Copertina
Autore Julie Highmore
Titolo La biblioteca dei miei sogni
EdizioneSalani, Milano, 2004, , pag. 304, cop.fle., dim. 137x205x27 mm , Isbn 978-88-8451-409-7
OriginalePure fiction [2003]
TraduttoreRoberta Bovaia
LettoreGiovanna Bacci, 2004
Classe narrativa inglese
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Pagina 7 [ inizio libro ]

«Così sei ancora bloccata?» dissi, reggendo il telefono con una mano e Georgia con l'altra.

«Sembrerebbe. Ho un appuntamento alle dieci. Sarebbe stupido tornare indietro in mattinata».

«Immagino di sì». Dove aveva detto che era?

«Allora, ci vediamo domani».

«Okay».

«Oh, e Ed...»

«Mmmh?»

«Mi serve la mia camicetta di seta color crema per giovedì».

Bernice era fatta così. Non diceva: «Com'è stata Georgia?» o «Mi spiace di non poter essere di ritorno per la tua serata libera settimanale, Ed». E comunque, le credevo ancora? Parlava dal cellulare, per cui avrebbe potuto essere ovunque. Anche appena fuori Oxford, in un motel. Con Clive che le carezzava la schiena con un dito mentre lei parlava con me.

Riagganciai, posai Georgia per terra e misi altra carta nella stampante, chiedendomi se avessi finalmente terminato la mia tesi. Probabilmente no. C'erano sempre nuove inezie a cui pensare: dovevo ricontrollare quella citazione? O magari mettere "inoltre" al posto di "per di più"? Oddio, ero così stanco. Benché fossi soddisfatto della mia gigantesca impresa, non sarei stato mai più felice di sentire, leggere, pronunciare o digitare le parole "Meccanismo del corso del cambio".

Guardai l'orologio. Mancava un'ora al gruppo di lettura, o al «circolo di lettura», come Bronwen amava chiamarlo. Era stata lei a iniziare; mettendo un annuncio nella sede della biblioteca in cui lavorava, e in parecchie altre della città, organizzando i turni delle sedi delle riunioni. Io mi ero chiamato fuori, con il pretesto che la mia casa è grande come un frigorifero e che Bernice non fa che armeggiare con il computer in sala tutte le sere. Ad ogni modo, per certi versi un circolo di lettura mi attirava. Suonava accogliente e intimo. Immaginavo che ci saremmo tenuti tutti per mano mentre discutevamo del libro, cercando magari di stabilire un contatto con l'autore defunto. «Virginia Woolf, puoi sentirci?.. No, scusa, non volevamo te, Thomas. Virginia».

C'era un numero di telefono sull'annuncio. «Chiamate oppure chiedete di Bronwen in questa biblioteca» diceva. Io l'avevo cercata e trovata. Era una donna sulla quarantina, dai capelli scuri e scarmigliati, calze opache e scarpe basse di velluto. Un seno imponente. «Il primo incontro lo faremo qui, martedì prossimo» aveva sussurrato. «Alle sette e mezzo. Vieni. Spero che non siano tutte donne». In realtà era quello che io mi auguravo, ma la prima sera si era presentato un campionario davvero assortito di persone. Undici in tutto. Ci eravamo seduti e avevamo chiacchierato. «Solo narrativa, proporrei» aveva detto Bronwen, e tutti noi avevamo aderito. Poi, per qualche motivo, aveva chiesto a me di scegliere il primo libro. «L'Ulisse» avevo risposto all'istante. «Mi sono sempre riproposto di leggerlo». Si era levato un generale mormorio di insoddisfazione e solo sei persone si erano ripresentate a casa di Zoe il martedì dopo, una delle quali - Bronwen - era arrivata a pagina 83 e si era presa un meritato applauso. E siccome al momento non c'era ancora molto di cui parlare, Zoe aveva suggerito di fare una partita a Taboo, e ci eravamo divertiti. Probabilmente a molti di noi non sarebbe dispiaciuto giocare a Taboo tutte le settimane.

Chiusi il computer e controllai ancora una volta l'orologio. Le sei e quaranta. Troppo tardi per chiedere a Natalie della casa di fronte di farmi da baby-sitter e, inoltre, volevo davvero pagare otto sterline a una quindicenne che fa i compiti su un portatile per cui io avrei dato il braccio destro, solo per discutere di un libro che mi lasciava indifferente con persone che conoscevo a malapena?

«Giusto» dissi, sollevando mia figlia dal suo seggiolone e baciandole la testolina morbida. «Spero tu abbia letto la Brontė, signorina».


