Copertina
Autore Emiliano Ilardi
Titolo Il senso della posizione
SottotitoloRomanzo, media e metropoli da Balzac a Ballard
EdizioneMeltemi, Roma, 2005, Nautilus 22 , pag. 238, cop.fle., dim. 120x190x20 mm , Isbn 978-88-8353-372-3
LettoreLuca Vita, 2005
Classe critica letteraria , sociologia , citta'
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Indice

  9 Introduzione
    Perché leggere i contemporanei?


    Parte prima
    Fine del romanzo?


 13 Capitolo primo
    In difesa del romanzo

 13 Romanzo, consumo e media
 15 Reinventare la realtà
 20 Spazio dei flussi e spazio dei luoghi
 25 Il senso della posizione
 29 La prigione della forma
 32 Le armi del romanzo
 36 Due linee


    Parte seconda
    Verso il virtuale


 43 Capitolo secondo
    Dalla strada alla finestra

 43 Lo sguardo spaesato
 44 Lo sguardo incantato
 49 Il caso e l'occasione
 52 La dialettica dei luoghi
 57 Il cinismo dell'arrivista
 59 Tutti in finestra
 64 Il romanticismo dell'arrivista
 69 Lo sguardo disincantato
 71 Infinite possibilità?
 73 Un Balzac "postfordista"
 77 L'aut-aut della metropoli
 80 La città delle fantasticherie
 82 Romanticismo politico
 87 Tra orrore e fascinazione
 88 Un surrealista in trincea
 91 Dalla mobilità sociale alla mobilitazione totale
 95 La città come zona di guerra
 99 Dalla finestra alla strada

111 Capitolo terzo
    La dissoluzione dei luoghi

111 Uno spazio virtuale
112 Cataloghi di città
115 L'investigatore frustrato
119 Alla ricerca del Tristero
123 Il cittadino postmoderno


    Parte terza
    Ritorno al territorio


133 Capitolo quarto
    L'individuo in trincea

133 Apologia di un disertore
136 Dalla smitizzazione della guerra...
139 ...alla smitizzazione della città
140 La città vista dal territorio
144 Il Viaggio come romanzo d'azione
148 La storia di Alvaro
151 Città e movimento
158 L'ambiguità di Pasolini

167 Capitolo quinto
    La città prigione

167 Quante sono le città postmoderne?
170 I rischi del nomadismo
179 Tutti in prigione
183 Fine dello spazio pubblico e romanzo
185 Scintille psicopatiche di narrazione
188 L'implosione della comunità
191 Libri di sangue
194 Le illusioni del sincretismo culturale
199 Mercificazione e militarizzazione
203 L'etica del pollo Amadori
209 Un virus nel software del mercato
212 Il punto di vista del deviante

221 Bibliografia


 

 

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Pagina 9

Introduzione

Perché leggere i contemporanei?


