Copertina
Autore Sam Harris
Titolo La fine della fede
SottotitoloReligione, terrore e il futuro della ragione
EdizioneNuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena (Bo), 2006 , pag. 268, cop.fle., dim. 174x210x15 mm , Isbn 978-88-89091-32-6
OriginaleThe End of Faith. Religion, Terror and the Future of Reason
EdizioneNorton, New York, 2004
TraduttoreMauro Gurioli
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe religione
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Indice


Capitolo 1 - L'esilio della ragione              9

Il mito della "moderazione" nella religione     14
Le ombre del passato                            19
Il fardello del Paradiso                        22
L'estremismo musulmano                          25
La morte, ovvero la fonte delle illusioni       31
Il mondo oltre la ragione                       34
Fare i conti con le credenze                    38
Come riprendersi?                               40

Capitolo 2 - La natura delle credenze           43

Le credenze come principi di azione             44
La necessità della coerenza logica              46
L'ambasciata americana                          48
Le credenze come rappresentazioni del mondo     50
Questioni di vero e falso                       52
Fede e prove concrete                           53
Fede e follia                                   62
In cosa dovremmo credere?                       63

Capitolo 3 - All'ombra di Dio                   69

Streghe ed ebrei                                75
L'Olocausto                                     86

Capitolo 4 - Il problema dell'Islam             92

Una periferia senza centro                      94
La jihad e la potenza dell'atomica             109
Il conflitto                                   110
L'enigma dell'"umiliazione" dei musulmani      112
I rischi delle illusioni                       114
L'irrazionalità di sinistra e lo strano caso
    di Noam Chomsky                            118
Le armi perfette e l'etica dei
    "danni collaterali"                        121
Uno spreco di risorse preziose                 125
Cosa possiamo fare?                            127

Capitolo 5 - A ovest dell'Eden                 131

Il legislatore eterno                          132
La guerra al peccato                           136
Il Dio della medicina                          141

Capitolo 6 - La scienza del bene e del male    146

L'etica e le scienze della mente               149
Le comunità morali                             151
Il demone del relativismo                      153
L'intuito                                      157
Etica, identità morale ed egoismo              159
Moralità e felicità                            164
Una scappatoia per Torquemada?                 165
La falsa scelta del pacifismo                  171

Capitolo 7 - Esperimenti sulla coscienza       175

La ricerca della felicità                      176
La coscienza                                   178
Cosa chiamiamo "io"?                           180
La saggezza degli orientali                    184
La meditazione                                 186

Epilogo                                        191

Note                                           196

 

 

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Pagina 9

Capitolo 1

L'esilio della ragione


Un giovane sale su un autobus che sta partendo dal capolinea. Indossa un soprabito, sotto il quale nasconde una bomba. Ha le tasche piene di chiodi, sfere di metallo e veleno per topi. L'autobus è affollato e si dirige verso il centro della città. Il ragazzo si siede a fianco di una coppia di mezza età. Ha deciso di aspettare che l'autobus raggiunga la fermata successiva. Sembra che la coppia seduta al suo fianco abbia intenzione di acquistare un frigorifero nuovo. La donna ha scelto il modello, ma il marito teme che sia troppo costoso e quindi ne indica un altro sul catalogo che lei tiene aperto sulle ginocchia. Si vede già la fermata successiva. Le porte dell'autobus si spalancano. La donna fa notare al marito che quel modello è troppo grande per stare nello spazio sotto i pensili. Alcuni dei passeggeri appena saliti hanno occupato gli ultimi posti liberi, gli altri iniziano ad ammassarsi nel corridoio.

Ora l'autobus è pieno. Il giovane sorride. Premendo un pulsante si fa esplodere, uccidendo la coppia seduta accanto a lui e 20 persone che si trovavano sul bus. I chiodi, le sfere di metallo e il veleno per topi fanno altre vittime tra i pedoni e gli automobilisti. Tutto è andato come previsto.

Ben presto i genitori del giovane apprendono quanto è accaduto. Pur essendo addolorati per la perdita del figlio, si sentono molto orgogliosi della sua impresa. Sanno che con la sua azione si è guadagnato il paradiso e ha aperto la strada anche a loro. Inoltre ha mandato le sue vittime all'inferno per l'eternità: si tratta di una duplice vittoria. I vicini considerano l'evento motivo di grandi festeggiamenti e rendono onore ai genitori del giovane donando loro cibo e denaro.

