Copertina
Autore Steven Heller
CoautoreVéronique Vienne
Titolo 100 idee che hanno rivoluzionato il graphic design
EdizioneLogos, Modena, 2012 , pag. 216, ill., cop.fle., dim. 21x27x1,8 cm , Isbn 978-88-576-0059-8
Originale100 Ideas that Changed Graphic Design [2012]
TraduttorePaolo Satta
LettoreFlo Bertelli, 2012
Classe design , illustrazione , comunicazione , storia dell'arte
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Indice


Introduzione                                          6

100 Idee che hanno rivoluzionato il graphic design    8

Glossario                                           208
Bibliografia                                        210
Indice analitico                                    212
Crediti fotografici                                 215

    ____________________________________________

      1   IL LIBRO                           8
      2   CARATTERI SUL CORPO               10
      3   DESIGN TRASFERIBILI               12
      4   RAGGI                             14
      5   IL PASTICHE                       16
      6   DITO PUNTATO                      18
      7   VANITAS                           20
      8   IL PUGNO CHIUSO                   22
      9   IMMAGINI MONUMENTALI              24
     10   ARCHETIPI FEMMINILI               26
     11   CAMPITURE DI COLORE               28
     12   LA DECORAZIONE                    30
     13   LOGHI DECORATI                    32
     14   MASCOTTE IN STILE NAÏF            34
     15   LO SPIRITO IMPRENDITORIALE        36
     16   LETTERING METAFORICO              38
     17   MAIUSCOLE CON SVOLAZZI            40
     18   TESTI COME IMMAGINI               42
     19   GIOCHI DI PAROLE VISIVI           44
     20   IL FORMATO QUADRATO               46
     21   FIGURAZIONE PRIMITIVA             48
     22   LA PROPAGANDA                     50
     23   IL MANIFESTO OGGETTO              52
     24   LE SAGOME DI CARTA                54
     25   MANIFESTI PROGRAMMATICI           56
     26   RIVISTE DI DESIGN GRAFICO         58
     27   GEOMETRIE BOTANICHE               60
     28   1 CALLIGRAMMI                     62
     29   TIPOGRAFIA STRILLATA              64
     30   TIPOGRAFIA ASIMMETRICA            66

          [...]

     80   RIVISTE PER ADOLESCENTI          166
     81   SABOTAGGIO CULTURALE             168
     82   ALTO CONTRASTO                   170
     83   PSICHEDELIA                      172
     84   LA STAMPA IRIDATA                174
     85   FUMETTI UNDERGROUND              176
     86   COPERTINE DISCOGRAFICHE          178
     87   GLI SLOGAN STRADALI              180
     88   TABÙ SESSUALI INFRANTI           182
     89   EDITORIA AUTO-PROMOZIONALE       184
     90   LE TAG                           186
     91   IL CODICE A BARRE                188
     92   DESIGN SPONTANEO                 190
     93   LA TEORIA FRANCESE               192
     94   L'AUTOPRODUZIONE                 194
     95   CARATTERI MINUTI                 196
     96   TITOLI DI COPERTINA              198
     97   GUERRILLA ADVERTISING            200
     98   PIXELLIZZAZIONE                  202
     99   GLI AMBIGRAMMI                   204
    100   I SITI WEB DEI DESIGNER          206
    ____________________________________________



 

 

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Pagina 6

Introduzione


Per spiegare l'origine dell'universo i fisici citano la teoria del Big Bang. Allo stesso modo, noi riteniamo che vi siano stati almeno 100 Big Bang nella storia dell'arte grafica, che aiutano a spiegare perché le opere di design grafico abbiano un determinato valore estetico ed emotivo. Potremmo definirla la teoria della "grande idea".

Dunque, che cos'è una "grande idea"? Iniziamo con quella relativa a questo libro. Il nostro obiettivo è individuare, definire, analizzare e spiegare le grandi idee che hanno generato quella "massa critica" da cui si sono sviluppate le capacità produttive e le conoscenze della grafica moderna. Alcune tra queste grandi idee derivano dai secoli passati; altre provengono direttamente dal periodo compreso tra l'inizio e la metà del XX secolo; altre ancora, infine, furono concepite tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo. Abbiamo cercato di esporre queste idee in ordine cronologico, in quanto alcune di esse, come il body painting, hanno avuto origine centinaia di anni fa. Ciò nonostante, alcuni di questi momenti creativi sono tuttora avvolti dall'incertezza, pertanto la cronologia è solo approssimativa.

