Copertina
Autore Giuliana Iaschi
Titolo L'uomo nell'ombra
SottotitoloThriller sul confine
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007, Eretica , pag. 242, cop.fle., dim. 12x17x1,4 cm , Isbn 978-88-6222-024-8
LettoreAngela Razzini, 2008
Classe gialli , thriller
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Pagina 9

1.


IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO PARTE OGGI PER LA CAPITALE BRITANNICA – Acheson ha messo al corrente il Presidente Truman dell'ultima fase dei colloqui con gli Ambasciatori di Francia e Gran Bretagna sulla risposta da dare ai russi sulla questione del Trattato di Pace con la Germania. Per la questione di Trieste, Acheson ha ribadito che la posizione degli Stati Uniti è di trovare una soluzione amichevole concordata tra Italia e Jugoslavia, le due principali Nazioni interessate.

Truman ha firmato la legge per gli aiuti militari agli alleati.

Fra poco la televisione funzionerà in tutto il paese. Il voto favorevole della Camera dopo l'esauriente discorso del Ministro Spataro.

Sabato si apre la IV Fiera Campionaria, una tappa fondamentale nella vita economica della città. Il generale Winterton aprirà la grande rassegna internazionale alla presenza del ministro Campilli.

Riapre il cinema estivo Arena dei fiori. Questa sera, tempo permettendo, verrà proiettato il film in prima visione "A ciascuno il suo destino", con Olivia De Havilland.

[Dal Giornale di Trieste]


Staccò gli occhi dallo schermo e guardò in su. Le nuvole si stavano diradando, qua e là s'intravedeva già qualche stella. Non sarebbe piovuto. Spostò lo sguardo sul pubblico, indugiando: uno sguardo lungo e lento, circolare – una panoramica, avrebbe detto un critico di cinema. Nonostante il tempo incerto erano venuti in tanti, i posti erano occupati fin dalle primissime file. Un mare di teste immobili, fisse allo schermo, un mare silenzioso, illuminato appena da quelle immagini riflesse. E altrettanto finto. Al riaccendersi delle luci tutto sarebbe svanito, lo sapeva, e sarebbe ricomparso il telo bianco e vuoto, la gente col suo aspetto comune, ordinario.

Non che il pubblico gli dispiacesse, anzi: quando erano venute giù quelle due gocce e tutti a chiedersi cosa sarebbe successo, si era divertito un mondo a guardare quelle facce sgomente, quell'alzarsi a metà, e quei nasi per aria, e voltarsi, e agitarsi... Gesti ridicoli, presi così a uno a uno, ma che a vederli tutti assieme, dal di fuori, avevano trasmesso una forza! Gli erano venute in mente le parole nervosismo e ondeggiante. Sì, un "nervosismo ondeggiante". Magnifica sintesi, doveva ricordarsela. A ogni modo gli piaceva di più il cinema al chiuso. Intanto per il raggio, quel raggio azzurro che tagliava in due la penombra, che brulicava di puntini luminosi, danzanti, vivi. Quante volte si era incantato a guardarlo. E poi là il pubblico era più attento, più preso, mentre all'aperto – figurarsi. Troppi rumori, troppa luce dall'esterno. Per non parlare delle sigarette continuamente accese, sviavano più di tutto. Meno male che al chiuso c'erano gli americani a vietarlo. No smoking. O forse era una regola dei tempi dell'Austria, chissà, da loro era tutto diverso. Altra storia, altre tradizioni.

Spostò il peso del corpo da una gamba all'altra, quando il film non lo prendeva sentiva tutta la stanchezza di tante ore in piedi: più di sei con quelle dell'Alabarda, e doverselo sorbire ancora per un'ora... Si appoggiò alla parete. Però erano belle quelle piccole braci che si accendevano nel buio, poteva indovinare quante ce n'erano in una fila, o se il numero era pari o dispari, quanto ci mettevano a spegnersi... Cose del genere, per far passare il tempo.

No, il pubblico non lo disturbava affatto, faceva parte del rito. Un numero imprecisato di individui entrano vociando, prendono posto in modo disordinato e rumoroso; poi le luci si spengono, le immagini cominciano a scorrere e quelli si fanno immobili, muti. Sagome, manichini senza volto. Ogni tanto ne focalizzava uno, era come dargli vita, gli piaceva.