Questi sono i fatti. Questo è tutto ciò che sappiamo con certezza di quel giovane. Dal suo comportamento possiamo dedurre qualche altra informazione su di lui? Era conosciuto tra i ragazzi della sua scuola? Era ricco o povero? Era poco o molto intelligente? Le sue azioni non ci forniscono alcun indizio in merito. Aveva studiato al college? Aveva un futuro brillante come ingegnere meccanico? Il suo comportamento non ci dice assolutamente nulla su tali questioni, né su centinaia di altre simili. Ma allora perché è così semplice - al punto che ci si potrebbe scommettere la vita - indovinare la sua religione?

Un credo è una leva che, una volta azionata, influisce praticamente su tutti gli aspetti della vita di una persona. Sei uno scientista, un liberale, un razzista? Questi non sono che alcuni esempi di credenze che si traducono in azioni. E tali credenze definiscono la nostra visione del mondo, dettano il nostro comportamento, determinano le nostre reazioni emotive nel rapporto con gli altri esseri umani. Se avete qualche dubbio in merito, considerate come cambierebbe improvvisamente la vostra esperienza se iniziaste a credere in una delle seguenti affermazioni: vi restano solo due settimane di vita; avete appena vinto 100 milioni di dollari alla lotteria; gli alieni vi hanno impiantato un ricevitore nel cranio e manipolano i vostri pensieri. Non sono che parole, ma solo fino a quando non iniziate a crederci. Da quel momento entrano a far parte a tutti gli effetti delle vostre strutture mentali, determinando i vostri desideri, le vostre paure, le vostre aspettative e i comportamenti da essi derivanti.

Sembra, tuttavia, che alcune delle credenze sul mondo a cui siamo più legati presentino un problema: ci stanno portando inesorabilmente a ucciderci l'un l'altro. Un semplice sguardo alla storia, o alle pagine di un giornale qualsiasi, svela che le idee che differenziano tra loro i vari gruppi di uomini, per accomunarli nel momento in cui compiono dei massacri, generalmente sono radicate nella religione. Si ha l'impressione che, se la nostra specie arriverà a estinguersi a causa della guerra, ciò non avverrà per il fatto che la nostra sorte era già segnata, ma perché è scritto nei nostri libri. Sarà il nostro attuale approccio a concetti come "Dio", "paradiso" e "peccato" a determinare il nostro futuro.

La situazione è la seguente: gran parte degli abitanti del pianeta crede che il Creatore dell'universo abbia scritto un libro. Per nostra sfortuna abbiamo molti libri di questo genere, ognuno dei quali proclama la propria infallibilità. Le persone tendono a organizzarsi in fazioni in base alla convinzione che la dottrina abbracciata sia infallibile, piuttosto che in funzione della lingua, del colore della pelle, della provenienza geografica o di qualunque altro criterio tribale. Ciascuno di questi testi incita il lettore ad adottare una serie di specifici rituali e credenze: alcuni sono innocui, molti altri no. Tutti, comunque, concordano perversamente su un punto di importanza fondamentale: il rispetto per le altre fedi - o per il punto di vista dei non credenti - non è un atteggiamento approvato da Dio. Sebbene tutte le confessioni religiose, di tanto in tanto, siano state toccate dal concetto di ecumenismo, ogni tradizione religiosa pone al centro della sua dottrina il principio che tutte le altre non siano che ricettacoli dell'errore o, nell'ipotesi migliore, caratterizzate da pericolose lacune. L'intolleranza, peraltro, è intrinseca a ogni fede. Quando qualcuno crede veramente che determinate idee possano condurre alla felicità eterna - o all'eterna dannazione - non tollera l'eventualità che le persone che ama possano smarrire la retta via a causa delle lusinghe dei non credenti. Le certezze in merito all'aldilà risultano semplicemente incompatibili con la tolleranza espressa nella vita terrena.

Tuttavia, osservazioni di questo tenore costituiscono per noi un problema immediato perché nella nostra cultura criticare la fede di un individuo rappresenta un tabù assoluto. Su questo argomento i liberali e i conservatori hanno trovato, sorprendentemente, un punto d'accordo: le credenze religiose non sono passibili di indagine né possono essere oggetto di discussione razionale. È considerato scorretto esprimere giudizi sulle convinzioni personali rispetto a Dio e all'oltretomba, mentre è lecito disapprovare le opinioni che si hanno, ad esempio, sulla fisica o sulla storia. Così accade che, quando un kamikaze musulmano si fa esplodere uccidendo decine di innocenti in una strada di Gerusalemme, l'incidenza della fede in quel gesto viene spesso sminuita. Si adducono motivazioni politiche, economiche o soltanto personali. Se non ci fosse la fede, persone disperate compirebbero ugualmente azioni terribili, ma non si può negare che il credo sia sempre e comunque assolto.