Che senso ha oggi leggere romanzi? È questa una domanda che ricorre molto spesso negli ultimi anni in giornali, riviste specializzate e saggistica varia. Ma in realtà è una domanda ingannevole in quanto viene quasi sempre interpretata nel senso dato da Calvino: Perché leggere i classici? (Calvino 1991). In un ultimo tentativo di difendere l'atto di lettura dagli attacchi di televisione, videogiochi e internet, il romanzo viene automaticamente identificato con i grandi capolavori della letteratura. In questo modo la difesa diventa più facile. Un motivo per leggere Cervantes, Balzac, Flaubert, Goethe, Tolstoj, Kafka, Proust, Musil, Melville, García Màrquez, Joyce, Gadda, Calvino, anche in questi tempi dominati dai flussi digitali e telematici, lo si trova sempre. I classici come gli ultimi fedeli pretoriani della letteratura, la vecchia guardia di Napoleone, i cavalieri del Santo Graal. Il problema è che a forza di identificare la letteratura con i classici, di condurre aspre battaglie per stabilire chi ha il diritto di essere proclamato classico, di discutere se questo classico si debba considerare appartenente al canone della letteratura italiana, europea, occidentale, mondiale o universale, si è tralasciato un piccolo particolare: a partire da Calvino, ultimo classico unanimemente riconosciuto (almeno in Italia), gli scrittori hanno continuato a comporre romanzi. E allora forse sarà il caso di riformulare la domanda iniziale: che senso ha leggere gli autori contemporanei? Quelli che parlano del presente, delle nostre vite, del mondo che abitiamo? Perché leggere, ad esempio, Ballard, Houellebecq, Leroy, Lethem, Ellis, Nove, Ammaniti, Foster Wallace, Welsh, King, Roth, Auster, Yehoshua, Blincoe, Moresco, Palahniuk, DeLillo, Despentes, Marías, Boyle, Wolfe, Ellroy, Bunker, De Cataldo? Riescono a offrire un punto di vista alternativo a quello di una televisione satellitare con trecento canali? Quali modelli, costruzioni simboliche, mondi possibili immaginano che già non si trovino nella sconfinata rete di internet? In che modo intrattengono, fanno sognare e fantasticare diversamente dalla serie di videogiochi della Playstation, di un gioco di ruolo virtuale o di un programma di simulazione informatico? È ancora in grado il romanzo di descrivere, interpretare, codificare, formalizzare il cambio di paradigma attuato oggi dalle nuove tecnologie? Esiste ancora un'irriducibile specificità romanzesca o il romanzo è ormai destinato a disseminarsi nei flussi comunicativi, ad assumerne inesorabilmente le forme, a sciogliersi nel grande mix multimedia, ad avere una funzione meramente residuale? Esistono ancora esigenze simboliche, scissioni, vuoti nelle società attuali che solo il romanzo sa indagare o riempire (Ragone, Tarzia 2004)?

Per scoprire se il romanzo può ancora svolgere una funzione essenziale e specifica nelle società tecnologicamente avanzate non si può non riflettere su quella che è stata la sua funzione sociale, almeno negli ultimi due secoli. Per verificare quali sono le sue potenzialità oggi non si può non indagare su quelle che sono state le influenze che storicamente ha avuto sull'immaginario collettivo. E per capire infine se va ormai considerato alla stregua di un reperto archeologico o ancora possiede un ruolo forte nelle network society non si può analizzarlo in astratto, come se il romanzo abbia vissuto e viva in un mondo tutto suo, autonomo e autoreferenziale. Bisogna contestualizzare, scegliere un campo d'azione. Nel presente saggio questo luogo è la metropoli. Se ne poteva scegliere un altro ovviamente: la campagna, il viaggio, la psiche, la sessualità, il consumo. Ma credo che la metropoli sia quello spazio materiale e simbolico che riesca a comprenderli tutti; che possa funzionare sia come contesto spaziale sia come grande categoria concettuale che attraversa buona parte della narrativa degli ultimi due secoli. La metropoli d'altronde è stata la più grande sfida che il romanzo si e trovato ad affrontare. Una sfida che, nonostante tutto, ancora continua.

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Dire dunque che un certo tipo di romanzo contemporaneo consente di recuperare il senso della posizione nello spazio metropolitano significa sottrarsi per un momento al flusso di informazioni, territorializzarlo, cristallizzarlo in grandi metafore figurali, saper valutare la sua incidenza su un luogo concreto, capire chi lo governa, che tipo di conflitto lo caratterizza, che soggettività sono all'opera in quel contesto e in quel dato momento.

Si tratta di una vocazione che il romanzo ha sempre avuto ma che il Novecento ha spesso tentato di reprimere o nascondere: una vocazione politica. Individuazione e, se possibile, mediazione del conflitto, altrimenti preparazione di un contrattacco; oppure, mcluhaniamente, previsione di potenziali conflitti futuri per organizzare contromosse in anticipo. Incatenare la letteratura al conflitto vuol dire liberarsi dalla gabbia dell'autoreferenzialità e della dialettica vecchio-nuovo a cui l'aveva condannata il Novecento, vuoi dire rendersi conto che non esiste una funzione sociale immutabile della letteratura ma che essa si adatta a esigenze che dipendono da un contesto (spaziale, storico, sociale, mediale ecc.).