Kate - quarantadue anni, restauratrice di mobili con un suo negozio e attualmente single - non riusciva a staccare gli occhi dal petto di Ed. Muscoloso, leggermente abbronzato e peloso al punto giusto. Si era sbottonato la camicia con una mano prima di infilare il biberon nella bocca della figlioletta e di guardare il gruppo sbigottito.

«Č così che si deve fare, adesso» spiegò ridendo. «Il contatto pelle a pelle, capite? La fa sentire come se fosse allattata al seno».

Bob - ultracinquantenne, pavimentatore - disse che lui era sopravvissuto alla paternità senza cambiare un solo pannolino.

Bronwen, guardandolo in cagnesco, gli chiese se la riteneva davvero una cosa di cui vantarsi.

Donna - carina, coda di cavallo bionda, ventunenne e madre di due bambini - sospirò e continuò a mangiucchiarsi le unghie smaltate.

Erano a casa di Bronwen e aspettavano Zoe: trent'anni appena compiuti, pendolare su Londra, attraente e intelligente, ma sempre molto nervosa. Una volta esauriti gli argomenti sulla bambina di Ed e sulla torta di carote di Bronwen, Zoe arrivò, perfettamente truccata e con le mèche bionde che le ondeggiavano sulle spalle.

«Scusate, gente» ansimò. «I soliti problemi con i treni. Siamo rimasti a Jane Eyre, vero?»

«Sì» risposero tutti in coro, coi libri sulle gambe.

Un uomo di mezz'età, leggermente in sovrappeso, con una bella faccia, un po' stempiato ma con i capelli ancora folti, una giacca di velluto a coste e un libro sgualcito in mano, indugiava sulla soglia.

«Oh, lui è Gideon» disse Zoe. «Sta da me al momento. Spero non vi spiaccia se partecipa».

Gideon disse «Salve» e atteggiò un sorriso, ma sembrava pentito di essersi aggregato alla comitiva. Tra le sette persone del soggiorno di Bronwen, probabilmente, si sentiva di troppo. Bronwen fece sloggiare il gatto, spazzò via i peli che aveva lasciato sul divano e offrì a Gideon l'angolino liberatosi e un po' di torta di carote.


«Č una vera puttana, quella Blanche Ingram» sentenziò Donna dopo che Ed ebbe messo giù la bambina ed ebbe letto un brano. In modo ispirato, pensò Kate.

Era stata Donna a scegliere Jane Eyre. Aveva detto che lo stava leggendo a scuola quando era rimasta incinta del suo primo figlio e non lo aveva mai finito. «E quindi non ho mai saputo se Jane riesce a farsi Rochester» aveva spiegato al gruppo. «No, per favore, non ditemelo».

«Perché le donne attraenti e sicure di sé vengono sempre considerate puttane?» chiese Bronwen.

Donna roteò gli occhi e disse: «Scusate se ho fiatato».

«A dire il vero...» azzardò una voce sconosciuta. Tutti sobbalzarono e si girarono verso Gideon. «Blanche gioca un ruolo piuttosto importante vis à vis con il fuoco, ha una funzione strategica, è il simbolo del ghiaccio che percorre tutto il romanzo».

Nessuno disse niente e così lui proseguì, issandosi faticosamente sul bordo del divano, e poi intrecciando le dita. «Capite... la Brontė, più o meno consapevolmente, aveva introdotto nel romanzo un'insolita quantità di rosso... che simboleggia il fuoco interiore di Jane, il fervore, il coraggio... e anche di bianco... che rappresenta il gelo del mondo e le persone che lei incontra nel corso della sua sciagurata infanzia e nella prima età adulta».

Kate scrutò il resto del gruppo. Era stata l'unica a non capirlo? Donna stava freneticamente prendendo nota, per cui dedusse di no.

«Va' avanti» lo spronò Bronwen, con un'aria leggermente eccitata.

«Ricordate la giovane Jane in casa Reed, che legge tutta sola davanti alla finestra dietro "drappi di tende scarlatte"? Jane che guarda fuori un mondo "bianco pallido"?»

Le donne annuirono, gli uomini finsero di non ascoltare.

