Copertina
Autore Antonio Ingroia
Titolo C'era una volta l'intercettazione
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2009, Senza finzione , pag. 178, cop.fle., dim. 12x19x1,2 cm , Isbn 978-88-6222-092-7
PrefazioneMarco Travaglio
LettoreRiccardo Terzi, 2010
Classe diritto , politica
PrimaPagina


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Indice


Prefazione di Marco Travaglio                                 5
Premessa                                                     15


Parte prima — C'erano una volta le intercettazioni           23

Capitolo 1. Il medioevo prossimo venturo:
            le indagini senza intercettazioni                25
Capitolo 2. Il passato: breve storia delle intercettazioni   37
Capitolo 3. Il presente: le intercettazioni
            delle voci del potere e la tecnologia            53

Parte seconda — Bufale e menzogne                            57

Capitolo 1. Siamo tutti intercettati                         62
Capitolo 2. Le intercettazioni costano troppo                68
Capitolo 3. La pigrizia investigativa dei pubblici ministeri 74
Capitolo 4. Il lassismo della legislazione italiana          83
Capitolo 5. La bufala sui maccheroni: il "caso Genchi"       95
Capitolo 6. Privacy e segreto investigativo                 106

Parte terza — La nuova legge                                109

Capitolo 1. Intercettare per trovare le prove
            o trovare le prove per intercettare?            111
Capitolo 2. L'antimafia non si tocca?                       124
Capitolo 3. Il legislatore ha fretta                        132
Capitolo 4. Le ragioni della irragionevolezza:
            profili di incostituzionalità della
            legge-censura                                   139

Conclusioni — Prospettive di una vera riforma
              (senza ritorsioni)                            146


Appendice                                                   155


 

 

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Pagina 15

PREMESSA


Cos'è questo libro? Non è facile a dirsi. Cominciamo col dire cosa non è. Non è un atto di ribellione di un magistrato ad una legge dello Stato, ma non è neppure una dotta disquisizione giuridica sulle possibili interpretazioni di questa o quella norma. Non è un atto politico, ma non è neppure un libro bacchettone dove non si dice quello che si pensa di una legge, a mio parere, dalla costituzionalità assai dubbia (come minimo...). Non è quindi un libro militante, ma neppure un libro asettico e neutrale. È un libro dove ho provato a raccontare fatti e ad esporre qualche opinione. E le idee – si sa – non sono neutrali. Mi fanno paura gli uomini (e i magistrati) senza idee. E capita troppo spesso che coloro i quali dicono di essere neutrali si rivelano tutt'altro che indipendenti... Non credo che l'Italia abbia bisogno di magistrati senza idee e senza ideali, ma di magistrati autonomi e indipendenti, e di leggi efficienti e giuste. A me, lo dichiaro fin da subito chiaro e tondo, a scanso di equivoci, la nuova legge sulle intercettazioni non pare né efficiente, né giusta. E credo di poterlo dimostrare. Questa è una delle ragioni per cui ho accettato volentieri di scrivere un libro su questo argomento.

Ma non è l'unica ragione. Io credo anche che in una democrazia difficile come la nostra abbiamo bisogno come l'aria di un'informazione libera e pluralista, e anche su questo fronte non mi pare che la nuova disciplina sulle intercettazioni sia granché d'aiuto... Il rischio asfissia è forte.

Avrete cominciato a capire così perché ho scritto questo libro, sottraendo qualche giorno di vacanza alla mia famiglia e alle mie ferie, e qualche notte al mio lavoro di pubblico ministero a Palermo. I motivi sono diversi, ma ce n'è uno preminente. In questi mesi ho letto giornali, ho seguito notiziari e speciali televisivi, ho assistito a dibattiti, ho sentito le reboanti dichiarazioni di tanti soloni che avevano l'aria di saperla lunga e di sapere tutto. Poi ho pensato a quel che ho fatto in questi anni, ormai quasi venti, da pubblico ministero nella procura distrettuale antimafia di Palermo. A quello che ho visto fare a tanti poliziotti e magistrati impegnati, quotidianamente e con fatica, nelle indagini che hanno dato tanti importanti risultati nella terra dei Riina, dei Provenzano, dei Lo Piccolo. A quello che ho imparato dalla viva voce dei miei maestri, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Alla storia giudiziaria del nostro Paese, al ruolo decisivo che in tante indagini e processi hanno avuto le intercettazioni, prima soprattutto quelle telefoniche, e poi anche quelle ambientali, unitamente ai nuovi ritrovati tecnologici che oggi consentono cose del tutto impensabili fino a qualche anno fa, come la possibilità di localizzare nel tempo e nello spazio utenze telefoniche portatili, quindi persone, e di analizzare i pregressi rapporti interpersonali di ciascuno mediante l'acquisizione dei dati del traffico telefonico e della posta elettronica.