Come la ragazza della quarta fila, era da un po' che la osservava. Aveva un collettino bianco che spiccava nel buio, e quell'aria da educanda... Pareva tutta presa dal film, prima si era perfino asciugata gli occhi col fazzoletto. Che ingenua, quel filmaccio non lo meritava. Era sicuro di averla già vista all'Alabarda domenica pomeriggio, lo aveva colpito anche perché stava là, tutta sola... Chissà se stavolta era venuta con qualcuno, non era facile veder ragazze sole al cinema, soprattutto di sera. In genere ci venivano in compagnia, quasi sempre con l'amica. O col ganzo di turno, sicuro: il ragazzo lo chiamavano le squinzie, e quelle terra–terra il moroso. Ma in questo caso lo trascinavano in fondo, nelle ultime file, dove il buio era più fitto. Per fare le loro...

"Si incontravano al cinema, era là che facevano le loro porcherie. Quella donnaccia! E il mio povero figlio..."

Strinse i pugni. Già, se non lo sapeva lui! Mille volte li aveva sorpresi e ogni volta era stato costretto a intervenire. Questione di decoro, di pubblica decenza – niente di personale. Doveva far rispettare il regolamento, lui, aveva una funzione precisa, un suo proprio ruolo! Per cosa, se no, gli serviva la divisa? Guardò dall'altra parte. Come il Giovanotto delle bibite, eccolo là, e in atrio la Signorina della cassa. Li chiamavano sempre così, anche se quella aveva quarant'anni per gamba e l'altro poco meno. "Signorina, due biglietti! Qua, giovanotto, un'aranciata!" Lui era la Maschera. Nessuno lo fissava negli occhi, nessuno si interessava a lui come persona. Per questo gli piaceva quel lavoro: guardare chi e quanto voleva senza essere guardato, che c'era di più eccitante? E naturalmente per i film. Quando erano ben fatti, però, non come quella robaccia che stavano proiettando, quando raccontavano storie eroiche, meravigliose... I western, ecco i suoi preferiti. Di qua i buoni, di là i cattivi, impossibile sbagliarsi.

"Resta con noi, Shane".

"Non posso, Joey. Un uomo ha la sua strada tracciata... "

Si accorse che il primo tempo stava per finire. Si staccò dalla parete e mosse due passi avanti. Ora non poteva permettersi di distrarsi, agli intervalli c'era sempre qualcuno che chiedeva informazioni: e a che ora finiva il film, se ripetevano il primo tempo... Ce l'avevano soprattutto coi gabinetti, anche se la scritta era ben visibile, addirittura illuminata. Eh sì, il pubblico era viziato, che ci poteva fare? E poi se eri gentile ti davano la mancia.

Ecco, le luci si erano accese, la gente cominciava a muoversi. Guardò la ragazza dal colletto bianco. Adesso stava chiacchierando con una della fila dietro, quella donna in età. Che fosse venuta con lei...?

Un punto a vantaggio dei cinema all'aperto era che agli intervalli non occorreva precipitarsi ad aprire le porte per il ricambio dell'aria, e così in fretta e furia che non avevi tempo per altro. Soprattutto non era necessario vigilare, non c'era il rischio che qualcuno tentasse di fregarti. Come quel pomeriggio all'Alabarda, alla prima proiezione. Davano Il cavaliere della valle solitaria – che film! lo sapeva a memoria – e ancora un poco, se non stava attento... Piccoli bastardi! Erano in tre, si erano nascosti fra i tendaggi sgattaiolando dentro appena buio, li aveva pizzicati per un pelo. Ah, era stato inflessibile: o pagate il biglietto oppure marsch! li aveva perfino minacciati di portarli dal Signor Direttore. Non che lo pensasse sul serio, lo aveva detto solo per spaventarli. E ci era riuscito, altroché, il più piccolo aveva uno sguardo così terrorizzato che ancora un poco se la faceva sotto!

– Scusi, dov'è il gabinetto?

– Θ la in fondo, vede? Dove c'è la scritta luminosa.

Guardò l'uomo allontanarsi. Controllò l'ora: mancavano solo tre minuti all'inizio del secondo tempo, e se quello non si sbrigava... Meglio seguirlo con la torcia, non poteva rischiare che al ritorno disturbasse tutti.

– Dov'è il bagno per favore?

Sorrise tra sé. Questa invece era una donna, ma non era stata tanto la voce a rivelarglielo quanto piuttosto la parola usata, solo loro dicevano bagno invece di gabinetto. Si voltò e lo indicò anche a lei.

