Autore Feby Indirani
CoautoreMarie Cécile [illustrazioni]
Titolo Non è mica la vergine Maria
Edizioneadd, Torino, 2019, Asia , pag. 188, cop.fle., dim. 14,3x21x1,5 cm , Isbn 978-88-6783-235-4
OriginaleBukan Perawan Maria [2017]
PrefazioneGoenawan Mohamad, Antonia Soriente
TraduttoreAntonia Soriente
LettoreElisabetta Cavalli, 2019
Classe narrativa indonesiana , religione , umorismo , satira












 

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Indice


Introduzione di Goenawan Mohamad                  7


NON È MICA LA VERGINE MARIA                      11
MAIA VUOLE FARSI MUSULMANA                       19
TRAGEDIA DEL VENERDÌ                             25
COMPLOTTO PER UCCIDERE UN MUEZZIN                31
LE DOMANDE DEGLI ANGELI                          39

IL SEGNO DELLA PREGHIERA, PRIMA PARTE            45
IL SEGNO DELLA PREGHIERA, SECONDA PARTE          51
LA DONNA CHE PERSE LA FACCIA                     61
POLIGAMIA CON UNA FATA                           71
GELOSA DELLE VERGINI DEL PARADISO                83

SALA D'ATTESA                                    91
IL DIAVOLO VA IN PENSIONE ANTICIPATA             99
CHIACCHIERATA TRA DUE AMICI                     107
ANA AL-HUBB                                     111
REFUSI                                          121

ANGELI IN FERIE                                 129
LAYLA AL-QADAR                                  137
ARRIVO IN PARADISO                              151
IL NOME DI ALLAH NELLA...                       161


Postfazione di Antonia Soriente                 177
Glossario                                       185


 

 

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Pagina 7

Introduzione

di Goenawan Mohamad


La fede ha sempre avuto problemi con la propensione umana alla risata. «Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete», disse Gesù, ricordandoci di non sminuire il lato tragico della vita.

La religione ama avere un volto cupo. Dio significa gravità universale, e la Chiesa, gli imam e gli altri clerici della sacra gerarchia mantengono il proprio potere esigendo solennità.

Jorge, il cieco eremita che custodisce la biblioteca medievale nel celebre romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa , impedisce ai membri dell'antico monastero la lettura di un libro umoristico. Insiste sul fatto che «le risate uccidono la paura e senza paura non può esserci fede, perché senza paura del Diavolo non c'è bisogno di Dio».

I racconti di Feby Indirani, in contrasto con tale severità, sono invece senza paura e divertenti. Questa raccolta è fatta di aneddoti che mescolano leggerezza, giocosità e sfacciataggine, evocando la vita sociale dell'Indonesia contemporanea sottoposta all'ortodossia islamica.

Viviamo in un tempo caratterizzato dall'ansia. Assediati dalla molteplicità di informazioni, i nostri ulema e guide religiose ritornano alla tradizionale inclinazione della fede: affermare la sua capacità di rassicurare contro l'incertezza. La velocità e la potenza dei cambiamenti tecnologici, la sconcertante diversità di input culturali e la crescente fragilità delle fondamenta sociali hanno portato i fedeli ad assumere una posizione difensiva. La religione è diventata più simile a una fortezza. Non più un faro nell'infinito cammino umano.

Il takfirismo (l'accusa di miscredenza nell'islam) e il rifiuto preconcetto dell'altro sono dilaganti. La diffidenza nei confronti della differenza è diventata un sigillo di pietà. La fede è sempre più vicina alla paranoia.

Le storie di Feby Indirani testimoniano una tendenza diffusa, segnata dalla spinta a voler essere immacolati rispetto alla morale religiosa. Questa ossessione ha spesso raggiunto il livello dell'assurdo. Inevitabilmente, è un invito alla comicità. Questa infatti prospera nell'incongruenza, che è abbondante nel dibattito islamico in Indonesia: così Dio misericordioso diventa Dio iroso. Il paradiso, dove la verità spirituale dovrebbe risiedere, è descritto come un'orgia senza fine.

