Autore Angus Hyland
CoautoreKendra Wilson, Thibaud Hérem [illustrazioni]
Titolo Labirinti
Sottotitolodi piante, di pietra e di terra
EdizioneRizzoli, Milano, 2019 , pag. 144, ill., cop.rig., dim. 21x28,7x2 cm , Isbn 978-88-918-2437-0
OriginaleThe Maze. A Labyrinthine Compendium
EdizioneLaurence King, London, 2018
TraduttoreLaura Guidetti
LettoreGiorgio Crepe, 2019
Classe architettura , arte , giochi , illustrazione , esoterismo












 

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Introduzione



C'È UN CHE DI ROMANTICO nell'idea di perdersi: entrare in un labirinto di siepi all'interno di un giardino dona un senso di abbandono. Non è come smarrirsi in una landa selvaggia, è un accordo che si conclude con un esito felice (nonostante le molte svolte sbagliate durante il percorso). Un labirinto con un unico percorso invece è una cosa diversa: anche con tutte le svolte e le anse che ci fanno girare in cerchio, non ci sono decisioni da prendere. Il sentiero porta al centro e poi di nuovo fuori, verso l'entrata, senza nascondere nulla.

Una risposta semplice alla domanda "che differenza c'è tra un labirinto unicursale e uno multicursale?" potrebbe essere: "Nel secondo si entra per perdersi e nel primo per ritrovarsi". È un modo pratico per distinguerli, se partiamo dal presupposto che tutti i labirinti abbiano una valenza spirituale o religiosa. Tuttavia, nulla che riguarda questo argomento è così semplice e lineare, anzi risulta, giustamente, enigmatico e contorto. Tanto per cominciare, i labirinti di erba delle Isole britanniche sono unicursali, mentre quello del Minotauro da cui, secondo la mitologia greca, era impossibile uscire (senza l'aiuto di un filo speciale), era chiaramente multicursale.

In realtà, la tipologia non è poi così importante: entrambi implicano un viaggio astratto. Ed è il viaggio che conta, come ci stiamo ripetendo almeno dall'Ottocento, quando Robert Louis Stevenson rivelò: «Viaggio non per andare da qualche parte, ma solo per andare». In questa nostra epoca, che pone grande attenzione allo svago, il numero di questi viaggi misteriosi sta aumentando in tutto il mondo. Nelle lingue romanze esiste un solo termine per definire tali strutture (labyrinthe, labirinto, laberinto), in inglese invece ne esiste un altro di origine anglosassone, maze, riconducibile alla stessa radice del verbo amaze, sorprendere, utilizzato per indicare i labirinti unicursali.

L'intrico visivo dei labirinti ha da sempre affascinato scrittori e artisti, ma anche registi (forse l'esempio più famoso è The Shining, qui a sinistra e alle pp. 114-115). Il labirinto classico a sette spire si trova in antiche incisioni in tutto il mondo, dalle Ebridi Esterne (in Scozia) al sud-ovest degli Stati Uniti e appare anche in sistemazioni artificiali del terreno (si veda Glastonbury, pp. 46-47). Non è sorprendente che landscape artist come Andy Goldsworthy e Richard Long si siano ispirati alle testimonianze lasciate dalle genti del Neolitico (la spirale di fango di Silbury Hill di Long, 1970-1971, rappresenta la lunghezza del percorso dai piedi alla cima del tumulo). Un secolo prima, l'architetto Sir George Gilbert Scott progettò un labirinto per il pavimento della cattedrale di Ely, la cui lunghezza corrispondeva all'altezza del campanile (a destra e alle pp. 36-37).

I labirinti illustrati in questo volume, reali o immaginari, si possono sperimentare, seguendoli facilmente con un dito invece di visitarli di persona. In teoria, è possibile fare entrambe le cose: non proprio come un pellegrino medievale, piuttosto come un edonista spensierato. Se vi perdete in un labirinto, potete ridere in faccia alla paura, ignorando il clamore del mondo esterno.

