Copertina
Autore Tom Hodgkinson
Titolo L'ozio come stile di vita
EdizioneRizzoli, Milano, 2005, , pag.316, ill., cop.ril.sov., dim.135x186x23mm , Isbn 978-88-17-00564-7
OriginaleHow to be idle [2004]
TraduttoreCarlo Capararo
LettoreRenato di Stefano, 2005
Classe costume , storia sociale , sociologia , lavoro
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Indice

Prefazione                                           9
 8 a.m. – Svegliarsi è dura                         11
 9 a.m. — Lavori e dolori                           24
10 a.m. — Restarsene a letto                        40
11 a.m. — Trastullarsi per piacere e per profitto   50

Mezzogiorno — I postumi della sbornia               62

 1 p.m. — La morte del pranzo                       70
 2 p.m. — Sulla malattia                            80
 3 p.m. — Il pisolino pomeridiano                   92
 4 p.m. — L'ora del tè                             102
 5 p.m. — La passeggiata                           113
 6 p.m. — Il primo bicchierino della giornata      127
 7 p.m. — Sulla pesca                              137
 8 p.m. – Fumare                                   148
 9 p.m. — In casa a non far nulla                  163
10 p.m. — Il pub                                   181
11 p.m. — Sedizione                                194

Mezzanotte — La luna e le stelle                   205

 1 a.m. — Sesso e ozio                             214
 2 a.m. — L'arte della conversazione               225
 3 a.m. — Party Time                               235
 4 a.m. — Meditazione                              245
 5 a.m. — Sonno                                    253
 6 a.m. — In vacanza                               264
 7 a.m. — Un sogno a occhi aperti                  284

Bibliografia                                       297
Ringraziamenti                                     311

 

 

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Pagina 9

Prefazione



Oziare è bello. Questo libro ha lo scopo di celebrare la pigrizia e di attaccare la cultura occidentale del lavoro, che ha schiavizzato, demoralizzato e depresso così tanti di noi.

Non far niente è il lavoro più duro di tutti, come notò Oscar Wilde. Intorno a voi ci sono sempre un sacco di persone che cercano di farvi fare qualcosa. È per questo che ho tentato di creare una specie di canone di scritti sull'ozio tratti dalla filosofia, dalla letteratura, dalla poesia e dalla storia degli ultimi tremila anni, per fornire a noi oziosi le munizioni mentali di cui abbiamo bisogno per combattere la guerra contro il lavoro. E il mero numero di grandi cultori dell'ozio nella storia dimostra che non siamo soli.

Oziare significa essere liberi, e non soltanto esseri liberi di scegliere fra McDonald's e Burger King o fra Volvo e Saab. Significa essere liberi di vivere la vita che vogliamo fare, liberi da capi, salari, pendolarismo, consumi e debiti. Oziare significa divertimento, piacere e gioia.

C'è una rivoluzione che sta fermentando, e la cosa grandiosa è che per prendervi parte non dovete fare assolutamente nulla. Perciò unitevi a noi, Giovinetti e Fanciulle della Libertà. Questa sarà probabilmente la rivoluzione più piacevole che il mondo abbia mai visto.

North Devon, 16 giugno 2004

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Pagina 11

8 A.M.
Svegliarsi è dura



    Dobbiamo esser pigri in ogni cosa eccetto che nell'amare
    e nel bere, eccetto che nell'essere pigri.
                        Gotthold Ephraim lessing (1729-1781)



Mi chiedo se quel razionalista americano gran lavoratore e agente dell'industria che fu Benjamin Franklin sapesse quanta infelicità avrebbe causato nel mondo quando, nel lontano 1757, invasato da zelo puritano, rese popolare e propagandò l'aforisma trito e palesemente falso secondo cui «presto a letto e presto alzato fan l'uomo sano, ricco e assennato».