– Guardi che tra poco inizia il secondo...

Niente, era già andata. Ridacchiò. Che furia, doveva proprio scapparle. Lui però era stato discreto, neanche un accenno ai bisogni corporali, mica poteva dirle "si sbrighi con le sue faccende" o "faccia in fretta la pipì"! erano argomenti delicati. O almeno avrebbero dovuto esserlo, certi termini erano così brutali. Come cesso e latrina, o peggio ancora vespasiano, orinatoio, pisciatoio... bruttissimi, volgari – ma erano riservati agli uomini. Una volta aveva visto scritto gabinetto di decenza. Grazioso, doveva ricordarselo. L'uomo stava uscendo, bene. Invece l'altra era ancora dentro. Ma già, con tutti gli aggeggi che si mettevano le donne! Combiné, bustini, calze, giarrettiere... Però adesso che era estate avevano meno roba anche sotto, no? avrebbero dovuto far più presto, no? Le mutande se le calavano in fretta, le sporcaccione! "... facevano le loro porcherie. Quella donnaccia! E il mio povero figlio appena morto!"

– Basta!

La torcia gli scivolò. Ancora quella voce, sempre... La raccolse in fretta. Fortuna che non l'aveva sentito nessuno, aveva quasi gridato. Doveva star più attento, sviarsi meno... Il buio calò di colpo, sorprendendolo. Accese la torcia, e nello stesso istante vide la donna uscire dal gabinetto. Le si avvicinò svelto.

– Che fila, signora?

– La terza.

La precedette muovendo il raggio qua e là e senza volere illuminò la ragazza dal colletto bianco. Si arrestò. Lei si era voltata, fissandolo senza vederlo, lo sguardo smarrito, cieco. Scese lentamente – quasi carezzandola, poi risalì.

Sì, lo stesso sguardo che coglieva in quei suoi esperimenti...

"Nonna, dov'è la mia scatola? quella col coltellino"

"Te l'ho buttata via, ecco! Accanirsi così su quelle povere bestie! Tu sei un mostro..."

– Giovanotto, vuol farmi luce sì o no?

Spostò il raggio in fretta. – Mi... mi scusi, signora.

Passò oltre e accompagnò la donna al suo posto. Poi tornò nell'ombra, aspettando la fine.

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Pagina 58

6.


La malattia che ha colpito Eva Peron, "Evita" come la chiama il popolo, lascia ben poche speranze. La presidentessa argentina sembra condannata.

Nel cielo di Corea un aereo americano è stato danneggiato da caccia cinesi. L'apparecchio, del tipo "Martin Mariner" di ricognizione, stava effettuando un normale volo sul mar Giallo.

Un centinaio di militari inglesi hanno lasciato Trieste sul piroscafo "George Goethals". Con loro parecchie nostre ragazze, divenute spose felici.

[dal Giornale di Trieste]


La branda cigolò quando si alzò a sedere, cigolò ancora quando appoggiò i piedi a terra e una terza volta al momento di tirarsi su. Un verso lamentoso che pareva quello di un gatto — e aveva miagolato a ogni suo respiro, la maledetta. E la sua povera testa! Fece due passi per raggiungere il lavabo, aprì il rubinetto e la cacciò sotto l'acqua fredda. Si asciugò, poi si guardò nella scheggia di specchio che qualche altro disgraziato aveva lasciato là. Quel colore grigiastro, quegli occhi pesti... Già, si era preso una sbronza colossale. E un giorno di consegna per "turbamento della quiete pubblica". E bravo Johnny, si disse, continua così che vai forte! Lui, che si era fatto sei mesi di Corea, proprio lui andava a sbronzarsi come un qualsiasi pivello — e per che cosa? Perché si sentiva tanto solo, invece di ringraziar la sorte di essere a Trieste che ancora fra quei musi gialli!

Altri due passi per raggiunger la finestra... Per riuscire a vedere qualcosa gli toccò montare sulla sedia, era troppo in alto anche per il suo metro e ottantatré. Si chiese che ora poteva essere: dalla luce e dal fermento che vedeva nel cortile – jeep che partivano, andirivieni di soldati – pareva mattino presto: e a proposito, che fine aveva fatto il suo orologio? Perciò aveva dormito forse tre ore, ecco perché si sentiva così cotto. E tra poco gli avrebbero portato da mangiare...