Mi sono accorto così della distanza abissale che c'è fra certe verità ufficiali e la realtà delle cose, fra i luoghi comuni imperanti e i dati concreti e tangibili. Come certe bufale mediatiche abbiano finito per prevalere sulle verità più elementari. Certe opinioni, spesso interessate, sui fatti. Come la realtà sia quotidianamente presentata in maniera rovesciata, al punto di essere trattato come un marziano in terra quando dici l'ovvio e il banale.

E allora, ho deciso di raccontare questi fatti, di presentare questi dati, di farli conoscere a quei lettori che come me sono stati investiti da vere e proprie campagne di disinformazione, senza avere, al contrario di me e di pochi altri addetti ai lavori, gli strumenti di conoscenza per difendersi dalle falsità, per alimentare un minimo di distanza critica dalle bugie presentate come sacrosante verità. Credo ancora nella forza dei fatti.

L'occasione è stata offerta dalla progettata riforma delle intercettazioni, di cui si parla ormai da anni, attraverso due legislature caratterizzate da maggioranze parlamentari diverse, riforma che potrebbe essere già divenuta legge prima che voi, cari lettori, finiate di leggere questo libro. In tal caso, toccherete presto con mano gli effetti della cosiddetta "riforma". Anzi, di quella che d'ora in poi chiamerò "controriforma", perché è questa la definizione giusta, visto che le vere riforme sono quelle ispirate dall'intenzione di migliorare, rendere più efficiente il sistema; quando invece gli effetti sono, come saranno in questo caso, di arretrare, di riportare indietro le lancette della storia, peggiorare la normativa, renderla più inefficiente, è più appropriato parlare di controriforma.

D'altronde i magistrati, come si sa, hanno l'obbligo di applicare la legge. Tutte le leggi, anche quelle che non condividono, anche le leggi che non reputano giuste. Quindi, come è ovvio, i magistrati applicheranno anche la legge sulle intercettazioni che, secondo quanto fa supporre il dibattito politico degli ultimi mesi, il governo Berlusconi farà presto approvare dal Parlamento. Il fatto, però, che ogni magistrato abbia il dovere di applicare una legge non fa venir meno il diritto di esprimere il proprio punto di vista tecnico sugli effetti di tale legge, avendo anzi il dovere di informarne i cittadini e, su un piano di lealtà istituzionale, anche il Parlamento che si appresta a esaminarla per vararla. Dovere, che diventa ancora più urgente in presenza di un dibattito mediatico come quello in corso, letteralmente dominato da falsi slogan, luoghi comuni deformanti, fraintendimenti, manipolazione dei dati. Per svelenire il dibattito, per portarlo fuori dall'arena dello scontro politico al calor bianco, e ricondurlo all'interno del recinto del confronto delle idee, occorre allora un'operazione preliminare: ristabilire la verità dei fatti.

Proprio per questo motivo il libro è strutturato secondo una rigorosa scansione di tutti gli argomenti sostenuti a favore della (contro)riforma, smascherando le bufale mediatiche, i luoghi comuni, le falsità, le ipocrisie e le menzogne, e confrontandole con la realtà dei fatti, secondo dati obiettivi e inoppugnabili. Il lettore potrà farsi così un'idea informata e consapevole della questione.