A questo punto, cosa sono le grandi idee? Sono nozioni, concezioni, invenzioni e ispirazioni - formali, pragmatiche e concettuali - sfruttate dai designer grafici per migliorare tutte le forme di comunicazione visiva. Queste idee sono diventate, attraverso operazioni di sintesi e l'applicazione prolungata nel tempo, il linguaggio naturale della grafica. Esse costituiscono i costrutti tecnologici, filosofici, formali ed estetici del design grafico.

Uno dei criteri chiave per definire una grande idea è sicuramente la sua risonanza. Se si può dimostrare che un'idea ha influenzato nel tempo la pratica e la teoria del design grafico, allora si può portare un argomento a sostegno della sua importanza. Inoltre, se gli artefatti che incarnano questa stessa idea sono numerosi o ricorrenti, allora è nuovamente presumibile che l'idea abbia un certo peso.

Questo volume non è un'antologia di "ismi" (in passato ne è già stato confezionato un numero considerevole), in quanto noi li consideriamo mere categorie utilizzate per raggruppare diverse grandi (e piccole) idee. Catalogate tra i grandi "ismi" della storia possono comparire numerose grandi idee, come la tipografia asimmetrica o i colori vibranti, che sono tratti caratteristici di uno o più movimenti o scuole particolari. Invece di sfiorare a malapena la superficie usando la scorciatoia degli "ismi", questo libro intende setacciare queste categorie della storia dell'arte ed estrapolare le singole grandi idee al loro interno.

Una grande idea può essere collegata a un solo periodo o attraversare diverse epoche storiche. Potrebbe uscire di moda per poi vivere una successiva riscoperta. Questo volume tenta di stabilire approssimativamente quando fu concepita una grande idea (se possibile), ma esamina anche le sue relative applicazioni in quelle che vengono ritenute le sue migliori espressioni. Laddove è possibile, vengono mostrati anche esempi contemporanei per illustrare, fra le varie possibilità, come un'idea divenuta antiquata sia stata successivamente riscoperta.

Le 100 idee qui illustrate sono forse le uniche grandi idee? Potremmo averne escluse alcune o dimenticate altre. La specificazione all'inizio di questa premessa che esistono "almeno" 100 idee implica sicuramente la presenza di altre. In effetti, restringere il loro numero non è stato affatto facile. Quando abbiamo iniziato a elencare e annotare le idee, separando il grano dalla pula, ed escludendo quelle che potevano sembrare idee ma che in realtà erano soltanto stilemi o tecniche ormai abusate - più ostentazioni di stile piuttosto che fondamenti sostanziali della grafica - abbiamo stabilito che le invenzioni decisive a livello concettuale sono state assai più numerose. Tuttavia 100 è un bel numero rotondo. E noi speriamo che racchiuse nelle pieghe di queste idee, forse, se ne nascondano altre minori che possano avere anch'esse una certa risonanza.

Lo stile, come abbiamo notato prima, è formato da una serie di stilemi o tecniche ingegnose che possono emergere come sottoprodotti di un'idea. Lo stile grafico psichedelico è una combinazione di varie idee affrontate nel testo. E prima ancora, l'Art déco era una manifestazione coerente di diverse idee grafiche.

Quanti designer grafici sono necessari affinché si affermi una grande idea? Quelle che rappresentano una svolta possono essere accreditate a un singolo individuo, ma spesso sono già pronte per salire alla ribalta e restano solo in attesa di qualcuno che le sostenga. Eppure, rimane sempre un mistero da chiarire: cosa viene prima, la grande idea o il grande cambiamento? Quanti Rodčenko ci sono voluti per definire la rivoluzione visiva del movimento costruttivista? Alexey Brodovitch era un genio, o semplicemente il prodotto del suo tempo? E come è possibile che nessuno ricordi chi ha disegnato il simbolo onnipresente della carta riciclata, mentre tutti sanno che Paul Rand ha creato il logo della sciagurata Enron? Il vostro contributo al design grafico potrebbe anche non essere mai riconosciuto, ma il mondo potrà essere un luogo migliore se parteciperete alla formulazione di una grande idea.