«E la stanza in cui Jane viene rinchiusa come punizione è la Camera Rossa, che rispecchia la sua rabbia per l'ingiustizia subita. Il suo migliore amico a scuola - una persona affettuosa ma forte, stoica - si chiama Burns, dal verbo to burn, bruciare, ardere, con tutte le relative connotazioni. Proprio come per Blanche Ingram... Bene, il verbo to blanche significa sbiancare. Blanche, bianca, fredda, sterile, frivola. L'esatto opposto della devota e appassionata Jane Eyre, con la sua intensa e ricca vita interiore. Qualcosa che le fa superare tutti i rifiuti e gli sconvolgimenti».

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Pagina 55

Quando Zoe arrivò al lavoro martedì trovò una mail di Kate in cui la informava che il circolo di lettura si sarebbe incontrato alle sette di sera quel pomeriggio, e non, come al solito, alle sette e mezzo. Sarebbe stata un'impresa, pensò, ma era decisa a farcela, perché quegli incontri erano probabilmente la sola cosa che riusciva a rilassarla in quel periodo.

Poi la chiamò Ross dal cellulare per cancellare l'appuntamento a pranzo. Lei fu cortese, ma appena riagganciò lo maledì in silenzio. Non importava, lo avrebbe visto venerdì, all'ora di pranzo, nel suo appartamento di Londra. Era diventata una cosa regolare e fissa, i venerdì. Si erano sempre incontrati nei più strani momenti liberi in cui lui riusciva a inserirla. Non volava sempre in Scozia per il weekend, e allora era carino, anche se lei era perfettamente consapevole che non avrebbero mai passato un intero fine settimana insieme. Lui tendeva a salutarla in stazione il sabato pomeriggio o la domenica mattina, dicendo solo: «Ho una montagna di lavoro da sbrigare, tesoro. Ti amo». E lei era sicura che fosse così.

Quel giorno diede una rapida occhiata alle sue carte, doveva vedere il capo e incontrare due clienti, per cui avrebbe pranzato molto tardi alla sua scrivania, prima di decidere di aver lavorato abbastanza e di andare a Paddington. Sul treno finì Middlemllrch e lo chiuse con un sorriso e un sospiro assorto a cui il passeggero che aveva di fronte rispose con un: «Dunque, è un bel libro?»

«Bellissimo».

«Č da una vita che vorrei leggerlo» continuò.

Oh, cielo, pensò, uno sciroccato. Nessuno attacca bottone sul treno: ci si limita a parlare al cellulare. Non sembrava strambo: sulla trentina, giacca, ventiquattrore. Piuttosto carino, in effetti.

«Prendilo» disse Zoe, tendendogli il libro. Sapeva che Gideon ne aveva un'altra copia.

L'uomo fece l'espressione di chi si è appena sentito offrire una prestazione sessuale nel gabinetto. «Oh, è molto gentile da parte tua. Grazie». Prese una penna dalla tasca interna della giacca. «Perché non ci scrivi sopra il tuo nome e indirizzo, così posso spedirtelo quando l'ho finito?»

«Okay».

Lei evitò accuratamente di scrivere con i suoi soliti scarabocchi e, dopo aver dato un'altra occhiata allo sconosciuto, che era biondo, con gli occhi azzurri e la carnagione leggermente abbronzata, aggiunse il suo numero di telefono e i suoi due indirizzi mail.

«Oxford?» chiese lui quando lei gli ridiede il libro. «Io vivo a Cheltenham. Be', appena dietro».

«Nei Cotswolds?»

«Mmmh...»

«Bel posto».

«Sì». Le tese la mano e disse: «Sono Matthew, comunque».

Gliela strinse. «Zoe».

«Sì, lo so». Sorrise e ritirò la mano e tornò sulla prima pagina del libro. «Ti spiace se leggo?»

«Certo che no».

Quando il treno entrò nella stazione di Oxford, Matthew alzò gli occhi su Zoe che si accingeva a scendere. «Grazie» disse agitando il libro nella sua direzione. «Te lo restituirò».

«Non c'è fretta».

Quando arrivò a casa, Gideon non c'era, c'erano solo i suoi rifiuti. Dio santo, com'era disordinato. Lo aveva preso in casa solo perché era un vecchio compagno di scuola della sorella di Ross. Per quel che ne sapeva Gideon, Zoe e Ross avevano qualche vago rapporto di lavoro. Lui le aveva telefonato all'inizio di settembre, per presentarsi, e le aveva chiesto se poteva consigliargli un buon bed & breakfast. Le era sembrato molto cortese, e così gli aveva offerto la sua camera degli ospiti per un po', aggiungendo: «L'affitto sarà abbordabile», prima che lui si facesse la strana idea di poterci stare a sbafo.