La prima parte del libro è dedicata proprio alla storia dell'intercettazione, al suo ruolo, sempre più importante, nell'economia delle fonti di prova, specialmente grazie al progredire delle tecnologie, ma anche per effetto del ridimensionamento della figura dei collaboratori di giustizia e, in genere, delle fonti di tipo testimoniale. Spiegare quale è stata la vera storia delle intercettazioni nel nostro Paese, e la loro straordinaria utilità, specialmente con l'avvento delle intercettazioni ambientali. Ricordare quanti criminali sono stati arrestati e perciò neutralizzati, quanti omicidi, stragi, sequestri di persona, rapine e delitti di tutti i tipi sono stati impediti dal tempestivo intervento delle forze dell'ordine, grazie alle intercettazioni. Anche questo è lo scopo di questo libro. Cercare di immaginare quale Italia sarebbe stata se non avessimo avuto uno strumento investigativo come questo.

La seconda parte è dedicata alle "bufale", le più colossali mistificazioni quotidianamente propagandate mediante stampa e televisione, che hanno invaso le nostre case, convincendo tanti cittadini che le intercettazioni, anziché costituire uno strumento prezioso e indispensabile per difendersi dal crimine, è una minaccia, un'emergenza da fronteggiare. Bufale sul numero degli italiani intercettati, bufale sul costo delle intercettazioni, bufale sui livelli di violazione della privacy dei cittadini. Mistificazioni per creare un clima artificioso di apprensione e di allarme: siamo tutti intercettati, sempre intercettati. Il clima più favorevole per agevolare una benevola accoglienza della (contro)riforma. E poi c'è la bufala delle bufale, quella del cosiddetto "caso Genchi", presentato come lo scandalo più grave della storia repubblicana! Il caso Genchi come lo scandalo più grave nella storia del Paese delle stragi impunite, dell'Italia della P2, dello Stato con uno dei più alti tassi di corruzione! Possibile sostenere con serietà tutto ciò? Possibile, tanto possibile che ciò è effettivamente avvenuto e assorbito dal Paese con poche resistenze, anzi assecondato da tanti con troppe, sospette, compiacenze.

E poi ci sono anche altri argomenti, magari meno reboanti delle "bufale", ma non perciò meno pericolosi. Anzi, più insidiosi, perché più suadenti, capaci di convincere i meno credulonì, di superare le prime difese di chi sa cautelarsi dalle bufale più clamorose. Si tratta, insomma, di quei luoghi comuni, quelle frasi fatte, quelle idee convenzionali artatamente diffuse per persuadere gli ignari in modo più sottile, felpato, quasi inconsapevole, parlando apparentemente d'altro, ma invece avendo ben presente l'obiettivo. Obiettivo che è sempre lo stesso: confondere i cittadini ingannandoli, facendo loro credere che le cose così non vanno bene e devono essere cambiate, nell'interesse non dei soliti noti, ma dei cittadini stessi. Malgrado queste cortine fumogene, però, è molto facile smascherare anche quest'altra forma di falsità. Basterà rassegnare i fatti, e confrontare i luoghi comuni con i fatti. Contro la forza dei fatti nulla può resistere. Perché i fatti — come ben diceva Hannah Arendt — "si affermano con la loro ostinatezza".

Svelate bufale, piccole e grandi falsità, spiegata la realtà dei fatti, la terza parte del libro è dedicata all'esame delle norme chiave del testo di legge così come approvato alla Camera. Per capire meglio, in concreto, quale futuro ci attende quando la legge entrerà in vigore. Giorni ancor più difficili, orizzonti foschi, con tutti i dubbi, legittimi, di costituzionalità già sollevati da illustri studiosi e in autorevoli sedi istituzionali.

Infine, siccome niente è perfetto e non perfettibile, mi cimenterò anch'io nel prospettare alcuni possibili interventi di seria ed effettiva riforma, che pongano rimedio a taluni inconvenienti presenti nella normativa vigente, senza comprometterne però l'efficacia, anzi potenziandola.

Ciò che soprattutto conta è acquisire piena consapevolezza della posta in gioco. L'intercettazione costituisce ormai lo strumento principale di investigazione che consente di svelare delitti e misteri, trame criminali e relazioni illecite per tutti i reati più gravi, per quelli più segreti, per i più difficili da scoprire. Non certo per reprimere la criminalità di strada, contro la quale l'intercettazione può essere utile ma non decisiva, bensì per individuare le condotte illecite degli insospettabili, delle tante organizzazioni criminali che operano nel nostro Paese, dei colletti bianchi, quella criminalità dei potenti, insomma, che resta il grumo di illegalità che ha più condizionato la storia del nostro Paese.