Alcune delle nostre grandi idee hanno avuto inizio come piccole invenzioni (o come mere migliorie tecniche) o perfino sotto forma di espedienti, ma nel tempo si sono ricavate uno spazio importante. Si sono concretizzate in artefatti grafici familiari. Esistono anche grandi idee che negli anni non si sono dimostrate poi così grandi. Vengono alla mente i manifesti ideologici dei movimenti artistici: molti di essi erano esercizi di auto-esaltazione, ma erano anche riti di passaggio, e come tali hanno avuto una loro rilevanza.

Tutte le grandi idee sono anche "buone" idee? Purtroppo no. Ne abbiamo elencate molte che non hanno migliorato il nostro modo di comunicare visivamente, pur esercitando una forte influenza sulla professione del designer grafico e al contempo della cultura visiva. Pastiche? Obsolescenza forzata? Graffiti? Il giudizio spetta a voi. Non abbiamo comunque avuto timore di esprimere la nostra opinione quando eravamo convinti che un'idea non fosse tanto brillante come avrebbe dovuto. A volte abbiamo anche sfidato la versione ufficiale riguardo al valore di determinate pratiche di design grafico o ai risultati ottenuti da un'invenzione. In altre parole, abbiamo agito vestendo i panni dei critici almeno quanto quelli degli storici. Il nostro scopo è incoraggiare i lettori a fare esattamente lo stesso. Il design grafico ha bisogno di molti più critici.

Alcune grandi idee sono forse più grandi di altre? Mentre possono anche non essere "buone" idee, alcune sono sicuramente grandi idee in relazione al loro impatto. Alcune relativamente minori possono avere una certa importanza nel settore e anche nella cultura generale. La stampa iridata, ad esempio, non è un'idea sconvolgente, ma ha contribuito a definire un'estetica che ha delineato i codici visivi della generazione degli anni '60. Analogamente, la pellicola Kodalith non si può certo paragonare all'invenzione della ruota, ma ha contribuito al linguaggio della grafica, consentendo a designer che operavano con budget limitati di comunicare il proprio messaggio al mondo. Parafrasando George Orwell, alcune grandi idee sono più uguali di altre.

Quali grandi idee ha in serbo il futuro? Nello sviluppo della grafica nel XXI secolo, considerando anche i progressi nella tecnologia e nell'integrazione dei differenti media (compresi il movimento e il suono in numerosi dispositivi digitali), le grandi idee sono tuttora essenziali. La nostra speranza è che i temi trattati nel libro non siano il coronamento definitivo (ovvero la pietra tombale) dell'arte e della pratica del design grafico. In termini di comunicazione visiva, molte delle idee esposte in questo libro sono tuttora significative. Alcune potrebbero fare ricorso a qualche piccolo ritocco o a una revisione più sostanziale. Eppure, altre daranno senza dubbio il via a nuove idee che definiranno ulteriormente ciò che siamo e ciò che facciamo.

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Pagina 8

Quando inchiostro e carta si incontrano: comunicare parole, immagini, idee


IDEA N° 1 - IL LIBRO


Dall'invenzione dei caratteri mobili nel XV secolo, il libro ha rappresentato un laboratorio di sperimentazione per scrittori, artisti e tipografi. Nonostante l'avvento dei media digitali, oggi la stampa è tutt'altro che morta. John Plunkett, fondatore di Wired, ha previsto che le informazioni ordinarie si riverseranno sui media elettronici, mentre "i contenuti straordinari resteranno nell'ambito della stampa".

Mentre un grande testo stimola l'immaginazione, un grande design offre al lettore ulteriori livelli di percezione. Anche i componenti elementari della grafica - la texture della carta, il taglio dei caratteri, lo stile del titolo corrente - rappresentano molto più che dettagli estetici. Il ruolo del designer consiste da sempre nell'aiutare il lettore facendo risaltare la narrazione. Nell'edizione del 1908 di Ecce Homo di Nietzsche, l'architetto e designer Henry van de Velde sostituì l'antiquata composizione con decorazioni in stile Art Nouveau. Mentre gran parte degli editori di testi commerciali si accontentava di produrre pagine di testo ininterrotto, alcuni editori illuminati miravano all'integrazione totale di caratteri e immagini.