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Pagina 38

Fare i conti con le credenze

Dovremmo deciderci a riconoscere che la fede non è, e non è mai stata, qualcosa di privato. In realtà, le credenze sono poco più private delle azioni, in quanto, potenzialmente, ogni credenza costituisce un'azione. Credere che pioverà induce ogni uomo o donna in possesso di un ombrello a portarlo con sé quando esce. Non dovrebbe essere troppo difficile capire che credere nella completa efficacia delle preghiere, per esempio, diventa un argomento eminentemente pubblico quando ciò viene messo effettivamente in pratica: nel momento in cui un chirurgo abbandona i suoi strumenti terreni e tenta di suturare le ferite dei pazienti con la forza della preghiera, o quando un pilota tenta di far atterrare un aereo passeggeri semplicemente ripetendo la parola "alleluia", ci troviamo catapultati improvvisamente dall'intimità della fede personale al contesto pubblico di un tribunale penale.

Gli individui agiscono sulla base delle loro credenze. Se credete di appartenere al popolo eletto, inondato di prodotti osceni esportati dalla cultura del male che sta allontanando i vostri figli da Dio, se pensate che sarete ricompensati con una vita eterna piena di inimmaginabili delizie se farete strage di quegli infedeli... allora se volete far schiantare un aereo contro un edificio non dovete far altro che chiederlo. Da ciò consegue, quindi, che certe credenze sono intrinsecamente pericolose. Tutti sappiamo che gli esseri umani sono capaci di compiere incredibili brutalità, ma faremmo bene a domandarci quale ideologia ci renderebbe più capaci di compierle. E come possiamo collocare una simile credenza al di sopra del dibattito pubblico, in modo da farla durare per migliaia di anni, immutabile nonostante il corso della storia e le conquiste della ragione? Questi sono problemi che riguardano tanto il contesto culturale quanto la psicologia. Sappiamo da tempo che i dogmi di fede sono una soluzione perfetta, in particolare in un quadro in cui viene promessa ai fedeli la salvezza eterna, mentre ai dubbiosi è riservata la dannazione.

Dovremmo ammettere tutti, a partire dai presidenti e dai re, che non ci sono prove certe che qualcuno dei nostri libri sia stato scritto dal Creatore dell'universo. Sembra certo che la Bibbia sia opera di uomini e donne coperti di sabbia, che pensavano che la Terra fosse piatta e per i quali una carriola avrebbe costituito un esempio sconvolgente di tecnologia. Ritenere un simile documento la base su cui fondare la nostra visione del mondo - per quanto eroico sia stato lo sforzo compiuto dai suoi redattori - significa ripudiare 2.000 anni di idee di civilizzazione che la mente umana ha da poco iniziato ad assimilare grazie alla politica secolare e alla cultura scientifica. Vedremo che il problema più grande che la civiltà deve affrontare non è semplicemente l'estremismo religioso. Piuttosto, è la gamma più estesa di aggiustamenti culturali e intellettuali che abbiamo effettuato sulla fede stessa. I religiosi moderati sono in larga parte responsabili dei conflitti religiosi del nostro mondo, in quanto le loro credenze delineano il contesto in cui la lettera delle Scritture e la violenza di matrice religiosa non possono mai essere adeguatamente contrastate.

Un qualsiasi ambito di dibattito vero deve ammettere, come minimo, il dibattito stesso, e dunque la possibilità che coloro che si trovano ai suoi margini siano in condizione di capire le verità che tenta di enucleare. Ecco perché l'esercizio della ragione in un modo qualsiasi e per un periodo prolungato implica necessariamente che vengano oltrepassati i confini nazionali, religiosi ed etnici. Dopotutto, non esiste una fisica intrinsecamente americana, cristiana o bianca. Persino etica e spiritualità hanno il requisito dell'universalità, in quanto gli esseri umani, a prescindere dal loro background, sembrano convergere verso esperienze spirituali e idee etiche simili quando hanno a disposizione gli stessi metodi di indagine. Questo, tuttavia, non è il caso delle "verità" della religione. Nulla di ciò che possono dirsi un cristiano e un musulmano porterà mai a un'apertura al dialogo sulle proprie credenze, in quanto i principi portanti delle rispettive fedi li hanno immunizzati rispetto al potere della conversazione. Credendo con vigore e senza prove a disposizione, si sono allontanati dal mondo reale. Quindi è insito nella natura profonda della fede il costituire un impedimento all'approfondimento dell'analisi. Eppure, il fatto che in Occidente abbiamo smesso di uccidere le persone accusate di eresia suggerisce che le idee sbagliate, per quanto sacre, non possono continuare ad affiancarsi a quelle giuste per sempre.