Siamo davanti a un bivio. Si tratta di decidere se difendere quel po' di efficienza che la giustizia continua ad assicurare come forma minima di controllo di legalità, ovvero se regalare territori sconfinati di impunità a ogni criminalità. Specialmente al crimine organizzato, specialmente a quello capace di autoassolversi dall'interno delle istituzioni ove è riuscito a penetrare, che è riuscito a infettare. L'importante è saperlo. L'importante è raccontare la verità. L'importante è smascherare le menzogne perché — lo diceva un filosofo liberale come Kant — la menzogna "nuoce sempre agli altri: anche se non nuoce a un altro uomo, nuoce all'umanità in generale", perché costituisce la negazione dei fondamenti giuridici della società umana, ne rinnega l'essenza, al punto che ogni giustificazione della menzogna rende la società impossibile.

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CAPITOLO 2

IL PASSATO: BREVE STORIA DELLE INTERCETTAZIONI


La campagna di (dis-)informazione che ha occupato i mass media e il dibattito pubblico degli ultimi anni ha convinto molti italiani che le intercettazioni sono strumento pericoloso e insidioso, usato in modo liberticida da una magistratura inquirente che tiene di fatto tutti i cittadini sotto controllo.

Prevalgono slogan e semplificazioni, di cui sono esempi lampanti l'affermazione tranchant di un politico di lungo corso come l'ex-ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il quale nel dicembre 2007 ha dichiarato che: "Le intercettazioni sono un'emergenza civile", e le dichiarazioni, non meno drastiche, di un famoso giornalista come Bruno Vespa, il quale, nel corso di un dibattito televisivo piuttosto concitato, ha affermato che: "Le intercettazioni sono una schifezza" (sic!). In tanti pontificano, ma pochi sanno veramente qualcosa sulla pratica attuale delle intercettazioni, quali siano le intercettazioni oggi rese possibili dalle più moderne tecnologie e che tipo di intercettazione venga usata in prevalenza. E quel che è forse peggio, nessuno sa alcunché circa i risultati delle intercettazioni negli anni. Pochi sanno che è proprio grazie alle intercettazioni che si è fatta la storia giudiziaria del nostro Paese. E altrettanto pochi sono quelli che sanno quanto dobbiamo alle intercettazioni: quanti delitti impediti e stragi evitate, quanti assassini individuati e arrestati, quanti cittadini salvati, quante armi recuperate, quanta droga sequestrata. Ma anche quante corruzioni scoperte!

Proviamo a raccontarla, allora, questa storia. In sintesi, ma senza omissioni. Raccontare la storia delle intercettazioni che è anche la nostra storia.

Iniziamo dalle indagini di mafia, materia che conosco meglio. Sfatiamo, innanzitutto, uno dei tanti luoghi comuni fuorvianti, nel quale è caduto anche un magistrato di esperienza come Carlo Nordio, pubblico ministero a Venezia, quando, per sostenere la non indispensabilità delle intercettazioni nelle indagini veramente importanti, escludeva che le intercettazioni telefoniche fossero servite nei maxiprocessi alla mafia. Tale convincimento, effettivamente diffuso fra chi non si è mai direttamente occupato di processi di mafia, probabilmente deriva, in parte, dal riconosciuto apporto preminente fornito dai collaboratori di giustizia e, in parte, dalla considerazione dell'impatto del fenomeno del pentitismo, che ha aperto una breccia nell'impermeabile cultura dell'omertà così ampia da avere avuto ripercussioni all'interno dell'universo mafioso ben al di là dei singoli esiti processuali.

Pochi sanno però che, al di là della maggiore visibilità e degli effetti più eclatanti delle indispensabili rivelazioni dei collaboratori di giustizia, non meno peso ha avuto un altro strumento investigativo, pure idoneo a scardinare dall'interno l'impenetrabilità delle organizzazioni mafiose, e cioè proprio le intercettazioni. Anzi, perfino i più importanti processi di mafia, apparentemente fondati solo sulle chiamate in correità dei collaboranti, sono nati grazie ad alcune fortunate intercettazioni.