Questi racconti che usano la contraddittorietà come perno possono essere scritti solo da una persona interna alla comunità musulmana, che mantiene una relazione intima con il suo linguaggio e conosce la forma mentis della tribù, e Feby lo è.

Eppure ha scelto di scavalcare il muro e mettersi in una posizione che le permette di percepire la società come familiare e allo stesso tempo straniante. Il suo senso dell'umorismo va di pari passo con l'ambiguità della società. È un'impresa molto rischiosa. In generale, una risata è una rottura rispetto alla ricerca di significato con cui si identifica la religione, e privilegiare il lato comico significa mostrarne i limiti. Milan Kundera ha sottolineato il tratto crudele dell'umorismo: «Ci rivela brutalmente l'insignificanza di tutte le cose».

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Pagina 11

Non è mica la vergine Maria


Maria era incinta. Senza aver fatto sesso con alcun uomo e al di fuori del matrimonio.

Quando se ne rese conto rimase basita, quasi spaventata. Era il 2016, ed era impossibile immaginare che un miracolo come quello accaduto a Siti Maryam, la Maria della tradizione islamica, potesse avvenire di nuovo. Il tutto si era già concluso quando nacque Gesù, senza padre, tanti secoli fa. Al giorno d'oggi chi crederebbe che Maria possa essere incinta senza avere avuto rapporti sessuali con un uomo? Figuriamoci lei, che certo non è una vergine. Maria è convinta di essere incinta per miracolo senza che nessuno l'abbia sfiorata. Ma chi le crederebbe? Come qualsiasi donna che vive in una metropoli segue uno stile di vita non proprio casto. Di certo non trascorre le giornate tra le mura della moschea in ginocchio a pregare come faceva Siti Maryam. Lei è solo una ragazza come tante con la sua vita di donna indipendente e lavora in un ufficio di un'azienda privata. Ha anche un secondo impiego, fa la modella per una rivista per adulti, il che significa che è abituata a mostrarsi liberamente con vestiti succinti davanti alla macchina fotografica. Ma è lei a stabilire le condizioni e quali pose vuole o non vuole assumere.

Quando può, conduce una vita rilassata e si concede delle pause a sorseggiare caffè nei bar con gli amici, o trascorre i fine settimana fuori città, fa l'amore con il fidanzato, quando ne ha uno. Ma adesso un fidanzato non ce l'ha, eppure qualcosa ha cominciato a crescere nel suo ventre. Lei non se ne è resa conto prima di essere entrata nel terzo mese di gravidanza. Sapeva soltanto di non avere il ciclo, ma nei primi mesi pensava che si trattasse di stanchezza o stress, o di altri motivi. Quando al terzo mese la sua pancia ha cominciato di giorno in giorno a ingrossarsi è andata nel panico e ha fatto ogni possibile test di gravidanza per scoprire che tutti portavano allo stesso risultato: era incinta.

La prima reazione fu di smettere di parlare. Ma dopo un'intera nottata trascorsa in silenzio, a riflettere e a piangere, non riusciva a sopportare quel peso da sola e così aveva chiamato Saskia, la sua migliore amica dalle scuole superiori. Quando Saskia era arrivata, Maria stava lì abbandonata, debole, sul letto, in una stanza lussuosa in affitto, cui era stato volontariamente dato l'appellativo di «residence» per dimostrare che non si trattava di un appartamento qualunque. «Chi è il padre?» Maria aveva fatto di no con la testa. «Per l'amor di Dio, non c'è.»

«Sì, come no...»

Maria aveva chiuso gli occhi.

«Davvero, non c'è.»

«Prova a ricordare, forse eri ubriaca, o non eri cosciente? Forse sei stata con qualcuno ma non te lo ricordi.»

Maria continuava a negare con la testa.

«Non ho mai bevuto fino a ubriacarmi.»

Saskia la guardava con incertezza.

«Da quanto tempo mi conosci? Non sono mica una bugiarda.»

«Quindi, vuoi abortire?»

Maria si voltò e tornò a sdraiarsi dando le spalle a Saskia.

«Mar...»

«E se portassi in grembo un profeta? Non si dice forse che alla fine dei tempi Isa, ovvero Gesù, ritornerà nel mondo per salvare i fedeli? I segni della fine del mondo sono sempre più vicini, non lo sai?»