All'inizio del XX secolo, la grafica era ormai diventata parte integrante del contenuto. Il poema sonoro Zang Tumb Tuuum del 1914 del futurista italiano Filippo Marinetti trasformò radicalmente la composizione editoriale introducendo sulla stessa pagina diversi tipi di caratteri con spessore e corpo variabili; questi erano disposti in modo tale da rievocare il rombo delle macchine e dei motori descritti nei testi. Nel 1923 l'artista e designer russo El Lissitzkij collaborò con il poeta Vladimir Majakovskij a una raccolta di poesie, Per la voce, scritte per essere declamate ad alta voce in pubbliche letture: Lissitzkij trasformò i caratteri di testo in pittogrammi, fornendo al lettore ulteriori indicazioni da seguire riguardo all'intonazione e al significato. L'opera Depero Futurista di Fortunato Depero (rilegata con due bulloni di metallo) diede nuovo slancio alla tipografia, tanto che leggere il testo era come sperimentare il movimento di un veicolo ad alta velocità. Questi libri non erano semplici contenitori neutri, ma palcoscenici sui quali si esibivano parole e immagini.

L'innovazione nella grafica editoriale non è definita esclusivamente da svolte radicali. The Alphabet di Frederic Goudy, del 1918, è basato su una composizione con asse centrale (i caratteri sono disposti in modo simmetrico sul piano di stampa), nata dalle tradizioni editoriali italiane e francesi del XVII e XVIII secolo. Il volume fu composto con caratteri e ornamenti creati da Goudy (influenzati dal passato) allo scopo di raggiungere equilibrio e armonia. Alla fine del XX secolo ha avuto luogo un revival di natura sperimentale. Volumi come S,M,L,XL di Bruce Mau e Rem Koolhaas o Damien Hirst di Jonathan Barnbrook del 1997 (vero e proprio catalogo di pop-up, inserti, interfogli e fustellature), non solo hanno testato i limiti del libro ma lo hanno ridefinito come oggetto. Anche grazie alle nuove tecnologie, il ruolo decisivo del grafico editoriale sia come plasmatore di forme che come dispensatore di contenuti rende il libro stampato un terreno sempre più fertile per sprigionare la creatività.

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Pagina 118

Le tinte accese attirano l'attenzione


IDEA N° 56 - COLORI CHE VIBRANO


L'uso di colori vibranti è legato sia allo stile psichedelico degli anni '60 - un miscuglio estatico di sesso, droga e rock'&'roll - sia all'artista del Bauhaus Josef Albers. Negli anni '50, Albers insegnava al Black Mountain College nella Carolina del Nord e alla Yale University. Tramite i suoi corsi di Interazione del colore contribuì involontariamente a lanciare la tendenza dei colori vibranti, che avrebbero caratterizzato i manifesti psichedelici e dato nuovo slancio cromatico alle idee grafiche.

Victor Moscoso, studente di Albers a Yale e uno dei primi padri putativi dei colori vibranti (ovvero particolari accostamenti cromatici che generano un effetto ottico simile a una vibrazione lungo i contorni), ha affermato: "I famosi esercizi con le carte colorate di Albers mi facevano pensare alle inutili lezioni di algebra alle scuole superiori". Eppure, benché lo facesse letteralmente uscire pazzo, la teoria dei colori si dimostrò una risorsa inestimabile. "L'importanza di Albers si rivelò solo nel periodo dei manifesti psichedelici, quando mi ritrovai in una situazione in cui l'unica cosa che potevo fare era tornare alla mia polverosa scrivania, per così dire, e mettere a frutto ciò che avevo imparato". I principi che Moscoso attribuì a Albers non erano, tuttavia, scolpiti nella pietra. Al contrario, sembravano fatti apposta per essere infranti. "Evitate colori vibranti", si trasformò, ad esempio, in "Usateli ogni volta che potete e irritate gli occhi il più possibile". La norma in base alla quale il lettering doveva essere sempre leggibile fu modificata in "occultate le scritte il più che potete e rendetele difficili da leggere". Se Albers fosse stato consapevole di ciò che aveva creato, sarebbe di certo rimasto disorientato. Eppure l'uso di Moscoso dei colori vibranti non era poi così lontano da quello dell'opera originale di Albers. Un elemento significativo della teoria di Albers era il suo concetto della relatività del colore - lo stesso colore cambia, cioè, in relazione a ciò che lo circonda e alla condizione dell'osservatore. "Per poter usare il colore efficacemente, è necessario sapere che esso ci inganna di continuo", scrisse Albers. Il colore è responsabile della produzione di effetti ingannevoli e imprevedibili, rendendo possibili letture multiple della stessa tinta a seconda dei colori che la circondano. L'uso dei colori vibranti era un affronto per i sensi, ma di certo produceva effetti ingannevoli e imprevedibili.