Considerato il nesso tra credenze e azioni, naturalmente è difficile tollerare credenze differenti dalle nostre, nell'ambito della religione come come in quello, ad esempio, dell'epidemiologia o dell'igiene di base. In alcune culture in cui non ha ancora fatto la sua comparsa la teoria sui germi come causa delle malattie, gli individui sono vittima di una debilitante ignoranza su gran parte degli argomenti più rilevanti relativi alla salute fisica. "Tolleriamo" queste credenze? Non se esse mettono in pericolo la nostra stessa salute.

Persino delle credenze innocue, se non risultano giustificate, possono portare a conseguenze intollerabili. Per esempio, molti musulmani sono convinti che Dio si interessi attivamente alla vestizione delle donne. Pur sembrando inoffensiva, quest'idea ha causato una quantità sconvolgente di sofferenze. In Nigeria, le rivolte del 2002 contro la sfilata di Miss Universo hanno fatto oltre 200 vittime. Uomini e donne innocenti sono stati massacrati a colpi di machete o bruciati vivi semplicemente per tenere lontane delle donne in bikini da quel posto sventurato. In precedenza, sempre nel 2002, la polizia religiosa della Mecca ha impedito ai sanitari e ai pompieri di salvare decine di ragazzine intrappolate in un edificio in fiamme. Perché? Perché non indossavano il tradizionale copricapo prescritto dalla legge coranica. Nell'incendio sono morte 14 adolescenti e 50 sono rimaste ferite. I musulmani dovrebbero sentirsi veramente liberi di credere che il Creatore dell'universo si interessa di sartoria?

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Pagina 63

In cosa dovremmo credere?

Crediamo a gran parte delle nostre idee sul mondo poiché altri ci hanno detto di farlo. Le visioni del mondo si compongono di fiducia nell'autorità degli esperti e di testimonianze della gente comune. In realtà, più diventiamo istruiti, più le nostre credenze ci giungono filtrate da altri. Una persona che crede soltanto alle proposizioni per le quali può fornire una giustificazione sensoriale o teoretica completa non saprà quasi nulla sul mondo, e potrà essere uccisa ben presto dalla propria ignoranza. Come fate a sapere che cadere da un'altezza elevata è pericoloso per la vostra incolumità? A meno che non abbiate visto qualcuno morire in quel modo, avete adottato tale credenza affidandovi all'autorità di altri. Questo non è un problema in sé: la vita è troppo breve e il mondo è troppo complesso perché possiamo ragionare unicamente in termini epistemologici. Ci affidiamo sempre al bagaglio culturale e alla precisione, se non alla gentilezza, degli altri.

Ciò, tuttavia, non implica che ogni forma di autorità sia valida, né suggerisce che le autorità migliori siano sempre affidabili. Esistono buone e cattive argomentazioni, così come osservazioni precise e imprecise. Ognuno di noi dev'essere il giudice ultimo e stabilire se sia ragionevole o meno adottare una determinata credenza in relazione al mondo.

Considerate le seguenti fonti d'informazione:

1. Il conduttore del notiziario della sera dice che è scoppiato un vasto incendio nello Stato del Colorado. Sono già andati in fumo 50.000 ettari di territorio e l'incendio è ancora completamente fuori controllo.

2. I biologi dicono che il DNA è la base molecolare per la riproduzione sessuale. Ognuno di noi assomiglia ai genitori perché ereditiamo parte del loro DNA. Ognuno di noi ha braccia e gambe in quanto il DNA ha codificato le proteine necessarie a generarle nelle prime fasi del nostro sviluppo.

3. Il Papa dice che Gesù è nato da una vergine ed è risorto in carne e ossa dopo la morte. Egli è figlio di Dio, che ha creato l'universo in sei giorni. Se credete a queste cose, quando morirete andrete in paradiso; se non ci credete, andrete all'inferno, dove soffrirete per l'eternità.

Che differenza c'è tra queste forme di testimonianza? Perché non tutte le "opinioni degli esperti" sono ugualmente degne di rispetto? Considerata l'analisi condotta sinora, non dovrebbe essere difficile attribuire autorità alle fonti 1 e 2, senza invece degnare di considerazione la 3.