«Sì, se ti comportassi come Siti Maryam, la vergine Maria, che pregava devota, avvicinandosi a Dio e mantenendo le distanze dagli uomini. Ma tu... scusami... non sei proprio una santarellina.»

Maria tornò a zittirsi.

«Sì, però, non faccio neanche così tanto schifo...» disse offesa.

«Non ho mai calpestato i diritti degli altri né corrotto nessuno, tiro avanti da sola, con il mio sudore, anche se tra le altre cose faccio la modella sexy. Faccio le mie preghiere, anche se qualche volta ne salto qualcuna. Pago le tasse, non butto l'immondizia dove capita, faccio le file... Non rubo, non violo le regole, non dormo con i mariti delle altre...»

Saskia tacque. Confusa. Seguì un silenzio imbarazzante. Non sapeva cosa fare o dire, era davvero difficile crederle.

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Pagina 19

Maia vuole farsi musulmana


Nel preciso istante in cui kyai Fikri aveva annunciato che una maialina di nome Maia aveva espresso il suo ultimo desiderio, quello di farsi musulmana, nella sala del consiglio si era sollevato uno schiamazzo di voci. L'espressione Astaghfirullah! riecheggiò nella stanza, molti alzarono la mano per chiedere di prendere parola, altri presero la parola direttamente. Era impossibile gestire la questione in quel modo, per cui il presidente dell'assemblea dichiarò la seduta sospesa per mezz'ora. Dopodiché, il consiglio decise di chiamare in udienza kyai Fikri, fonte della controversia. Affrontare kyai Fikri era una faccenda di particolare complessità perché era un imam acclamato e molto rispettato. Non tanto alto, era magro, appariva quasi fragile, e si presentava con uno sguardo fiero e tagliente. La sua aura intimidiva chiunque. Stando all'aspetto fisico era difficile indovinarne l'età, portava la barba corta e curata come un uomo maturo, ma si muoveva con grande agilità mostrando di essere, tutto sommato, giovane.

Entrò e affrontò la sala con voce profonda. Nella stanza calò il silenzio.

«Maia ha mostrato la sua sincera convinzione a diventare musulmana, e io stesso sono tra quelli che crede che la guida della fede possa cambiare e toccare chiunque. Se è vero che l'islam onora il principio della giustizia, allora anche Maia ha diritto a una possibilità.»

«Mi scusi, kyai», chiese uno dei presenti, «con ciò vorrebbe dire che anche gli atteggiamenti di Maia cambieranno? È strana!»

«Risulta strana rispetto ai nostri criteri, ma non lo è affatto, è solo diversa da noi. Maia diventerà una maialina degna del Sunnatullah.»

La stanza intanto era attraversata dai sussurri. Un giovane prese coraggio. «Kyai, vorrei sapere perché difende una maialina e soprattutto vorrei mi togliesse una curiosità: come fa a esserci un legame tra di voi? I maiali non sono forse haram, proibiti?»

«Io allevo il bestiame, e oltre ai bovini e agli ovini tengo anche i suini», replicò kyai. «Ci è proibito mangiarli, ma non ci è proibito allevarli.»

Di nuovo la stanza si riempì del brusio della gente. «Kyai Fikri è impazzito», sussurravano.

«Kyai, mi scusi se chiedo, ma perché lo fa?»

«Sapete che do da mangiare alle persone più bisognose nei villaggi. I maiali non sono costosi come gli altri animali, e dovreste sapere che hanno la capacità di procreare fino a venti porcellini a ogni gravidanza. Questo è l'unico motivo per cui ho cominciato ad allevare maiali.»

«Ai poveri fa mangiare la carne di maiale? Come si permette?»

«Per l'appunto, sono poveri, e poi non sono musulmani. Parlare di religione in questo caso è un lusso. Per loro, religione significa un piatto caldo e acqua potabile.» Lanciò il suo sguardo attraverso la stanza, rimanendo in silenzio e lasciando tutti di stucco.

