Copertina
Autore Alfonso M. Iacono
CoautoreSergio Viti
Titolo Le domande sono ciliege
SottotitoloFilosofia alle elementari
Edizionemanifestolibri, Roma, 2000, Indagini , pag. 144, dim. 145x210x10 mm , Isbn 978-88-7285-218-7
Classe scuola , scienze sociali , pedagogia , filosofia
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Indice


Introduzione                                      9
di Alfonso M. Iacono

«Ma allora la filosofia l'abbiamo sempre fatta!» 15
di Sergio Viti

Chi siamo noi?                                   29

Primo incontro: Maurizio, vorremmo domandarti    35

Del nostro incontro col filosofo pensiamo che... 75

Secondo incontro: credere, dubitare, sapere      81

Quasi tre anni dopo                             107

Discussione su due miti platonici               129

Appendice                                       141
Filosofia in forma di poesia
 

 

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Pagina 9

INTRODUZIONE
[...]

Comunque sia, rivedo Sergio. Discutiamo di varie cose e di molte scontentezze, come accade in questi casi. Ma questa volta, quasi per gioco, viene fuori l'idea di andare a fare filosofia alle elementari. Sergio già la faceva. Mi voleva coinvolgere. In fondo non c'erano solamente scontentezza nella nostra discussione.

Sergio insegnava ora a undici bambini della quinta elementare. Aveva già discusso con loro di questioni sociali, di diritti, di ambiente, di Rousseau, di Kant e di molto altro. Si, di Rousseau e di Kant. E anche di Michel Tournier e i suoi Robinson e Venerdì. Tutto dipende da chi insegna e da come insegna. A dispetto di una scuola che vive erroneamente il complesso di inferiorità rispetto ai mass media, l'informazione che può offrire un insegnante porta con sé, in più, il rapporto, il complesso gioco di autonomia e dipendenza grazie a cui gli alunni imparano (o dovrebbero imparare) a uscire dalla minorità. La scuola, nell'informare, forma. O almeno dovrebbe farlo, perché questa dovrebbe essere la sua caratteristica peculiare.

Sergio mi chiese, all'improvviso, se avevo voglia di andare nella sua classe per incontrare i suoi alunni. La cosa mi sgomentò non poco. Cosa andavo a fare in una scuola elementare? Di cosa avrei parlato? E come? Come avrei 'tradotto' quello che avrei avuto da dire a dei bambini di circa dieci anni? Quali argomenti avrei dovuto o potuto scegliere? A quel tempo la mia figlia maggiore, Arianna, stava facendo la quarta elementare. Dal punto di vista dell'esperienza con bambini di circa quell'età, non è che mi sentissi disarmato. Il fatto era che provavo disagio come insegnante. Come genitore uno ha rapporti, di solito e al giorno d'oggi, con uno, due, al massimo tre bambini, per giunta di età diversa. E i rapporti sono quasi sempre individualizzati. Ma con dodici alunni - ed erano sempre pochi rispetto ai ventisette per classe con cui molti insegnanti si confrontano - era un altro conto. A parte un'eccezione al tempo in cui ero da poco laureato, quando, grazie al mio amico Aldo, ebbi una breve supplenza al Liceo di Viareggio e di Forte dei Marmi, conoscevo soltanto il mondo dell'università, troppo diverso sotto tutti i punti di vista. Mi ero sempre chiesto perché Wittgenstein ad un certo momento della sua vita decise di andare a insegnare alle elementari e avevo avuto la fantasia che egli, proprio a causa della sua riflessione sul senso comune, sulle certezza, sull'ovvio, sul 'dato', dovette sentire il bisogno di confrontarsi proprio là dove senso comune, certezza, ovvio e dato cominciano a formarsi e dunque, proprio quando cominciano a diventare presupposti impliciti del nostro modo di pensare e di comunicare, possono essere visti e vissuti con altri occhi.

Avevo letto .cor Il mondo di Sofia. Ma intanto Sofia ha quindici anni e poi il rapporto è fondamentalmente a due. È il gioco della scoperta in un contesto edipico. È l'iniziazione di una fanciulla alla filosofia, cosí come potrebbe esserlo alla vita. Tutta un'altra cosa rispetto a un confronto con undici bambini nell'arco di una mattinata.