Proposizione 1: perché consideriamo convincente la notizia sull'incendio in Colorado? Potrebbe essere una bufala. Ma che dire di tutte quelle immagini televisive che mostrano fianchi di collina divorati dalle fiamme e aeroplani che spargono agenti ritardanti contro l'incendio? Forse l'incendio è effettivamente in corso, ma in un altro Stato: forse è il Texas a bruciare. È ragionevole crederlo? No. E perché? È a questo punto che il termine "buonsenso" inizia ad assumere significato. Considerate le nostre credenze relative alla mente umana, il successo della collaborazione diffusa con gli altri esseri umani e il livello di affidabilità che attribuiamo alle notizie, è difficilmente concepibile che una rete televisiva di tutto rispetto e un conduttore pagato profumatamente abbiano montato una bufala, o che migliaia di pompieri, giornalisti e proprietari di abitazioni terrorizzati abbiano scambiato il Texas col Colorado. Queste valutazioni suggerite dal buonsenso implicano la comprensione dei nessi causali tra vari processi del mondo, la probabilità di esiti differenti e gli interessi personali (o l'assenza di questi ultimi) di coloro di cui prendiamo in considerazione le testimonianze. Che cosa ci guadagnerebbe un conduttore televisivo professionista a mentire su un incendio in Colorado? In questo caso non è necessario addentrarsi nella questione. Se il conduttore del notiziario serale dice che è in corso un incendio in Colorado e poi ci mostra immagini di alberi in fiamme, possiamo avere la ragionevole certezza che in Colorado sia veramente in corso un incendio.

Proposizione 2: che dire delle "verità" della scienza? Sono realmente vere? Si è scritto molto in merito al carattere non definitivo delle teorie scientifiche. Karl Popper ci ha detto che non possiamo mai provare la verità di una teoria: possiamo solo non riuscire a dimostrarne la falsità. Thomas Kuhn ci ha detto che le teorie scientifiche sono soggette a revisioni generalizzate in ogni generazione e quindi non convergono verso la verità. Non c'è modo di sapere quale delle teorie attuali si rivelerà falsa in futuro, quindi quanto possiamo fidarci di esse? Quelli che si sono avvicinati a queste idee da sprovveduti sono giunti alla conclusione che la scienza non è che uno dei tanti ambiti di cui l'uomo discute e, come tale, non è più ancorata ai fatti di questo mondo della religione o della letteratura. Tutte le verità sono del primo che le coglie.

Ma non tutti gli argomenti di dibattito sono sullo stesso piano, per la semplice ragione che non tutti necessitano delle stesse basi (alcuni non ne hanno affatto bisogno). La scienza è tale in quanto rappresenta il nostro tentativo più forte di verificare la veridicità delle nostre affermazioni sul mondo (o quanto meno la loro non falsità). Facciamo questo grazie all'osservazione e agli esperimenti, nel contesto di una teoria. Dire che una determinata teoria scientifica è sbagliata non significa asserire che lo sia sotto ogni aspetto, o che qualsiasi altra teoria abbia uguali possibilità di essere corretta. Quante probabilità ci sono che il DNA non sia la base dell'ereditarietà? Bene, se non lo è, Madre Natura ha certamente molte cose da spiegarci, come ad esempio i risultati di 50 anni di sperimentazione, che hanno dimostrato l'esistenza di legami tra genotipo e fenotipo (tra cui gli effetti riproducibili di mutazioni genetiche specifiche). Qualsiasi teoria sull'ereditarietà che volesse rimpiazzare gli attuali assunti in fatto di biologia molecolare dovrebbe tener conto dell'oceano di dati che ora sono coerenti con quegli assunti. Quante probabilità ci sono che un giorno scopriremo che il DNA non ha assolutamente nulla a che vedere con l'ereditarietà genetica? In pratica, nessuna.

Proposizione 3: possiamo fidarci dell'autorità del Papa? Naturalmente milioni di cattolici lo fanno. In pratica, egli è infallibile in materia di fede e moralità. Possiamo veramente dire che i cattolici siano nell'errore credendo che il Papa conosce ciò di cui parla? Certamente sì.

Sappiamo che nessuna prova basterebbe a verificare molte delle credenze essenziali del Papa. Come potrebbe una persona qualunque nata nel XXI secolo sapere per certo che Gesù è effettivamente nato da una vergine? Quale processo di raziocinio mistico o di altra natura potrebbe fornire i fatti necessari a conoscere la storia sessuale di una donna della Galilea (fatti che si scontrano in modo completo con tutti quelli ben noti della biologia umana)? Non esiste un simile processo mentale. Neppure una macchina del tempo potrebbe aiutarci, a meno che non volessimo tenere d'occhio Maria 24 ore su 24 per il mese corrispondente all'incirca al periodo in cui fu concepito Gesù.

Le esperienze visionarie, di per sé, non riescono mai a rispondere a domande di natura storica. Immaginiamo che il Papa abbia sognato Gesù, e che questi gli si sia presentato con un aspetto tale da sembrare appena uscito da un quadro di Leonardo Da Vinci. Il Papa non sarebbe neppure in grado di dire se il Gesù del suo sogno assomigliava o meno a quello vero. L'infallibilità del Papa, a prescindere dal numero di visioni e sogni che può aver avuto, non basta neppure per poter dare un giudizio sul Gesù storicamente esistito, stabilendo se aveva la barba, se era veramente figlio di Dio, se nacque da una vergine o era in grado di resuscitare i morti. Questo tipo di proposizioni non può essere avvalorato dall'esperienza spirituale.