A quel pensiero si sentì rivoltar lo stomaco. Scese e tornò davanti allo specchio, cacciò fuori la lingua. Sporca come una suola vecchia, e altrettanto spessa. Meglio restar digiuni, era l'unica cura per rimettersi. Si ristese sulla branda, allungò il braccio per prendere le Camel, ne accese una. La spense subito: anche quella sapeva di suola vecchia — maledizione a lui e alla sua bella pensata!

Però che scalogna esser stato beccato dall'MP in una zona così fuori mano... Di solito quelli battevano la zona del porto, o Cittavecchia, era raro che si spingessero fino in periferia. A meno che non li avessero chiamati... E infatti gli pareva di ricordare che un tizio gli aveva urlato qualcosa dalla finestra, ma era tutto talmente confuso... E non gli era sembrato perfino di vederlo salire in piedi sul davanzale? Che sbronza, ragazzi.

Andò nell'angolo del water, fece pipì. Un'altra cosa che non riusciva a ricordare era come diavolo aveva fatto ad arrivare fin là: l'unico ricordo certo era che si era sbronzato di proposito, e da solo. Bel coglione: adesso stava meglio, chiuso là dentro come un dannato topo? A ogni modo, domani sarebbe stato libero. Si sciacquò le mani, bevve un lungo sorso dal rubinetto. Per quel che se ne faceva, poi. Se almeno avesse conosciuto una ragazza, una brava ragazza con cui chiacchierare e fare amicizia, e poi magari... Ma dove trovarla? Ci aveva già provato, e ogni volta gli era andata buca. Frequentare quei locali dove si rimorchiavano ragazze compiacenti – come facevano praticamente tutti – non lo attirava, e i bordelli meno che mai, ogni volta era stata un'esperienza squallida, umiliante.

Si asciugò. Era troppo sentimentale, ecco il suo guaio. O troppo puritano, a star dietro ai suoi compagni – vallo a sapere. Però un poco li invidiava, loro non si facevano tanti scrupoli. Un botto e via, dicevano, che ci vuole? E lui restava solo come un cane in una città dove non conosceva nessuno...

"Ecco che ci ricasco", si disse, e non andava affatto bene. Era giovane, sano, d'aspetto niente male... Guardò in su, verso la finestra. E fuori c'era il sole. Se durava quel tempo, decise, appena libero sarebbe andato al mare, in quello stabilimento riservato a loro. – E al diavolo le ragazze!

– Ben detto, figliolo.

Trasalì – chi cazzo... Si voltò. Due occhi lo stavano spiando dall'apertura sulla porta, poi la porta si aprì e lo spione apparve tutto intero. Era il loro maggiore, seguito da un uomo in borghese e dal piantone di turno. Scattò sull'attenti, dimenticandosi di essere in mutande.

Il maggiore fece un sorrisetto. – Molto bene. A quanto sembra sei tornato sobrio, sergente Dewey.

– Sissignore... sì.

– Ne avrai bisogno. C'è qualcuno che vuoi rivolgerti un paio di domande sulla tua... notte di fuoco, un ispettore del CID. – Si rivolse all'uomo in borghese. – Dico bene, ispettore?

L'altro annuì.

– Ma prima sarà opportuno che ti renda presentabile. Ti aspettiamo nel mio ufficio, vediamo... tra dieci minuti esatti, d'accordo?

– Senz'altro, signore.

I due uscirono lasciandolo col piantone. Cominciò a vestirsi in fretta. Un ispettore voleva interrogarlo... chi ci capiva niente? Una sbronza non era mica un crimine, diavolo! D'accordo, si era lasciato un po' andare, ma far intervenire addirittura uno del CID! A meno che non avesse combinato chissà cosa... Si infilò la camicia nei calzoni sotto lo sguardo insistente dell'altro.

– Rilassati, non scappo – brontolò.

Uscì con quello piazzato alle costole per l'intero percorso dalle celle, giù nel seminterrato della caserma, fino all'ufficio del maggiore al terzo piano. Quasi fosse un pericoloso criminale!

E lui che non ricordava niente...

Entrò, fermandosi sull'attenti.

– Riposo, sergente. Vengo subito al punto. Ci risulta che tu, questa notte, ti trovavi molto lontano da qui, precisamente in via del Veltro, nei pressi dell'ippodromo di Montebello. Θ esatto? Esitò. – Non saprei, signore... Θ che non conosco neanche un nome di quelle strade.