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Algeri
Cathédrale du Sacre-Cœur, Algeri, Algeria
Mosaico | 324 d.C.

I labirinti, indissolubilmente legati agli dei e ai mostri, appartengono solo al mondo pagano, almeno fino al 324, anno in cui in Nordafrica venne edificata la basilica di Santa Reparata. Il mosaico pavimentale, di stile romano ma contenuto cristiano, è un vero e proprio ibrido e costituisce il primo labirinto conosciuto realizzato in una chiesa. La tecnica è importante quanto il messaggio; un metodo conosciuto, infatti, è più efficace per esprimere un concetto non familiare. Qui troviamo i quattro quadranti e anche il filo di Arianna che non riconduce però all'antico scenario della lotta dell'uomo contro il mostro, ma a un nuovo concetto: Sancta Eclesia (la Santa Chiesa).

Agli occhi di un uomo moderno il centro assomiglia allo schema di un cruciverba. È chiaramente un palindromo, le parole infatti possono essere lette da destra a sinistra, dall'alto in basso e viceversa. La "S" di Sancta è il centro perfetto di una croce. La collocazione del labirinto non dava spazio ad ambiguità: l'entrata era rivolta verso l'ingresso della chiesa in modo che lo sguardo dei fedeli fosse guidato verso il centro. Nella tradizione medievale l'ingresso dei labirinti era sempre sulla direttrice che conduceva all'altare.

Il mosaico di Algeri attualmente è conservato all'interno della cattedrale dedicata al Sacro Cuore, sbalorditiva architettura modernista edificata negli anni Cinquanta. Dopo il ritrovamento nel 1843, il sito originario del labirinto è stato danneggiato in più occasioni da furti e terremoti. Era collocato all'estremità occidentale della basilica di Santa Reparata, nella cittadella romana di Castellum Tingitanum (in seguito Orléansville, quindi Al-Asnam, ora Chlef), a 195 chilometri dalla capitale algerina. La basilica era stata fondata una decina di anni dopo l'Editto di Milano (313), con cui gli imperatori romani di Oriente e d'Occidente, Licinio e Costantino, sottoscrissero un accordo che sanciva la libertà di culto per i cristiani. Ma già nel 324 i due imperatori erano in guerra tra loro.

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Chartres
Le Chemin de Jérusalem, Cathédrale de Notre-Dame, Chartres, Francia
Pietra della Beauce e ardesia | 1200-1220

Il labirinto di Chartres è considerato un classico della cristianità. Il suo disegno ha costituito la base per i labirinti europei all'interno delle chiese fin dal 1200 e rimane tuttora un modello nel revival di questo genere. La rosetta al centro è circondata da undici anelli con percorso unicursale. La pianta è costituita da un cerchio quasi perfetto, diviso in quattro parti, il cui centro è l'incontro di quattro bracci che formano una croce e che rappresenta Gerusalemme. Nel Medioevo le cattedrali erano la meta dei pellegrinaggi, considerate quasi un sostituto della Città Santa. Si ritiene che al termine dell'atto di devozione fosse necessario un altro viaggio più breve, attorno al labirinto, preferibilmente in ginocchio.

I dedali all'interno delle cattedrali avevano diversi epiteti e quello di Chartres era conosciuto come Chemin de Jérusalem (il "cammino di Gerusalemme"), ma in tempi più antichi era chiamato anche domus Daedali, la casa di Dedalo, il che ci porta a un fatto curioso: il centro di questo pavimento cristiano contiene un'immagine del Minotauro. Nonostante il pessimo e scandaloso esempio degli dei greci e romani, l'iconografia pagana fu utile per diffondere le idee cristiane e, quindi, non fu disdegnata dalla Chiesa cattolica delle origini.