È triste che fin dalla prima infanzia subiamo la tirannide del mito morale secondo cui è giusto, buono e bello balzar fuori dal letto non appena svegli per approntarci il più velocemente e gioiosamente possibile a compiere qualche attività utile. Nel mio caso, ricordo in modo molto chiaro che era mia madre a urlarmi di uscire dal letto ogni mattina. Mentre giacevo lì in uno stato di beato benessere, gli occhi chiusi, cercando di rimanere aggrappato a un sogno in dissolvimento, facendo ogni sforzo per ignorare le sue urla, mi mettevo a calcolare il tempo minimo che mi ci sarebbe voluto per alzarmi, far colazione, andare a scuola e riuscire ad arrivare qualche secondo prima dell'appello. Tutta questa creatività e fatica mentali le spendevo per godere di pochi istanti di sonno in più. È così che l'ozioso inizia ad apprendere la sua arte.

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Pagina 15

Dunque: per gran parte di noi la giornata lavorativa inizia fra i tormenti quando, strappati al dolce nettare dell'oblio, ci troviamo davanti la prospettiva di diventare cittadini ligi al dovere, pronti a servire i nostri padroni sul luogo di lavoro con gratitudine, allegria ed energie in abbondanza. (Perché mai, per inciso, sentiamo un bisogno così disperato di avere un «posto»? Gli impieghi sono cose orribili. Ma su questo torneremo più avanti.)

Dopo la sveglia, tocca a Mr Kellogg sfruttare i nostri sensi di colpa per indurci all'azione. «Sorgi e risplendi!» ci esorta dalla scatola di corn flakes. L'atto fisico di masticare fiocchi di mais o altri cereali è dipinto nelle pubblicità televisive come una strabiliante alchimia che opera su individui infingardi: il pelandrone annebbiato e con la barba lunga (cattivo) viene tramutato per magia in un lavoratore vispo e giocondo che sprizza vigore e determinazione (buono) dal potere positivo del cereale. È rivelatore il fatto che lo stesso Kellogg fosse un salutista puritano fanatico che non faceva mai sesso (preferiva i clisteri). Tali sono gli artefici della nostra vita quotidiana.

Con tutte le promesse della società moderna — tempo libero, autonomia e libertà di far ciò che più ci piace — gran parte di noi è ancora schiava di un'agenda che non ha scelto.

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Pagina 18

Alla fine del XVIII e nel XIX secolo, educare le classi lavoratrici a esser mattiniere si accordava perfettamente con le nuove incarnazioni del Progresso. Nel 1755 il reverendo J. Clayton pubblicò un pamphlet, Consigli amichevoli ai poveri, in cui sosteneva che alzarsi presto avrebbe tenuto i piantagrane lontano dalla strada: «La necessità di alzarsi presto ridurrebbe i poveri alla necessità di andare a letto all'ora opportuna; e di conseguenza preverrebbe il rischio di gavazzi di mezzanotte». Il metodista John Wesley, che si alzava tutte le mattine alle quattro, scrisse un sermone intitolato Il dovere e il vantaggio di alzarsi presto (1786), in cui sosteneva che restare a letto fosse cosa fisicamente malsana, e utilizzava termini di comica parvenza scientifica per dare maggior credibilità alla sua tesi: «Restando tanto a lungo immersa fra le calde lenzuola, è come se la carne si bollisse, così che diviene morbida e flaccida. I nervi, nel frattempo, si sfibrano». Nel 1830 Hannah More, la prima vera bas-bleu, pubblicò sul tema dell'«Alzarsi Presto» i seguenti versi:

    Tu silente assassina, Accidia, non più
    la mia mente imprigionata terrai;
    né un'altra ora con te,
    criminal Sonno,
    sciupare mi farai.