Oggi, in un mondo fatto di media che non mediano (comunicazione non è un sinonimo di mediazione, quest'ultima, dal punto di vista politico, presuppone sempre la presenza di un conflitto), proprio l'individuazione e la scelta di una decisione (mediazione o contrattacco) da prendere di fronte a un conflitto potrebbero rappresentare la funzione della letteratura piuttosto che alzare bandiera bianca e andare a dissolversi nello spazio dei flussi. È ovvio che uno spostamento verso il politico (ed eventualmente verso la politica) implica possedere il senso della posizione, una territorializzazione del conflitto, una capacità di creare connessioni tra grandi blocchi di significato, una decisione di fermare i flussi (sia quelli comunicativi che quelli di coscienza), di imporre su di essi una diversione rappresentativa, uno sforzo di modellizzazione, un passaggio dal puro "visivo" al simbolico (Debray 1992). Dal senso della posizione deriva il senso del conflitto; da quest'ultimo l'esigenza, la necessità di una scelta (mediazione o accettazione del conflitto); e questa esigenza è stata sempre la principale (anche se non l'unica) fonte di legittimazione di ogni esperienza artistica e letteraria. Ciò che rende preziosa la scrittura letteraria oggi non è la sua capacità di virtualizzare la metropoli e i suoi conflitti, ma la sua capacità di contestualizzarli, non di moltiplicare le scelte all'infinito, ma di inventare situazioni in cui l'individuo si trova obbligato a prendere una posizione di fronte a un ventaglio di scelte limitato. Rifiutare una vocazione politica all'arte, considerarla ormai incapace di individuare i conflitti, i vuoti, le scissioni di un'epoca vuol dire indebolirla, depotenziarla, ucciderla. Ciò che si cercherà di dimostrare in questo lavoro è invece la sensibilità del romanzo contemporaneo nel percepire le forme di conflittualità che attraversano le società tecnologicamente avanzate.

Ed è ancora una volta la metropoli il laboratorio privilegiato di questo lavoro di riposizionamento che sta svolgendo una parte della più recente produzione narrativa. La metropoli, infatti, al giorno d'oggi, è sprawl e prigione allo stesso tempo ma non nello stesso contesto. Il web può essere considerato come massima potenzialità comunicativa e quindi fondazione di un nuovo contratto sociale (Rheingold 2002) o come estroflessione dell'individualità senza mediazioni, pubblicità senza sfera pubblica (Virno 2001) e quindi fine di ogni comunicazione sociale; essere contemporaneamente massima mediazione e fine di tutte le mediazioni, iper-barocco e iper-romantico. Lo stesso Castells, in fondo, ci presenta una visione del mondo postmoderna (inclusiva) e una drammaticamente moderna (esclusiva) dove convivono o confliggono le identità in rete e quelle nel territorio. La prima è figlia di un mediascape elettronico-digitale ma la seconda è incomprensibile senza le competenze che offre la scrittura (analisi, astrazione, catalogazione, distanza, diacronia). Proprio per questo il romanzo è ancora uno strumento efficace per descrivere il mondo attuale. Non esiste un paradigma assoluto di lettura della realtà. A seconda del contesto in cui ci si trova bisogna possedere gli strumenti più adatti per analizzarlo, per capire quando si è nei flussi e quando nel territorio. E quindi romanzo e ipertesto, culture della rete e culture del libro devono allearsi più che combattersi. Passare con facilità dal libro al web permette di possedere due forme di soggettività fondamentali per comprendere il mondo contemporaneo e soprattutto per imparare a viverci.

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