«Spesso sono rimasto a dormire nella musalla del villaggio, non distante dal porcile. Lì prego e recito il Corano insieme agli abitanti, come sono solito fare in qualsiasi luogo mi trovi. Un giorno, terminata la preghiera, uscii fuori e vidi una maialina; sembrava mi stesse aspettando. Era vecchia, aveva quindici anni e non era più adatta per fare figli. La vedevo spesso fissarmi come se volesse dirmi qualcosa, così le diedi un nome, Maia, e fu come se avesse capito che quello era il nome che le avevo dato.»

Rimase un po' in silenzio per prendere fiato, poi riprese: «Con il permesso di Allah, Maia è stata capace di esprimere i suoi desideri e io di capire le sue intenzioni. Vuole abbracciare l'islam prima della fine dei suoi giorni. Sa che a breve verrà il suo turno per essere macellata, e vorrebbe che il suo desiderio si avverasse.»

L'atmosfera nella stanza divenne di nuovo rumorosa, le voci si accavallavano, i partecipanti discutevano e si opponevano.

«Ma kyai, scusi, come può un nobile come lei pensare di fraternizzare con una maialina?»

«Non saremo mai d'accordo. I maiali sono haram, in tutta la loro sostanza. Punto.»

«È forse un nostro diritto vietare a qualcuno di abbracciare l'islam? Non è forse scritto che l'islam benedice tutti gli esseri?»

«E allora perché Maia vuole abbracciarlo solo ora? Perché non lo ha deciso prima?»

«Se non le permetterete di convertirsi sarete ingiusti e l'ingiustizia è peccato agli occhi di Allah e del suo profeta.»

«Vogliamo davvero avere la stessa religione di una maialina? Così facendo non offenderemo gli esseri umani?»

«Sciocchi! Il nostro corpo è più simile a quello di Maia di quanto potete immaginare, il nostro DNA differisce solo del tre per cento rispetto a quello dei maiali...»

«Bah, quindi? Questo le dà diritto a essere musulmana? Conosciamo tutte le stranezze di Maia, la sua pigrizia, la sua sporcizia. Anche il suo carattere è ambiguo, è una bestia perché si rotola nel fango e divora qualsiasi cosa, ma si comporta anche come un animale mansueto nonostante i suoi peli irti e la sua abitudine a mangiare vegetali...»

«Come vi dicevo somiglia molto a noi, non trovate?»

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Pagina 91

Sala d'attesa


Rohman si ricordava ancora di quando aveva visto il suo corpo sfracellato e le sue membra sparpagliate dappertutto, dopo che era esplosa la bomba sistemata sul suo petto. Aveva registrato quell'immagine nella mente come in una moviola e vedeva tutto con chiarezza: la gente che gridava istericamente, i corpi che giacevano scomposti tutt'intorno e pozze di sangue.

Gli era stata affidata la missione sacra il giorno prima di Capodanno. Si era fatto avanti tra la folla del festival di artisti di strada e poi si era fatto esplodere. Questo gli era stato ordinato, e lui aveva eseguito. Noi facciamo così: ascoltiamo e obbediamo. Ciascuno dei nostri membri conosce questa regola.

Ciascuno dei nostri membri sa che prima o poi arriva il proprio turno di diventare sposi. Sposi poiché il sacrificio della propria vita viene ricompensato dall'accoglienza in paradiso da parte di settantadue bellissime vergini. Sono delle fanciulle educate e sottomesse, che tengono sempre lo sguardo basso e non sono mai state sfiorate né da uomini né da esseri sovrannaturali come gli spiriti jinn. Vergini belle come pietre preziose. Bellissime fanciulle, che spiccano come il vino rosso in un calice trasparente. Sono loro le spose. Quell'immagine gli faceva brillare gli occhi di passione.

Tuttavia, in quel momento si imbatté soltanto in una stanza vuota talmente grande che alla vista non gli risultava ben chiaro né dove iniziasse né dove finisse. Era seduto su una sedia, nella solitudine più totale. E restò così chissà per quanto. Gli sembrò di percepire il tutto e il niente allo stesso tempo. Non stava aspettando nulla, ma al contempo desiderava saperne di più. Era libero di muoversi dove volesse, eppure non voleva muoversi. Era tutto così difficile da spiegare! Capiva che quella era una dimensione diversa da quella terrena, ma sentiva di non essere riuscito a liberarsi del tutto da quest'ultima.