È un linguaggio molto forte. Hannah More vede l'Accidia, il settimo peccato capitale (benché in origine il settimo fosse la tristezza), come un assassino del tempo, il quale tiene imprigionata la mente dell'uomo pigro. Ed è necessario che costui la combatta; è necessario che abbia luogo una maschia battaglia di volontà. Si tratta ovviamente di una manifesta sciocchezza: il sonno è un amico, non un criminale. Chiunque sa che la nostra mente, lungi dall'essere imprigionata, gode della massima libertà quando ce ne stiamo a letto a sonnecchiare la mattina, e sui benefici creativi di questo delizioso stato intermedio torneremo in seguito. Ma senza alcun dubbio la parola creatività non era popolare fra quei primi capitalisti. Gli artefici della Rivoluzione industriale avevano bisogno di convincere le masse dei benefici del lavoro duro, noioso e disciplinato. E i libri di Samuel Smiles, autore vittoriano di grande successo, si intitolavano Aiutati, che Dio t'aiuta (1859), Risparmio (1875) e Il dovere (1880), ed erano zeppi di omelie come quelle sopraccitate. Pulizia, ordine, buon governo della casa, puntualità, sacrificio, dovere e responsabilità: a comunicare il valore di queste «virtù» che richiedono abnegazione era una complessa e vasta rete di moralisti, scrittori e politici.

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Pagina 21

Grandezza d'animo e indolenza mattutina sono alleati naturali. Alzarsi tardi si addice a chi possiede una mente indipendente, all'individuo che rifiuta di diventare schiavo del lavoro, del denaro, dell'ambizione. Da giovane Walt Whitman, grande cantore dell'ozio, arrivava negli uffici del giornale in cui lavorava attorno alle undici e mezzo e se ne andava alle dodici e mezzo per una pausa pranzo di due ore. Un'altra oretta di lavoro dopo pranzo ed era tempo di andare in città.

Che cosa possiamo fare dunque? Per quanto mi riguarda, la mia vita ha subito un drastico miglioramento quando mi sono liberato della sveglia. Ho scoperto che ci si può esercitare a svegliarsi grossomodo all'ora corretta anche senza; sempre che siate così sfortunati da avere un'«ora corretta» in cui alzarvi. In questo modo ci si sveglia lentamente, in maniera naturale e piacevole. Si abbandona il letto quando si è pronti a farlo, e non quando qualcun altro vuole che lo si faccia. Addio per sempre allo strazio quotidiano di essere strappati a un sonno delizioso dal trillo meccanico di un allarme. Naturalmente aiuta anche non avere un impiego fisso e non dipendere da nessuno. Ma anche se siete aggiogati a un posto di lavoro, vi suggerisco di provare. Funziona. E potrebbe essere il vostro primo passo sulla strada dell'ozio.

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Pagina 30

Ma la nuova etica protestante del lavoro si affermò. La Rivoluzione industriale fu soprattutto una battaglia fra lavoro duro e indolenza, e il lavoro duro vinse. Le macchine sottrassero il processo di produzione alle mani e alle menti. Le botteghe divennero «opifici»; i lavoratori indipendenti divennero dipendenti; le famiglie cominciarono a vivere esclusivamente dei salari e ad acquistare quei generi alimentari che probabilmente le generazioni precedenti avevano coltivato da sé. Forse guadagnavano più denaro, ma la qualità della loro vita subì un durissimo colpo. Il caos gioioso, le attività svolte in armonia con le stagioni, la varietà, il cambiamento, l'autogestione: tutto ciò fu sostituito da una cultura del lavoro brutale, standardizzata, dei cui effetti paghiamo le conseguenze ancora oggi.

In altre parole, il posto fisso fu inventato per rendere le cose più facili a coloro che stavano al vertice. La gente veniva privata della propria indipendenza per essere messa al servizio dei sogni grandiosi di un manifatturiere con ambizioni sociali che credeva nel lavoro duro. Per gli altri. Scrive G.K. Chesterton in What's Wrong with the World (1910):

I ricchi buttarono letteralmente i poveri fuori dalla vecchia locanda e li misero sulla strada, informandoli in tono sbrigativo che era la strada del progresso. Li costrinsero letteralmente a entrare nelle fabbriche e nella moderna schiavitù del salario, assicurandoli di continuo che quella era la sola via per raggiungere il benessere e la civiltà.