Prendiamo proprio il maxiprocesso, il più importante processo di mafia, che non è enfatico definire "storico", sia per i suoi effetti di (parziale) disgregazione dell'organizzazione mafiosa, sia per il suo esito, e cioè la condanna definitiva di gran parte dei 475 imputati decretata dalla Corte di Cassazione il 30 gennaio 1992, sentenza contro la quale Cosa Nostra nella primavera-estate del '92 reagì con la più violenta strategia stragista della sua storia. Tutti sanno che i pilastri sui quali si fondava l'impianto di quel processo erano le rivelazioni dei pentiti della "prima generazione", e in particolare quelle di Tommaso Buscetta. Ma pochi si chiedono come nacque la collaborazione di Tommaso Buscetta. E pochissimi sanno che quella collaborazione non nacque certamente dal nulla. Fu il frutto di un certosino lavoro di investigazione che ebbe come suo epilogo, prima, l'arresto di Buscetta in Brasile, e poi la sua estradizione dall'estero e la sua collaborazione. Ma ancor prima, l'attività investigativa si era concentrata su Buscetta anche in virtù di una fortunata e importante intercettazione telefonica che ne fece cogliere ancor meglio lo spessore criminale e il ruolo nevralgico in Cosa Nostra, nel pieno della guerra di mafia scatenata dai corleonesi di Riina e Provenzano nei primi anni '80.

Era il 1981, in piena guerra di mafia, quando i poliziotti mettono sotto controllo Ignazio Lo Presti, ingegnere palermitano con parentele eccellenti, essendo sposato con una cugina di Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori siciliani, ricchissimi imprenditori e uomini d'onore, grandi elettori della DC, che saranno poi inquisiti e arrestati da Giovanni Falcone. Ed è proprio durante l'intercettazione del telefono di Lo Presti che vengono ascoltate alcune telefonate intercontinentali, che sono delle vere e proprie richieste di soccorso, SOS che partono da Palermo, da Lo Presti, per conto dei cugini Salvo, e giungono oltreoceano, in Brasile. All'altro capo del filo c'è un uomo che viene chiamato convenzionalmente "Roberto", ma che si scopre essere in realtà proprio Tommaso Buscetta, al quale viene caldamente chiesto di tornare in Sicilia. La guerra di mafia impazza e bisogna schierarsi. Solo lui, col suo carisma – gli dicono – può fermare la furia omicida dei corleonesi. Buscetta capisce che non è aria per lui, che la guerra è persa, che i corleonesi, i più sanguinari e "tragediatori" di tutti, hanno ormai cambiato il volto di Cosa Nostra e prevarranno. Perciò, rifiuta la proposta di tornare e di mettersi a capo di coloro i quali sono destinati a diventare "i perdenti", le famiglie mafiose facenti capo a Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Rosario Spatola, Salvatore Inzerillo e così via. Ma quella telefonata è come un flash, un improvviso fascio di luce che investe Buscetta, ne evidenzia l'importanza e il ruolo, ne contrassegna la localizzazione. Ecco allora che gli investigatori moltiplicano gli sforzi per arrestarlo, alla fine riuscendovi. Ed è da quell'arresto che inizia tutto, il terremoto giudiziario da cui nascerà quel che venne dopo. Il che ci fa dire, a ragione, seppure a distanza di tanti anni, che perfino il maxiprocesso, universalmente noto come il processo del collaboratore per eccellenza, Tommaso Buscetta, ebbe fra le sue premesse decisive un'intercettazione telefonica. La prima pietra che diede origine alla valanga.

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CAPITOLO 2

LE INTERCETTAZIONI COSTANO TROPPO


Uno dei principali cavalli di battaglia dei sostenitori della (contro)riforma della disciplina delle intercettazioni è quello delle spese. Questi magistrati, un po' fannulloni (secondo il ministro Brunetta) e un po' spendaccioni (secondo il ministro Alfano), avrebbero portato alla rovina le casse dello Stato, rischiando quasi la bancarotta per la loro bulimia di intercettazioni. Tutti intercettati e a prezzi costosissimi. Di qui un'ulteriore ragione per intervenire e limitare il numero complessivo e la durata nel tempo delle intercettazioni.