Naturalmente potremmo immaginare uno scenario in cui dare credito al punto di vista del Papa, oppure al nostro. Se Gesù iniziasse a dire cose come "la biblioteca vaticana possiede esattamente 37.226 libri" e si scoprisse che ha ragione, inizieremmo a sentire che, almeno, stiamo dialogando con qualcuno che ha qualcosa da dire sul mondo reale. In presenza di un numero congruo di affermazioni verificabili, estrapolate dalle eteree visioni papali, potremmo iniziare a parlare seriamente di qualsiasi affermazione fatta successivamente da Gesù. Il punto è che la sua autorità scaturirebbe nell'unico modo in cui si forma di solito: facendo affermazioni sul mondo che possono essere corroborate di un'ulteriore osservazione. Per quanto riguarda la proposizione 3, è piuttosto ovvio che il Papa non si basa su altro che sulla Bibbia. Quel documento non è di per sé sufficiente a giustificare le sue credenze, alla luce degli standard probatori che erano in uso all'epoca in cui fu scritto.

Che dire della nostra tanto difesa libertà di culto religioso? Essa non è diversa dalle libertà delle nostre credenze giornalistiche o biologiche, e chiunque creda che i media stiano organizzando un grande complotto sull'incendio in Colorado, o che la biologia molecolare sia soltanto una teoria e, come tale, potrebbe rivelarsi completamente sbagliata, non fa che esercitare la propria libertà di essere preso per matto. L'irrazionalità che caratterizza la religione dovrebbe essere ulteriormente stigmatizzata, dal momento che resta una delle principali cause di conflitto armato nel nostro mondo. Prima che arriviate alla fine di questo paragrafo, probabilmente un'altra persona sarà morta in seguito a ciò che qualcun altro crede in relazione a Dio. Forse dovremmo deciderci a richiedere ai nostri simili ragioni più convincenti per preservare le loro differenze religiose, ammesso che tali ragioni esistano davvero.

Dobbiamo iniziare a parlare liberamente del contenuto effettivo dei nostri testi sacri, al di là delle timide eterodossie della modernità, come i ministri del culto omosessuali, gli ecclesiastici musulmani che non apprezzano più lo spettacolo delle mutilazioni inflitte in pubblico, o i fedeli che vanno in chiesa la domenica e non hanno mai letto la Bibbia in modo approfondito. Un'analisi attenta di questi testi e della storia dimostra che non c'è atto di crudeltà tanto raccapricciante da non poter essere giustificato, se non autorizzato, ricorrendo alle loro pagine. Soltanto compiendo indicibili acrobazie per schivare i passi la cui canonicità non è mai stata messa in dubbio possiamo evitare di annientarci l'un l'altro per la gloria di Dio. Bertrand Russell aveva ragione a osservare quanto segue:

In Messico e in Perù gli spagnoli avevano l'abitudine di battezzare i neonati indios e poi di fracassargli immediatamente il cranio: in questo modo facevano sì che quei neonati andassero in paradiso. Nessun cristiano ortodosso può trovare motivazioni logiche per condannare le loro azioni, anche se tutti oggi lo fanno. La dottrina dell'immortalità dell'essere umano, nella sua forma cristiana, ha avuto effetti disastrosi sulla morale in un'infinità di modi...

È vero che milioni di persone, spinte dalla loro fede, compiono atti straordinari di abnegazione a beneficio di altri. L'aiuto prestato ai poveri dai missionari cristiani nei Paesi sottosviluppati dimostra che le idee religiose possono portare ad azioni tanto lodevoli quanto necessarie. Tuttavia ci sono ragioni assai più valide rispetto a quelle fornite dalla religione per compiere atti di abnegazione. Il fatto che la fede abbia motivato molte persone a fare cose buone non implica che la fede di per sé sia una motivazione necessaria (o buona) per giustificare la bontà. Può ben darsi il caso (ed è un'eventualità ragionevole) che qualcuno rischi la propria vita per salvare qualcun altro senza credere cose stravaganti sulla natura dell'universo.