Che cos'è infatti il Progresso? Nel Cavaliere pallido, il predicatore impersonato da Clint Eastwood pone la questione con eleganza. Quando un pezzo grosso di una cittadina locale gli dice che un gruppo di cercatori d'oro indipendenti che si rifiutano di lasciare la loro terra per far spazio alla sua impresa stanno «ostacolando la via del progresso», Clint domanda semplicemente: «Il vostro o il loro?».

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Pagina 33

Il fondatore del metodismo, John Wesley, era particolarmente smanioso di terrorizzare e controllare i bambini piccoli. «Fiaccatene la volontà il più presto possibile» scrisse. «Che già a un anno il bimbo impari a temere la verga e a piangere sommessamente; a partire da quell'età insegnategli a fare come gli viene ordinato [...].» I bambini venivano assaliti da immagini terrificanti delle fiamme ardenti dell'inferno, dei malvagi demoni che li avrebbero inseguiti se avessero fatto i cattivi. Queste immagini erano marchiate a fuoco nell'immaginazione del piccolo, e avrebbero contribuito a forgiare la mentalità intimorita, sottomessa, del futuro adulto.

Una buona arma di riserva, nel caso che il timor di Dio non fosse riuscito a convertire gli scansafatiche di campagna in sgobboni urbani, era la fame. Secondo un altro filosofo del management del XIX secolo, il reverendo Andrew Townsend, usare la mera forza della legge per imprimere nella testa dei lavoratori la nuova etica del lavoro «dà troppi problemi, richiede troppa violenza e produce troppo rumore». Meglio e più facile, sosteneva, tenerli nella fame. «La fame, al contrario, [...] non solo è una forma di pressione mite, silenziosa e incessante, ma essendo la più naturale delle motivazioni al lavoro e all'operosità, produce gli esiti più pacifici.» La filosofia dei bassi salari fu adottata con entusiasmo: tanto più bassa fosse stata la paga, quanto più duramente il proletariato avrebbe sgobbato. Oggi si segue la stessa filosofia nell'industria del fast food, dove la produzione del cibo è stata meccanizzata e dequalificata nello stesso modo in cui lo fu la produzione delle stoffe nel XIX secolo. Negli Stati Uniti i lavoratori dei fast food hanno i più bassi salari nazionali e compiono le stesse pesanti mansioni per tutto il giorno. Ancora una volta è il dogma del lavoro duro – un dogma che è profondamente radicato nell'odierna nozione di ciò che significa essere americani – a farci sgobbare, felici di essere sfruttati in questo modo.

Più o meno nello stesso periodo il roboante polemista Thomas Carlyle fece un gran danno promuovendo l'idea secondo cui nel lavoro duro ci sarebbe della dignità e persino del fascino romantico. «L'uomo fu creato per lavorare, non per speculare, per pensare, o per sognare» scrisse, aggiungendo: «Ogni istante d'ozio è un atto di alto tradimento». Sarebbe dunque un dovere patriottico lavorare con fatica; un altro mito particolarmente utile ai ricchi, i quali, come disse Bertrand Russell, predicano «la dignità del lavoro, mentre dal canto loro essi si comportano in modo ben poco dignitoso sotto questo aspetto». Ovvero, per citare le parole che il grande e compianto scrittore inglese Jeffrey Bernard pronunciò quando andai a intervistarlo, «Come se ci fosse qualcosa di romantico e seducente nel lavoro duro [...]. Se fosse davvero così, allora il duca di Westminster se ne starebbe a vangare il suo dannato giardino, o no?».

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Pagina 37

Il capitalismo ha fatto del lavoro una religione; ma la cosa triste è che lo stesso ha fatto il socialismo. La sinistra si è lasciata suggestionare dal sogno socialista della «piena occupazione». Ma non sarebbe meglio la piena disoccupazione? Un mondo in cui ognuno sia libero di creare la propria vita, il proprio lavoro, i propri soldi. Nel suo splendido saggio L'anima dell'uomo sotto il socialismo (1891), Oscar Wilde sottolineava l'assurdità dell'idea della piena occupazione: «È deplorevole che una parte della nostra società sia praticamente ridotta in schiavitù; ma proporsi di risolvere il problema asservendo la società intera è puerile».