A Chartres il penitente in preghiera ha sempre avuto la compagnia di altri visitatori. Ancora alla metà del Seicento, il canonico di Chartres si disperava per le distrazione offerte dal famoso labirinto, definito «un folle divertimento» per chi non aveva «niente di meglio da fare». Il chiasso all'interno della cattedrale era continuo, anche durante le funzioni. Era un luogo di incontro per amici e familiari e i bambini ci si divertivano come in un parco giochi. Attualmente le sedie che lo nascondono vengono tolte solo il venerdì nel periodo tra la Quaresima e Ognissanti. La cattedrale è ufficialmente aperta per percorrere il labirinto il giorno del solstizio d'estate.

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Dubai
Al Rostamani Maze Tower, Sheikh Zayed Road, Dubai, Emirati Arabi Uniti
Granito brasiliano Verde Bahia | 2012

I progettisti di labirinti amano i record e l'Al Rostamani Maze Tower di Dubai è ufficialmente il labirinto verticale più grande al mondo. In una città che ha avuto un'impennata della crescita all'inizio del nuovo millennio, !a compagnia immobiliare ha preso la saggia decisione di competere con gli altri grattacieli del distretto finanziario ponendo l'accento sui vantaggi di questo tipo di trattamento della superficie. La complessità del motivo crea un'interazione con la luce che ha lo scopo di conferire movimento e mistero. Ponendo l'accento sulla "naturalezza" dell'edificio, si decise di scegliere la pietra invece di cristallo e acciaio.

«Abbiamo sempre voluto che la torre desse la sensazione di essere scolpita in un grande masso di roccia», ha spiegato il vicepresidente di Al Rostamani (in questo progetto l'ideatore del Maze Tower). È stato utilizzato un solo tipo di granito, con differenti trattamenti superficiali per creare contrasto: getti d'acqua per gli angoli e trattamento a fiamma per le pareti del labirinto, che funge da collegamento per i balconi dotati di parapetto di cristallo. Si tratta di un vero labirinto, progettato da Adrian Fisher, e non solo di un motivo decorativo, altrimenti non avrebbe trovato posto nel Guinness dei primati. Di notte il percorso misterioso è illuminato ed è sormontato da un video wall circolare di otto metri di diametro, l'"occhio del labirinto", che diffonde immagini a grande distanza.

Dal punto di vista del design il progetto è un vero successo; come immagine dell'identità araba invece lo è meno ma, probabilmente, essendo un edificio internazionale in una megalopoli cosmopolita, non era questo l'obiettivo. Il motivo del labirinto che enfatizza il meandro è un vero classico e, forse, il richiamo a una grande civiltà non è del tutto privo di significato. Dal punto di vista architettonico, il Maze Tower è stranamente antiquato anche se va fiero del suo carattere di novità. Sul sito web dell'edificio viene citato Frank Lloyd Wright, il cui lavoro è interamente associato al modernismo americano del primo Novecento. Egli rifletteva sull'identità con un'ironia che sfugge completamente ai realizzatori del Maze Tower: «Senza una nostra architettura, la nostra civiltà non ha anima».

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Huanghuazhen
Il giardino dell'eterna primavera, Antico palazzo d'estate, Pechino, Cina
Mattoni impressi | 1756-1759

Quando, attorno al 1750, l'imperatore Qianlong commissionò una serie di edifici in stile europeo, voleva soddisfare il suo gusto per l'esotico. Per sua fortuna aveva a disposizione un artista italiano, il gesuita Giuseppe Castiglione, che applicava con grande maestria la sua cultura occidentale alla sensibilità orientale da quando la dinastia Qin lo aveva voluto a corte trent'anni prima.

L'imperatore era un buon combattente ma anche un esteta, mecenate e straordinario collezionista d'arte, nonché poeta, saggista e costruttore. Prima di trasformare il complesso del padre in un parco di 350 ettari, noto come il "Giardino del perfetto splendore", vi aveva già edificato centinaia di strutture in stile cinese, mongolo e tibetano.