Anche su questo tema dichiarazioni piuttosto reboanti. A cominciare ancora dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, il quale nella sua relazione sullo stato della giustizia fatta alla Camera il 26 gennaio 2009, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, per asseverare la sua tesi secondo cui la spesa per le intercettazioni sarebbe "fuori controllo", ha esemplificato: "La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita; è aumentata del 50% dal 2003 al 2006" e occupa ormai "il 33% delle spese per la Giustizia".

I dati non corrispondono per nulla, ancora una volta, alla realtà delle cose. Non è vera infatti la crescita delle spese per le intercettazioni. È vero il contrario: la spesa è in calo. È dai dati diffusi dallo stesso Ministero della Giustizia che risulta che nel 2005 sono stati spesi 286 milioni di euro, nel 2006 la cifra è scesa a 246 milioni e nel 2007 a 224 milioni (40 milioni in meno ogni armo, con un decremento pari a circa il 20% l'anno). Il che non è poco, specie se si considera che non sono altrettanto diminuite le intercettazioni eseguite, sempre più strumento indispensabile per la maggior parte delle investigazioni per i reati più gravi. Significa che, anno dopo anno, migliora la capacità di risparmiare, e i costi diminuiscono, sia in termini assoluti che relativi. Perché, allora, confondere i cittadini prospettando dati sballati? Un'ulteriore conferma che si sta ulteriormente rafforzando l'inclinazione a fabbricare verità, trascurando quella che Leibniz chiamava la "verità di fatto", perché si ignora intenzionalmente il "dato di fatto", il tutto al fine di sostituire un mondo fittizio al mondo reale.

Non parliamo, poi, della quota di percentuale dei costi per le intercettazioni a fronte delle spese per la Giustizia. I 224 milioni spesi per le intercettazioni nel 2007 non costituiscono affatto il 33% delle spese per la Giustizia, visto che la voce del bilancio statale del 2007 per la Giustizia è pari a 7,7 miliardi di euro, rispetto al quale 224 milioni ne rappresentano solo il 2,9%!

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CAPITOLO 4

IL LASSISMO DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA


Altro luogo comune imperante è quello che presenta l'Italia come il peggiore dei Paesi possibili in tema di tutela della privacy e delle garanzie per i cittadini rispetto al potere intrusivo delle intercettazioni.

Prendiamo solo alcune delle dichiarazioni più clamorose. Il 27 maggio 2006, nel pieno dello scandalo di Calciopoli, il senatore del PD Antonio Polito, giornalista intervistato da "Il Foglio", attacca le intercettazioni come intrusione tecnologica nella vita privata che costituirebbe nientemeno che "il rischio più grave che corre l'Italia dai tempi delle leggi speciali del fascismo", e parliamo dell'Italia dei tanti scandali e delle troppe stragi impunite... Con specifico riferimento, poi, al lassismo del sistema italiano, incapace di tamponare le fughe di notizie sul contenuto delle intercettazioni, c'è un ministro dell'Interno che sulle intercettazioni, che da parte della massima autorità politica in materia di sicurezza pubblica dovrebbero essere considerate strumento da tutelare e difendere, si esprime così: "Quella delle intercettazioni telefoniche è una follia tutta italiana" (onorevole Giuliano Amato, ministro dell'Interno del governo Prodi, 12 giugno 2007, all'indomani della pubblicazione di alcune conversazioni telefoniche fra Giovanni Consorte con l'onorevole D'Alema e l'onorevole Fassino, intercettate nell'ambito dell'indagine Unipol). E il ministro della Giustizia dello stesso governo, l'onorevole Clemente Mastella rilancia: il segreto delle intercettazioni è "una specie di groviera all'italiana". Qualche anno dopo, le conseguenze, tratte in modo drastico e radicale dal capo dello schieramento politico contrapposto: "Auspico che, come succede in Europa, le intercettazioni siano consentite solo per indagini su organizzazioni criminali come mafia, 'ndrangheta e via di seguito, oppure che riguardino il terrorismo internazionale" (Silvio Berlusconi in un'intervista al TG4 del 2 agosto 2008).