Abbiamo bisogno di essere responsabili per noi stessi; dobbiamo creare la nostra repubblica personale. Oggi deleghiamo le nostre responsabilità al capo, all'azienda, al governo, e poi diamo loro la colpa quando tutto va male.

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Pagina 114

Il massimo esempio dell'attitudine di cui parlo è il flâneur francese. Flâneur significa letteralmente bighellone od ozioso, e nel XIX secolo stava a indicare la figura elegante di un distinto perdigiorno che passeggiava senza scopo per i portici parigini, osservando, indugiando, ciondolando. Il suo eroe era Baudelaire, un antiborghese che era riuscito ad affrancarsi dalla schiavitù del salario ed era libero di girovagare senza meta per le vie di Parigi.

Il filosofo di idee politiche radicali Walter Benjamin era particolarmente attratto dalla figura del flâneur. Scrisse un'opera mastodontica intitolata I «passages» di Parigi, un compendio di migliaia di brevi riflessioni e di aforismi, in parte suoi, in parte citazioni di altri autori. È un classico esempio di flânerie; per il lettore è facile immaginare Benjamin che, il taccuino in una mano, la pipa nell'altra, passeggia per Parigi prendendo nota delle sue osservazioni, pronto a trascriverle a macchina quando tornerà a casa. È in quest'opera, per esempio, che Benjamin ci regala la seguente gemma:

Nel 1839 era elegante portare una tartaruga andando a passeggio. Il che dà un'idea del ritmo del flâneur nei passages.

Una tartaruga al guinzaglio! Che meraviglia. E quanto più rasserenante di un cane iperattivo che annusa, abbaia, sbuffa, urina e strattona. (Perché la gente tiene i cani? Proprio non riesco a capirlo.)

Come nell'ozio stesso, c'è una finalità paradossale nella flânerie: camminare piano potrà forse sembrare una perdita di tempo all'uomo d'affari, ma per uno spirito creativo è un'attività fertile, poiché è quando cammina che il flâneur pensa e concepisce idee. Benjamin ne dà molti esempi. Citando l'autore di dizionari Pierre Larousse, egli ci dice che una di queste figure era niente meno che Beethoven, che scriveva musica nella propria testa mentre se ne andava in giro a zonzo: [...]

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Pagina 119

Ma l'atto di camminare senza fretta è un atto di rivolta. È una presa di posizione contro i valori borghesi, contro una vita incentrata sugli obbiettivi da raggiungere, contro i troppi impegni, il trambusto, le seccature. Per lo spirito creativo, l'atto di camminare riconcilia lavoro e gioco. Per Benjamin, «l'ozio del flâneur è una dimostrazione contro la divisione del lavoro».

Camminare bene è uno stato mentale tanto quanto fisico. Come bisogna farlo? Una delle citazioni raccolte da Benjamin nei Passages sottolinea l'importanza di tenere gli occhi ben aperti: «Uscire di casa come se se si giungesse da un luogo lontano; scoprire il mondo in cui già si vive; cominciare la giornata come se si sbarcasse da una nave proveniente da Singapore e non si fosse mai visto il proprio zerbino né le persone sul pianerottolo [...] è questo che rivela l'umanità esistente, finora ignorata».