Albers non mescolava mai i suoi colori: li depositava direttamente dal tubo sulla tela. Costringeva il pubblico a entrare in una relazione mutevole e dinamica con il suo dipinto, piuttosto che indurlo ad accettare passivamente una verità visiva. Anche le vibrazioni create da Moscoso inducevano l'osservatore a un rapporto palpitante e cinetico con la superficie bidimensionale dell'immagine, che alimentava una relazione più dinamica rispetto a quella ottenibile con una semplice tinta piatta.

I colori vibranti sono oggi uno dei numerosi strumenti a disposizione dell'armamentario del colorista. Sviluppate a partire dalla psichedelia, le stridenti combinazioni cromatiche che simulano la tridimensionalità ottica sono tuttora comuni in immagini che si richiamano all'estetica della cultura giovanile.

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Pagina 126

Creare un paesaggio nella propria mente


IDEA N° 60 - DIAGRAMMI ASTRATTI


I diagrammi sono astratti per definizione: non intendono riprodurre la realtà ma proiettare nella mente un'immagine che sostenga la nostra immaginazione. A differenza delle cartine geografiche, basate su evidenze di natura fisica, i diagrammi sono semplicemente immagini mentali. Eppure, i confini tra grafici e mappe sono sempre più sfumati. Gli algoritmi dei computer consentono di visualizzare i dati, traducendo le informazioni in forme concrete che mettono in discussione la stessa nozione di astrazione.

Non è chiaro se Harry Beck, creatore della cartina della metropolitana di Londra del 1933, fosse a conoscenza del celebre assioma di Alfred Korzybski "la mappa non è il territorio". I due uomini, entrambi ingegneri, lavoravano a migliaia di chilometri di distanza, il primo a Londra e il secondo in America, eppure le loro opere viaggiavano su binari paralleli: in modo indipendente, ma concomitante, si interessarono entrambi alla rappresentazione grafica di informazioni astratte.

Mentre il filosofo e ingegnere polacco Korzybski cercò di mappare le nostre modalità di pensare, Beck, un impiegato della metropolitana, fece lo stesso con le nostre modalità di spostamento. Nel suo tempo libero, ideò un diagramma topologico del sistema della metropolitana londinese che tralasciava le distanze geografiche proponendo invece un'elegante struttura geometrica: un reticolo di linee rette costellate di diamanti, che rappresentavano i nodi di scambio. Ai viaggiatori la cartina piacque moltissimo e fu immediatamente adottata. In effetti, la gente si identificava così tanto con la rappresentazione astratta di quella che fino allora tutti consideravano solo una rete confusa e intricata di stazioni che la mappa diventò il territorio.

Alcuni diagrammi sono così affascinanti da creare una realtà propria. Nel 1936 Alfred H. Barr Jr., giovane direttore del Museum of Modern Art di New York, ottenne esattamente questo risultato quando disegnò un diagramma su cui aveva registrato i vari movimenti d'avanguardia che avevano influenzato il cubismo e l'arte astratta. Nel suo grafico rosso e nero, suddiviso lungo il lato verticale in una sequenza cronologica a partire dalla morte di Van Gogh nel 1890, i precedenti 50 anni avevano l'aspetto di un trionfo di "ismi". Frecce rivolte verso il basso, che congiungevano i vari gruppi, suggerivano che la storia dell'arte si muoveva solo in una direzione, verso il genere di modernismo sostenuto dal museo. Eppure non si trattò di un esercizio futile: la serie di cause ed effetti che Barr aveva ideato per la sua dimostrazione grafica è stata messa in discussione solo di recente.

Oggi, grazie ai software di design, si può accuratamente "mappare" qualsiasi informazione astratta. Nel 2006, per illustrare un articolo del New York Times sulle complesse reti di spionaggio internazionale, Lisa Strausfeld e James Nick Sears, entrambi dell'agenzia Pentagram, riuscirono a visualizzare in 3D la relazione in continua evoluzione tra terroristi, eventi, luoghi e attacchi. La creazione di diagrammi accurati che rendano possibili l'analisi e l'interprezione delle informazioni sta rapidamente diventando una competenza fondamentale per i designer grafici contemporanei.

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Pagina 134

Nulla è sacro né intoccabile


IDEA N° 64 - LA PARODIA


Si può affermare che la parodia rappresenti la forma più comune di satira visiva. Sebbene risalga ormai a secoli fa, la pratica di alterare un'immagine in un gioco di parole visivo o con un'altra trovata grafica è stata largamente sfruttata nella seconda metà del XX secolo. Con la crescita del consumismo sono state create campagne pubblicitarie ben accolte dal pubblico eppure divenute oggetto di imitazione parodistica.