Così, non gli restava altro che aspettare, e aspettare. E aspettare.

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Pagina 161

Il nome di Allah nella... (proprio non ce la faccio a dirlo)


Mansyur aveva gli occhi sbarrati. Per la seconda volta - sì, la seconda volta - qualcosa di stupefacente era accaduto a suo figlio Imran, che ancora non aveva compiuto quattro anni. La cacca fatta da quel suo unico figlio aveva assunto la forma di una scritta che somigliava alla sequenza dei numeri 411, il noto richiamo alle lettere dell'alfabeto arabo alif-lam-lam-ha che formano il nome di Allah.

All'inizio Mansyur, che aveva accompagnato il figlio a fare i suoi bisogni, non se ne accorse. Tuttavia quando si accovacciò a terra per pulire il vaso rimase sbalordito, ebbe la sensazione di vedere la forma delle lettere che lui conosceva bene nei contorni delle feci.

Spesso aveva letto notizie e gli erano state mostrate foto dai suoi maestri e dai compagni del gruppo di preghiera. Il nome di Allah appariva nella forma dei numeri 411 improvvisamente, nei nidi d'ape, nelle nuvole, negli alberi, nei peli di gatto, nei formicai, nei semi dei frutti, nelle uova e in tanti altri posti ancora.

«Questi sono tutti segni della grandezza e verità della parola di Dio, e allo stesso tempo costituiscono un monito all'umanità, ancor di più alle altre comunità religiose. Di quale altra prova hai bisogno per esser certo della tua fede?» gli diceva il suo maestro con fervore.

Mansyur aveva osservato le immagini mostrategli dal maestro. Alcune scritte sembravano così chiare da far sorgere il dubbio che fossero il risultato di una modifica. Altre ancora, al contrario, sembravano confuse al punto che Mansyur difficilmente distingueva il simbolo 411. Tuttavia sia la prima che la seconda visione misero Mansyur a disagio nell'interrogare il suo maestro. Non voleva esser considerato agli occhi del comitato religioso come un uomo che si chiudeva alla verità.

Ma adesso, di fronte a sé, aveva qualcosa che sembrava aver la forma dei numeri 411. Nell'ultimo luogo al mondo dove si spera possa apparire un simbolo come quello. La cacca.

«Perché non svuoti il vaso, papà? Puzza!» disse Imran gesticolando.

Mansyur era ancora immerso nei suoi pensieri. Sulle feci di Imran del giorno precedente, che pure avevano quella forma, lui, preso dalla paura aveva versato in fretta l'acqua di scarico. Era rimasto di stucco e gli era risultato difficile credere a ciò che aveva visto. Era stato preso allora da un senso di imbarazzo e sconvenienza. Si era messo a versare l'acqua con il secchiello con movimenti rapidi, impaziente di pulire immediatamente quelle feci. Non vedeva l'ora di allontanare subito una visione per lui così strana. Però quando quella forma era ricomparsa il giorno successivo, Mansyur si sentì pietrificato.

Quelle feci erano ancora ammucchiate ed esposte, con il 411 in evidenza.

Due volte di seguito. Sembrava troppo ingenuo considerarla una coincidenza.

Mansyur alla fine decise di chiamare sua moglie Hamidah che ovviamente trovò l'atteggiamento del marito inusuale.

«Che c'è? Perché devo guardare nel vaso?»

«Non dir nulla ancora, fai bene attenzione.»

«A cosa?»

«A quello! Guarda con attenzione la sua forma e dimmi che cosa vedi...»

Hamidah trattenne il respiro, disturbata dall'odore delle feci di suo figlio e cercando di astenersi dallo sgridare suo marito. Poi vide ciò che Mansyur aveva visto.

«Abbi pietà di noi Allah! Ma come è possibile? Sembra proprio...»

«Lo vedi anche tu? È già la seconda volta Midah, anche ieri era uguale!»

«Cosa? E perché non mi hai detto niente?»

«Ero troppo sbalordito!»