– Eppure è proprio là che ti hanno trovato – meglio dire raccolto, quelli della polizia militare. Davanti al numero civico **. Che ci facevi là, come ci sei arrivato? Avevi un appuntamento con qualcuno? Magari con una ragazza un po' difficile: è così? Se non sbaglio, prima ti ho sentito mandarle al diavolo.

Stava sudando freddo. Cosa volevano ancora da lui? Aveva avuto la sua brava punizione e la stava scontando, porca miseria! Ma se lo tenne per sé.

– Nossignore, nessun appuntamento – rispose invece, – sono arrivato là per puro caso. Non saprei neanche tornarci, signore.

– Ricorda forse di aver visto o sentito qualcuno nei paraggi? Ci pensi bene, sergente.

L'ispettore gli si era avvicinato. Parlava un inglese corretto – se pure con un forte accento, e non smetteva di fissarlo. Lo guardò dritto anche lui. Diavolo, non aveva niente da nascondere! O così, almeno, sperava...

– Posso rispettosamente conoscere il motivo di questo interrogatorio, signore? Se ho fatto qualcosa che non va... A parte la sbornia, si capisce.

Il poliziotto e il maggiore si scambiarono un'occhiata.

– D'accordo – concesse. – Con un avvertimento, però. Quel che diremo deve restare in questa stanza, deve restar segreto. Ha capito bene, sergente?

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L'euforia, la sensazione gioiosa di essere al riparo dal pericolo, – la sua buona stella! – tutto gli era crollato davanti a quella vista. Una ruspa, ecco cos'era! Una gigantesca, minacciosa, terrificante ruspa, portata fin lassù per demolire quel muro disastrato – se no per cosa? E avrebbero scavato, trovato il corpo... Si lasciò andare sul gradino. Era là che lo aveva sepolto, sotto il muro. Anche allora c'era stato un diluvio, aveva lavorato come una bestia a spalar la terra zuppa d'acqua, pesante come cemento - lo ricordava bene, come avrebbe potuto dimenticare! E adesso gli toccava un lavoro ben peggiore... Rabbrividì. Cosa avrebbe trovato dopo tanto tempo. Dopo tanto caldo. Ma se non voleva esser perduto doveva dissotterrarlo subito, quella notte stessa, prima che la ruspa... Si voltò a guardare quella sagoma nera, quelle ganasce aperte che sembravano ghignare...

Si passò una mano sulla faccia. Non doveva farsi prendere dal panico, aveva bisogno di tutta la sua lucidità, predisporre un piano... Il primo problema da risolvere era come trasportarlo, e dove. Se almeno avesse avuto un mezzo, uno qualsiasi! E invece doveva accontentarsi di quella vecchia carriola arrugginita – che tra l'altro faceva un rumore d'inferno, e portare quell'orrendo carico a piedi. E questo perché era stato così pazzo da seppellirlo proprio là, sotto casa sua!

Un chiaro improvviso inondò il cortile. Alzò gli occhi. Era apparsa la luna, lo squarcio di sereno si era fatto più largo. Presto tutto il cielo sarebbe stato sereno... Non per lui, non per lui – lui non aveva scampo.

E bisognava cominciare.

Si alzò a fatica. Aprì il portone, salì a passi pesanti in camera da letto. Si tolse la divisa, l'appese, come un automa indossò gli abiti di casa. I gesti di ogni giorno – per non dover pensare... Non farsi prendere dal panico. Predisporre un piano.

Ora le cose che servivano... Si sforzò di concentrarsi. La vanga, la torcia, i guanti di gomma, un involucro... Gli venne in mente che la torcia e i guanti erano giù, nel laboratorio. Non c'era più tornato, da quella volta. Ma doveva farlo, non aveva scampo. Passò per la cucina, scese la scala. Si fermò davanti all'oscurità dell'altra scala...

Non farsi prendere dal panico.

Accese la luce e scese in fretta, afferrò in fretta guanti e torcia. E non poteva fare a meno di guardare...

Là, accosciata davanti a quel secchio, immobile...

Via da quel luogo, via. Rifece gli scalini a due a due, arrivò su senza fiato. Si appoggiò alla parete ansimando. Che altro serviva ancora? Sì, qualcosa per avvolgere il... qualcosa di impermeabile, di spesso. Tornò in cucina: da qualche parte doveva esserci una tovaglia di tela cerata, come involucro poteva andar bene. Aprì un cassetto della credenza, un altro, tastò sopra il pensile – dove l'aveva messa, lui per principio non buttava niente, tutto poteva servire...