Una delle riviste che idearono la parodia "moderna" fu Ballyhoo, pubblicata in America negli anni '20 e '30, interamente dedicata a caricature di pubblicità nazionali e campagne aziendali.

È necessario che il pubblico abbia una conoscenza profonda dell'originale per apprezzarne l'ironica alterazione. L'umorismo parodistico è un delicato equilibrio tra riconoscimento e sorpresa. Quando il National Lampoon stampò in copertina una copia virtualmente identica del celebre autoritratto di Van Gogh con l'orecchio mozzato, all'inizio l'osservatore riconosceva l'originale con il bendaggio sull'orecchio. A una seconda occhiata era chiaro che Van Gogh teneva in mano l'orecchio, cosa che, ovviamente, non avviene nell'originale.

Le parodie non sono sempre ideate per schernire l'obiettivo ma spesso, al contrario, per farlo riconoscere al pubblico - dandogli anche la soddisfazione di far parte del gioco. Pochi bersagli di parodia risultano tanto efficaci quanto le opere d'arte più celebri, e poche tra queste sono più note della Gioconda. Il suo sorriso emblematico è oggetto di così tante reinterpretazioni, spesso umoristiche, che l'immagine fa ormai parte del linguaggio visivo popolare. Quando Rick Meyerowitz creò "Mona Gorilla" come copertina del National Lampoon lanciò la moda di ritrarre personaggi celebri della storia dell'arte in forma di animali.

Anche grandi opere grafiche d'avanguardia sono state bersaglio di parodia. Decine di opere, da Colpisci i bianchi con il cuneo rosso di El Lissitzky del 1919 (vedi p. 68) fino al manifesto Dylan di Milton Glaser del 1966, sono oggetto di rivisitazioni satiriche frequenti.

Una copertina parodistica di Der Spiegel ritraeva, nel 2002, George W. Bush nei panni di Rambo insieme ai suoi consiglieri, trasformati in una schiera di guerrieri mitici. Ma la parodia fu un'arma a doppio taglio e quella che i redattori tedeschi consideravano una satira provocatoria alla vigilia della guerra in Iraq, alla quale erano contrari, fu percepita come un elogio da parte di colui che l'aveva voluta. L'effetto della parodia, quindi, dipende sempre dall'interpretazione del pubblico.

La parodia sembra piuttosto semplice da mettere in pratica - basta riprendere un'immagine famosa e conferirle un taglio diverso - ma in realtà è una delle tecniche più difficili da attuare con successo. Se l'autore si prende libertà eccessive, la parodia ne risentirà; d'altro canto, se il materiale non è abbastanza elaborato, il risultato potrebbe essere considerato un plagio.

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Pagina 159

Caratteri grossi e vistosi che invitano all'acquisto


IDEA N° 76 - IL BIG BOOK LOOK


Nella metà degli anni '50 il designer americano Paul Bacon definì un tipo di grafica per testi letterari nota come "big book look", in cui la copertina del libro era formata da un grosso titolo, dal nome dell'autore a grandi caratteri e da una piccola immagine simbolica. Il look fu concepito nel 1956, per la sopraccoperta di Compulsion di Meyer Levin, un libro basato sulla storia vera di due giovani che uccisero un ragazzo per vedere se sarebbero riusciti a farla franca.

L'editore voleva che la sopraccoperta evocasse il fatto di cronaca senza enfatizzare l'aspetto sensazionalistico. Bacon fece vari schizzi di prova finché non gli venne l'idea di collocare la parola Compulsion, scritta a mano in modo abbozzato, sulla parte alta della sopraccoperta, occupando un quinto dello spazio a disposizione. Sotto di essa, erano stampate in rosso due piccole figure, disegnate con tratti nervosi, che si dirigevano verso l'area vuota sottostante il titolo. L'illustrazione ricorda la locandina e i titoli espressionisti di Saul Bass del 1955 per il film L'uomo dal braccio d'oro (vedi p. 156), ma fu anche influenzata dagli album jazz che Bacon aveva disegnato a partire dalla fine degli anni '40. Il libro divenne un grande bestseller e la sopraccoperta attirò l'attenzione dell'industria editoriale statunitense. Altri editori non persero tempo a contattare Bacon per incaricarlo di disegnare le sopraccoperte dei loro potenziali bestseller.