Castiglione fu incaricato dei nuovi progetti e della supervisione dei contributi creativi di altri fratelli gesuiti laici per realizzare fontane e padiglioni. Le maestranze erano cinesi. Il labirinto era il perfetto accessorio postrinascimentale per un giardino europeo, benché si trattasse di una struttura permanente in mattoni. Al centro si trova un padiglione, altro ibrido tra il gusto orientale e quello occidentale, dal quale si dice che l'imperatore assistesse a una gara annuale, di cui era giudice, dove erano coinvolte concubine e sfilavano lanterne gialle. Il labirinto viene definito Huanghuazhen, cioè "del fiore giallo".

"Antico palazzo d'estate" è il nome italiano del parco, considerato in Cina un monumento commemorativo. Il complesso, in cinese Yuánmíng Yuán, fu saccheggiato dai soldati inglesi e francesi nel 1860 durante la Seconda guerra dell'oppio, prima di essere distrutto da un incendio durato tre giorni ordinato da Lord Elgin. Nel 1900 gli inglesi tornarono a distruggere quel che ne era rimasto. Questo parco, detto anche "il parco dei parchi", è lo spietato promemoria dello scontro di due mondi, ognuno dei quali pensava di essere il centro dell'universo. Per ironia della sorte, i muri sopravvissuti sono per lo più di stile europeo. Anche se il labirinto e poche altre strutture sono stati ricostruiti negli ultimi decenni del Novecento, non esiste ancora un progetto definito sul futuro del complesso.

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Masone
Labirinto della Masone, Fontanellato, Parma, Italia
Bambù, principalmente Phyllostachys bissetii | 1998-2015

Il centro di un labirinto cristiano tradizionale è una prova di fede. Non c'è nulla di fisico, la fine del viaggio è semplicemente l'inizio del ritorno a casa. L'enorme opera di Fontanellato deve molto più alla struttura dei mosaici romani, con qualcosa di tangibile al centro. Esattamente come l'antica Troia era circondata da un dedalo di mura protettive, così possono essere necessarie anche parecchie ore per entrare e uscire da questo labirinto. Nella leggenda cretese al centro del percorso c'era un mostro; nel Labirinto della Masone, vicino a Parma, la destinazione è più attraente: una collezione d'arte, un museo del graphic design e un ristorante raffinato.

Il suo creatore, Franco Maria Ricci, editore di libri eleganti ed esclusivi, ha definito Masone «una città dentro un labirinto» e i suoi ampi spazi includono anche una cappella a forma di piramide. Ricci è un esteta e, nel 1998, dopo la cessione della casa editrice, ha commissionato quest'opera per risolvere il problema di troppa arte e poco spazio a disposizione.

Da sempre affascinato dal rapporto tra idee e labirinti, ha pubblicato le opere di Umberto Eco, esperto di semiotica, e di Jorge Luis Borges (pp. 18-19). Quando accennò allo scrittore argentino la sua intenzione di realizzare il labirinto più grande del mondo, ebbe questa risposta: «A che scopo? Esiste già; si chiama deserto».

Questo spronò Ricci a continuare con il suo progetto e il suo labirinto è cinque volte più grande di quello che deteneva il record in precedenza, il Pineapple Garden Maze alle Hawaii. Oltre all'oasi al centro, il percorso è un paradiso per gli amanti del bambù, come Ricci, che ne ha piantati più di 200.000, di venti specie diverse, convinto che l'ambiente circostante avrebbe beneficiato di questa pianta che, oltre a essere durevole e resistente alle malattie, assorbe grandi quantità di anidride carbonica.

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Nazca
Las Líneas de Nazca, Desierto de Nazca, Pampas de Fumana, Perù
Terra | 100 a.C. - 700 d.C.

Le linee di Nazca raramente vengono definite labirinti e, in effetti, sarebbe un'etichetta semplicistica. Se viste dall'alto, però, è chiaro che il ragno, la scimmia, il colibrì e l'"uccello di tuono", tra le altre forme, sono percorsi unicursali con un'entrata e un'uscita. Dalla prospettiva aerea, il fascino di queste espressioni dell'arte popolare è straordinario quanto il mistero e il senso di potere che comunicano. La cosa più incredibile è che non erano destinate a essere ammirate dal cielo, ma solo dalle basse colline circostanti. Situate circa 320 chilometri a sud-est di Lima, queste figure e le linee che in apparenza non sono loro collegate, vengono più precisamente definite geoglifi negativi, cioè forme ricavate nella piana desertica rimuovendo le pietre ferrose dalla superficie arida. Vennero realizzate dalle popolazioni Nazca e Paracas in vari momenti durante gli 800 anni della civiltà Nazca. Sono molto ben conservate, grazie alla scarsità delle precipitazioni e dei venti, anche se la pampa è un'area molto frequentata: la Panamericana infatti attraversa una lucertola gigante dal 1939.