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Pagina 167

La mia teoria è che il mondo si divide in due tipi di persone: gli oziosi e gli antioziosi. Qui assegnerò agli antioziosi l'appellativo di «seccatori». I seccatori sono persone che non riescono a fare a meno di interferire nella vita degli altri. Mancano d'immaginazione, credono nel lavoro duro, nello sfruttamento e nell'ipocrisia, e sono perfetti come politici, burocrati e ricchi intrallazzatori. Vogliono far succedere cose, ma non gli importa granché cosa. Impongono le proprie idee agli altri con la forza della legge, della coercizione e dei giornali, e giustificano le proprie azioni dicendo che hanno creato posti di lavoro, o tagliato i costi, o aumentato i consumi, o prodotto profitti per i loro azionisti. «Bisogna fare qualcosa!» è il loro motto. E loro fanno qualcosa, come costruire grattacieli, call center, dighe e autostrade, ma amano anche interferire nei progetti degli altri, negando, per esempio, l'autorizzazione ad aumentare di un centimetro le dimensioni della finestra di un vecchio fienile. Quel che è peggio, i seccatori, non contenti di fare cose loro stessi, tentano costantemente di costringere anche noi poveri oziosi a fare. Un esempio chiarissimo lo si può vedere nella storia recente dei tentativi, da parte del governo britannico, di costringere le persone felicemente disoccupate ad accettare impieghi a tempo pieno inutili e degradanti. «Lo Stato moderno» scriveva C.S. Lewis nel 1958 «esiste non per proteggere i nostri diritti, ma per farci del bene o per renderci buoni.» Invece di trovare «qualcosa da fare» alla gente, non sarebbe più sensato se la si aiutasse a trarre piacere dal non far nulla? Sui giornali, i seccatori offrono montagne di consigli non richiesti alla povera gente.

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Pagina 194

11 P.M.
Sedizione



In malora il re, in malora il governo, in malora i giudici!
Slogan dei dimostranti a Londra
negli anni Sessanta del Settecento



Maggie, Maggie, Maggie! Out, Out, Out!
Slogan dei dimostranti a Londra
negli anni Ottanta del Novecento



La sedizione è un'arma, ma un'arma di tutt'altro tipo rispetto alle armi delle autorità, del re e dello Stato, dei seccatori, dei ranghi degli antioziosi. Paradossalmente, gli oziosi sono inclini alla sedizione. Coloro che ci governano tendono a lavorare con implacabile costanza per creare burocrazie opprimenti, insostenibili, che ci soffocano con il tedio. E di tanto in tanto tirano fuori la vecchia arma della violenza bruta. Il modus operandi degli oziosi, d'altro canto, è di starsene seduti a parlare e a pensare per mesi, e poi agire con impeto, con un'operosità «rapida e violenta», con un visibile scoppio di passione, una «sollevazione». Si architettano piani al pub, poi, molte lune dopo, si attaccano edifici, si colonizza Trafalgar Square, si occupa un'università. Come uno spettacolo, la sommossa ha una sua particolare efficacia. Gesù era un facinoroso: rovesciò i banchi dei cambiavalute, creando un precedente per milioni di visionari idealisti.

Lord Byron incarna il paradosso del poeta rivoltoso, dell'ozioso sovversivo, del rivoluzionario tranquillo. Per quanto riguarda le sue credenziali di fannullone, la sua prima raccolta di poesie, pubblicata quando aveva diciannove anni appena e studiava al Trinity College di Cambridge, si intitolava Ore d'ozio. Byron era anche un aristocratico, un membro della classe dei ricchi oziosi. Ma l'indipendenza finanziaria serviva a dargli il distacco necessario per vedere le ingiustizie perpetrate dalla nuova borghesia più chiaramente di quanto non potessero fare coloro che sgambettavano senza sosta per far soldi. In ogni caso, secondo il critico del XIX secolo Matthew Arnold, ciò che lo faceva infuriare era il «filisteismo britannico», e ancor più l'apparente remissività della sua stessa classe sociale di fronte all'economia del profitto. Scrive Arnold: «La falsità, il cinismo, l'insolenza, il malgoverno, l'oppressione, con la conseguente e inevitabile pletora di miserie umane che erano prodotte da questo stato di cose, spinsero Byron alla rivolta e alla lotta senza compromessi». Byron stesso affermava: «Ho ridotto le mie idee politiche a una totale avversione per tutti i governi esistenti. Datemi una repubblica. I tempi del re finiranno presto; sangue come acqua sarà versato, e lacrime come bruma, ma i popoli alla fine vinceranno. Io non vivrò per vederlo, ma lo prevedo».