Le sei e cinque. Giusto il tempo di farsi una doccia. In bagno l'aspettavano due paia di vecchie logore mutande in ammollo nella limacciosa acqua grigia della bacinella.

Doveva farlo sloggiare.

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Pagina 114

Come risultato di una votazione via mail, si ritrovarono ancora una volta a casa di Bob.

«Sono cresciuta in una casa del comune a nord di Oxford» disse Donna, leggendo i suoi appunti, «e così io e gli altri bambini del palazzo siamo andati a scuola con tutti quei ragazzini ricchi di Woodstock Road, i cui genitori sono scienziati, docenti o roba del genere. A ogni modo... adesso ho un posto tutto mio dall'altra parte della città, dove vivo con i miei due bambini che hanno cinque e quasi tre anni. Mio padre lavora nell'industria delle macchine, mentre mamma ha un ottimo impiego part-time da un commercialista. Ho cominciato a uscire con Mark quando avevo quindici anni. Lui era più grande di un anno circa e gli andavano tutte dietro, ma l'ho rimorchiato io. Quando sono rimasta incinta, Mark e la sua famiglia si sono trasferiti in fretta e furia a Cardiff. Mio padre non mi ha parlato per dei secoli perché non ho voluto sbarazzarmene, ma poi, quando ha visto il piccolo Jake, gli è passata e adesso lui e mamma mi tengono i bambini tutte le volte che voglio. Il mio obiettivo è prendere una laurea in Letteratura. Così, presto farò quel corso che se lo passo posso iscrivermi all'università. Magari al Molefield College o da qualche altra parte».

Gideon emise un lungo, chiaro sospiro quando Bronwen disse: «E incredibile!»

«Comunque» proseguì Donna senza bisogno degli appunti, «è per questo che mi sono iscritta al circolo di lettura. Per fare un po' di pratica...»

«Gran bella idea! Bene, grazie per aver condiviso con noi la tua storia, Donna. E adesso ti andrebbe di dirci come procedi con Denti bianchi?»

«Sì, certo». Riprese in mano il blocco e si arrotolò la coda di cavallo intorno a un dito mentre leggeva. «Secondo me Denti bianchi è un romanzo d'esordio molto ambizioso» disse, «dall'approccio tanto epico quanto intimistico».

«Ah, sì, molto bene» disse Bronwen.

«La Smith indaga sulle difficoltà della vita in una cultura estranea, e anche se presenta molti argomenti seri - per esempio la paura dell'immigrante di perdere l'identità - il libro è ricco di divertenti esempi di idiosincrasie culturali».

Gideon si drizzò sulla sedia e incrociò una gamba dei pantaloni ben stirati sull'altra. La ragazza poteva effettivamente accedere a un corso propedeutico, pensò. Non uno duro come quello di Molefield, però.

«Devo ammettere» disse Ed, «che mi ha piacevolmente stupito. Mi aspettavo un romanzo pesante, pieno di omosessuali e scopate».

«Oh, io sapevo che non lo era» disse Kate. «Ma mi ha ugualmente stupito. L'autrice riesce a rendere la prospettiva di una vasta gamma di personaggi, tutti perfettamente delineati, non credete?»

«Sicuro» intervenne Zoe, che, avendo per la testa due uomini diversi, aveva letto solo le prime pagine.

Donna diede un'occhiata ai propri appunti. Non poteva lasciare che tutto quel tempo passato in Internet andasse sprecato. «E secondo me l'intreccio si scioglie in un modo deliziosamente farsa...» ricontrollò gli appunti, «far... sa...to?!»

Gideon sorrise. «Credo tu voglia dire farsesco».

«Proprio così».

Bob disse che il libro gli aveva effettivamente aperto gli occhi dal momento che, di suo, non conosceva di persona nessun nero. Bronwen si morse la lingua.


Durante la pausa apprezzarono tutti i vol-au-vent, un assortimento di stuzzichini infilzati su bastoncini, e un bignè al cioccolato fatto in casa per ciascuno. Christine ne aveva fatto uno in più e l'aveva tenuto da parte per Gideon perché lo mangiasse prima di andare a letto.

Gideon stava parlando con Bronwen del padre di lei, con la cintura dei pantaloni che gli tirava un po' e chiedendosi se Christine avrebbe potuto allargarglieli un tantino.

«Diciamo soltanto che ha perso molto del suo acume intellettuale», disse Bronwen. «Ha ottantun anni, dopo tutto. E poi c'è la... Ehm...» non voleva nominare la progressiva senescenza. La settimana prima aveva trovato tre libri in frigorifero. «Non è stato bene».