Al contrario, i crimini più mostruosi contro l'umanità sono stati invariabilmente ispirati da credenze ingiustificate. Questa è una sorta di tautologia. I progetti di genocidio tendono a non rispecchiare la razionalità dei loro perpetratori semplicemente perché non ci sono buone ragioni per uccidere in modo indiscriminato persone pacifiche. Anche quando hanno avuto una matrice laica, quei crimini, per essere portati a termine, hanno richiesto la credulità madornale di intere società. Prendete come esempio i milioni di persone uccisi da Stalin e da Mao: anche se questi tiranni hanno appoggiato a parole la razionalità, il comunismo è stato poco più di una religione politica. Nel cuore del suo apparato di repressione e terrore si annidava una rigida ideologia, in nome della quale sono state sacrificate generazioni di uomini e donne. Anche se le loro credenze non si spingevano oltre questo mondo, tanto Stalin quanto Mao erano uomini irrazionali e dediti a un qualche culto. Per citare solo un esempio, nella prima parte del XX secolo l'accettazione dogmatica della biologia "socialista" di Lysenko - contrapposta a quella "capitalista" di Mendel e Darwin - contribuì a spianare la strada a carestie che causarono decine di milioni di morti.

Nel prossimo capitolo esamineremo due degli episodi più cupi della storia della fede: l'Inquisizione e l'Olocausto. Ho scelto la prima in quanto in nessun altro caso, nella storia, tanti uomini e donne comuni sono stati perseguitati così ferocemente per le loro credenze su Dio; in nessun altro caso la ragione è stata sovvertita in modo così completo e mai si è assistito a conseguenze tanto terribili. L'Olocausto è pertinente in quanto, in genere, viene considerato un fenomeno completamente laico. Non è così. L'antisemitismo che, mattone dopo mattone, ha provocato la costruzione dei forni crematori (e che prospera tuttora) deriva dalla teologia cristiana. Consapevolmente o meno, i nazisti erano rappresentanti della religione.

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L'enigma dell'"umiliazione" dei musulmani

Thomas Friedman, instancabile osservatore dei conflitti che scuotono il pianeta per conto del New York Times, ha dichiarato che l'umiliazione subita dai musulmani è alla base del terrorismo di matrice islamica. Altri hanno proposto lo stesso tipo di diagnosi e i musulmani stessi affermano regolarmente che l'imperialismo occidentale ha offeso la loro dignità, il loro orgoglio e il loro onore. Che interpretazione dobbiamo dare di ciò? Per avere un esempio moderno del tipo di società che può scaturire dalla fiducia esclusiva nei principi dell'Islam, è sufficiente pensare all'Afghanistan mentre era sotto il dominio dei talebani. Chi sono quelle improbabili creature che si affrettano per strada vestite di lenzuoli funebri e vengono regolarmente picchiate per aver mostrato la caviglia nuda? Sono le dignitose (e analfabete) donne della casa dell'Islam. Zakaria e molti altri studiosi hanno osservato che, per quanto i dittatori arabi generalmente adottino una politica repressiva, tendono a essere comunque più liberali delle popolazioni che opprimono. Per esempio, il principe saudita Abdullah (uomo che non si è in alcun modo distinto come liberale) recentemente ha proposto che nel suo paese alle donne venga permesso di guidare l'automobile. Il suo popolo tanto oppresso non ha però tollerato questo livello di oppressione spirituale e il principe è stato costretto a fare marcia indietro. A questo punto della storia, non è da escludere che se concedeste a gran parte dei musulmani la libertà di voto, essi voterebbero liberamente a favore dello sradicamento delle loro libertà politiche. Non dobbiamo perdere di vista neppure per un attimo l'eventualità che potrebbero limitare allo stesso modo anche le nostre libertà, se solo avranno il potere di farlo.

Indubbiamente la nostra collusione coi tiranni musulmani (in Iraq, Siria, Algeria, Iran, Egitto e altrove) è stata spregevole. Non abbiamo fatto nulla per impedire o almeno scoraggiare i maltrattamenti e il completo massacro di decine di migliaia di musulmani da parte dei loro stessi regimi, regimi che, in molti casi, noi stessi abbiamo contribuito a instaurare. Il nostro mancato sostegno alla rivolta sciita nel sud dell'Iraq (1991), che noi stessi avevamo incoraggiato, sicuramente rientra tra le bestialità meno etiche e più significative nella politica estera degli ultimi decenni. Tuttavia la nostra colpevolezza su questo fronte deve essere affiancata alla consapevolezza che, se in quelle nazioni arrivasse improvvisamente la democrazia, questa non farebbe altro che aprire la strada alla teocrazia. Sembra che nei principi dell'Islam non vi sia nulla che impedisce di scivolare verso la sharia (legge islamica), anzi, sembra che un simile sviluppo venga addirittura incoraggiato. Si tratta di una realtà terribile, con la quale dobbiamo fare i conti. Attualmente, siamo separati dall'oceano torbido dell'irrazionalità musulmana soltanto da un muro di tirannia e violazioni dei diritti umani che noi stessi abbiamo contribuito a innalzare. Questa situazione deve essere sanata, ma non possiamo semplicemente destituire i dittatori musulmani e indire le elezioni. Sarebbe come concedere il diritto di voto ai cristiani del XIV secolo.

