Copertina
Autore Stéphane Hessel
Titolo Indignatevi!
Edizioneadd, Torino, 2011, , pag. 64, cop.fle., dim. 10,6x16,4x0,6 cm , Isbn 978-88-96873-25-0
OriginaleIndignez-vous!
EdizioneIndigène, Paris, 2010
TraduttoreMaurizia Balmelli
LettoreSara Allodi, 2011
Classe politica , paesi: Francia , paesi: Palestina
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Pagina 8

È il complesso dei fondamenti delle conquiste sociali della Resistenza che viene rimesso in discussione oggi.

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Il motore della Resistenza è l'indignazione



Hanno il coraggio di raccontarci che lo Stato non è più in grado di sostenere i costi di queste misure per i cittadini. Ma com'è possibile che oggi manchi il denaro necessario a salvaguardare e garantire nel tempo tali conquiste, quando dalla Liberazione, periodo che ha visto l'Europa in ginocchio, la produzione di ricchezza è considerevolmente aumentata? Forse perché il potere dei soldi, tanto combattuto dalla Resistenza, non è mai stato così grande, arrogante, egoista con i suoi stessi servitori, fin nelle più alte sfere dello Stato. Le banche, ormai privatizzate, dimostrano di preoccuparsi anzitutto dei loro dividendi e degli stipendi vertiginosi dei loro dirigenti, non certo dell'interesse generale. Il divario tra i più poveri e i più ricchi non è mai stato così significativo; e mai la corsa al denaro, la competizione, erano state a tal punto incoraggiate.

Il motore della Resistenza era l'indignazione. Noi, veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera, ci appelliamo alle nuove generazioni perché mantengano in vita e tramandino l'eredità e gli ideali della Resistenza. Diciamo loro: ora tocca a voi, indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e la società non devono abdicare, né lasciarsi intimidire dalla dittatura dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia.

Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi. È fondamentale. Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati. Abbracciamo un'evoluzione storica e il grande corso della storia continua grazie a ciascuno di noi. Ed è un corso orientato verso una maggiore giustizia, una maggíore libertà, ma non la libertà incontrollata della volpe nel pollaio. Questi diritti, promulgati nella Dichiarazione del 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia abbiatene pietà, aiutatelo a conquistarli.

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La mia indignazione riguardo alla Palestina



La mia principale indignazione, oggi, concerne la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. La fonte della mia indignazione è l'appello lanciato agli ebrei della diaspora da alcuni israeliani coraggiosi: voi, i nostri antenati, venite a vedere dove i nostri governanti hanno portato questo Paese, dimenticando i valori umani fondamentali dell'ebraismo. Sono andato sul posto nel 2002, poi cinque volte nel 2009. Occorre assolutamente leggere il rapporto di Richard Goldstone su Gaza del settembre 2009, nel quale questo giudice ebreo sudafricano, che peraltro si dichiara sionista, accusa l'esercito israeliano di aver commesso, nel corso dell'operazione «Piombo fuso», durata tre settimane, «azioni assimilabili a crimini di guerra e forse, in alcune circostanze, perfino a crimini contro l'umanità». A Gaza io sono tornato nel 2009, con l'intento di riscontrare personalmente il contenuto di quel rapporto. Mia moglie e io siamo riusciti a entrare grazie ai passaporti diplomatici, ma le persone che ci accompagnavano non hanno ottenuto l'autorizzazione. Neppure per la Cisgiordania. Noi invece abbiamo visitato anche i campi dei profughi palestinesi aperti nel 1948 dall'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite, dove più di tre milioni di palestinesi che Israele ha cacciato dalle loro terre aspettano un ritorno sempre più incerto. Quanto a Gaza, è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di palestinesi. Una prigione in cui ci si organizza per sopravvivere. Più ancora delle distruzioni materiali, come quella dell'ospedale della Mezzaluna Rossa a opera di «Piombo fuso», a tormentare la nostra memoria sono il comportamento degli abitanti, il loro patriottismo, il loro amore per il mare e le spiagge, la loro costante preoccupazione per il benessere dei figli, innumerevoli e ridenti. L'ingegno con cui affrontano tutte le carenze di cui sono vittime ci ha molto colpito. In mancanza del cemento per ricostruire le migliaia di case distrutte dai carri armati, li abbiamo visti fabbricare mattoni. Ci hanno confermato che nel corso dell'operazione «Piombo fuso», condotta dall'esercito israeliano, i morti — donne, bambini, vecchi nel campo palestinese — sono stati millequattrocento, contro cinquanta feriti da parte israeliana. Condivido le conclusioni del giudice sudafricano. Che degli ebrei possano perpetrare a loro volta dei crimini di guerra, è una cosa insopportabile. Nella Storia, purtroppo, gli esempi di popoli che imparano dalla propria storia non abbondano.

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Per un'insurrezione pacifica



Ho notato — e non sono il solo — la reazione del governo israeliano di fronte al fatto che ogni venerdì i cittadini di Bil'in si recano al muro contro il quale protestano senza lanciare pietre, senza ricorrere alla forza. Le autorità hanno definito questa marcia «terrorismo non-violento». Niente male... Bisogna essere israeliani per definire terrorista la non-violenza. E bisogna soprattutto essere imbarazzati per l'efficacia della non-violenza, dovuta al fatto che suscita il sostegno, la comprensione, il favore di tutti coloro che nel mondo si oppongono all'oppressione.

Il pensiero produttivistico promosso dall'Occidente ha trascinato il mondo in una crisi per uscire dalla quale è necessario rompere radicalmente con la vertigine del «sempre di più», sia in ambito finanziario sia in quello delle scienze e della tecnica. È ormai tempo che etica, giustizia ed equilibrio duraturo diventino preoccupazioni prioritarie. Perché i rischi cui siamo esposti sono gravissimi, e potrebbero mettere fine all'avventura umana su un pianeta che diventerebbe inabitabile.