Le linee sono un naturale catalizzatore delle teorie più astruse, tra cui quella di essere un mezzo di comunicazione con esseri extraterrestri. Studi recenti indicano come probabile spiegazione l'acqua, in una regione con precipitazioni inferiori ai 2,5 centimetri all'anno. In effetti, non conducono in nessun luogo particolare e gli allineamenti con i corpi celesti sono casuali, quindi erano probabilmente utilizzate per rituali legati all'acqua e alle piogge.

Le forme zoomorfe sono ovunque in Perù, dai bassorilievi in pietra ai lavori a maglia, ed è plausibile che il presunto potere magico degli animali sia stato sfruttato per influenzare le sorti degli uomini. Per esempio, sapete che il ragno è un simbolo legato all'acqua e il colibrì alla fertilità?

L'area della pampa peruviana a nord delle linee zoomorfe di Nazca, a rischio di cancellazione, è rimasta inesplorata fino a tempi recenti. Nel 1984 Clive Ruggles, un ricercatore britannico, decise di indagare quella che, dall'alto almeno, sembrava una serie di linee rette non collegate. Quando giunse sul terreno le linee che si trovò a seguire parevano formare un labirinto che si estendeva per 4,4 chilometri. A volte il percorso girava bruscamente, proseguendo avanti e indietro come le tracce dei punti di una macchina da cucire (vedi p. 95). Le sue ricerche però furono interrotte e Ruggles, già al tempo stimato professore di archeoastronomia, non tornò nella pampa fino al 2004.

La nuova spedizione prevedeva di indagare le linee in tutta la loro lunghezza, impresa che impegnò il professore e il collega Nicholas Saunders per 150 giorni. Il percorso unicursale che forma un labirinto era antico e i due ricercatori ritennero di essere stati i primi a percorrerlo interamente negli ultimi 1500 anni. La ragione per cui questo sito è rimasto intatto è che l'area è meno attraente, dal punto di vista turistico, rispetto a quella dei geoglifi zoo e biomorfi. Le teorie riguardo alle linee più famose, che includono uccelli, scimmie e fiori (indagate per la prima volta negli anni Venti), hanno chiamato in causa l'acqua, la fertilità, i calendari astronomici, per non parlare degli extraterrestri.

Il labirinto, meno appariscente ma molto insolito, studiato da Ruggles e Saunders, fu realizzato probabilmente verso la fine della civiltà Nazca, attorno al 500. I ricercatori speravano che attraversarlo completamente avrebbe permesso loro di far luce sulla popolazione che lo aveva realizzato. Le evidenze indicano che fu utilizzato pochissimo o addirittura non fu mai percorso, e forse venne abbandonato subito dopo la fine del lavoro. Lo studio concluse che probabilmente queste linee non erano destinate agli uomini che, quindi, erano coinvolti solo nella fase di realizzazione. È possibile che questo percorso, tracciato nel deserto, fosse destinato agli spiriti.

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Pisani
Villa Pisani, Stra, Venezia, Italia
Bosso (Buxus sempervirens) | 1720 circa

Noto come il Labirinto dell'amore, quello di Villa Pisani in Veneto è uno degli esempi antichi più belli tra quelli progettati per i rituali dell'amore cortese. La torretta di pietra al centro, con la doppia scala, rappresenta la scelta finale dei giochi d'amore che venivano messi in scena con una misteriosa dama mascherata. Minerva, dea della sapienza, osserva l'azione dal piedistallo in cima alla torretta; da questa posizione privilegiata non è difficile individuare la strada verso l'uscita. Diversamente, il percorso tortuoso di Villa Pisani è davvero insidioso.