Sulla base di quali dati di fatto sottoporre a verifica queste dichiarazioni? Innanzitutto, i dati statistici. Abbiamo già evidenziato che un'indagine media su un indagato produce decine e decine di decreti, proroghe comprese. Sicché, se ne teniamo conto, i numeri sono di gran lunga ridimensionati e diventano più tranquillizzanti. E uso il termine tranquillizzante non a caso, perché in Italia c'è davvero da stare tranquilli più che in altri Paesi, perché in Italia c'è una garanzia, che è cruciale, strategica, la garanzia per eccellenza, che proprio perciò è di rango costituzionale. Tutte le intercettazioni possono essere autorizzate soltanto dall'autorità giudiziaria, e occorre in ogni caso l'avallo di un giudice che è terzo rispetto alla pubblica accusa. Così altrove non è.

Prendiamo le legislazioni di due Paesi, spesso citati come modelli di Stati liberali, rispettosi delle garanzie dei cittadini, cui spesso si dice il sistema italiano dovrebbe ispirarsi: gli USA e la Gran Bretagna.

Ebbene, negli Stati Uniti, le intercettazioni sono consentite non solo per i reati più gravi, che in quanto federali sono di competenza dell'FBI, che quindi dispone le intercettazioni necessarie, ma anche per i reati previsti dalle leggi dei singoli Stati. Sicché, le intercettazioni possono essere disposte sia dal procuratore di ciascuno Stato, che dalle polizie locali, perfino dalla polizia municipale, corrispondente ai nostri vigili urbani! Per non parlare della legislazione speciale americana, che consente le intercettazioni da parte di corpi antiterrorismo, e perfino dalle autorità di controllo della Borsa. È questo il Paese additato come modello cui ispirarsi, patria del sistema accusatorio? Forse è per questo motivo che si parla più volentieri del sistema americano quando l'argomento è quello della separazione delle carriere, e non certo quando si discetta di intercettazioni?

In Gran Bretagna, poi, dove tutte le indagini sono condotte dalla polizia, il potere di disporre legittimamente intercettazioni, senza alcuna autorizzazione giudiziaria, è riconosciuto a tutte le articolazioni della polizia, dei servizi segreti e di una selva di enti pubblici che vanno dagli uffici finanziari, ai direttori degli istituti penitenziari, fino addirittura a uffici postali e pompieri! Altro che tutela della privacy! Secondo l'ultimo rapporto del commissario per l'intercettazione delle comunicazioni, Sir Paul Kennedy, grazie al RIPA (Regulation of Investigatory Powers Act), che dal 2000 consente l'accesso ai dati personali dei cittadini inglesi, e a quelli relativi al loro traffico telefonico e di mail, servizi segreti, ministeri, enti locali domandano l'accesso ai dati dei cittadini 1400 volte al giorno, tanto che nel 2008 ci sono state complessivamente 504mila richieste di permessi di accesso, sottoponendo a implicita investigazione un adulto ogni 78.

Sarebbero questi i Paesi, campioni di tutela dei diritti dei cittadini, cui ispirare la nostra legislazione, ovvero è esattamente il contrario? La risposta è facile. Basta esaminare la legislazione italiana vigente per rendersi conto che essa è tutt'altro che lassista in tema di tutela della privacy e delle garanzie per i cittadini, come dimostra l'attribuzione alla sola autorità giudiziaria del potere di disporre un'attività invasiva della privacy come l'intercettazione, contemplando l'obbligatoria autorizzazione preventiva o convalida successiva di un giudice-terzo, e come dimostra altresì la dettagliata previsione legislativa di requisiti predeterminati per legge, che costituiscono le condizioni di legittimazione dell'intercettazione. Giustificate preoccupazioni sorgono, semmai, di fronte a talune prospettate estensioni dell'ambito delle "intercettazioni preventive", e cioè di quelle intercettazioni che dalla scrivania di un giudice non passano mai perché, su richiesta degli organi di polizia, vengono autorizzate direttamente dal pubblico ministero.