Dio! Avrebbe dato qualsiasi cosa per non servirsene in quel modo!

Ma doveva farlo. Non aveva scampo.

Poi la trovò. La stese sul tavolo spianandola. Era un po' corta, ma non aveva altro. La ripiegò e uscì di nuovo, sistemò tutto vicino alla vanga e alla carriola. Accese la torcia ma la spense subito. Funzionava, però era troppo visibile, intorno non c'era una luce. E poi era spuntata la luna, si vedeva anche senza. E meno vedeva.. .

Non farsi prendere dal panico.

Puntò lo sguardo sulla zona da scavare, si avvicinò. Un passo lungo, un altro. Due metri per uno, da quel punto preciso fino all'edera. A un metro e mezzo di profondità...

Fece un respiro profondo. Afferrò la vanga, la affondò, buttò la terra di lato una volta, due, e ancora, ancora. Affondare, raccogliere, buttare – hop là. Non era difficile, bastava solo prendere il ritmo giusto, concentrarsi solo sui movimenti e non pensare ad altro. Affondare, raccogliere... Più svelto, più svelto! – la fatica impediva di pensare...

Scavava veloce, il sudore che gli colava negli occhi, asciugandosi con la manica tra una palata e l'altra. Affondare, raccogliere...

Si fermò per bere un sorso d'acqua, guardò in su. Le stelle erano ancora visibili ma la luna stava calando, tra poco sarebbe stato giorno...

Riprese di slancio: ormai mancava solo mezzo metro, forse meno, conveniva sbrigarsi finché durava il buio, il buio almeno gli evitava di... Qualcosa urtò la lama, qualcosa di tenero, molle. Si arrestò atterrito – le braccia tutt'a un tratto pesanti, tutto il corpo pesante, torpido. Tra poco avrebbe visto... Non ce la faceva, non ce la faceva a continuare! Eppure doveva, altrimenti... Si voltò a guardare quella sagoma in alto.

"Altrimenti sono perduto".

Si chinò lentamente. Prese la torcia in mano, l'accese puntandola verso il basso. Si accorse di tremare – la resse anche con l'altra tanto tremava. Il raggio gli mostrò un lembo di coperta infangata, quella che aveva usato per avvolgere il... D'impulso la spense. Meno vedeva...

Non farsi prendere dal panico.

La riaccese, lo stomaco stretto dal disgusto – c'era un tanfo... L'appoggiò per terra, di fianco alla fossa, si legò il fazzoletto a mo' di bavaglio. Lentamente si infilò i guanti di gomma. Doveva scavar con le mani per non rischiar di lacerare la coperta...

Che schifo, che ribrezzo!

Scavava sempre più in fondo, alla cieca, la testa girata dall'altra parte – quel tanfo... Scavava di furia, incurante del sudore che gli inondava la faccia, respirando il suo respiro caldo contro il fazzoletto. Più in fondo, più in fondo...

Poi si fermò, tastò cauto la parte di coperta emersa. Forse poteva bastare... Si rizzò a metà, provò a tirare un lembo, prima piano poi più forte. Qualcosa si mosse. Si alzò di più e tirò, tirò con tutte le sue forze — i piedi che slittavano su quella terra viscida, tenace come una morsa. All'improvviso una sagoma molle sgusciò fuori. Perse l'equilibrio, quasi cadde all'indietro. Gridò, spaventandosi del suo stesso grido, di quello che vedeva. Le buttò addosso il telo. Meno vedeva...

Si asciugò il sudore che gli bruciava gli occhi. Ora doveva riempire la fossa, spianarla. E quella sagoma scura, là in parte...

Ma bisognava continuare.

Finì che la luna stava tramontando e si fermò spossato. Adesso doveva vincere l'ultimo disgusto e caricare quella cosa che emanava quell'odore, trasportarla... Mentre scavava aveva già pensato al posto: nel bosco più vicino, a due chilometri da lì, il solo che poteva sperare di raggiungere. Tra l'altro era pieno di cavità, e se ne trovava una abbastanza profonda... Sarebbe stato da stupidi non approfittarne, no?

Avvicinò la carriola più che poteva e la abbassò, vi spinse sopra quel fagotto tremolante trattenendo il telo che stava scivolando — che schifo, che ribrezzo!

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