Furono le idee politiche di Byron che lo condussero a sostenere uno dei gruppi radicali più famosi e meno compresi dell'epoca della Rivoluzione industriale: i luddisti. Guidati dal mitico re Ludd, i luddisti si infiltravano di notte nelle fabbriche e rompevano le macchine. Colpivano dritto al cuore del problema. Era la macchina che stava distruggendo la qualità della loro vita, e che minacciava di trascinarli con sé in basso, riducendo gli uomini ad automi. Fra il 1811 e il 1813 i luddisti condussero una campagna sistematica di distruzione dei telai e compirono altre azioni. Può darsi che fossero degli ubriaconi esaltati, io non lo so. E davvero non fa alcuna differenza.

Ebbene, Byron, essendo un membro dell'aristocrazia, aveva facoltà di parlare alla Camera dei Lord, e usò questo potere per dar voce ai rivoltosi. In risposta ai tumulti, nel 1812 il governo aveva promulgato una legge chiamata Frame-Breaking Bill, che introduceva la pena capitale per chi danneggiava le macchine. Byron fu uno dei pochi che levò la propria voce in parlamento contro questo feroce provvedimento burocratico, e lo fece sostenendo che quelle azioni disperate erano state intraprese soltanto perché la gente era ridotta a uno stato di assoluta disperazione. «La perseveranza di quegli uomini disperati nella loro condotta» tuonò «prova che non ci è voluto meno di una mancanza di ogni agiatezza per sospingere una popolazione numerosa, e fino a oggi laboriosa e onesta, a commettere eccessi così pericolosi per loro stessi, per le loro famiglie e per la comunità.»

[...]

Era contro la natura schiavistica della nuova etica del lavoro che i luddisti si erano ribellati e per i cui crimini erano stati uccisi dallo Stato. Per me, libertà e ozio sono praticamente sinonimi. Un ozioso è un pensatore e un sognatore, che difende strenuamente la propria indipendenza. Preferirebbe non ribellarsi, ma quando il suo diritto all'ozio viene attaccato, è molto probabile che sia indotto ad agire.

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Pagina 202

La sostituzione di un vecchio ordine con un nuovo ordine sembra perpetuare gli stessi problemi, ovvero una sensazione di impotenza da parte della gente. In Russia, l'autorità ereditaria degli zar fu rimpiazzata dall'autorità intellettuale di pensatori borghesi come Engels, Marx e, naturalmente, Lenin, il quale aveva la ferma e paternalistica convinzione che i contadini e le classi lavoratrici dovessero essere illuminati dalle classi medie istruite. Anche i marxisti credevano nel lavoro, nella nobiltà del lavoro.

Il nemico d'oggi, almeno in Occidente, non è rappresentato tanto dai governi quanto da una nuova autorità: il capitalismo consumistico. Un tempo i ricchi erano gli aristocratici, a loro volta eredi degli antichi guerrieri. Poi fu il turno degli industriali del XIX secolo. Oggi sono gli amministratori delegati delle aziende globali che sfruttano il mondo per profitto. Come mostrava una vignetta apparsa su un numero recente della rivista «Private Eye», se un tempo i capitalisti ci mandavano nelle officine per guadagnare i loro milioni, oggi ci mandano nei centri commerciali. È per questo che di recente abbiamo assistito allo scoppio di disordini davanti alle sedi delle multinazionali, e a Seattle contro la World Trade Organization, proteste sempre represse con brutalità dalla polizia. L'avidità del grande business e l'efficienza oppressiva dei governi rappresentano un nemico formidabile per i sognanti difensori della libertà con le treccine rasta.