Questo labirinto, situato in un'ansa del Brenta, tra Padova e Venezia, fu completato attorno al 1720, prima che l'imponente palazzo venisse edificato. Meno di un secolo dopo la casa e il giardino furono venduti a Napoleone, che vi soggiornò qui per una notte, si perse nel labirinto e lasciò tutto in eredità al figliastro il giorno dopo.

Nel 1934, 127 anni dopo, Villa Pisani venne scelta per il primo incontro ufficiale tra Benito Mussolini e Adolf Hitler. Lo scenario era perfetto per un moderno imperatore italico, ma la scelta si rivelò tutt'altro che felice. Erano anni ormai che la villa era gestita dallo Stato, quindi le lampade scintillavano e l'acqua nei bagni di marmo scorreva direttamente dalle Alpi. La visita dei nazisti coincise con un'invasione di zanzare, seguita da un temporale che causò l'annullamento dei fuochi d'artificio previsti dopo cena. Il colloquio privato tra i due leader non andò bene.

Prima di pranzo fu organizzata una visita al giardino. Forse Hitler voleva entrare nel labirinto? No. A pensarci bene, è impossibile immaginare il Führer nella giusta disposizione d'animo per tentare di risolvere l'enigma. Al termine dell'incontro, Mussolini si lamentò che Hitler non possedesse neppure un briciolo dell'arguzia italica.

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Pompei
Casa del Labirinto, Pompei, Italia
Mosaico | 79 d.C. circa

La Casa del Labirinto di Pompei deve il suo nome al magnifico mosaico al cui centro, in un emblema musivo, è presentato il macabro scontro tra l'eroe greco Teseo, che lotta nudo, e il mostruoso Minotauro. A uno sguardo ravvicinato, si scorge una folla di spettatori piuttosto agitati in piedi, tra i resti scheletrici dei giovani ateniesi entrati nel labirinto prima di Teseo. Raffigurazioni di questa scena mitologica, con la lotta fino alla morte, erano assai diffuse nel periodo imperiale romano. I miti greci e romani raramente sono noti in un'unica versione, ci sono però elementi della leggenda del Minotauro che non cambiano mai, tra questi il sacrificio dei giovani ateniesi da parte di un mostro furioso e il rituale del suo abbattimento.

A ciò si aggiunge la prigione del Minotauro, un labirinto multicursale, ma di cui si sa poco. Sotto il palazzo reale di Cnosso, dimora del re Minosse a Creta, è stata rinvenuta una serie di ambienti e passaggi sotterranei. C'era forse un mostro a palazzo? Alcuni affreschi sopravvissuti raffigurano donne che scappano da un toro; altri mostrano giovani occupati in uno sport, ma non è chiaro se siano attività libere o se vi siano stati costretti. Si trattava di tenere un toro per le corna, letteralmente, e saltargli in groppa mentre l'animale galoppava a gran velocità. Chi erano questi giovani, erano forse coinvolti in un patto?

Fin dall'inizio, gli artisti hanno raffigurato il Minotauro come un essere senziente. Nel 1885 l'inglese George Frederic Watts lo dipinse imprigionato su un'isola, senza null'altro da fare che aspettare la successiva nave di giovani e fanciulle da Atene. L' alter ego picassiano degli anni Trenta, invece, è più complesso: qui il Minotauro è un amante gaudente che si gode un bicchiere di vino; un timido voyeur che accarezza la mano di una giovane addormentata; uno stupratore. Vuole essere gentile, ma al tempo stesso agire a modo suo. Dalla nostra prospettiva, questo simbolo di contraddizioni è piuttosto affascinante. A Pompei e altrove, però, l'idea di centauri e satiri non era particolarmente strana. La natura mostruosa del Minotauro è confermata dal suo cannibalismo, che gli garantiva sempre lo stesso finale.

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