«Ah». Al diavolo, pensò Gideon. Come sarebbe stato elettrizzante demolire un qualche concetto con quel Thomas Thomas. E ciò nonostante, forse valeva ancora la pena di conoscerlo, anche solo per poter dire di averlo fatto. Cominciò a cercare di ottenere un invito, quando Christine si avvicinò con un piatto e la sua mente deviò rapidamente sugli ultimi due vol-au-vent.

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Pagina 202

«Mi ricorda mio zio Steve» ci stava dicendo Donna.

«Davvero?» chiese Bronwen.

«Sì. Quando lo zio Steve va a Maiorca o in posti del genere, porta sempre con sé un vasetto di crema pasticcera e patatine Walkers e qualche barattolino di Marmite. Una volta abbiamo passato le vacanze a Lanzarote ed è venuto anche lui. Un giorno l'abbiamo trovato nella sua stanza d'albergo che mangiava fagioli stufati freddi e una pagnotta di malto di Safeway e leggeva la pagina dei programmi televisivi del Times. Ha detto: "Maledizione, stasera ridanno Randall and Hopkirk" e la mamma gli ha consigliato di darsi una svegliata».

«In effetti, assomiglia a Ma..., insomma, al ragazzo del libro» disse Zoe. «Ci sono persone che non affrontano i cambiamenti con disinvoltura».

«Mmmh, bell'analogia, Donna» disse Bronwen.

«Sì» dissi io.

«Sì» fece eco Kate.

Eravamo tutti gentili con Donna perché aveva un'aria stanca e, a meno di assumere vitamine e una bambinaia a tempo pieno, ovviamente non avrebbe realizzato il suo sogno di andare all'università in autunno. Lei alzò una mano.

«Scusate la stupidità» disse, inarcando la schiena e posandosi l'altra mano sui reni, «ma perché dite che la storia di mio zio è un'allergia?»

Gideon sobbalzò con un: «Ah, lascia che ti spieghi», ma Donna lo interruppe un attimo dicendo che le scappava ancora la pipì.

Non stavamo procedendo granché con Turista per caso, dal momento che avevamo passato i primi dieci minuti a discutere la pronuncia del nome del protagonista, Macon. Bronwen, che aveva scelto il libro, non era stata in grado di illuminarci al riguardo. Io e Kate avevamo visto il film, ma non ce lo ricordavamo. Alla fine avevamo concordato di chiamarlo «lui».

«Lui è forse il personaggio più riuscito della Tyler» disse Bronwen.

«Oh, e cosa mi dici allora della protagonista di Per puro caso» chiese Zoe. «Una donna che sparisce senza nessuna premeditazione. Che lascia la famiglia sulla spiaggia, prende un autobus e comincia una nuova vita. Io l'adoro».

«A me piace il ragazzo delle Storie degli altri» si intromise Kate.

Zoe disse che si era sempre riproposta di leggerlo e Bronwen si alzò e lo prese da uno dei suoi scaffali. «Avete letto entrambe Lezioni di respiro, vero?» chiese.

«Naturalmente!» gridarono.

Io e Bob ci stavamo scambiando occhiate da: «Ti andrebbe una partitina a carte?», ma poi Donna tornò e Gideon impiegò cinque minuti per spiegarle che un'analogia era una similitudine, e prima che ce ne accorgessimo Bronwen ci stava servendo un caffè e una torta di banana.


Stavo in agguato sulla porta della cucina, a origliare.

«Adesso che è evidente che sono incinta lui non può più fare lo stronzo con me, non credi?»

«Hai deciso di andarlo a trovare?» chiese Kate.

«Sì. Forse più avanti questa settimana, o la prossima. Non so».

«Vuoi che venga con te?»

«No, farò la brava, grazie. Solo preferirei che fosse più vicino. In questi giorni sono già sfinita dopo che ho portato i bambini a scuola».

Feci un passo avanti entrando in cucina e dissi: «A dire il vero, Ross Kershaw sarà qui all'Union tra poche settimane. Nel caso tu voglia risparmiarti un viaggio a Londra».

«Sai tutto!» gridò Donna.

«Mmmh, sì».

Kate sembrava imbarazzata. «Scusa. Ma non l'ho detto a nessun altro. Te lo giuro».

«Bene» disse Donna riempiendosi il bicchiere d'acqua. «Cos'è questo Union? Forse il posto in cui hanno suonato Prince e Bon Jovi?»