Le opere grafiche di Bacon possono essere considerate l'incarnazione più emblematica della grafica di copertine commerciali del tardo XX secolo: un vero patrimonio di scritte, illustrazioni e caratteri eclettici prima della rivoluzione digitale. Un aspetto forse ancor più importante è che le sue sopraccoperte contribuirono alla vendita dei libri. Agli editori piaceva usare un'icona o un logo sulla sovraccoperta invece dei trattamenti convenzionali con caratteri e illustrazioni narrative. Bacon era bravo, come sosteneva egli stesso, "a trovare qualcosa che avrebbe rappresentato una sintesi grafica dell'argomento della storia".

Anche se non era un tradizionalista, non seguiva comunque le nozioni moderniste di Paul Rand, Alvin Lustig e Leo Lionni, che curavano le loro copertine con maggiore sofisticazione e cura dei dettagli. Bacon ammirava questi designer, ma in genere le loro copertine editoriali erano realizzate per testi di critica, analisi o letteratura con tirature limitate, consentendo loro una totale libertà d'azione con scarsissime interferenze. L'orientamento più commerciale delle opere di Bacon richiedeva che egli si attenesse alle esigenze del marketing e della pubblicità.

Sebbene gran parte delle copertine di Bacon fosse basata su un'idea o un'immagine concettuale, quella per Lamento di Portnoy (1969) di Philip Roth fu assolutamente insolita. Si trattava solo di caratteri su sfondo giallo, senza trovate fantasiose, a eccezione dell'uso di svolazzi sulle maiuscole (con grazie fluttuanti o arricciate) nel titolo e nel nome dell'autore. Quando gli fu chiesto perché avesse evitato la sua tipica immagine concettuale, Bacon rispose che era a causa della difficoltà di ritrarre il tema più importante del libro, la masturbazione.

Nelle copertine dei libri odierni si cerca sempre più spesso di creare un effetto di ambiguità - ricorrendo sulle sopraccoperte a illustrazioni frammentate e allusive con caratteri distorti -, aspetto che può spiegare perché il "big book look", anche se non è stato totalmente dimenticato, non sia più considerato un codice di design.

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Pagina 176

Le storie proibite vanno di moda


IDEA N° 85 - FUMETTI UNDERGROUND


Nel 1968 il fumetto underground ("comix") iniziò ad attaccare i valori conservatori della società post-bellica in declino. Quindici anni prima, nel 1954, l'industria dei fumetti aveva accettato di regolamentarsi tramite la Comics Code Authority, che applicava rigidi standard riguardo al "materiale appropriato" trattato nei fumetti prima di concedere l'approvazione - senza la quale un'opera non poteva essere distribuita. Eppure questa forma di repressione dei fumetti fomentò un moto di rivolta.

I primi comix fecero la loro comparsa nei giornali underground, come l' East Village Other di New York e la sua pubblicazione gemella, Gothic Blimp Works, in cui Robert Crumb, Kim Dietch, Gilbert Shelton, S. Clay Wilson e Spain Rodriguez lanciarono il loro assalto ai principi convenzionali. Anche se avevano l'aspetto di riviste di fumetti e si leggevano come tali, in realtà si trattava di "com-mix" (dal termine comics, fumetti), un mix di linguaggio visivo convenzionale e storie proibite.

In prima linea nella rivoluzione del fumetto vi fu Zap #1. Avvisando che la rivista era rivolta "solo a intellettuali adulti", Robert Crumb introdusse una selezione di storie, compreso l'ormai classico Keep on Truckin ("Continua a camminare"), che affondavano le radici nella satira irriverente della rivista MAD. Rileggendole oggi, queste storie appaiono assai più misurate rispetto al successivo gusto per le oscenità tipico dell'underground. Ma all'epoca perfino le rappresentazioni comiche di nudi frontali, le immagini dell'uso di droghe per divertimento e gli stereotipi razziali mettevano a dura prova la tolleranza dei principi morali della società.

Victor Moscoso e Rick Griffin furono tra gli artisti grafici più importanti della scena di San Francisco. Crumb invitò Moscoso, Griffin e S. Clay Wilson, già ben conosciuti nei circoli della stampa underground, a partecipare a Zap #2.