Resta comunque vero che dal 1948 a oggi abbiamo compiuto importanti progressi: la decolonizzazione, la fine dell'apartheid, lo smantellamento dell'impero sovietico, la caduta del Muro di Berlino. I primi dieci anni del XXI secolo, tuttavia, hanno rappresentato un periodo di arretramento. Tale arretramento, io lo spiego in parte con l'amministrazione di George Bush, l'11 settembre e le conseguenze disastrose che gli Stati Uniti ne hanno tratto, come l'intervento militare in Iraq. Nonostante la crisi economica che ci siamo trovati ad attraversare, non abbiamo avviato alcuna nuova politica di sviluppo. Allo stesso modo, il summit di Copenhagen contro il surriscaldamento climatico non ha consentito di intraprendere una vera e propria politica per la conservazione del pianeta. Tra gli orrori del primo decennio e le possibilità dei decenni a venire, oggi siamo a un punto cruciale. Ma bisogna sperare, bisogna sempre sperare. Il decennio precedente, quello degli anni Novanta, era stato fonte di grandi progressi. Le Nazioni Unite avevano saputo indire conferenze come quella di Rio sull'ambiente, nel 1992; quella di Pechino sulle donne, nel 1995; e nel settembre del 2000, su iniziativa del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, i 191 Paesi membri hanno adottato la dichiarazione sugli «Otto obiettivi del millennio per lo sviluppo», con la quale, tra l'altro, si sono impegnati a ridurre della metà la povertà nel mondo entro il 2015. Il mio grande rammarico è che né Obama né l'Unione europea si siano ancora manifestati con quello che sarebbe dovuto essere il loro contributo a una fase costruttiva, appoggiandosi ai valori fondamentali.

Come possiamo concludere questo appello all'indignazione? Ancora una volta ricordando che, in occasione del sessantesimo anniversario del programma del Consiglio Nazionale della Resistenza, l'8 marzo 2004, noi veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1945) dicevamo che certo «il nazismo è sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni Unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è del tutto scomparsa, e la nostra rabbia contro l'ingiustizia è rimasta intatta».

No, questa minaccia non è del tutto scomparsa. E allora, continuiamo a invocare «una vera e propria insurrezione pacifica contro i mass media, che ai nostri giovani come unico orizzonte propongono il consumismo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l'amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti».

A quelli e quelle che faranno il XXI secolo, diciamo con affetto:

«CREARE È RESISTERE.
RESISTERE È CREARE».

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Appello dei Resistenti alle giovani generazioni
8 marzo 2004



Dal momento che vediamo rimesso in discussione il fondamento delle conquiste sociali della Liberazione, noi, veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1945) ci appelliamo alle giovani generazioni perché mantengano in vita e tramandino l'eredità della Resistenza e i suoi ideali sempre attuali di democrazia ed economia, sociale e culturale. Sessant'anni più tardi il nazismo è sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni Unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è del tutto scomparsa, e la nostra rabbia contro l'ingiustizia è rimasta intatta. In coscienza, noi invitiamo a celebrare l'attualità della Resistenza non già a beneficio di cause partigiane o strumentalizzate da qualche posta in gioco politica, bensì per proporre alle generazioni che ci succederanno di compiere tre gesti umanitari e profondamente politici nel vero senso del termine, perché la fiamma della Resistenza non si spenga mai:

— Ci appelliamo innanzitutto agli educatori, ai movimenti sociali, alle collettività pubbliche, ai creatori, ai cittadini, agli sfruttati, agli umiliati, affinché celebrino insieme a noi l'anniversario del programma del Consiglio Nazionale della Resistenza (Cnr) adottato in clandestinità il 15 marzo 1944: Sécurité sociale e pensioni generalizzate, controllo dei «gruppi di potere economico», diritto alla cultura e all'educazione per tutti, stampa affrancata dal denaro e dalla corruzione, leggi sociali operaie e agricole ecc. Come può oggi mancare il denaro per salvaguardare e garantire nel tempo queste conquiste sociali, quando dalla Liberazione, periodo che ha visto l'Europa in ginocchio, la produzione di ricchezza è considerevolmente aumentata? I responsabili politici, economici, intellettuali e la società nel suo complesso non devono abdicare, né lasciarsi intimidire dall'attuale dittatura internazionale dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia.

— Ci appelliamo quindi ai movimenti, ai partiti, alle associazioni, alle istituzioni e ai sindacati eredi della Resistenza affinché superino le poste in gioco settoriali, e lavorino innanzitutto sulle cause politiche delle ingiustizie e dei conflitti sociali, e non soltanto sulle loro conseguenze, per definire insieme un nuovo «Programma della Resistenza» per il nostro secolo, consapevoli che il fascismo continua a nutrirsi di razzismo, di intolleranza e di guerra, che a loro volta si nutrono delle ingiustizie sociali.

— Ci appelliamo infine ai ragazzi, ai giovani, ai genitori, agli anziani e ai nonni, agli educatori, alle autorità pubbliche perché vi sia una vera e propria insurrezione pacifica contro i mass media, che ai nostri giovani come unico orizzonte propongono il consumismo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l'amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti. Non accettiamo che i principali media siano ormai nella morsa degli interessi privati, contrariamente a quanto stabilito dal programma del Consiglio Nazionale della Resistenza e dalle ordinanze sulla stampa del 1944.

A quelli e quelle che faranno il secolo che inizia, diciamo con affetto:

Creare è resistere. Resistere è creare.

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