Alla fine mi resi conto che stavo sbagliando le domande. Deformazione professionale o contorsione caratteriale: il mio primo assillo era che cosa avrei detto io a loro e come l'avrei detto. Immaginavo la mia presenza nei termini di una conferenza o di una lezione. Ma perché? Quei bambini avevano già discusso e studiato con Sergio, sapevano già di filosofia, probabilmente avevano delle domande da fare e forse potevano se non condurre il gioco (ma forse anche questo), almeno giocarlo attivamente. Quale è il confine tra quello che un insegnante deve comunicare e il rapporto che si crea con l'alunno? Come gestire i passaggi simbolici tra i ruoli? Come insegnare l'autonomia, sapendo che quest'ultima passa per una negazione di chi insegna e poi per un riconoscimento diverso del rapporto?

Decisi di fare così. Nell'eventualità che fossi stato costretto a rompere il ghiaccio, preparai un discorso introduttivo, imbottito di un po' di miti (platonici e non), sperando però che si cominciasse senza tanti fronzoli con le domande dei bambini. E così fu. Il risultato è quello che troverete qui.

Andai un mattino alla scuola accompagnato da mia figlia Arianna. Pensavo che l'esperienza potesse interessarla e esserle utile. Non dico che non lo fu, ma la verità era - tipico pensiero paternalistico di un padre - che volevo convincere me stesso di ciò. Ero in realtà io ad avere bisogno di essere accompagnato. E la presenza di Arianna mi rassicurava. Entrammo in classe assieme a Sergio e al suo collega Massimo. Tutto si svolse con semplicità, vivacità, calore. Domande su domande. Presi lì per lì una decisione: non tentai di condurli sul mio sentiero, non cercai di spostare le domande e spingere velatamente i bambini a far proprie le mie domande. Non so perché non lo feci, ma sentivo che era giusto così. Mi affascinavano. Mi piaceva ascoltarli, mi attirava l'idea di un gioco libero. Non si troveranno dialoghi o domande di tipo, per così dire, teoretico, riguardanti la conoscenza, l'esistenza, l'unità dell'universo. Non perché i bambini non siano capaci di farle, ma perché non le hanno fatte. Si troveranno domande di bambini che hanno certamente avuto bravi insegnanti, essi stessi così affascinati dal mondo dei bambini da avere motivazioni al lavoro che altrimenti sarebbe difficile trovare, pronti a meravigliarsi della meraviglia prodotta e vissuta dai bambini. Ve ne sono ancora molti di questi insegnanti, ma, temo, sempre meno.

Certo, siamo nel Centro Italia, con un certo benessere e buone, rassicuranti tradizioni sociali, con genitori comprensivi e partecipanti. Poco a che vedere con le periferie del Nord e del Sud e niente a che vedere con scuole e classi affollate, con maestri disincantati, spesso a ragione a causa dello scarso riconoscimento del loro ruolo sociale e culturale, con molti genitori afflitti da gravi problemi economici o assenti. Ma non siamo nemmeno in una scuola di ricchi e privilegiati, in un istituto d'élite ben pagato dalle famiglie. È una scuola pubblica, come tante, in un angolo del nostro paese.

Alla fine della giornata constatai che nessun bambino aveva chiesto di andare a far pipi. Mi illudo che ciò fosse stato dovuto all'attenzione riservata all'argomento del giorno o, ancora meglio, che eravamo stati bene insieme. Decidemmo di rivederci un'altra volta. Tornai (quel giorno era venuto anche il direttore) e il clima non mutò, anzi il rapporto divenne ancora più facile.

Sergio ed io pensammo che forse era il caso di trascrivere le registrazioni e valutare l'effetto della discussione a mente fredda. Quel che leggemmo non ci dispiacque e allora ci domandammo se non valeva la pena di pubblicare il resoconto di quegli incontri. Mettemmo molto tempo a preparare il tutto, lo facemmo leggere a qualche amico/a, lo presentammo a Marco, Stefano, Simona. Marco e Simona suggerirono di fare un altro incontro con i bambini che ormai andavano alla terza media. L'idea ci piacque e lo facemmo.

Qualcosa era cambiato. Certo! L'età! Ma non si trattava soltanto dell'età. La scuola media è un altra cosa. La distanza attuale tra elementari e medie, tra i rispettivi modi di organizzazione e di insegnamento, mi sembra assai più forte della differenza d'età e di crescita dei bambini che passano dalle prime alle seconde.

Ad ogni modo in questi dialoghi, fondamentalmente, il lettore troverà un modo di conversare e di stare insieme nella perfetta consapevolezza dei ruoli reciproci, ma anche nell'assoluta gratuità del piacere della comunicazione. O almeno, così è parso alla componente adulta di questi incontri.

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