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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 5 Parte prima SOCIALISMO E OCCIDENTE I nuovi beni 15 Dopo la Polonia. Questioni di un nuovo internazionalismo. Colloquio con Giuseppe Vacca 65 Contro la riduzione della politica a guerra 101 La sinistra e i governi della solidarietà nazionale 117 Parte seconda OLTRE LA TRADIZIONE Mao a Mosca nel 1957 145 Partito e Stato nella storia dei bolscevichi 145 Luchino Visconti: l'antifascismo e il cinema 161 Charlot: l'antagonismo dell'eroe buffo 168 Le ragioni dell'opposizíone al governo Spadolini 172 Problemi attuali del «partito nuovo» di Togliatti 195 I movimenti degli anni Settanta 206 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Parecchie pagine di questi scritti muovono dalla convinzione che si sta chiudendo un periodo della nostra storia. Ammetto il rischio di affermazioni di questo genere. Ma c'è anche il rischio di non capire in tempo. Si è discusso a lungo, nel corso dei dieci anni passati, se si trattava solo di «modernizzare» l'Italia, cioè di adeguarla a politiche e modelli in atto in altri paesi dell'Occidente, oppure di altro, come sosteneva qualcuno di noi. Come ci sembra vecchia ormai quella disputa. Dappertutto è aperto duramente il problema del che fare, e i modelli esistenti non sembrano dare risposte. Ha scritto Giorgio Ruffolo: «Il quadrato magico degli anni Cinquanta-Sessanta (crescita alta, prezzi stabili, piena occupazione, bilancia dei pagamenti in equilibrio) s'è infranto». Dunque un equilibrio s'è rotto. Anzi: è in atto un durissimo scontro su ciò che deve sostituirlo. Guai a non accorgersene. C'è chi sostiene che si è chiesto troppo; e allude al '68, preso come simbolo di una domanda sociale eccessiva, anarchica, devastante. Non credo sia cosí. Nelle lotte e nei movimenti che raggruppiamo sotto il simbolo del '68, si espresse - perché non dirlo? - una necessità: si trattò di spinte che ebbero motivazione e radice nei forti mutamenti culturali determinati dallo stesso sviluppo capitalistico euroccidentale; e in fenomeni piú vasti che si producevano nel mondo. Il difetto, anche grave, fu se mai nel non avere colto in tempo queste connessioni: fu difetto di ristrettezza, non di troppa ampiezza della lotta. Ma su ciò vi sono ragionamenti in diversi punti di questo libro, che non è il caso di richiamare qui. Mi preme invece un'aggiunta; e non riguarda la profondità della crisi, ormai aspramente presente anche a chi la negava. Riguarda le accelerazioni e le forme che sta assumendo lo scontro. Scrivo queste righe in giorni che ci hanno portato immagini dolorose. Beirut. La Polonia. I cortei degli operai di Bagnoli in una città ferita come Napoli. E prima l'auto insanguinata con il corpo del generale mandato in Sicilia a combattere la mafia. Nomi, fatti che ci sono arrivati a brandelli dal video, un giorno dopo l'altro. Nel Medio Oriente: il lento martirio di una città ridotta a macerie, i corpi degli assassinati nelle strade. Poi l'emozione di Arafat a Roma, che non fu un'ubriacatura (bisogna capirlo), ma la domanda, il bisogno di sanare una ferita aperta che colpiva tutti. Poi le bombe alla Sinagoga di Roma: dopo Parigi, Bruxelles, Anversa, Vienna.
E la Polonia: le manifestazioni nelle strade, gli
scioperi intravisti, la repressione militare, il sangue.
Tutto come un ricordo arrovesciato.
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