Pur riconoscendo l'incidenza della povertà e della mancanza di istruzione dei popoli sottomessi sull'attuale situazione politica, bisogna ammettere che non è semplice trovare una soluzione. Oggi il mondo arabo, dal punto di vista economico e intellettuale, è in una fase di profonda stagnazione che pochi avrebbero potuto prevedere, considerato il ruolo che storicamente quella civiltà ha avuto nel progresso e nella conservazione del sapere umano. Nell'anno 2002 il PIL di tutti i paesi arabi messi assieme non superava quello della sola Spagna. Fatto più preoccupante, ogni anno in Spagna si traduce in spagnolo lo stesso numero di libri che tutti i paesi arabi messi assieme hanno tradotto in arabo dal IX secolo a oggi. Questo livello di isolamento e di arretratezza è sconcertante, ma non deve portarci a credere che alla base del problema vi siano la povertà e la mancanza di istruzione. Certamente deve allarmarci il fatto che una generazione di bambini poveri e analfabeti venga indottrinata col metodo fondamentalista delle madrase (scuole religiose finanziate dai sauditi). Tuttavia, tendenzialmente, i terroristi musulmani non provengono da famiglie di bassa estrazione sociale. Molti appartengono alla borghesia, sono istruiti, e nel corso della vita non hanno manifestato segni evidenti di squilibrio. Come sottolinea Zakaria, John Walker Lindh (il giovane californiano che si è unito ai talebani) era "decisamente poco istruito", in confronto ai 19 dirottatori dell'11 settembre. Ahmed Ornar Sheikh, che organizzò il rapimento e l'uccisione del giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl, ha studiato alla London School of Economics. I militanti hezbollah che muoiono nel corso di attacchi sanguinosi in realtà provengono spesso da famiglie meno povere di quelle dei loro coetanei non militanti e in genere la maggior parte di loro ha frequentato la scuola superiore. I leader di Hamas sono tutti laureati e alcuni hanno ottenuto diplomi di specializzazione. Sospetto che la prosperità dei musulmani potrebbe persino peggiorare la situazione, in quanto sembra che gran parte dei musulmani sia portata a dubitare della validità della propria visione del mondo solo di fronte al fallimento evidente della società in cui vive. Se l'ortodossia musulmana fosse applicabile all'ambito economico e a quello tecnologico quanto il liberalismo occidentale, probabilmente saremmo destinati ad assistere all'islamizzazione della Terra.

Come abbiamo visto esaminando il caso di Osama bin Laden, il fervore religioso omicida è compatibile con la ricchezza e l'istruzione; le competenze tecniche di molti terroristi musulmani dimostrano senza ombra di dubbio che essa è compatibile anche con una formazione scientifica. Ecco perché non esistono "sostituti" cognitivi o culturali per desacralizzare la fede stessa. Finché un individuo pensa di conoscere la verità di Dio in merito alla vita degli uomini, continueremo a ucciderci l'un l'altro sulla base dei nostri miti. Dobbiamo riconoscere che i musulmani non hanno detto nulla di decisivo per screditare le azioni dei dirottatori dell'11 settembre, ma si sono limitati a ripetere la solita fandonia secondo cui questi uomini in realtà erano ebrei. Attualmente i musulmani sono ancorati a una trama di miti e di teorie del complotto e le loro azioni ed esortazioni sembrano volte esclusivamente al raggiungimento e al recupero dei fasti del VII secolo d.C.

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La falsa scelta del pacifismo

Il pacifismo generalmente è ritenuto inattaccabile dal punto di vista morale, come posizione da assumere nei confronti della violenza umana. In genere se ne parla in termini negativi solo per affermare che si tratta di una posizione difficile da mettere in pratica. Non è quasi mai etichettato come palesemente immorale, come invece io penso che sia. Dovrebbe essere sufficiente notare che un solo sociopatico, armato di un semplice coltello, potrebbe sterminare una città piena di pacifisti. È fuor di dubbio che simili sociopatici esistano, e in genere sono armati in modo migliore. Temendo che le riflessioni fatte in precedenza sulla tortura possano offrire un argomento molto potente al pacifismo, vorrei tentare di spiegare perché ritengo che si debba accettare il fatto che la violenza (o la minaccia della violenza) sia spesso una necessità etica.

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