Ma, contrariamente a ciò che avviene nelle legislazioni di tanti altri Paesi, in Italia il regime delle intercettazioni è molto formale. Estremamente formali i meccanismi di autorizzazione e proroga sorvegliati dal G.I.P., tempi di durata dell'intercettazione severamente cadenzati, rigoroso sistema di conservazione della documentazione delle intercettazioni, diritti di difesa tutelata da un articolato sistema di garanzie e di udienze, rigorosa disciplina. Chi conosce il sistema legislativo italiano potrebbe seriamente definirlo lassista, non provvisto di adeguata tutela della privacy dei soggetti coinvolti?

Certo, non voglio nascondermi dietro un dito. Negli ultimi anni, i casi in cui si sono verificati fenomeni di divulgazione incontrollata di intercettazioni, con conseguenti gravi violazioni del segreto investigativo e interferenze nella vita privata dei soggetti coinvolti, sono stati tanti. Il problema c'è. Inutile nasconderselo. Ma, come sempre, bisogna evitare facili generalizzazioni e provare a ristabilire la verità dei fatti.

In primo luogo, occorre essere realisti e tenere conto del giusto e fondato interesse dell'informazione e dei cittadini sui risultati dell'attività giudiziaria. Diciamo qualche ovvietà, ma negli ultimi tempi siamo spesso costretti a ribadire l'ovvio per contrastare i ripetuti e ossessivamente insistiti tentativi di rovesciare la realtà. È ovvio, infatti, che vi sia una forte pressione da parte dell'informazione e dell'opinione pubblica sui contenuti di ogni atto di indagine, comprese le intercettazioni, specie quando riguarda soggetti o indagini che hanno rilievo pubblico, anche per esercitare nel migliore dei modi il legittimo controllo sull'esercizio della giurisdizione. Inevitabile, poi, che tale pressione sia aumentata negli ultimi tempi, visto che, per le ragioni già evidenziate, le intercettazioni hanno assunto un ruolo davvero preponderante nell'economia dei mezzi di prova oggi privilegiati. Ricordate le polemiche degli anni passati sulle continue fughe di notizie sul contenuto dei verbali dei collaboratori, con danno – innanzitutto – per le indagini, e anche per gli indagati, prematuramente sbattuti sulle prime pagine dei giornali? La pressione e attenzione, prima concentrata sui verbali di collaboratori e testimoni, si è oggi semplicemente spostata sulle trascrizioni delle intercettazioni. Tutto qui. Naturale, poi, che l'attenzione si accentui quando si tratta della registrazione di voci di personaggi in vista. E se è inammissibile che vengano indebitamente pubblicizzate telefonate del tutto irrilevanti, in quanto tali destinate alla distruzione, più che fondato è l'interesse pubblico quando si tratta di telefonate di rilievo, essendovi il duplice interesse dell'opinione pubblica di essere informati sulle condotte che possano apparire penalmente rilevanti di uomini pubblici, specie se politici che devono rispondere delle loro condotte ai propri elettori. L'interesse più rilevante da tutelare, in casi del genere, non è tanto la privacy dell'indagato, quanto il segreto investigativo, da cui dipende il corretto, efficiente ed efficace esercizio della giurisdizione.

E qui credo vada detto con chiarezza, senza paura di andare controcorrente, e cioè contro le idee più diffuse, ma muovendosi dentro la linea tracciata dalla Costituzione italiana e dalla normativa comunitaria, che, nonostante tutto ciò, pur essendo messo in pericolo un bene certamente meritevole di efficace tutela come il segreto investigativo nella fase delle indagini preliminari, costituiscono beni certamente non meno meritevoli di tutela il diritto di cronaca dei giornalisti e il diritto dei cittadini a essere informati. Sicché, non mi pare proprio che la punizione dei giornalisti con severe sanzioni penali per la pubblicazione di notizie vere, seppure coperte da segreto investigativo, magari a fronte dell'impunità dell'addetto ai lavori, pubblico (magistrato, investigatore, cancelliere) o privato (avvocato, indagato o testimone), autore della fuga di notizie, sia la soluzione più appropriata, giusta, efficace, o corrispondente ai principi generali dell'ordinamento. E mi preoccupa che tale soluzione paia, invece, quella preferita in politica, in modo trasversale, a destra e a sinistra, come dimostrano i disegni di legge sostenuti da due diverse maggioranze in due diverse legislature.

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