Ma, benché sia un'attività innegabilmente piacevole, oltre che un'espressione dello spirito libertario, vale davvero la pena darsi alla sedizione? Se si passa in rassegna la sequela di fallimenti delle rivoluzioni, delle sollevazioni e delle sommosse degli ultimi mille anni come mezzi per impiantare leggi più umane e governi meno invadenti, si giunge alla triste conclusione che forse un luogo migliore per realizzare un cambiamento è dentro se stessi e nello spazio immediatamente circostante. È vero che ogni tanto la sedizione può produrre piccoli cambiamenti politici, come accadde quando i tumulti contro la poll tax in Gran Bretagna portarono alla sua soppressione e alla sostituzione con la council tax. Ma quasi sempre le cose tendono a regredire alla normalità: le persone noiose riprendono il controllo, i burocrati tornano a farci rigare dritto.

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La via seguita dall'ozioso è caotica. Egli cerca di evitare programmi, teorie, pratiche spirituali formali, ordine, disciplina. La routine lo irrita, così come i sistemi di pensiero rigidi. I libri di self-help di cui sono zeppe le librerie promettono che grazie al loro sistema potrete realizzare tutti i vostri desideri materiali e spirituali. Migliorare nel lavoro, nelle relazioni sociali, in famiglia; cambiare la vostra vita in sette giorni. Ma il problema degli stili di vita alternativi è che offrono soltanto un insieme di regole alternative. Sostituiscono un «ismo» con un altro «ismo». Il panorama delle teorie olistiche, per esempio, propone un'incredibile scelta di leader alternativi ai quali le persone deboli affidano la propria vita e i propri soldi. Se guardate le riviste dedicate agli stili di vita alternativi, la quantità di opzioni vi farà venire il capogiro. Migliaia di integratori vitaminici, guru, metodi di meditazione, terapie di danza estatica, investimenti etici, fiere del misticismo, laboratori di percussioni, praticanti di medicina complementare, sentieri spirituali, tecnica di crescita personale, ipnoterapisti e scuole estive di autocoscienza si contendono l'attenzione del povero diavolo che è alla solitaria ricerca della verità. Affermano tutti di avere la risposta ai vostri problemi, costano tutti dei bei soldi e tutti si limitano a incoraggiarvi ad abbandonare un insieme di regole per abbracciarne un altro, quando l'unica soluzione sensata è evidentemente abbandonare l'idea stessa che esistano teorie risolutive. Le regole sono una tale seccatura. Io non riesco mai a ricordarmele, e allora le infrango, e poi mi sento colpevole. Grazie a Dio non sono musulmano.

Il desiderio dell'ozioso è di vivere senza regole, o solo con le regole che lui stesso si è creato. Vuole sviluppare una forza interiore che abbia un potere completo su di sé. Rifiuta di delegare quel potere a una qualsiasi autorità, per quanto benevola possa apparire. E tante meno regole ci sono, quanto minori saranno le possibilità di trasgredirle di continuo e quindi di sprecare energie macerandosi nei sensi di colpa. È facile diventare, nelle parole di Thoreau, un «aguzzino di te stesso». Creiamo insiemi di regole di comportamento per noi stessi e poi ci sentiamo male quando non riusciamo a rispettarle.

Uno dei miti che dissuadono la gente dal meditare è che sarebbe una cosa difficile. È un mito che fa comodo alle tante scuole di meditazione, il cui interesse è presentare la meditazione come una disciplina che deve essere insegnata da persone esperte per poter essere appresa, e che dunque va pagata. Lo smarrimento provocato dalla gran massa di tecniche diverse interpone altre barriere fra la gente comune e l'arte della riflessione. Sembra che, paradossalmente, non far nulla sia una gran scocciatura.

Se capissimo che meditare significa semplicemente guardare nel vuoto, allora la meditazione sarebbe accessibile a molta più gente. È facile meditare. Una finestra è tutto ciò di cui si ha bisogno. Ricordo che a scuola ero in grado di guardar fuori dalla finestra per venti minuti filati. Questo è meditare, anche se i miei insegnanti preferivano chiamarlo sognare a occhi aperti. Le finestre sono gratis, e sono ovunque. Ce ne sono sui treni, sugli autobus, e quasi tutte le case ne posseggono in abbondanza. Leggete una poesia, trovate una sedia e sedetevi accanto a una finestra. È tutto quello che serve.

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