«Dove vai adesso?» chiese Hamidah.

«Prendo il telefono... Queste devono essere fotografate...»

«Erano esattamente come queste ieri?»

«Sono molto simili, queste sono un po' più grandi...»

Marito e moglie si accovacciarono, erano stupefatti nell'osservare la scritta nella cacca di loro figlio. Mansyur si affannava nel fotografare le feci da varie angolazioni.

«Papà, mamma, cosa state facendo?» urlò Imran stupito.

«Sssssh... vai di là Imran, esci da qui...» ordinò Hamidah.

«Lo sai che fenomeni rari come questo possono arrivare in televisione, sì? Nostro figlio potrebbe diventare famoso...»

Mansyur si alzò, volendo ottenere un'immagine con una prospettiva diversa.

«Sì, ma non potremmo essere anche considerati dei diffamatori di Dio e della religione? O essere accusati di blasfemia?»

[...]




Terminato l'incontro di preghiera, Ahmad guidò la grande massa di persone che era riuscito a radunare verso la casa di Mansyur.

«Allahu Akbar! Fermiamo questa condotta pagana!»

«Basta con la blasfemia e la diffamazione del nome di Dio! Si è già andati troppo oltre!»

«Forse il diavolo si è impossessato del corpo di questo bambino! Egli va purificato!»

«Allahu Akbar! Dio è grande!»

La folla inquieta, guidata da Ahmad, cominciò a urlare fuori dalla casa di Mansyur e Hamidah e a scacciare gli ospiti che erano in attesa di incontrare personalmente Imran. Intanto Mansyur uscì ad incontrare Ahmad e il suo gruppo.

«Cosa vuoi?»

«Ferma questa pratica infedele in casa tua!»

«Cosa intendi dire? Imran non può più andare in bagno? La gente non può più venire? Io non posso vietare alle persone di venire qui!»

«Quel bambino probabilmente è posseduto da uno spirito!» esclamò un uomo tra la folla.

«Figlio del diavolo!» urlò un altro.

«Uccidiamolo!» esclamò un altro ancora.

All'interno della casa Hamidah tremava dalla paura mentre teneva Imran che piangeva tra le sue braccia. Hamidah non smetteva di recitare l' istighfar.

«Oh Allah, perdonaci. Liberaci da questo miracolo, liberaci soltanto...» Hamidah pregava sottovoce mentre accarezzava la testa di Imran.

Fuori di lì la situazione era ancora tesa. Mansyur, suo marito, affrontava da solo il gruppo guidato da Ahmad e ustad Budiman.

«Bene Mansyur, faremo in questo modo. Dobbiamo scacciare il male dal corpo di Imran attraverso la rukyah» disse ustad Budiman. «Certamente c'è qualcosa di sbagliato nel suo corpo. Noi lo purificheremo e lo faremo adesso.»

Il corpo di Mansyur si irrigidì. Doveva lasciare che suo figlio avesse a che fare con gente così brutale? Ma se non lasciava che ustad Budiman curasse suo figlio, quel gruppo avrebbe potuto degenerare e risolvere la situazione commettendo atti violenti. Sentiva di dover affrontare una scelta molto difficile.

In quel momento, Hamidah uscì con Imran in braccio. Tutti i partecipanti alla manifestazione ammutolirono all'improvviso nel vedere il bambino miracoloso. Una parte di questi uomini non resistette dallo scattare foto con il cellulare.

A quel punto Imran indicò il cielo.

«Signole uada là, le lettere. E tu pule signole... lì...» disse Imran pronunciando le parole come un bambino di quattro anni che non sa ancora parlare bene e indicando il cielo. «Anche lì ancora signole... E anche lì...»

Le persone seguirono con lo sguardo i diversi punti indicati da Imran e videro un gruppo di nuvole che si diffondeva nel cielo evocando la forma del nome di Allah (411). Un senso di meraviglia si diffuse nell'aria. Tutti tirarono fuori i cellulari e si affrettarono a fotografare o a scattare selfie con quei simboli, non ascoltando più le direttive né di Ahmad né di ustad Budiman.

A quel punto la manifestazione si sciolse da sola.

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