontaria ammissione mentre seguito a sorridergli. Si volta dall'altra parte e se ne va. Esulto. Ha il passo agile di un uomo ben calzato, il che attira la mia attenzione sulle scarpe di Lucien Lefrène: sono tristi e logore come una vita che si è smesso d'amare, questo ragazzo non era felice, ma è giovane e, per quanto bello sia il passante, la sua quarantina deve essere meno piacevole da abitare, appena dieci anni lo separano dai reumatismi. Poi mi affretto per raggiungere l'altra parte di me: è quasi arrivata in stazione, non voglio perderla di vista. Che esperienza interessante ho appena vissuto! Perché, quand'ero Aline, non ho mai potuto fare niente del genere? Sostenere uno sguardo, incoraggiarlo, suscitare il desiderio, ah, fremo di piacere! Si preoccupa di essere bella, ma non sembra sapere a cosa serve la bellezza. In effetti, non ho osservato tanto bene Lucien Lefrène prima di andare ad albergare in lui, dove posso trovare uno specchio? I bagni del treno rimarranno chiusi fino alla partenza, deve essercene uno da qualche parte nell'atrio della stazione.

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