«Be', non ci hanno proprio suonato» le dissi. «Č un circolo culturale e, sì, a volte invita rockstar e top model».

«E cosa ci va a fare Faccia da Culo?»

«Non lo ricordo con precisione. Credo che il tema della conferenza sia: "Questo circolo è convinto che il governo stia combattendo la guerra alle droghe con troppo fuoco amico».

«Non capisco».

«Il fuoco amico» le spiegai, «è quando uccidi accidentalmente qualcuno dei tuoi soldati o dei tuoi alleati».

«Come fanno sempre gli americani?»

«Esattamente. Per cui, immagino diranno che, benché il governo stia cercando di estirpare il consumo di stupefacenti, in realtà non faccia che indebolire questa guerra con un atteggiamento sostanzialmente morbido. Insomma, con nuove classificazioni e depenalizzazioni... Immagino che Ross Kershaw ci vada per dire che il governo sta prendendo il problema molto seriamente».

«Sì, bravo» disse Donna, «speriamo che nessuna donnina nuda lo venga a cercare mentre raggiunge il banco degli oratori».

Ilo e Kate scoppiammo a ridere.

«Perché non gli strapperei nessun assegno di mantenimento se lo sbattessero in prigione, no?»

«Oh, io non penso...» esordii, mentre un rumore di stoviglie infrante sul pavimento ci fece sobbalzare.

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Pagina 227

Per la prima metà dell'incontro non trovò niente da dire sui Racconti brevi di Roald Dahl, non avendoli letti, ovviamente, ma noi cercammo in tutti i modi di farlo partecipare raccontando una storia che ci era particolarmente piaciuta. Lui sembrava un tantino annoiato e guardava fisso Donna, tanto che mi chiesi se si fosse aspettato qualcosa di un po' più intellettuale.

Kate scelse Il diletto del pastore, la storia dell'antiquario imbroglione. «Così il reverendo Boggis dice al contadino che il suo prezioso cassettone chippendale è un'imitazione, ma che è disposto a pagarglielo venti sterline perché può riutilizzarne i piedi. A quel punto, il contadino e suo figlio pensano che, dal momento che è un parroco, debba avere un'utilitaria, così quando lui viene a ritirare il mobile, per fargli un piacere glielo fanno trovare con i piedi segati».

Ridemmo tutti e qualcuno disse: «Può essere una bella lezione anche per te, Kate» e per educazione io spiegai ad Andy che lavoro faceva Kate. Era decisamente noioso avere un neofita nel gruppo.

«E tu, Donna, cosa ci dici?» chiese Bronwen, tendendole una delle tre copie della biblioteca che ci eravamo passati l'uno con l'altra per due settimane. Questa storia del circolo di lettura poteva diventare molto dispendiosa, se non si stava attenti. «Siccome sei stata tu a scegliere questo libro, dicci qual è la tua storia preferita».

«Oh, sì, giusto». Guardò l'indice e poi sfogliò il libro. «Pagina 454. Cosciotto d'agnello. Geniale».

«Mmmh... Č piaciuto anche a me» disse Zoe.

«Insomma parla di un uomo che torna a casa dal lavoro e dice alla moglie, che è una semplice casalinga, credo... Non che ci sia qualcosa di male nel fare la casalinga...» Donna mi guardò e Kate scoppiò a ridere.

«Continua» dissi.

«Insomma, le dice di essersi messo con un'altra e di volerla lasciare, il gran bastardo».

«Bastardo» le fece eco Zoe.

«Quando ha finito, la moglie non dice niente, solo: "Porto in tavola la cena". Non è incredibile? Poi va in cucina e prende dal freezer il cosciotto d'agnello surgelato e quando lui le dice che non vuole cenare, che vuole solo andarsene, lei glielo sbatte in testa e lo ammazza».

Zoe sorrise. «Ti immagini quanto debba essersi sentita soddisfatta?»

«Oddio, sì. Poi - ed è lì che si rivela terribilmente intelligente - mette l'agnello in forno, esce e va a comprare le verdure al negozio all'angolo, come se non fosse successo niente, e chiacchiera con il negoziante, e poi, quando torna a casa, finge di aver trovato il marito morto e chiama la polizia; e finisce che lei e il poliziotto si siedono davanti all'arrosto chiedendosi che fine possa aver fatto l'arma del delitto. Geniale!»

Gli occhi di Donna luccicarono di istinti omicidi. Era un'ipotesi che aveva preso in considerazione, e anche Zoe!

«Geniale!» ripetevano entrambe.

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