I problemi con la Comics Code Authority furono evitati aggirando i tradizionali rivenditori di fumetti e distribuendo direttamente attraverso gli head shops, che erano fioriti nei quartieri roccaforte degli hippie nelle metropoli e città universitarie. Quando furono pubblicati Zap #3 e #4, ormai le vendite raggiungevano le 50.000 copie per la prima edizione. I primi due numeri di Zap furono piuttosto inoffensivi rispetto a Zap #3, che scatenò violente reazioni ai suoi contenuti provocatori perfettamente in linea con l'avvertimento "solo per adulti". La doppia pagina centrale a cura di Moscoso presentava disegni di Paperino e Paperina impegnati in promiscui intrallazzi amorosi. Negli anni '70, la volgarità più ostentata era ormai un elemento fondamentale dei comix, dai quali è presumibile che si diffuse anche in altri media. Zap è ormai diventato oggetto di studio, soprattutto per capire il modo in cui le idee estreme, se liberate da qualsiasi freno, finiscano per perdere il loro carattere più misterioso e di minaccia per la società. I lavori underground si sono ritagliati un posto nella moda dominante, fino a evolvere nelle graphic novel e nei graphic movie.

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Pubblicità surrettizia


IDEA N° 97 - GUERRILLA ADVERTISING


Il termine "guerrilla" evoca furtive operazioni di guerra. Alla fine degli anni '90 fu applicato a un genere di provocatorie campagne pubblicitarie cittadine. Nota anche come NBDB (never been done before, "mai fatte prima") o ambient advertising, implica l'affissione più o meno vandalica di messaggi su luoghi e oggetti di norma privi di pubblicità, come bucce di banana o perfino disinfettanti per wc. Altri luoghi includono marciapiedi, soffitti dei taxi e graffiti sulle vetrine dei negozi.

L'irriverente agenzia di New York Kirshenbaum Bond Senecal + Partners, antesignana del guerrilla marketing, dipinse sui marciapiedi di New York nel 2007 lo slogan From here it looks like you could use some new underwear per un marchio di abbigliamento intimo. Un anno dopo l'agenzia di Seattle Creature creò la cosiddetta campagna del "Buon samaritano" per Starbucks, applicando in modo instabile tazze di carta rossa sui soffitti di decine di taxi: se un "buon samaritano" avvertiva il passeggero del taxi della presenza della tazza prima di andarsene, avrebbe ricevuto un buono regalo da Starbucks. Durante la stagione di baseball del 2007, Ogilvy & Mather applicarono sottili pellicole in plastica sui finestrini di alcune automobili, che sembravano così essere stati infranti da una palla da baseball; promuovendo i New York Mets.

Non tutte le campagne di pubblicità guerrilla vengono realizzate per prodotti commerciali. All'inizio questi approcci furono utilizzati da gruppi politici che avevano accesso limitato o nullo ai mezzi di comunicazione di massa. La campagna di Amnesty International in Germania contro il traffico di esseri umani - una valigia trasparente con una donna intrappolata al suo interno - rappresentò un modo indimenticabile per ricordare alla gente l'orrore dello sfruttamento sessuale.

I metodi guerrilla furono ideati per motivi pratici. Come ha evidenziato Stephen Duncombe, storico dell'Università di New York: "La pubblicità, nonostante la sua immensità e importanza, oggi ha enormi problemi". L'avvento dei videoregistratori digitali per la TV, che consentono al pubblico di eliminare del tutto la pubblicità, insieme al ridimensionamento dei media tradizionali (reti televisive, giornali e riviste) a causa della concorrenza di Internet, hanno fatto sì che gli inserzionisti tradizionali trovino sempre più difficoltoso raggiungere il pubblico di riferimento.

Sfruttare i nuovi media non è affatto un'idea originale. Tornando agli anni '30, gli inserzionisti conquistarono i cieli con la pubblicità aerea e i piccoli dirigibili. Laddove vi è una nuova tecnologia, i pubblicitari sono tra i primi a adottarla. La colonizzazione dello spazio pubblico in molte grandi città è solo l'ultima frontiera. I tabelloni digitali e le nuove tecnologie di stampa hanno facilitato la stampa su enormi tele e l'applicazione di giganteschi adesivi di tutte le forme e dimensioni, così come è possibile proiettare immagini al laser su praticamente qualsiasi superficie. Ma quanta pubblicità "mai vista prima" verrà tollerata dal pubblico prima che si accorga che il proprio spazio personale è stato ingiustificatamente invaso?

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